Buongiorno, oggi è il 3 ottobre.
Il 3 ottobre 1866 viene siglato il Trattato di Vienna, che pone fine alla Terza Guerra d'Indipendenza Italiana.
Quando il 17 marzo 1861, a seguito dell’Impresa dei Mille, il re di Sardegna Vittorio Emanuele II di Savoia divenne re d'Italia, il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo. Da un lato, infatti, il Veneto, il Trentino e Trieste appartenevano ancora all'Austria e dall'altro Roma era saldamente nelle mani di papa Pio IX.
Per completare l’unità d’Italia era necessario trovare nuovi alleati. In quegli anni il Regno di Prussia aspirava a diventare la principale potenza del mondo germanico. Entrò quindi in contrasto con l’Austria. Nell’aprile del 1866 Italia e Prussia stipularono un trattato che prevedeva la guerra contro l’Austria. L’Italia avrebbe ottenuto in cambio il Veneto.
Poco dopo, nel giugno del 1866, la Prussia attaccò l’Austria, e subito l’Italia si schierò al suo fianco: iniziava così la terza guerra d’indipendenza. L’esercito italiano era numerosissimo, ma male armato e poco organizzato.
A Custoza fu duramente sconfitto. Il governo italiano cercò di rifarsi della brutta figura, e volle ingaggiare una battaglia navale a Lissa, un’isola di fronte alla Dalmazia, nel mare Adriatico. La flotta italiana, benché superiore come mezzi, subì gravi perdite e due grandi corazzate furono affondate. Il comandante Persano fu destituito e degradato. Nonostante le sconfitte italiane, l’esito della guerra fu positivo, grazie alla vittoria dei Tedeschi sugli Austriaci a Sadowa (luglio 1866).
Solo Garibaldi riuscì a tenere alto l’onore italiano. Dopo aver battuto gli Austriaci a Bezzecca, prese a dirigersi verso Trento. Ma nell’agosto del 1866 venne firmata la pace, e Garibaldi ricevette l’ordine di fermarsi. A quest’ordine Garibaldi, per nulla d’accordo, rispose con un celebre telegramma di una sola parola: “Obbedisco”. In base agli accordi stabiliti in precedenza, l’Austria fu costretta a cedere il Veneto all’Italia.
Trento e Trieste restavano però all’Austria.
Il papa, Pio IX, era rimasto profondamente dispiaciuto dalla diminuzione del suo Stato. Ma c’era di più. Tutto il Risorgimento appariva ostile ed inaccettabile agli occhi della Chiesa. Nel 1864 il Papa pubblicò il Sillabo degli errori del tempo: si trattava di un elenco di tutte le idee che la Chiesa considerava sbagliate. In sintesi la Chiesa condannava tutte quelle riforme che dalla Rivoluzione francese si erano diffuse in Italia ed in Europa:
- la libertà di pensiero, di stampa e d’espressione;
- il principio di sovranità popolare;
- la separazione della Chiesa dallo Stato.
Il Sillabo approfondì il divario fra i liberali ed i cattolici. Tra i liberali crebbe il numero degli anticlericali, cioè di coloro che erano contrari al clero ed alla Chiesa. I cattolici liberali, che nei decenni precedenti avevano contato grandi personalità come Manzoni e Gioberti, si trovarono isolati e senza appoggi da parte della Chiesa.
La Chiesa cattolica non riconobbe il nuovo Stato italiano
Particolarmente sentita era la questione romana: cioè il problema che riguardava l’annessione di Roma all’Italia. La città era considerata la naturale capitale d’Italia. Ma i cattolici erano contrari ad un attacco allo Stato pontificio.
Soprattutto Napoleone III non voleva dispiacere ai cattolici francesi, e si era impegnato fin dal 1849 a difendere la sede papale. Il governo italiano doveva per forza adeguarsi all’imposizione del suo principale alleato. Nel 1864 fu stipulata con la Francia la Convenzione di settembre, un trattato in base al quale l’Italia rinunciava ad ogni pretesa su Roma. Per dimostrare di aver accettato definitivamente questa situazione, il governo decise anche di spostare la capitale del regno da Torino a Firenze.
La conquista di Roma era sostenuta con particolare energia da Giuseppe Garibaldi. Questi aveva un enorme seguito fra le masse popolari: il suo motto era: << O Roma, o morte! >>. I volontari garibaldini tentarono più volte di entrare in Roma. Nel 1862 furono bloccati dall’esercito italiano mentre si organizzavano in Aspromonte. Nel 1867 l’armata francese intervenne direttamente per respingere a Mentana un nuovo attacco.
L’unità era ancora da portare a termine: la questione romana venne inizialmente affrontata senza successo.
Anche per Roma la soluzione venne dalla mutata situazione internazionale. Nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana, e la vittoria tedesca portò al crollo dell’Impero di Napoleone III. Ne approfittò il governo italiano, che si sentì libero di agire.
Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani entrarono in Roma e la occuparono dopo brevissimi combattimenti. Dopo circa 12 secoli, lo Stato della Chiesa non esisteva più. Pio IX si rifugiò nei Palazzi Vaticani e dichiarò di essere prigioniero.
Pochi mesi dopo, nel 1871 Roma fu proclamata capitale d’Italia. Nel maggio dello stesso anno il Parlamento italiano votò una legge che regolava il rapporto tra Stato e Chiesa. Questa legge, detta legge delle guarentigie, cioè delle garanzie, stabiliva:
- l’assegnazione al Papa dei palazzi del Vaticano e del Laterano, oltre ad alcune residenze nei dintorni di Roma. A questi edifici veniva riconosciuta l’extraterritorialità. Formavano cioè uno Stato indipendente, la Città del Vaticano, di cui il Papa era il capo;
- l’impegno da parte dello Stato italiano a versare ogni anno una somma di denaro adeguata al mantenimento della Città del Vaticano;
- il riconoscimento per la Chiesa cattolica dell’assoluta libertà di organizzazione e di propaganda all’interno dello Stato italiano.
Ma il Papa rifiutò il riconoscimento dello Stato italiano, e quindi della legge delle guarentigie. Ribadì d’essere prigioniero in Vaticano, scomunicò il Re, il governo italiano e vietò ai cattolici di partecipare all’attività politica nazionale. Persino di andare a votare.
Da quel momento, per circa cinquant’anni, i cattolici furono impegnati soprattutto in attività culturali o sociali, in aiuto dei più poveri. Bisognerà attendere il 1919 prima di veder nascere un partito cattolico.
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