Buongiorno, oggi è il 31 dicembre.
Il 31 dicembre 2002 a Shangai viene inaugurato il treno a levitazione magnetica che consente di colmare la distanza tra l'aeroporto internazionale e la città (30 km) alla velocità di oltre 500 km/h.
I maglev, ovvero treni a levitazione magnetica, sono veicoli privi di ruote, che utilizzano la repulsione e l’attrazione magnetica per rimanere sospesi sui binari, senza alcun contatto con il suolo quindi, e per la propulsione dei convogli. Questa caratteristica consente di raggiungere grandi velocità.
Anche se la tecnologia per la levitazione magnetica è stata sviluppata inizialmente negli anni ’30, in Germania, ed è stata oggetto oggetto di diversi brevetti negli anni ’60 e ’70 negli Stati Uniti e in Germania, il primo treno vero e proprio destinato al trasporto passeggeri fu realizzato nel 1979 ad Amburgo, in occasione della prima mostra internazionale dei trasporti, lungo una tratta di 908 metri. Si trattò comunque di un’esperienza temporanea.
Il primo meglev automatizzato destinato al trasporto pubblico è stato messo in funzione nel Regno Unito, a Birmingham, nel 1984 per servire la tratta fra la stazione e l’aeroporto; il servizio è stato sospeso nel 1995 a causa dell’obsolescenza del sistema.
In Giappone sono stati sviluppati due diversi maglev. Il più famoso è il JR-Maglev, sviluppato a partire dal 1969, che nel 2005 ha segnato il record mondiale di velocità (581 km/h); l’altro è l’HSTT, sviluppato a partire dal 1974 dalla Japan Airlines.
In Germania, a Berlino Ovest, un altro maglev ha funzionato fra il 1989 e il 1991.
Attualmente, troviamo altri treni magnetici in Cina, dove una tratta maglev di 30 km costruita nel 2002 collega in 7 minuti l’aeroporto di Shangai alla città, e in Corea.
Negli Stati Uniti non sono mai state costruite tratte maglev, ma il tema sembra essere piuttosto attuale, e si stanno compiendo studi per implementare una nuova generazione di treni magnetici.
Altri treni maglev sono in fase di studio nel Regno Unito, per collegare Londra a Glasgow, in Germania, a Monaco, in Svizzera, per due tratte sotterranee.
Se il grande elemento innovativo individuato a partire dagli anni ’30 è stata la levitazione magnetica, ovvero l’eliminazione dell’attrito fra ruote e binario, il sorprendente balzo in avanti annunciato dalla Cina sarà l’eliminazione dell’attrito fra il treno e l’aria. In che modo? Nell’unico modo possibile: far correre il treno “sottovuoto”, cioè in un tunnel privo di aria. Come nello spazio cosmico.
I ricercatori dell’Accademia Cinese di Scienze e dell’Accademia Cinese di Ingegneria annunciano infatti che è questo il progetto che stanno sviluppando in collaborazione con Daryl Oster, l’ingegnere americano che detiene il brevetto per le tratte ferroviarie in assenza d’aria (ETT: evacuated tube transport).
Il progetto porterà in una prima fase alla creazione di un prototipo che potrà viaggiare sottovuoto a una velocità compresa fra i 500 e i 600 km/h; sulla base di questo prototipo, attualmente in costruzione, si prevede di implementare entro tre anni un treno di dimensioni minori, che potrà viaggiare fra i 600 e 1.000 km/h. Ad oggi, la tempistica del progetto prevede di mettere in funzione le tratte fra dieci anni.
La velocità massima di 1.000 km/h non verrà raggiunta probabilmente nell’esercizio del servizio pubblico: la velocità media dovrebbe essere di 600 km/h circa. Se consideriamo che i treni ad alta velocità cinesi viaggiano oggi a 350 km/h, si tratta in pratica di raddoppiare le prestazioni dei treni, a fronte di un costo di infrastutturazione che aumenterà del 5-10%, passando dagli attuali 200 milioni di yuan per chilometro di rete, a circa 210-220 milioni di yuan (cioè da 21,5 a 22,6-23,7 milioni di euro per chilometro). L’ ”offerta”, quindi, sembra essere altamente competitiva, considerato l’elevato livello di complessità che le reti sottovuoto richiederanno, e visto anche il consistente risparmio di acciaio che il progetto dovrebbe consentire.
La notizia che arriva dalla Cina, al di là della sua indubbia spettacolarità, potrebbe essere l’occasione per ricordarci che al di là dell’aspetto sensazionale siamo di fronte a un tema strategico e decisivo – almeno per quelle aree del Mondo in cui la politica riesce ad avere una visione strategica del futuro. I sistemi di trasporti basati su combustibile fossile sono destinati a un inesorabile declino: perché il petrolio sarà sempre più raro, costerà sempre di più, e nel secolo del green e del sostenibile rappresenterà un investimento sempre più sconveniente e rischioso dal punto di vista politico.
Questo significa che i trasporti aerei potrebbero diventare un lusso riservato ai soli voli transoceanici, e laddove possibile saranno sostituiti nella mobilità interna dai trasporti ferroviari, se lo sviluppo delle nuove tecnologie – di cui il caso cinese rappresenta la punta più avanzata – riuscirà a rendere davvero competitivo lo spostamento via terra. Ci sta già lavorando la Francia, dove la SNCF ha già i TGV fra i più veloci in circolazione e sta cercando di insidiare i trasporti aerei con nuove politiche di prezzo.
È vero che per quanto riguarda i maglev, visti i costi elevati per l’infrastrutturazione, essi sono stati utilizzati finora solo per tratte brevi e altamente frequentate: non è un caso che la maggior parte di essi collega le grandi città ai rispettivi aeroporti internazionali, o alle aree suburbane ad alta densità di pendolarismo. Eppure tutto lascia pensare che la Cina stia davvero indicando il futuro dei trasporti veloci. Non sappiamo ancora se e quando i maglev “sottovuoto” diventeranno realtà, ma quando accadrà non saranno solo treni, sarà l’inizio di una nuova fase della mobilità su larga scala.
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venerdì 31 dicembre 2021
giovedì 30 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 30 dicembre.
Il 30 dicembre 2010, nell'ultimo giorno di mandato, il presidente brasiliano Lula nega l'estradizione di Cesare Battisti all'Italia.
Ex appartenente ai Proletari armati per il comunismo, Cesare Battisti è stato condannato in contumacia all'ergastolo con sentenze passate in giudicato per quattro omicidi compiuti in concorso con altri terroristi durante gli 'Anni di piombo'.
Andrea Santoro fu il primo a cadere sotto i colpi dei Pac. A 52 anni viveva con la moglie e i tre figli, a Udine, dove comandava con il grado di maresciallo il carcere di via Spalato. Il 6 giugno del '78, quando lo uccisero, non era ancora passato un mese dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani. A sparare, secondo gli inquirenti furono Battisti e una complice, con la quale si scambiò false carezze fino al momento di colpire. Per i Pac quello fu il battesimo del fuoco. E il '79 ne fu il triste prosieguo: tre omicidi, due a Milano e uno ancora nel nord est, vicino Mestre. Il 16 febbraio la prima, duplice azione: a Milano fu ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani; a Mestre il macellaio Lino Sabbadin. Nella rivendicazione fu scritto che "era stata posta fine" alla loro "squallida esistenza". Il gioielliere e il macellaio avevano in comune una cosa: in precedenza avevano sparato e ucciso un rapinatore. E per questo furono puniti; una vendetta insomma. Torregiani fu ucciso davanti alla sua gioielleria nel rione Bovisa. Gli spararono mentre usciva dal negozio assieme al figlio: il gioielliere fece in tempo ad estrarre la pistola e a far fuoco, ma non a salvarsi. Suo figlio, poco più che adolescente, invece fu ferito alla spina dorsale e rimase paralizzato. Per questo delitto Cesare Battisti è stato condannato in quanto mandante e ideatore. Due ore dopo il delitto Torreggiani, alle 18 fu la volta di Lino Sabbadin. Due giovani entrarono nella sua macelleria a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, e gli spararono con una calibro 6,35. La "colpa" di Sabbadin era quella di aver ucciso un rapinatore che due mesi prima era entrato nella macelleria. In questo secondo delitto Battisti è accusato di aver fornito "copertura armata".
Il 19 aprile invece fu la volta di Andrea Campagna, agente della Digos milanese. Uno sconosciuto si avvicinò al poliziotto di 25 anni in via Modica, nel quartiere della Barona, e sparò. Cinque colpi di pistola lo colpirono nella zona sinistra del torace, in corrispondenza del cuore. Per lui non ci fu nulla da fare. Poco dopo una telefonata al 'Secolo XIX' e a 'Vita' rivendicò l'omicidio a nome dei Proletari Armati per il comunismo. Di questo delitto Battisti è accusato di essere stato l'esecutore materiale.
Cesare Battisti viene arrestato per banda armata nel 1979. Detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l'istruttoria, il 4 ottobre 1981 Battisti riesce ad evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia. Durante il soggiorno messicano i giudici italiani lo condannano in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi. Battisti torna a Parigi dove, nel frattempo, sono andate a vivere la moglie e la figlia. Nella capitale francese, fa il portiere di uno stabile, ma frequenta la comunità di rifugiati italiani che lì vive grazie alla cosiddetta 'dottrina'. Inizia a scrivere romanzi noir. Resta in Francia fino al 2004 quando viene concessa l'estradizione. In agosto Battisti fugge e torna latitante.
Viene arrestato in Brasile il 18 marzo 2007, ma il leader dei Pac si rivolge allo Stato brasiliano e chiede lo status di rifugiato politico. Il 28 novembre 2008 il Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano, organo di prima istanza per le richieste di asilo politico, respinge la richiesta dell'ex terrorista. "Se torno in Italia mi ammazzano" avverte Battisti, dal carcere di Papuda, Brasilia, augurandosi che il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, "che ha vissuto sulla sua pelle gli effetti della repressione politica (durante la giunta militare al potere in Brasile dal 1964 al 1984) rigetti le argomentazioni del governo italiano". Pochi giorni dopo Genro gli concede lo status di rifugiato politico. La concessione dello status di rifugiato politico ha creato forti dissapori tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano, all'indomani della decisione di Genro, ha richiamato l'ambasciatore in segno di protesta. Ma il Tribunale supremo federale (Stf) brasiliano, il 18 novembre, dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo. La pronuncia, 5 voti favorevoli e 4 contrari, è favorevole all'estradizione di Battisti in Italia, anche se lascia al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la parola definitiva sulla sua effettiva esecuzione. Il 30 dicembre 2010, nell'ultimo giorno del suo mandato presidenziale, Lula decide di non concedere l'estradizione.
Della questione tuttavia fu investito il Tribunale supremo federale brasiliano, su sollecito della nuova presidente del Brasile Dilma Rousseff, che l'8 giugno 2011 negò l'estradizione, con la motivazione che avrebbe potuto subire "persecuzioni a causa delle sue idee". Battisti fu quindi scarcerato, dopo aver scontato la pena per ingresso illegale tramite documenti falsi, rimanendo in libertà fino al 12 marzo 2015, giorno in cui viene nuovamente arrestato dalle autorità brasiliane in seguito all'annullamento del permesso di soggiorno, ma viene rilasciato quasi subito. Nell'ottobre 2017 è di nuovo tratto in arresto al confine con la Bolivia, ma scarcerato poco dopo.
Nuovamente latitante dal dicembre 2018, dopo la revoca dello status di residente permanente e l'ordine di estradizione del presidente Michel Temer, il 12 gennaio 2019 viene arrestato a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, da una squadra dell'Interpol (team composto da Polizia italiana, Criminalpol e Antiterrorismo) e il 14 gennaio è trasferito in Italia nel carcere di Oristano, e successivamente nel carcere di Rossano dove sconterà l'ergastolo. Il 25 marzo 2019 ammette per la prima volta le proprie responsabilità per i crimini imputatigli: si dichiara infatti colpevole di tutti i reati per cui è stato condannato e chiede scusa ai familiari delle vittime. Nell'agosto 2020 anche l'ex presidente del Brasile, Lula, ha chiesto scusa ai familiari delle vittime sostenendo di aver sbagliato nel dare asilo politico a Battisti, scuse estese agli italiani in un'intervista televisiva nell'aprile del 2021.
Il 30 dicembre 2010, nell'ultimo giorno di mandato, il presidente brasiliano Lula nega l'estradizione di Cesare Battisti all'Italia.
Ex appartenente ai Proletari armati per il comunismo, Cesare Battisti è stato condannato in contumacia all'ergastolo con sentenze passate in giudicato per quattro omicidi compiuti in concorso con altri terroristi durante gli 'Anni di piombo'.
Andrea Santoro fu il primo a cadere sotto i colpi dei Pac. A 52 anni viveva con la moglie e i tre figli, a Udine, dove comandava con il grado di maresciallo il carcere di via Spalato. Il 6 giugno del '78, quando lo uccisero, non era ancora passato un mese dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani. A sparare, secondo gli inquirenti furono Battisti e una complice, con la quale si scambiò false carezze fino al momento di colpire. Per i Pac quello fu il battesimo del fuoco. E il '79 ne fu il triste prosieguo: tre omicidi, due a Milano e uno ancora nel nord est, vicino Mestre. Il 16 febbraio la prima, duplice azione: a Milano fu ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani; a Mestre il macellaio Lino Sabbadin. Nella rivendicazione fu scritto che "era stata posta fine" alla loro "squallida esistenza". Il gioielliere e il macellaio avevano in comune una cosa: in precedenza avevano sparato e ucciso un rapinatore. E per questo furono puniti; una vendetta insomma. Torregiani fu ucciso davanti alla sua gioielleria nel rione Bovisa. Gli spararono mentre usciva dal negozio assieme al figlio: il gioielliere fece in tempo ad estrarre la pistola e a far fuoco, ma non a salvarsi. Suo figlio, poco più che adolescente, invece fu ferito alla spina dorsale e rimase paralizzato. Per questo delitto Cesare Battisti è stato condannato in quanto mandante e ideatore. Due ore dopo il delitto Torreggiani, alle 18 fu la volta di Lino Sabbadin. Due giovani entrarono nella sua macelleria a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, e gli spararono con una calibro 6,35. La "colpa" di Sabbadin era quella di aver ucciso un rapinatore che due mesi prima era entrato nella macelleria. In questo secondo delitto Battisti è accusato di aver fornito "copertura armata".
Il 19 aprile invece fu la volta di Andrea Campagna, agente della Digos milanese. Uno sconosciuto si avvicinò al poliziotto di 25 anni in via Modica, nel quartiere della Barona, e sparò. Cinque colpi di pistola lo colpirono nella zona sinistra del torace, in corrispondenza del cuore. Per lui non ci fu nulla da fare. Poco dopo una telefonata al 'Secolo XIX' e a 'Vita' rivendicò l'omicidio a nome dei Proletari Armati per il comunismo. Di questo delitto Battisti è accusato di essere stato l'esecutore materiale.
Cesare Battisti viene arrestato per banda armata nel 1979. Detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l'istruttoria, il 4 ottobre 1981 Battisti riesce ad evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia. Durante il soggiorno messicano i giudici italiani lo condannano in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi. Battisti torna a Parigi dove, nel frattempo, sono andate a vivere la moglie e la figlia. Nella capitale francese, fa il portiere di uno stabile, ma frequenta la comunità di rifugiati italiani che lì vive grazie alla cosiddetta 'dottrina'. Inizia a scrivere romanzi noir. Resta in Francia fino al 2004 quando viene concessa l'estradizione. In agosto Battisti fugge e torna latitante.
Viene arrestato in Brasile il 18 marzo 2007, ma il leader dei Pac si rivolge allo Stato brasiliano e chiede lo status di rifugiato politico. Il 28 novembre 2008 il Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano, organo di prima istanza per le richieste di asilo politico, respinge la richiesta dell'ex terrorista. "Se torno in Italia mi ammazzano" avverte Battisti, dal carcere di Papuda, Brasilia, augurandosi che il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, "che ha vissuto sulla sua pelle gli effetti della repressione politica (durante la giunta militare al potere in Brasile dal 1964 al 1984) rigetti le argomentazioni del governo italiano". Pochi giorni dopo Genro gli concede lo status di rifugiato politico. La concessione dello status di rifugiato politico ha creato forti dissapori tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano, all'indomani della decisione di Genro, ha richiamato l'ambasciatore in segno di protesta. Ma il Tribunale supremo federale (Stf) brasiliano, il 18 novembre, dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo. La pronuncia, 5 voti favorevoli e 4 contrari, è favorevole all'estradizione di Battisti in Italia, anche se lascia al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la parola definitiva sulla sua effettiva esecuzione. Il 30 dicembre 2010, nell'ultimo giorno del suo mandato presidenziale, Lula decide di non concedere l'estradizione.
Della questione tuttavia fu investito il Tribunale supremo federale brasiliano, su sollecito della nuova presidente del Brasile Dilma Rousseff, che l'8 giugno 2011 negò l'estradizione, con la motivazione che avrebbe potuto subire "persecuzioni a causa delle sue idee". Battisti fu quindi scarcerato, dopo aver scontato la pena per ingresso illegale tramite documenti falsi, rimanendo in libertà fino al 12 marzo 2015, giorno in cui viene nuovamente arrestato dalle autorità brasiliane in seguito all'annullamento del permesso di soggiorno, ma viene rilasciato quasi subito. Nell'ottobre 2017 è di nuovo tratto in arresto al confine con la Bolivia, ma scarcerato poco dopo.
Nuovamente latitante dal dicembre 2018, dopo la revoca dello status di residente permanente e l'ordine di estradizione del presidente Michel Temer, il 12 gennaio 2019 viene arrestato a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, da una squadra dell'Interpol (team composto da Polizia italiana, Criminalpol e Antiterrorismo) e il 14 gennaio è trasferito in Italia nel carcere di Oristano, e successivamente nel carcere di Rossano dove sconterà l'ergastolo. Il 25 marzo 2019 ammette per la prima volta le proprie responsabilità per i crimini imputatigli: si dichiara infatti colpevole di tutti i reati per cui è stato condannato e chiede scusa ai familiari delle vittime. Nell'agosto 2020 anche l'ex presidente del Brasile, Lula, ha chiesto scusa ai familiari delle vittime sostenendo di aver sbagliato nel dare asilo politico a Battisti, scuse estese agli italiani in un'intervista televisiva nell'aprile del 2021.
mercoledì 29 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 29 dicembre.
Il 29 dicembre 1170 Thomas Beckett, arcivescovo di Canterbury, viene ucciso brutalmente davanti all'altare della cattedrale.
L’epilogo delle brutali ed accese rivalità politiche che nel periodo tardomedievale posero a confronto l’Autorità religiosa e il Potere temporale, nella cornice della lotta per le investiture di cui furono protagonisti il Papato e tutte le Monarchie europee, fu il sacrilego assassinio di Thomas Beckett consumato avanti all’altare della cattedrale di Canterbury.
Quell’evento, verosimilmente ispirato da Enrico II, conferì alla contrapposizione tra Chiesa e Regno un significato universale utile non solo a valutare l’appassionante realtà conflittuale inglese, ma a riconsiderare una serie di circostanze contemporanee e successive di portata storica e politica epocale.
Nato a Londra il 21 dicembre del 1118 da una famiglia di commercianti di origine normanna, giunta nell’isola al seguito di Guglielmo il Conquistatore; morto a Canterbury il 29 dicembre del 1170; Cancelliere del Regno dal 1152 e Primate d’ Inghilterra dal 1162, Thomas Beckett fu venerato santo e martire dalle Chiese Cattolica ed Anglicana.
Fin dalla fanciullezza era stato avviato alla carriera ecclesiale.
Formato all’abbazia di Merton, consolidò i suoi studi a Parigi e, tornato in Inghilterra, si pose al servizio del Primate di Canterbury Teobaldo di Bec che, apprezzandone il talento diplomatico e la cultura, lo inviò a Bologna e ad Auxerre per l’approfondimento del Diritto Canonico e nel 1148 lo condusse con sé al Concilio di Reims.
Ordinato Diacono e Prevosto di Beverley e poi Arcidiacono, il giovane prelato entrò nelle grazie di Enrico II che, successo a Stefano di Blois nel 1154, su consiglio del Clero lo designò Cancelliere del Regno.
Nel perdurare del prestigioso mandato, contro ogni diversa aspettativa episcopale e baronale, prestandogli le sue conoscenze in materia di Diritto Romano e concorrendo alla istituzione di una Curia Regis, Beckett avallò l’opera riformatrice del Sovrano teso a ridimensionare l’autonomia dei Feudatari ed a restaurare la centralità monarchica.
Nel 1162, in virtù della stretta amicizia col Re, lasciò la Cancelleria e sostituì Teobaldo di Bec nella guida della Chiesa inglese assumendo l’incarico di Arcivescovo di Canterbury e di Primate d'Inghilterra.
Il malessere espresso dal Clero; il nuovo incarico e, forse, i diversi rapporti di forza lo indussero a modificare le relazioni con la Corona; a farsi capofila della insubordinazione ed a manifestare ogni possibile ostilità alle restrizioni delle immunità ecclesiali propugnate da Enrico II: da quel momento, infatti, Beckett si dette alla rigorosa ed oltranzista difesa degli interessi della Chiesa contrastando la Corte e la Legge eversiva del privilegio del Foro Ecclesiale del 1163, in seguito pur approvata con la riserva del salvo ordine nostro et jure Ecclesiae.
Il primo aperto conflitto esplose quando fu concesso ad una Corte secolare il diritto a processare un ecclesiastico responsabile di un reato. Ad esso si saldò la pretesa di Enrico II di subordinare la Chiesa ad un giuramento di osservanza dei costumi del reame: la nuova ed energica levata di scudi del Primate degenerò nella ferma opposizione, nel 1164, ad alcuni dei sedici articoli delle Costituzioni di Clarendon attraverso le quali il Sovrano intendeva subordinare l’intero Corpo Ecclesiale all’autorità regia.
L’atteggiamento di irriducibile intransigenza irritò la Corona al punto da indurre Beckett a sentirsi minacciato nell’incolumità: accusato di vilipendio alla Monarchia per essersi sottratto ad una convocazione a Corte e pretestuosamente incriminato anche per malversazione, egli decise di fuggire oltre Manica e di riparare in Fiandra.
Partito dal porto di Sandwich il 2 novembre del 1164 ed accolto con onori da Luigi VII, interessato ad indebolire il Sovrano inglese che già controllava un terzo della Francia e mirava ad estendere la propria influenza anche nell’area di Tolosa, l’Arcivescovo fece tappa dapprima in Borgogna, nel monastero cistercense di Pontigny, ed in seguito nell’abbazia benedettina di Sens. Tuttavia, malgrado esule, seguitò a contrastare l’azione politica del Re inglese e sollecitò il sostegno di Alessandro III che, già messo alla prova dagli aspri dissensi esplosi tra il Collegio Episcopale francese e Luigi VII, adottò una posizione di cauta neutralità mentre Enrico II negoziava la possibilità di raggiungere un’intesa sui privilegi da accordare al Clero.
Cinque anni più tardi, le tensioni sembrarono appianarsi in occasione del viaggio di Enrico II a Montmirail ove il 6 gennaio del 1169 incontrò Luigi VII; ma, se il Sovrano non espresse garanzie circa la sicurezza dell’esule nel caso fosse tornato in patria, il Beckett stesso non dette prova di recedere dalle sue rigorose posizioni: solo nel 1170 si giunse ad una precaria conciliazione tra le parti, motivata dalla decisione di rimettere la questione controversa al giudizio di un Concilio.
Tornato in Inghilterra, tuttavia, il Primate resistette ancora alle pressioni della Corona a proposito degli articoli di Clarendon, a suo avviso lesivi delle prerogative ecclesiali, e comunicò che li avrebbe accettati solo con la clausola salvo Honore Dei. Parallelamente, contestò l’avvenuta incoronazione ed associazione al trono del Principe Enrico il Giovane assumendone l’invalidità: la cerimonia, infatti, sarebbe stata legittima solo se, secondo prassi, officiata dall’Arcivescovo di Canterbury e non, com’era stato, dal Primate di York. La situazione si arroventò quando, nel novembre, con l’avallo del Papa si spinse a colpire di scomunica quanti, a partire dal Re, lo avevano espropriato del diritto d’investitura reale usurpandogli le prerogative.
Sempre più sulla difensiva, Enrico invitò gli Inglesi a tutelare il suo onore dagli attacchi dell’antagonista e si recò in Normandia per trascorrervi il Natale.
Il 29 dicembre del 1170, quattro ignoti Cavalieri entrarono nella cattedrale di Canterbury e massacrarono il Primate che stava svolgendo l’ufficio divino: non fu mai storicamente accertato se essi avessero agìto autonomamente per compiacere Enrico II o se avessero eseguito un suo preciso ordine. Di certo, l'impatto emotivo suscitato dall'evento in tutte le Corti europee esaltò a tal punto la figura del Beckett che Alessandro III decise di canonizzarlo il 21 febbraio del 1173, nella chiesa di San Pietro a Segni, a circa due anni dalla morte.
La cattedrale di Canterbury diventò meta di pellegrinaggi e, il 12 luglio del 1174, il Sovrano fu costretto a sottoporsi ad una pubblica penitenza mentre Thomas Beckett veniva eletto simbolo della resistenza cattolica all’assolutismo politico.
Egli lasciò trattati, lettere ed un Canto alla Vergine; ma nel 1538 il suo culto fu interdetto da Enrico VIII che ne fece bruciare il cadavere e disperdere le ceneri. Tuttavia, la sua drammatica vicenda ispirò il dramma di Thomas Stearns Eliot "Assassinio nella cattedrale" ed il romanzo "I pilastri della terra" di Ken Follett.
Il 29 dicembre 1170 Thomas Beckett, arcivescovo di Canterbury, viene ucciso brutalmente davanti all'altare della cattedrale.
L’epilogo delle brutali ed accese rivalità politiche che nel periodo tardomedievale posero a confronto l’Autorità religiosa e il Potere temporale, nella cornice della lotta per le investiture di cui furono protagonisti il Papato e tutte le Monarchie europee, fu il sacrilego assassinio di Thomas Beckett consumato avanti all’altare della cattedrale di Canterbury.
Quell’evento, verosimilmente ispirato da Enrico II, conferì alla contrapposizione tra Chiesa e Regno un significato universale utile non solo a valutare l’appassionante realtà conflittuale inglese, ma a riconsiderare una serie di circostanze contemporanee e successive di portata storica e politica epocale.
Nato a Londra il 21 dicembre del 1118 da una famiglia di commercianti di origine normanna, giunta nell’isola al seguito di Guglielmo il Conquistatore; morto a Canterbury il 29 dicembre del 1170; Cancelliere del Regno dal 1152 e Primate d’ Inghilterra dal 1162, Thomas Beckett fu venerato santo e martire dalle Chiese Cattolica ed Anglicana.
Fin dalla fanciullezza era stato avviato alla carriera ecclesiale.
Formato all’abbazia di Merton, consolidò i suoi studi a Parigi e, tornato in Inghilterra, si pose al servizio del Primate di Canterbury Teobaldo di Bec che, apprezzandone il talento diplomatico e la cultura, lo inviò a Bologna e ad Auxerre per l’approfondimento del Diritto Canonico e nel 1148 lo condusse con sé al Concilio di Reims.
Ordinato Diacono e Prevosto di Beverley e poi Arcidiacono, il giovane prelato entrò nelle grazie di Enrico II che, successo a Stefano di Blois nel 1154, su consiglio del Clero lo designò Cancelliere del Regno.
Nel perdurare del prestigioso mandato, contro ogni diversa aspettativa episcopale e baronale, prestandogli le sue conoscenze in materia di Diritto Romano e concorrendo alla istituzione di una Curia Regis, Beckett avallò l’opera riformatrice del Sovrano teso a ridimensionare l’autonomia dei Feudatari ed a restaurare la centralità monarchica.
Nel 1162, in virtù della stretta amicizia col Re, lasciò la Cancelleria e sostituì Teobaldo di Bec nella guida della Chiesa inglese assumendo l’incarico di Arcivescovo di Canterbury e di Primate d'Inghilterra.
Il malessere espresso dal Clero; il nuovo incarico e, forse, i diversi rapporti di forza lo indussero a modificare le relazioni con la Corona; a farsi capofila della insubordinazione ed a manifestare ogni possibile ostilità alle restrizioni delle immunità ecclesiali propugnate da Enrico II: da quel momento, infatti, Beckett si dette alla rigorosa ed oltranzista difesa degli interessi della Chiesa contrastando la Corte e la Legge eversiva del privilegio del Foro Ecclesiale del 1163, in seguito pur approvata con la riserva del salvo ordine nostro et jure Ecclesiae.
Il primo aperto conflitto esplose quando fu concesso ad una Corte secolare il diritto a processare un ecclesiastico responsabile di un reato. Ad esso si saldò la pretesa di Enrico II di subordinare la Chiesa ad un giuramento di osservanza dei costumi del reame: la nuova ed energica levata di scudi del Primate degenerò nella ferma opposizione, nel 1164, ad alcuni dei sedici articoli delle Costituzioni di Clarendon attraverso le quali il Sovrano intendeva subordinare l’intero Corpo Ecclesiale all’autorità regia.
L’atteggiamento di irriducibile intransigenza irritò la Corona al punto da indurre Beckett a sentirsi minacciato nell’incolumità: accusato di vilipendio alla Monarchia per essersi sottratto ad una convocazione a Corte e pretestuosamente incriminato anche per malversazione, egli decise di fuggire oltre Manica e di riparare in Fiandra.
Partito dal porto di Sandwich il 2 novembre del 1164 ed accolto con onori da Luigi VII, interessato ad indebolire il Sovrano inglese che già controllava un terzo della Francia e mirava ad estendere la propria influenza anche nell’area di Tolosa, l’Arcivescovo fece tappa dapprima in Borgogna, nel monastero cistercense di Pontigny, ed in seguito nell’abbazia benedettina di Sens. Tuttavia, malgrado esule, seguitò a contrastare l’azione politica del Re inglese e sollecitò il sostegno di Alessandro III che, già messo alla prova dagli aspri dissensi esplosi tra il Collegio Episcopale francese e Luigi VII, adottò una posizione di cauta neutralità mentre Enrico II negoziava la possibilità di raggiungere un’intesa sui privilegi da accordare al Clero.
Cinque anni più tardi, le tensioni sembrarono appianarsi in occasione del viaggio di Enrico II a Montmirail ove il 6 gennaio del 1169 incontrò Luigi VII; ma, se il Sovrano non espresse garanzie circa la sicurezza dell’esule nel caso fosse tornato in patria, il Beckett stesso non dette prova di recedere dalle sue rigorose posizioni: solo nel 1170 si giunse ad una precaria conciliazione tra le parti, motivata dalla decisione di rimettere la questione controversa al giudizio di un Concilio.
Tornato in Inghilterra, tuttavia, il Primate resistette ancora alle pressioni della Corona a proposito degli articoli di Clarendon, a suo avviso lesivi delle prerogative ecclesiali, e comunicò che li avrebbe accettati solo con la clausola salvo Honore Dei. Parallelamente, contestò l’avvenuta incoronazione ed associazione al trono del Principe Enrico il Giovane assumendone l’invalidità: la cerimonia, infatti, sarebbe stata legittima solo se, secondo prassi, officiata dall’Arcivescovo di Canterbury e non, com’era stato, dal Primate di York. La situazione si arroventò quando, nel novembre, con l’avallo del Papa si spinse a colpire di scomunica quanti, a partire dal Re, lo avevano espropriato del diritto d’investitura reale usurpandogli le prerogative.
Sempre più sulla difensiva, Enrico invitò gli Inglesi a tutelare il suo onore dagli attacchi dell’antagonista e si recò in Normandia per trascorrervi il Natale.
Il 29 dicembre del 1170, quattro ignoti Cavalieri entrarono nella cattedrale di Canterbury e massacrarono il Primate che stava svolgendo l’ufficio divino: non fu mai storicamente accertato se essi avessero agìto autonomamente per compiacere Enrico II o se avessero eseguito un suo preciso ordine. Di certo, l'impatto emotivo suscitato dall'evento in tutte le Corti europee esaltò a tal punto la figura del Beckett che Alessandro III decise di canonizzarlo il 21 febbraio del 1173, nella chiesa di San Pietro a Segni, a circa due anni dalla morte.
La cattedrale di Canterbury diventò meta di pellegrinaggi e, il 12 luglio del 1174, il Sovrano fu costretto a sottoporsi ad una pubblica penitenza mentre Thomas Beckett veniva eletto simbolo della resistenza cattolica all’assolutismo politico.
Egli lasciò trattati, lettere ed un Canto alla Vergine; ma nel 1538 il suo culto fu interdetto da Enrico VIII che ne fece bruciare il cadavere e disperdere le ceneri. Tuttavia, la sua drammatica vicenda ispirò il dramma di Thomas Stearns Eliot "Assassinio nella cattedrale" ed il romanzo "I pilastri della terra" di Ken Follett.
martedì 28 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 28 dicembre.
Il 28 dicembre 1985 ha luogo la prima proiezione cinematografica di tutti i tempi.
La sera del 25 dicembre 1895 i fratelli Louis e Auguste Lumière creano a Parigi la prima sala cinematografica europea nel Salone Indiano del Gran Café, al n. 14 del Boulevard des Capucines. Gli invitati sono pochi tecnici e alcuni artisti amici.
La prima proiezione pubblica a pagamento avviene invece tre giorni dopo, il 28 dicembre, e comprende alcuni brevi film tra cui "L’uscita degli operai dalla Fabbrica Lumière a Lione" e "Il giardiniere", davanti ai quali gli spettatori restano esterrefatti e anche un po’ spaventati. Il biglietto costa un franco e gli spettatori sono 35. La macchina da proiezione e quella da presa sono una loro invenzione e sono il frutto di una rielaborazione del cinetoscopio e del vitascope degli americani Thomas Edison e William Dickson.
Il più noto dei cortometraggi dei fratelli Lumière è certamente "L’arrivée d’un train en gare de La Ciotat". Il film è girato con telecamera fissa posta sulla banchina della stazione, viene girato nel 1895. La pellicola mostra l’arrivo di un treno, trainato da una locomotiva a vapore, nella stazione della città costiera di La Ciotat. La leggenda vuole che gli spettatori della prima di questo film (6 gennaio 1896) siano fuggiti dalla sala per paura di essere travolti dal treno in arrivo da Marsiglia. Recentemente quella sala, posta all’interno del teatro intitolato ai fratelli Lumière, è stata completamente ristrutturata.
A La Ciotat monumenti, targhe, strade, piazze ed eventi culturali sono dedicati ai famosi fratelli e rappresentano un motivo importante di sviluppo turistico. Per due anni i fratelli Lumière ebbero il monopolio delle macchine da presa, inviando i loro collaboratori in tutto il mondo a riprendere scene di vita quotidiana. Poi, nel 1897, decisero di tornare alla loro tradizionale attività, ritirandosi progressivamente dall’impresa, anche perché giudicarono il cinema “un’arte senza futuro”. La realtà diede loro evidentemente torto.
Dalla Francia, infatti, il cinema si diffonderà rapidamente nel resto dell’Europa, raggiungendo perfino gli Stati Uniti. L’invenzione del cinematografo influenzerà profondamente la cultura, l’arte, gli usi e i costumi dell’umanità del nascente XX secolo. La prima casa di produzione cinematografica italiana sarà fondata a Roma nel 1905 da Filoteo Alberini che esordirà con il film "La presa di Roma".
lunedì 27 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 27 dicembre.
Il 27 dicembre 1908 esce il primo numero del "corriere dei piccoli".
La rivista, fondata da Silvio Spaventa Filippi, supplemento illustrato al "Corriere della Sera", fu il primo periodico che diede ampio spazio alle storie disegnate.
Il Corrierino si poneva come obiettivo la formazione e l'educazione dei giovani pargoli della borghesia italiana. Per questo aveva come propria una caratteristica che mantenne nel tempo. Quella cioè di alternare alle storie disegnate pezzi leggeri di divulgazione scientifica, articoli di letteratura (es. su Pascoli, su Carducci), racconti e narrativa di buona qualità. Fra gli autori che scrissero sulle pagine del Corrierino ricordiamo Grazia Deledda e Alfredo Panzini.
In tale contesto il fumetto, nel senso di balloon, venne considerato assolutamente diseducativo in quanto avrebbe disabituato il pubblico infantile dalla lettura dei testi. Per questo motivo le nuvolette vennero totalmente bandite dalle tavole. Al loro posto filastrocche a piè della vignetta commentavano il racconto figurato. Tale castrazione non ebbe riguardo neppure per quei personaggi che, importati dall'estero, nascevano in origine a fumetti. Fra questi ricordiamo Fortunello e la mula Checca (Happy Hooligan) di Opper, Buster Brown di Outcault, Arcibaldo e Petronilla (Bringing Up Father) di McManus, Bibì Bibò e il Capitan Cocoricò (Katzenjammer Kids) di Dirks.
La narrativa a fumetti dunque veniva introdotta in Italia privata di una sua parte essenziale. Inoltre, fatto essenziale per la successiva collocazione del fumetto nel panorama culturale italiano, veniva destinata a un pubblico esclusivamente infantile.
Nello stesso periodo negli Stati Uniti i più potenti tycoon della carta stampata, personalità oramai mitiche, come Hearst, Pulitzer, si facevano guerra per avere sui loro giornali i fumetti più amati. Sin da Yellow Kid i fumetti contribuivano a far crescere le vendite, in quanto venivano letti e apprezzati con entusiasmo da un pubblico adulto. In Italia quegli stessi prodotti, spesso straordinari per originalità e fantasia, venivano presi in considerazione esclusivamente per un target infantile.
Le ragioni di tale atteggiamento si può far risalire alla mentalità dell'intellighenzia borghese italiana, aristocraticamente lontana dal popolo che, per questo, non è mai riuscita a comprendere e quindi apprezzare i prodotti popolari, sebbene di qualità.
Il pregiudizio borghese nei confronti della cultura popolare ha fatto sì che per decenni i fumetti fossero considerati un sottoprodotto, buono solo per i bambini o per qualche adulto semianalfabeta.
Nella pubblicazione sul Corriere dei Piccoli il danno maggiore lo subirono i fumetti stranieri, nati per comunicare attraverso i balloon. Gli autori italiani invece furono costretti ad adattarsi da subito e lo fecero con successo, utilizzando le filastrocche con effetto e realizzando personaggi che ebbero successo non solo fra i piccoli lettori, ma anche fra gli adulti che sbirciavano nelle pagine colorate del Corrierino.
I più riusciti personaggi del corrierino furono i personaggi surreali. Come il negretto Bilbolbul, di Attilio Mussino, che si trasformava realizzando alla lettera le metafore. Se era "rosso per la vergogna", il suo volto diventava di colore rosso. Oppure, se correva "gambe in spalla", nella vignetta era disegnato effettivamente con le gambe in spalla, e così via. Così come ebbero grande successo tutti i personaggi di Antonio Rubino, dotato di un personalissimo stile assieme geometrico-lineare e liberty. La fama del Signor Bonaventura, di Sergio Tofano (Sto), valicò addirittura le pagine del giornale e ancora nel dopoguerra fu protagonista di opere teatrali, fiabe sceniche e serie televisive. Giovanni Manca realizzò invece il celebre Pier Cloruro de' Lambicchi. Il personaggio, uno scienziato di vecchio stampo, era il creatore della formidabile "arcivernice", una diavoleria che, spennellata su un personaggio (storico o di fantasia) dipinto su un quadro aveva la particolare virtù di farlo tornare in vità. Di soliti questi personaggi si dimostravano particolarmente litigiosi e finivano per mettere sempre nei guai il povero Pier Cloruro. Fra i personaggi che hanno fatto la storia del Corrierino bisogna ricordare lo sfortunato Marmittone di Bruno Angoletta. Il soldatino di buona volontà, rapato e con in testa la bustina rossa che, sfortunato com'era, alla fine di ogni storia finiva sempre in prigione. E ancora il Sor Pampurio di Carlo Bisi, disegnato come un clown, con i capelli che spuntano come due cespugli riccioluti sotto un grezzo cappello a cilindro. Sor Pampurio è sempre alla ricerca di un appartamento che non trova mai oppure, se lo trova, ne viene sfrattato.
Fenomenale dovette essere la presa che ebbero quei personaggi sull'immaginario dei piccoli lettori italiani, sino a quel momento ristretto entro i limiti di una letteratura per l'infanzia spesso ipocrita, pietistica e supponente. Federico Fellini, i cui film, onirici e visionari, molto devono al fascino surreale dei personaggi del Corrierino ci dà testimonianza delle suggestioni assorbite su quelle pagine colorate:
"...i personaggi di quel foglio colorato non avevano niente a che fare con il mondo che ci circondava. Però erano altrettanto veri del bidello e dell'arciprete. Tanto che alle persone reali affibbiavamo proprio i soprannomi di quei personaggi. Così l'arciprete diventava Padron Ciccio, quello che aveva una mula cattivissima, la Checca che stampava i ferri di cavallo sul sedere... Oppure il vicino di casa che mia mamma, sapendolo un po' scapestrato, tiratardi e qualche volta un po' alticcio, aveva chiamato Arcibaldo come il personaggio creato da Geo McManus." (Federico Fellini)
Quasi sicuramente Girellino e lo zingaro Zarappa, di Antonio Rubino, furono fonte di ispirazione per Fellini nell'ideazione dei personaggi di Gelsomina e Zampanò ne La Strada.
Fu nel dopoguerra che il Corriere dei Piccoli entrò in crisi. In parte pagò il coinvolgimento della testata maggiore, il "Corriere della Sera", nel regime fascista. Ma la ragione della crisi proveniva dagli anni Trenta, da quando erano arrivati in Italia gli eroi americani (Flash Gordon, Cino e Franco, Mandrake ecc.) che venivano pubblicati finalmente senza le novelline rimate. Il vecchio Corriere dei Piccoli continuò invece a vivacchiare ancora nel dopoguerra, puntando sui sempre validi Signor Bonaventura e Bibì e Bibò e il Capitan Cocoricò. Continuavano ad essere pubblicati racconti e romanzi a puntate. Molto accattivanti erano le belle figurine a tema da incollare su cartoncino e ritagliare, per essere poi utilizzate come economici soldatini. Ma tutto questo era troppo poco per rinverdire i fasti dell'anteguerra. La svolta si ebbe nel 1961, quando il nuovo direttore, Guglielmo Zucconi, cambio la veste grafica del "supplemento settimanale del Corriere della Sera". Pur mantenendo il formato tradizionale la copertina divenne più accattivante. Le vignette con le rime vennero del tutto abbandonate e i contenuti furono rivolti a un pubblico meno infantile.
Cominciarono a fare capolino i primi grandi autori come Hugo Pratt e Grazia Nidasio.
Molti fumetti vengono invece importati da oltralpe. Una pagina, di color rosa come le pagine della "Gazzetta dello Sport", viene assegnata allo sport (Corrierino Sport). Molta attenzione viene dedicata alla scuola, con la pubblicazione di cartine e di schede utili per le ricerche. E inoltre sono ideati giochi da incollare su cartoncino. Il 17 marzo del 1968 nasce il nuovo Corriere dei Piccoli. Il formato è ridotto in modo da essere più pratico e maneggevole. Ma non c'è nessuno scossone con il passato. Carlo Triberti, succeduto a Zucconi, rimane direttore responsabile, e le storie proseguono dai numeri precedenti. I fumetti sono soprattutto quelli della scuola belgo-francese.
In questo "nuovo corrierino" ritroviamo l'aviatore Dan Cooper, del belga Albert Weinberg, e Michel Vaillant del francese Jean Graton. Mino Milani prosegue il romanzo a puntate del suo personaggio Tommy River. Pian piano il nuovo Corrierino si arricchirà di quegli autori e quei personaggi che lo renderanno una pietra miliare per gli amanti del fumetto. Sarebbe impossibile enumerarli tutti. Ricordiamo i personaggi demenziali di Jacovitti (Zorry Kid, Cocco Bill), i personaggi comici come Lucky Luke (di Morris e Goscinny), I Puffi (di Peyo), Umpah-Pah (di Uderzo), gli avventurosi come Blueberry (di Charlier e Giraud), Bruno Brazil (di Albert e Vance), Cavalier Ardente (di Craenhals), Michel Vaillant (di Graton), Dan Cooper (di Winberg), Ric Roland (di Tibet e Duchetau), Bernard Prince (di Greg e Hermann), La pattuglia dei castori (di Charlier e Mitaco), Luc Orient (di Greg e Paape).
Riservato alle ragazze (ma sicuramente piacque a tutti) era Valentina Mela Verde, di Grazia Nidasio. Infine non si possono non citare le ricostruzioni storiche di Battaglia e di Toppi.
Nel 1972, con il placet di un referendum fra i lettori svolto qualche anno prima, il Corriere dei Piccoli si trasforma in Corriere dei Ragazzi. L'antica denominazione appariva inadatta a un pubblico prevalentemente adolescenziale, più smaliziato, che evidentemente mal sopportava di essere annoverato tra i "piccoli".
Per altri sedici numeri il Corriere dei Piccoli (destinato oramai a un pubblico di piccolissimi) continuò ad uscire allegato al Corriere dei Ragazzi. Poi, dal maggio del 1972, fu pubblicato in veste autonoma.
C'è da dire che il Corriere dei Ragazzi per qualche anno difese con dignità la fama del suo predecessore. Sulle sue pagine Hugo Pratt pubblicò Corto Maltese. Castelli diede vita a Gli Aristocratici con l'apporto di Tacconi che poté esibire una disinvoltura inconsueta su quelle pagine, in particolare quando tratteggiava Jean, la sensualissima componente del gruppo. Lo stesso Castelli inoltre si scatenava con le demenziali storielline de L'omino bufo. Né gli era da meno Bonvi con il suo Nick Carter. Mentre su testi dello stesso Castelli, di Carpi, di Ventura, si faceva le ossa un disegnatore di mestiere come Paolo Ongaro. Una nota a parte merita Tiziano Sclavi, che inizia a scrivere alcuni gialli proprio per il Corriere dei Ragazzi, con lo pseudonimo di Francesco Argento, realizza sceneggiature anonime per Gli Aristocratici e crea la serie a fumetti Altai & Jonson, per i disegni di Giorgio Cavazzano.
Purtroppo l'editore e i diversi direttori che si succedettero negli ultimi anni della storia del Corriere dei Ragazzi non ebbero il dono della lungimiranza.
Negli anni Settanta l'industria del fumetto era divenuta una sorta di cornucopia. Pareva che fosse sufficiente editare una testata per avere un certo successo in termini di vendite.
Piuttosto che investire per fare affezionare il pubblico a un fumetto popolare ma di qualità ci fu la politica di parecchi editori di proporre fumetti mediocri e a basso costo.
Fu questa la politica che abbracciò a un certo punto anche l'editore del Corriere dei Ragazzi. Nel 1976 la testata si trasformò in "CorrierBoy", un contenitore di fumetti senza qualità, a misura delle testate che in quel periodo vendevano maggiormente in Italia, quali "L'Intrepido" e "Il Monello". A un effimero successo in termini di vendite seguì una rapida crisi e il "CorrierBoy" (nel frattempo divenuto "CorrierBoy - Serie Music") fu costretto a chiudere. Si era nel 1984, quando la crisi dei periodici a fumetti era già piombata su tutte la testate, più o meno popolari, più o meno di qualità.
Si chiudeva così senza gloria una esperienza iniziata settantasei anni prima e la sua fine coincide con la conclusione di un'era fumettistica. In quegli anni il fumetto italiano aveva affrontato una crisi che aveva decimato la maggior parte delle testate e il fumetto stesso stava acquisendo una dimensione diversa, per certi aspetti superiore, elitaria e di qualità, ma perdendo la sua vocazione autenticamente di massa e con quella il gran numero dei suoi lettori che adesso era attratto da media più fruibili e accattivanti.
Probabilmente non è solo un caso che la morte del mediocre epigono del Corrierino cada a cavallo del processo di trasformazione del fumetto in Italia (e anche nel mondo).
Il 27 dicembre 1908 esce il primo numero del "corriere dei piccoli".
La rivista, fondata da Silvio Spaventa Filippi, supplemento illustrato al "Corriere della Sera", fu il primo periodico che diede ampio spazio alle storie disegnate.
Il Corrierino si poneva come obiettivo la formazione e l'educazione dei giovani pargoli della borghesia italiana. Per questo aveva come propria una caratteristica che mantenne nel tempo. Quella cioè di alternare alle storie disegnate pezzi leggeri di divulgazione scientifica, articoli di letteratura (es. su Pascoli, su Carducci), racconti e narrativa di buona qualità. Fra gli autori che scrissero sulle pagine del Corrierino ricordiamo Grazia Deledda e Alfredo Panzini.
In tale contesto il fumetto, nel senso di balloon, venne considerato assolutamente diseducativo in quanto avrebbe disabituato il pubblico infantile dalla lettura dei testi. Per questo motivo le nuvolette vennero totalmente bandite dalle tavole. Al loro posto filastrocche a piè della vignetta commentavano il racconto figurato. Tale castrazione non ebbe riguardo neppure per quei personaggi che, importati dall'estero, nascevano in origine a fumetti. Fra questi ricordiamo Fortunello e la mula Checca (Happy Hooligan) di Opper, Buster Brown di Outcault, Arcibaldo e Petronilla (Bringing Up Father) di McManus, Bibì Bibò e il Capitan Cocoricò (Katzenjammer Kids) di Dirks.
La narrativa a fumetti dunque veniva introdotta in Italia privata di una sua parte essenziale. Inoltre, fatto essenziale per la successiva collocazione del fumetto nel panorama culturale italiano, veniva destinata a un pubblico esclusivamente infantile.
Nello stesso periodo negli Stati Uniti i più potenti tycoon della carta stampata, personalità oramai mitiche, come Hearst, Pulitzer, si facevano guerra per avere sui loro giornali i fumetti più amati. Sin da Yellow Kid i fumetti contribuivano a far crescere le vendite, in quanto venivano letti e apprezzati con entusiasmo da un pubblico adulto. In Italia quegli stessi prodotti, spesso straordinari per originalità e fantasia, venivano presi in considerazione esclusivamente per un target infantile.
Le ragioni di tale atteggiamento si può far risalire alla mentalità dell'intellighenzia borghese italiana, aristocraticamente lontana dal popolo che, per questo, non è mai riuscita a comprendere e quindi apprezzare i prodotti popolari, sebbene di qualità.
Il pregiudizio borghese nei confronti della cultura popolare ha fatto sì che per decenni i fumetti fossero considerati un sottoprodotto, buono solo per i bambini o per qualche adulto semianalfabeta.
Nella pubblicazione sul Corriere dei Piccoli il danno maggiore lo subirono i fumetti stranieri, nati per comunicare attraverso i balloon. Gli autori italiani invece furono costretti ad adattarsi da subito e lo fecero con successo, utilizzando le filastrocche con effetto e realizzando personaggi che ebbero successo non solo fra i piccoli lettori, ma anche fra gli adulti che sbirciavano nelle pagine colorate del Corrierino.
I più riusciti personaggi del corrierino furono i personaggi surreali. Come il negretto Bilbolbul, di Attilio Mussino, che si trasformava realizzando alla lettera le metafore. Se era "rosso per la vergogna", il suo volto diventava di colore rosso. Oppure, se correva "gambe in spalla", nella vignetta era disegnato effettivamente con le gambe in spalla, e così via. Così come ebbero grande successo tutti i personaggi di Antonio Rubino, dotato di un personalissimo stile assieme geometrico-lineare e liberty. La fama del Signor Bonaventura, di Sergio Tofano (Sto), valicò addirittura le pagine del giornale e ancora nel dopoguerra fu protagonista di opere teatrali, fiabe sceniche e serie televisive. Giovanni Manca realizzò invece il celebre Pier Cloruro de' Lambicchi. Il personaggio, uno scienziato di vecchio stampo, era il creatore della formidabile "arcivernice", una diavoleria che, spennellata su un personaggio (storico o di fantasia) dipinto su un quadro aveva la particolare virtù di farlo tornare in vità. Di soliti questi personaggi si dimostravano particolarmente litigiosi e finivano per mettere sempre nei guai il povero Pier Cloruro. Fra i personaggi che hanno fatto la storia del Corrierino bisogna ricordare lo sfortunato Marmittone di Bruno Angoletta. Il soldatino di buona volontà, rapato e con in testa la bustina rossa che, sfortunato com'era, alla fine di ogni storia finiva sempre in prigione. E ancora il Sor Pampurio di Carlo Bisi, disegnato come un clown, con i capelli che spuntano come due cespugli riccioluti sotto un grezzo cappello a cilindro. Sor Pampurio è sempre alla ricerca di un appartamento che non trova mai oppure, se lo trova, ne viene sfrattato.
Fenomenale dovette essere la presa che ebbero quei personaggi sull'immaginario dei piccoli lettori italiani, sino a quel momento ristretto entro i limiti di una letteratura per l'infanzia spesso ipocrita, pietistica e supponente. Federico Fellini, i cui film, onirici e visionari, molto devono al fascino surreale dei personaggi del Corrierino ci dà testimonianza delle suggestioni assorbite su quelle pagine colorate:
"...i personaggi di quel foglio colorato non avevano niente a che fare con il mondo che ci circondava. Però erano altrettanto veri del bidello e dell'arciprete. Tanto che alle persone reali affibbiavamo proprio i soprannomi di quei personaggi. Così l'arciprete diventava Padron Ciccio, quello che aveva una mula cattivissima, la Checca che stampava i ferri di cavallo sul sedere... Oppure il vicino di casa che mia mamma, sapendolo un po' scapestrato, tiratardi e qualche volta un po' alticcio, aveva chiamato Arcibaldo come il personaggio creato da Geo McManus." (Federico Fellini)
Quasi sicuramente Girellino e lo zingaro Zarappa, di Antonio Rubino, furono fonte di ispirazione per Fellini nell'ideazione dei personaggi di Gelsomina e Zampanò ne La Strada.
Fu nel dopoguerra che il Corriere dei Piccoli entrò in crisi. In parte pagò il coinvolgimento della testata maggiore, il "Corriere della Sera", nel regime fascista. Ma la ragione della crisi proveniva dagli anni Trenta, da quando erano arrivati in Italia gli eroi americani (Flash Gordon, Cino e Franco, Mandrake ecc.) che venivano pubblicati finalmente senza le novelline rimate. Il vecchio Corriere dei Piccoli continuò invece a vivacchiare ancora nel dopoguerra, puntando sui sempre validi Signor Bonaventura e Bibì e Bibò e il Capitan Cocoricò. Continuavano ad essere pubblicati racconti e romanzi a puntate. Molto accattivanti erano le belle figurine a tema da incollare su cartoncino e ritagliare, per essere poi utilizzate come economici soldatini. Ma tutto questo era troppo poco per rinverdire i fasti dell'anteguerra. La svolta si ebbe nel 1961, quando il nuovo direttore, Guglielmo Zucconi, cambio la veste grafica del "supplemento settimanale del Corriere della Sera". Pur mantenendo il formato tradizionale la copertina divenne più accattivante. Le vignette con le rime vennero del tutto abbandonate e i contenuti furono rivolti a un pubblico meno infantile.
Cominciarono a fare capolino i primi grandi autori come Hugo Pratt e Grazia Nidasio.
Molti fumetti vengono invece importati da oltralpe. Una pagina, di color rosa come le pagine della "Gazzetta dello Sport", viene assegnata allo sport (Corrierino Sport). Molta attenzione viene dedicata alla scuola, con la pubblicazione di cartine e di schede utili per le ricerche. E inoltre sono ideati giochi da incollare su cartoncino. Il 17 marzo del 1968 nasce il nuovo Corriere dei Piccoli. Il formato è ridotto in modo da essere più pratico e maneggevole. Ma non c'è nessuno scossone con il passato. Carlo Triberti, succeduto a Zucconi, rimane direttore responsabile, e le storie proseguono dai numeri precedenti. I fumetti sono soprattutto quelli della scuola belgo-francese.
In questo "nuovo corrierino" ritroviamo l'aviatore Dan Cooper, del belga Albert Weinberg, e Michel Vaillant del francese Jean Graton. Mino Milani prosegue il romanzo a puntate del suo personaggio Tommy River. Pian piano il nuovo Corrierino si arricchirà di quegli autori e quei personaggi che lo renderanno una pietra miliare per gli amanti del fumetto. Sarebbe impossibile enumerarli tutti. Ricordiamo i personaggi demenziali di Jacovitti (Zorry Kid, Cocco Bill), i personaggi comici come Lucky Luke (di Morris e Goscinny), I Puffi (di Peyo), Umpah-Pah (di Uderzo), gli avventurosi come Blueberry (di Charlier e Giraud), Bruno Brazil (di Albert e Vance), Cavalier Ardente (di Craenhals), Michel Vaillant (di Graton), Dan Cooper (di Winberg), Ric Roland (di Tibet e Duchetau), Bernard Prince (di Greg e Hermann), La pattuglia dei castori (di Charlier e Mitaco), Luc Orient (di Greg e Paape).
Riservato alle ragazze (ma sicuramente piacque a tutti) era Valentina Mela Verde, di Grazia Nidasio. Infine non si possono non citare le ricostruzioni storiche di Battaglia e di Toppi.
Nel 1972, con il placet di un referendum fra i lettori svolto qualche anno prima, il Corriere dei Piccoli si trasforma in Corriere dei Ragazzi. L'antica denominazione appariva inadatta a un pubblico prevalentemente adolescenziale, più smaliziato, che evidentemente mal sopportava di essere annoverato tra i "piccoli".
Per altri sedici numeri il Corriere dei Piccoli (destinato oramai a un pubblico di piccolissimi) continuò ad uscire allegato al Corriere dei Ragazzi. Poi, dal maggio del 1972, fu pubblicato in veste autonoma.
C'è da dire che il Corriere dei Ragazzi per qualche anno difese con dignità la fama del suo predecessore. Sulle sue pagine Hugo Pratt pubblicò Corto Maltese. Castelli diede vita a Gli Aristocratici con l'apporto di Tacconi che poté esibire una disinvoltura inconsueta su quelle pagine, in particolare quando tratteggiava Jean, la sensualissima componente del gruppo. Lo stesso Castelli inoltre si scatenava con le demenziali storielline de L'omino bufo. Né gli era da meno Bonvi con il suo Nick Carter. Mentre su testi dello stesso Castelli, di Carpi, di Ventura, si faceva le ossa un disegnatore di mestiere come Paolo Ongaro. Una nota a parte merita Tiziano Sclavi, che inizia a scrivere alcuni gialli proprio per il Corriere dei Ragazzi, con lo pseudonimo di Francesco Argento, realizza sceneggiature anonime per Gli Aristocratici e crea la serie a fumetti Altai & Jonson, per i disegni di Giorgio Cavazzano.
Purtroppo l'editore e i diversi direttori che si succedettero negli ultimi anni della storia del Corriere dei Ragazzi non ebbero il dono della lungimiranza.
Negli anni Settanta l'industria del fumetto era divenuta una sorta di cornucopia. Pareva che fosse sufficiente editare una testata per avere un certo successo in termini di vendite.
Piuttosto che investire per fare affezionare il pubblico a un fumetto popolare ma di qualità ci fu la politica di parecchi editori di proporre fumetti mediocri e a basso costo.
Fu questa la politica che abbracciò a un certo punto anche l'editore del Corriere dei Ragazzi. Nel 1976 la testata si trasformò in "CorrierBoy", un contenitore di fumetti senza qualità, a misura delle testate che in quel periodo vendevano maggiormente in Italia, quali "L'Intrepido" e "Il Monello". A un effimero successo in termini di vendite seguì una rapida crisi e il "CorrierBoy" (nel frattempo divenuto "CorrierBoy - Serie Music") fu costretto a chiudere. Si era nel 1984, quando la crisi dei periodici a fumetti era già piombata su tutte la testate, più o meno popolari, più o meno di qualità.
Si chiudeva così senza gloria una esperienza iniziata settantasei anni prima e la sua fine coincide con la conclusione di un'era fumettistica. In quegli anni il fumetto italiano aveva affrontato una crisi che aveva decimato la maggior parte delle testate e il fumetto stesso stava acquisendo una dimensione diversa, per certi aspetti superiore, elitaria e di qualità, ma perdendo la sua vocazione autenticamente di massa e con quella il gran numero dei suoi lettori che adesso era attratto da media più fruibili e accattivanti.
Probabilmente non è solo un caso che la morte del mediocre epigono del Corrierino cada a cavallo del processo di trasformazione del fumetto in Italia (e anche nel mondo).
domenica 26 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 26 dicembre.
Il 26 dicembre 2004 un maremoto di magnitudo 9.3 nell'oceano indiano provoca uno tsunami di proporzioni inaudite che devasta una enorme area asiatica provocando quasi 300.000 vittime.
La causa dello tsunami di Sumatra del 26 dicembre 2004 che ha investito tutto l'Oceano Indiano è stato un terremoto molto violento di magnitudo pari a 9,3 della scala Richter. È stato il terremoto più grosso registrato dopo quello Cileno del 22 maggio 1960 di magnitudo 9,5. Esso ha avuto origine alle ore 00:58:53 GMT (7:58:53 AM locale), su una faglia in zona di subduzione tra la placca Indo-Australiana e la placca di Burma (che fa parte della grande placca Euro-Asiatica, con ipocentro alla profondità di circa 30 km, a 160 km a est di Sumatra. L'epicentro ha latitudine 3° 19' N e longitudine 96° E. Come si può facilmente dedurre questa è una zona ad alto rischio sismico.
La grandezza del maremoto dipende soprattutto dall'estensione della faglia su cui si è verificato e dallo spostamento verticale del fondale oceanico. La faglia in questione ha una lunghezza di circa 1200 km, quasi quanto la lunghezza dell'Italia, e lo spostamento sulla faglia varia mediamente tra i 5 e i 10 m.
Il maremoto ha impiegato tempi diversi per raggiungere i vari paesi. Come abbiamo già detto, la velocità è funzione crescente della profondità del mare, e quindi in mari più profondi l'onda ha viaggiato più velocemente. Il Gruppo di Ricerca sui Maremoti dell'Università di Bologna ha calcolato le velocità di propagazione dello tsunami, che è variata da un minimo di 50 km/h a oltre 1000 km/h nelle zone di mare aperto e più profondo.
Sappiamo che dopo 15-20 minuti lo tsunami aveva già attaccato la parte settentrionale dell'isola di Sumatra, dopo un'ora e mezzo la Tailandia, dopo circa due ore aveva raggiunto le coste dell'India e dello Sri Lanka, facendo in tutto quasi 290 mila morti. Come per tutte le grandi catastrofi, il bilancio definitivo delle vittime non sarà mai completato.
Le foto satellitari scattate prima e alcuni giorni dopo la catastrofe testimoniano l'effetto distruttivo del maremoto. Nelle zone più colpite è chiaramente visibile la distruzione nell'entroterra fino ad alcuni chilometri dalla costa.
Il Gruppo di Ricerca Maremoti dell'Università di Bologna ha sviluppato programmi numerici in grado di simulare maremoti prodotti da terremoti. Come dati di ingresso essi richiedono la batimetria del bacino e i parametri che descrivono il meccanismo del terremoto. Le simulazioni numeriche possono anche essere utilizzate a ritroso, per ricavare informazioni sulla faglia che ha provocato lo tsunami partendo dalla conoscenza degli effetti. Nel caso del terremoto di Sumatra per alcuni giorni dopo l'evento i sismologi non sono riusciti ad avere indicazioni sicure sulla lunghezza della faglia. Stando alle prime elaborazioni, poteva trattarsi di una faglia che si estendeva da Sumatra fino alle isole Andamane a nord, lunga quasi 1200 km, o anche di una faglia lunga soltanto qualche centinaio di chilometri a NO di Sumatra. Le due faglie sono molto differenti tra loro, come del resto anche gli tsunami che ne conseguono. Utilizzando i programmi di simulazione di tsunami si capisce che la seconda faglia produce un maremoto assai diverso da quello che si è verificato, mentre la faglia più lunga dà luogo ad un maremoto più vicino alla realtà, e si conclude quindi che l'ipotesi della faglia meno estesa deve essere rigettata. Questa conclusione fu raggiunta poche ore dopo il verificarsi del maremoto ed ha anticipato i risultati dei sismologi.
Si poteva evitare la perdita di tante vite umane?
La domanda che tutto il mondo si è fatta è se una tale perdita di vite umane poteva essere evitata.
La risposta è che il numero di vittime sarebbe stato molto inferiore, se le persone avessero avuto consapevolezza del rischio ed una qualche conoscenza del fenomeno, e se nell'Oceano Indiano fosse stato installato un sistema di allarme.
In realtà, bollettini relativi alla possibilità che si verificasse un maremoto sono stati diramati dal PTWC (Pacific Tsunami Warning Center), Centro di Allarme Tsunami nel Pacifico, che, una volta rilevato il terremoto, aveva diffuso due bollettini a distanza di 45 minuti l'uno dall'altro: il primo dopo 15 minuti dal terremoto segnalava una magnitudo inferiore a quella reale e non rilevava la possibilità di un maremoto nell'Oceano Indiano anche se nel frattempo lo tsunami aveva già investito la parte settentrionale di Sumatra e le isole Nicobare.
Dopo un'ora dal terremoto un secondo bollettino era stato inviato in cui la magnitudo del terremoto veniva corretta e in cui si affermava che non vi era rischio maremoto se non nella zona vicino all'epicentro.
Ma che cosa non ha funzionato?
Il PTWC è un sistema di allarme che riguarda quasi tutti i paesi che si affacciano sull'Oceano Pacifico. Esso è formato da un sistema di sismometri, mareografi e boe, sparsi nell'Oceano Pacifico. I sismometri danno informazioni sul terremoto, mentre le boe ed i mareografi danno informazioni sul movimento del livello del mare al passaggio del maremoto. Un grande terremoto eccita i sismometri di tutto il mondo, e quindi il terremoto di Sumatra fu rilevato anche dalla rete sismometrica del PTWC. Ma per l'assenza di sensori marini collegati al PTWC nell'Oceano Indiano, al PTWC non sono pervenute rilevazioni dirette sulla propagazione dello tsunami. Da qui l'impossibilità per il PTWC di informare le popolazioni coinvolte, impossibilità che è stata alla base dell'immane catastrofe. Oggi, si stanno installando sistemi d'allarme anche nell'Oceano Indiano. Quindi, un eventuale futuro maremoto potrebbe essere identificato ben prima che attacchi le coste. Si deve comunque notare che nella prassi attuale i bollettini d'allarme vengono emessi in generale 15-20 minuti dopo il verificarsi di un terremoto. Se al momento del terremoto di Sumatra fosse stato in funzione un sistema d'allarme con tale performance, non avrebbe potuto nulla per le popolazioni che vivono nella parte settentrionale di Sumatra che sono state attaccate dal maremoto entro un quarto d'ora e dove si sono contate quasi 4/5 delle vittime (circa 240 mila).
Il 26 dicembre 2004 un maremoto di magnitudo 9.3 nell'oceano indiano provoca uno tsunami di proporzioni inaudite che devasta una enorme area asiatica provocando quasi 300.000 vittime.
La causa dello tsunami di Sumatra del 26 dicembre 2004 che ha investito tutto l'Oceano Indiano è stato un terremoto molto violento di magnitudo pari a 9,3 della scala Richter. È stato il terremoto più grosso registrato dopo quello Cileno del 22 maggio 1960 di magnitudo 9,5. Esso ha avuto origine alle ore 00:58:53 GMT (7:58:53 AM locale), su una faglia in zona di subduzione tra la placca Indo-Australiana e la placca di Burma (che fa parte della grande placca Euro-Asiatica, con ipocentro alla profondità di circa 30 km, a 160 km a est di Sumatra. L'epicentro ha latitudine 3° 19' N e longitudine 96° E. Come si può facilmente dedurre questa è una zona ad alto rischio sismico.
La grandezza del maremoto dipende soprattutto dall'estensione della faglia su cui si è verificato e dallo spostamento verticale del fondale oceanico. La faglia in questione ha una lunghezza di circa 1200 km, quasi quanto la lunghezza dell'Italia, e lo spostamento sulla faglia varia mediamente tra i 5 e i 10 m.
Il maremoto ha impiegato tempi diversi per raggiungere i vari paesi. Come abbiamo già detto, la velocità è funzione crescente della profondità del mare, e quindi in mari più profondi l'onda ha viaggiato più velocemente. Il Gruppo di Ricerca sui Maremoti dell'Università di Bologna ha calcolato le velocità di propagazione dello tsunami, che è variata da un minimo di 50 km/h a oltre 1000 km/h nelle zone di mare aperto e più profondo.
Sappiamo che dopo 15-20 minuti lo tsunami aveva già attaccato la parte settentrionale dell'isola di Sumatra, dopo un'ora e mezzo la Tailandia, dopo circa due ore aveva raggiunto le coste dell'India e dello Sri Lanka, facendo in tutto quasi 290 mila morti. Come per tutte le grandi catastrofi, il bilancio definitivo delle vittime non sarà mai completato.
Le foto satellitari scattate prima e alcuni giorni dopo la catastrofe testimoniano l'effetto distruttivo del maremoto. Nelle zone più colpite è chiaramente visibile la distruzione nell'entroterra fino ad alcuni chilometri dalla costa.
Il Gruppo di Ricerca Maremoti dell'Università di Bologna ha sviluppato programmi numerici in grado di simulare maremoti prodotti da terremoti. Come dati di ingresso essi richiedono la batimetria del bacino e i parametri che descrivono il meccanismo del terremoto. Le simulazioni numeriche possono anche essere utilizzate a ritroso, per ricavare informazioni sulla faglia che ha provocato lo tsunami partendo dalla conoscenza degli effetti. Nel caso del terremoto di Sumatra per alcuni giorni dopo l'evento i sismologi non sono riusciti ad avere indicazioni sicure sulla lunghezza della faglia. Stando alle prime elaborazioni, poteva trattarsi di una faglia che si estendeva da Sumatra fino alle isole Andamane a nord, lunga quasi 1200 km, o anche di una faglia lunga soltanto qualche centinaio di chilometri a NO di Sumatra. Le due faglie sono molto differenti tra loro, come del resto anche gli tsunami che ne conseguono. Utilizzando i programmi di simulazione di tsunami si capisce che la seconda faglia produce un maremoto assai diverso da quello che si è verificato, mentre la faglia più lunga dà luogo ad un maremoto più vicino alla realtà, e si conclude quindi che l'ipotesi della faglia meno estesa deve essere rigettata. Questa conclusione fu raggiunta poche ore dopo il verificarsi del maremoto ed ha anticipato i risultati dei sismologi.
Si poteva evitare la perdita di tante vite umane?
La domanda che tutto il mondo si è fatta è se una tale perdita di vite umane poteva essere evitata.
La risposta è che il numero di vittime sarebbe stato molto inferiore, se le persone avessero avuto consapevolezza del rischio ed una qualche conoscenza del fenomeno, e se nell'Oceano Indiano fosse stato installato un sistema di allarme.
In realtà, bollettini relativi alla possibilità che si verificasse un maremoto sono stati diramati dal PTWC (Pacific Tsunami Warning Center), Centro di Allarme Tsunami nel Pacifico, che, una volta rilevato il terremoto, aveva diffuso due bollettini a distanza di 45 minuti l'uno dall'altro: il primo dopo 15 minuti dal terremoto segnalava una magnitudo inferiore a quella reale e non rilevava la possibilità di un maremoto nell'Oceano Indiano anche se nel frattempo lo tsunami aveva già investito la parte settentrionale di Sumatra e le isole Nicobare.
Dopo un'ora dal terremoto un secondo bollettino era stato inviato in cui la magnitudo del terremoto veniva corretta e in cui si affermava che non vi era rischio maremoto se non nella zona vicino all'epicentro.
Ma che cosa non ha funzionato?
Il PTWC è un sistema di allarme che riguarda quasi tutti i paesi che si affacciano sull'Oceano Pacifico. Esso è formato da un sistema di sismometri, mareografi e boe, sparsi nell'Oceano Pacifico. I sismometri danno informazioni sul terremoto, mentre le boe ed i mareografi danno informazioni sul movimento del livello del mare al passaggio del maremoto. Un grande terremoto eccita i sismometri di tutto il mondo, e quindi il terremoto di Sumatra fu rilevato anche dalla rete sismometrica del PTWC. Ma per l'assenza di sensori marini collegati al PTWC nell'Oceano Indiano, al PTWC non sono pervenute rilevazioni dirette sulla propagazione dello tsunami. Da qui l'impossibilità per il PTWC di informare le popolazioni coinvolte, impossibilità che è stata alla base dell'immane catastrofe. Oggi, si stanno installando sistemi d'allarme anche nell'Oceano Indiano. Quindi, un eventuale futuro maremoto potrebbe essere identificato ben prima che attacchi le coste. Si deve comunque notare che nella prassi attuale i bollettini d'allarme vengono emessi in generale 15-20 minuti dopo il verificarsi di un terremoto. Se al momento del terremoto di Sumatra fosse stato in funzione un sistema d'allarme con tale performance, non avrebbe potuto nulla per le popolazioni che vivono nella parte settentrionale di Sumatra che sono state attaccate dal maremoto entro un quarto d'ora e dove si sono contate quasi 4/5 delle vittime (circa 240 mila).
sabato 25 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 25 dicembre.
Il 25 dicembre 1989 Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena vengono condannati a morte dopo un processo sommario e immediatamente giustiziati.
Tristemente, la Romania fu l’unico paese in cui il crollo del regime comunista avvenne con una dura e violenta rivoluzione che vide migliaia di persone, in maggioranza giovani, pagare il ritorno alla democrazia con la propria vita.
Nicolae Ceausescu costruì una immagine di se in Romania simile a quella di un Dio. Creò la sua propaganda vietando la televisione libera e imponendo quella di stato, bandì l’ingresso di ogni giornale straniero, utilizzò la Securitate (Polizia segreta con oltre 60 mila agenti) per far scomparire nel nulla persone indiziate di essere contro il regime, prendeva addirittura decisioni per il popolo: quanti figli fare, come vestirsi, cosa mangiare.
Elena Ceausescu era poco più che un analfabeta. Fu dopo il matrimonio con Nicolae Ceausescu che fu nominata Presidente del Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica, ricevendo decine di riconoscimenti “per il lavoro dei suoi scienziati” pur non comprendendo nemmeno una parola. Ricevette infatti 15 lauree honoris causa, da alcune università europee, statunitensi e sudamericane. Nel 1980 fu nominata Vice-Primo Ministro, portando la Romania in pieno declino. Elena viveva nel lusso, aveva 40 case, decine di automobili, pasteggiava caviale e champagne mentre il suo popolo viveva nella fame e nella miseria più assoluta.
Il 15 dicembre 1989 il pastore di una chiesa ungherese riformista, Padre Laszlo Tokes, diede l’incipit per quella che si rivelò l’inizio di una vera e propria rivoluzione. Nella sua piccola chiesa di Timisoara parlò in pubblico contro il regime di Ceausescu, attaccandolo duramente e la folla gli si riunì ben presto attorno, ma la Securitate cercò di disperdere i convenuti a manganellate.
Tuttavia, la situazione scappò di mano alle autorità e la guerriglia urbana ebbe inizio. Ceausescu ordinò di sparare sulla folla e ci furono le prime vittime. Queste furono velocemente sepolte e altre trasportate a Bucarest per la cremazione. Tutto sembrava finito, tanto che Ceausescu partì per un viaggio fuori dal paese. Ma la rivoluzione non si fermò, e uno sciopero generale del paese fece riemergere la protesta. Gli insorti prendevano sempre più il controllo sulla città: era chiaro che la rivoluzione a Timisoara era riuscita.
Il 21 dicembre 1989, Nicolae Ceausescu tornò dall’Iran e preparò un discorso alla Nazione, sicuro di poter ancora comandare, ma quello fu il peggior errore che potesse mai fare. Le televisioni e le radio che trasmettevano il messaggio in diretta, videro la folla sopraffare con le grida il dittatore. Questo, alquanto innervosito, dovette interrompere il discorso, lasciò il podio e fece spegnere il nastro pre-registrato con gli applausi. La folla, intanto, si riunì in piazza Universitatii e Piazza Romana, rifiutandosi di disperdersi.
La polizia cominciò a sparare e i carri armati entrarono nelle piazze reprimendo nella morte la rivolta. Le violenze continuarono per tutta la notte, tanto che la mattina dopo la radio annunciava lo stato di emergenza in tutto il paese. Intanto, il braccio destro del dittatore, Generale Vasile Milea si era suicidato. In realtà, il generale si era rifiutato di sparare alla folla, e fu condannato per tradimento. Non è ancora chiaro se si sia suicidato o fu assassinato.
Il 22 dicembre, l’esercito si schierò dalla parte degli insorti, mentre la Securitate restò fedele al dittatore. Nel frattempo, Ceausescu e consorte preparavano la loro frettolosa fuga senza destinazione precisa, ma sapevano che dovevano allontanarsi quanto più possibile dal paese. Il loro piano di fuga però durò molto poco. Il loro elicottero perse quota e dovettero atterrare nel bel mezzo di una autostrada. Da lì alla cattura dei Ceausescu, il passo fu breve.
Il 25 Dicembre 1989 dopo un veloce processo, i coniugi Ceausescu furono condannati a morte. La fucilazione avvenne poco dopo la sentenza e i corpi senza vita vennero mostrati in televisione. Le prime elezioni democratiche in Romania avvennero nel 1992 e oggi la Romania è entrata nell’unione europea.
Il 25 dicembre 1989 Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena vengono condannati a morte dopo un processo sommario e immediatamente giustiziati.
Tristemente, la Romania fu l’unico paese in cui il crollo del regime comunista avvenne con una dura e violenta rivoluzione che vide migliaia di persone, in maggioranza giovani, pagare il ritorno alla democrazia con la propria vita.
Nicolae Ceausescu costruì una immagine di se in Romania simile a quella di un Dio. Creò la sua propaganda vietando la televisione libera e imponendo quella di stato, bandì l’ingresso di ogni giornale straniero, utilizzò la Securitate (Polizia segreta con oltre 60 mila agenti) per far scomparire nel nulla persone indiziate di essere contro il regime, prendeva addirittura decisioni per il popolo: quanti figli fare, come vestirsi, cosa mangiare.
Elena Ceausescu era poco più che un analfabeta. Fu dopo il matrimonio con Nicolae Ceausescu che fu nominata Presidente del Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica, ricevendo decine di riconoscimenti “per il lavoro dei suoi scienziati” pur non comprendendo nemmeno una parola. Ricevette infatti 15 lauree honoris causa, da alcune università europee, statunitensi e sudamericane. Nel 1980 fu nominata Vice-Primo Ministro, portando la Romania in pieno declino. Elena viveva nel lusso, aveva 40 case, decine di automobili, pasteggiava caviale e champagne mentre il suo popolo viveva nella fame e nella miseria più assoluta.
Il 15 dicembre 1989 il pastore di una chiesa ungherese riformista, Padre Laszlo Tokes, diede l’incipit per quella che si rivelò l’inizio di una vera e propria rivoluzione. Nella sua piccola chiesa di Timisoara parlò in pubblico contro il regime di Ceausescu, attaccandolo duramente e la folla gli si riunì ben presto attorno, ma la Securitate cercò di disperdere i convenuti a manganellate.
Tuttavia, la situazione scappò di mano alle autorità e la guerriglia urbana ebbe inizio. Ceausescu ordinò di sparare sulla folla e ci furono le prime vittime. Queste furono velocemente sepolte e altre trasportate a Bucarest per la cremazione. Tutto sembrava finito, tanto che Ceausescu partì per un viaggio fuori dal paese. Ma la rivoluzione non si fermò, e uno sciopero generale del paese fece riemergere la protesta. Gli insorti prendevano sempre più il controllo sulla città: era chiaro che la rivoluzione a Timisoara era riuscita.
Il 21 dicembre 1989, Nicolae Ceausescu tornò dall’Iran e preparò un discorso alla Nazione, sicuro di poter ancora comandare, ma quello fu il peggior errore che potesse mai fare. Le televisioni e le radio che trasmettevano il messaggio in diretta, videro la folla sopraffare con le grida il dittatore. Questo, alquanto innervosito, dovette interrompere il discorso, lasciò il podio e fece spegnere il nastro pre-registrato con gli applausi. La folla, intanto, si riunì in piazza Universitatii e Piazza Romana, rifiutandosi di disperdersi.
La polizia cominciò a sparare e i carri armati entrarono nelle piazze reprimendo nella morte la rivolta. Le violenze continuarono per tutta la notte, tanto che la mattina dopo la radio annunciava lo stato di emergenza in tutto il paese. Intanto, il braccio destro del dittatore, Generale Vasile Milea si era suicidato. In realtà, il generale si era rifiutato di sparare alla folla, e fu condannato per tradimento. Non è ancora chiaro se si sia suicidato o fu assassinato.
Il 22 dicembre, l’esercito si schierò dalla parte degli insorti, mentre la Securitate restò fedele al dittatore. Nel frattempo, Ceausescu e consorte preparavano la loro frettolosa fuga senza destinazione precisa, ma sapevano che dovevano allontanarsi quanto più possibile dal paese. Il loro piano di fuga però durò molto poco. Il loro elicottero perse quota e dovettero atterrare nel bel mezzo di una autostrada. Da lì alla cattura dei Ceausescu, il passo fu breve.
Il 25 Dicembre 1989 dopo un veloce processo, i coniugi Ceausescu furono condannati a morte. La fucilazione avvenne poco dopo la sentenza e i corpi senza vita vennero mostrati in televisione. Le prime elezioni democratiche in Romania avvennero nel 1992 e oggi la Romania è entrata nell’unione europea.
venerdì 24 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 24 dicembre.
Il 24 dicembre 1294 viene eletto Papa Benedetto Caetani, che assunse il nome di Bonifacio VIII.
Benedetto Caetani, nato ad Anagni nel 1235, fu eletto Papa col nome di Bonifacio VIII, il giorno della vigilia di Natale del 1294 dal Conclave radunatosi nel Castelnuovo di Napoli, in base alla costituzione di Gregorio X sull'elezione pontificia, dieci giorni dopo il "gran rifiuto" di Celestino V.
Alla sontuosa e solenne cerimonia di incoronazione, che ebbe luogo il 23 gennaio del 1295 in San Pietro a Roma, erano presenti tutti i nobili romani e re Carlo II con suo figlio Carlo Martello.
Su quest'elezione, in ogni modo, aleggiava l'ombra del sospetto che Celestino V fosse stato costretto ad emettere la bolla della propria abdicazione. Come noto, Celestino V, fu imprigionato nella rocca di Fumone, nei pressi di Ferentino, poiché si ritenne che sarebbe stato meglio che egli non circolasse liberamente. L'ordine di cattura fu eseguito da Guglielmo l'Estandard. Morì il 19 maggio 1296.
Il primo, vero e proprio, atto politico di Bonifacio VIII fu quello di ratificare il trattato (precedentemente vergato da Celestino V) tra Carlo II e Giacomo II d'Aragona, in base al quale la Sicilia si sarebbe riunita al regno angioino.
A dire il vero i siciliani non avevano l'intenzione di rinunciare alla loro autonomia e, in seguito, riconobbero come loro unico signore Federico (già governatore di Sicilia da quando suo fratello Giacomo II era re di Aragona) e lo elessero re nel 1296 nel duomo di Palermo. Da questo momento la Sicilia sarebbe diventata un avamposto per l'espansione spagnola nel Mediterraneo. Questo fu un grande smacco per Bonifacio VIII ma non fu l'unica sconfitta che la sua politica anacronistica e accentratrice avrebbe subito, convinto com'era della "plenitudo potestatis" della sua sovranità, che poteva spaziare anche nell'ambito temporale, proprio per la concezione tipicamente medievale della sua origine divina. Questi suoi principi furono esternati nella bolla Clericis laicos, emessa nel 1296, con la quale egli minacciava di scomunicare i laici che avessero imposto tasse agli ecclesiastici, senza il consenso della Chiesa di Roma, diffidando gli stessi ecclesiastici a versare tali oboli.
In Germania e in Inghilterra i sovrani si uniformarono a tale disposizione; in Francia, invece, il re Filippo il Bello emanò due editti contrari, con l'approvazione dei vescovi francesi.
Davanti a tale irrigidimento, che avrebbe potuto portare a Bonifacio VIII gravi ripercussioni economiche, autonomistiche e politiche, il pontefice fece retromarcia, autorizzando il re a riscuotere le imposte del clero solo in casi di emergenza.
Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe dovuto fare i conti con l'ostilità di alcuni membri dell'aristocrazia romana, in particolare con la famiglia Colonna: i due cardinali Giacomo e Pietro dichiararono nulla la sua elezione e montarono contro il papa un'opposizione sia da parte del popolo che del clero, che si estese anche all'ordine degli Spirituali Francescani, il cui portavoce, Jacopone da Todi, inveì contro Bonifacio VIII chiamandolo "novello anticristo".
Il 10 maggio 1297 i Colonna e gli Spirituali, con il "manifesto di Lunghezza", dichiararono nulla l'elezione papale. La reazione di Bonifacio VIII fu aspra e violenta: i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue". Il papa ordinò la confisca dei loro beni, li scomunicò, espellendoli dallo Stato della Chiesa e li umiliò pubblicamente; le rocche di Zagarolo e di Palestrina furono distrutte; Jacopone imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono divisi fra i Caetani e gli Orsini.
In questo clima di pace ritrovata Bonifacio VIII indisse il Primo Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22 febbraio 1300, concedeva l'indulgenza plenaria a chi nell'anno in corso e in ogni futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche di San Pietro e di San Paolo in Roma, con l'intento di redimere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito come anno della riconciliazione tra i contendenti e della conversione della penitenza sacramentale.. Il tema dell'indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le crociate, nel corso del '200, secolo di altissime manifestazioni spirituali ed artistiche: proprio mentre San Bernardo di Chiaravalle parlava di un "anno" di perdono rivolto ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le meravigliose chiese abbaziali di Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed austero.
Quest'evento fu di portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le stime dei cronisti dell'epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso di massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo.
L'enorme traffico di pellegrini e gli abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall'incremento turistico, rafforzarono il prestigio di Bonifacio VIII, che vedeva i principi di tutto il mondo prostrarsi ai suoi piedi come davanti a un essere divino.
Egli stesso rinforzò questa sua immagine di sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le insegne imperiali, esclamando: "Io sono Cesare, io sono l'Imperatore".
Anche Filippo il Bello aderiva a questa idea di "cesarismo": sopra di sé egli non considerava sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti di usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un'alleanza con il nuovo re di Germania, Alberto d'Asburgo, accusato da Bonifacio VIII di aver assassinato Adolfo di Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con la bolla Salvator Mundi, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e l'episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa, precisando che solo Dio era al di sopra di ogni monarca.
Nell'aprile 1302 Filippo convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si ribadiva che il re non era soggetto a nessun'altra autorità e in cui si diffidava l'episcopato francese dal partecipare al Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i beni.
Contro di lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla di condanna Unam Sanctam che stabiliva che "nella potestà della Chiesa sono distinte due spade, quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la Chiesa, la prima per mano del sacerdote, l'altra per mano del re ma dietro indicazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale". Filippo, sentendo odore di scomunica, inviò in Italia Guglielmo di Nogaret con l'ordine di condurre il papa prigioniero in Francia. E' il 3 settembre 1303, Nogaret, affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono, coi paramenti sacri: qui avviene un'aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno "schiaffo" del francese col guanto di ferro. E' un momento di eccezionale portata storica, in quanto ne prima ne dopo nella storia della cristianità, vi fu un affronto così grande nei confronti di un pontefice.
Anche se Caetani non era un papa amato e sospettato per di più di simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): "veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fele". Tutti insorsero contro il sacrilegio. La borghesia cristiana di Anagni liberò il suo concittadino, ma quando Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già distrutto sia moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del papato.
Morì, infatti, pochi giorni dopo, l'11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita dietro sua commissione da Arnolfo di Cambio.
Roma intanto si era ripopolata ed era diventata splendida. Mai prima d'allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e dipinti: a Orvieto, Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture di marmo e di bronzo, nell'affresco di Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia di San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella lotta per l'affermazione del primato della Chiesa sul potere temporale dei re e imperatori.
Con lui finisce la teocrazia, la divinizzazione della propria sacra persona, in antitesi con il ruolo di "servus servorum Dei" indicato da San Gregorio Magno. Ma con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un'occasione ecumenica unica di penitenza e di riconciliazione spirituale.
Il 24 dicembre 1294 viene eletto Papa Benedetto Caetani, che assunse il nome di Bonifacio VIII.
Benedetto Caetani, nato ad Anagni nel 1235, fu eletto Papa col nome di Bonifacio VIII, il giorno della vigilia di Natale del 1294 dal Conclave radunatosi nel Castelnuovo di Napoli, in base alla costituzione di Gregorio X sull'elezione pontificia, dieci giorni dopo il "gran rifiuto" di Celestino V.
Alla sontuosa e solenne cerimonia di incoronazione, che ebbe luogo il 23 gennaio del 1295 in San Pietro a Roma, erano presenti tutti i nobili romani e re Carlo II con suo figlio Carlo Martello.
Su quest'elezione, in ogni modo, aleggiava l'ombra del sospetto che Celestino V fosse stato costretto ad emettere la bolla della propria abdicazione. Come noto, Celestino V, fu imprigionato nella rocca di Fumone, nei pressi di Ferentino, poiché si ritenne che sarebbe stato meglio che egli non circolasse liberamente. L'ordine di cattura fu eseguito da Guglielmo l'Estandard. Morì il 19 maggio 1296.
Il primo, vero e proprio, atto politico di Bonifacio VIII fu quello di ratificare il trattato (precedentemente vergato da Celestino V) tra Carlo II e Giacomo II d'Aragona, in base al quale la Sicilia si sarebbe riunita al regno angioino.
A dire il vero i siciliani non avevano l'intenzione di rinunciare alla loro autonomia e, in seguito, riconobbero come loro unico signore Federico (già governatore di Sicilia da quando suo fratello Giacomo II era re di Aragona) e lo elessero re nel 1296 nel duomo di Palermo. Da questo momento la Sicilia sarebbe diventata un avamposto per l'espansione spagnola nel Mediterraneo. Questo fu un grande smacco per Bonifacio VIII ma non fu l'unica sconfitta che la sua politica anacronistica e accentratrice avrebbe subito, convinto com'era della "plenitudo potestatis" della sua sovranità, che poteva spaziare anche nell'ambito temporale, proprio per la concezione tipicamente medievale della sua origine divina. Questi suoi principi furono esternati nella bolla Clericis laicos, emessa nel 1296, con la quale egli minacciava di scomunicare i laici che avessero imposto tasse agli ecclesiastici, senza il consenso della Chiesa di Roma, diffidando gli stessi ecclesiastici a versare tali oboli.
In Germania e in Inghilterra i sovrani si uniformarono a tale disposizione; in Francia, invece, il re Filippo il Bello emanò due editti contrari, con l'approvazione dei vescovi francesi.
Davanti a tale irrigidimento, che avrebbe potuto portare a Bonifacio VIII gravi ripercussioni economiche, autonomistiche e politiche, il pontefice fece retromarcia, autorizzando il re a riscuotere le imposte del clero solo in casi di emergenza.
Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe dovuto fare i conti con l'ostilità di alcuni membri dell'aristocrazia romana, in particolare con la famiglia Colonna: i due cardinali Giacomo e Pietro dichiararono nulla la sua elezione e montarono contro il papa un'opposizione sia da parte del popolo che del clero, che si estese anche all'ordine degli Spirituali Francescani, il cui portavoce, Jacopone da Todi, inveì contro Bonifacio VIII chiamandolo "novello anticristo".
Il 10 maggio 1297 i Colonna e gli Spirituali, con il "manifesto di Lunghezza", dichiararono nulla l'elezione papale. La reazione di Bonifacio VIII fu aspra e violenta: i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue". Il papa ordinò la confisca dei loro beni, li scomunicò, espellendoli dallo Stato della Chiesa e li umiliò pubblicamente; le rocche di Zagarolo e di Palestrina furono distrutte; Jacopone imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono divisi fra i Caetani e gli Orsini.
In questo clima di pace ritrovata Bonifacio VIII indisse il Primo Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22 febbraio 1300, concedeva l'indulgenza plenaria a chi nell'anno in corso e in ogni futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche di San Pietro e di San Paolo in Roma, con l'intento di redimere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito come anno della riconciliazione tra i contendenti e della conversione della penitenza sacramentale.. Il tema dell'indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le crociate, nel corso del '200, secolo di altissime manifestazioni spirituali ed artistiche: proprio mentre San Bernardo di Chiaravalle parlava di un "anno" di perdono rivolto ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le meravigliose chiese abbaziali di Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed austero.
Quest'evento fu di portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le stime dei cronisti dell'epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso di massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo.
L'enorme traffico di pellegrini e gli abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall'incremento turistico, rafforzarono il prestigio di Bonifacio VIII, che vedeva i principi di tutto il mondo prostrarsi ai suoi piedi come davanti a un essere divino.
Egli stesso rinforzò questa sua immagine di sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le insegne imperiali, esclamando: "Io sono Cesare, io sono l'Imperatore".
Anche Filippo il Bello aderiva a questa idea di "cesarismo": sopra di sé egli non considerava sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti di usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un'alleanza con il nuovo re di Germania, Alberto d'Asburgo, accusato da Bonifacio VIII di aver assassinato Adolfo di Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con la bolla Salvator Mundi, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e l'episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa, precisando che solo Dio era al di sopra di ogni monarca.
Nell'aprile 1302 Filippo convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si ribadiva che il re non era soggetto a nessun'altra autorità e in cui si diffidava l'episcopato francese dal partecipare al Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i beni.
Contro di lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla di condanna Unam Sanctam che stabiliva che "nella potestà della Chiesa sono distinte due spade, quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la Chiesa, la prima per mano del sacerdote, l'altra per mano del re ma dietro indicazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale". Filippo, sentendo odore di scomunica, inviò in Italia Guglielmo di Nogaret con l'ordine di condurre il papa prigioniero in Francia. E' il 3 settembre 1303, Nogaret, affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono, coi paramenti sacri: qui avviene un'aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno "schiaffo" del francese col guanto di ferro. E' un momento di eccezionale portata storica, in quanto ne prima ne dopo nella storia della cristianità, vi fu un affronto così grande nei confronti di un pontefice.
Anche se Caetani non era un papa amato e sospettato per di più di simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): "veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fele". Tutti insorsero contro il sacrilegio. La borghesia cristiana di Anagni liberò il suo concittadino, ma quando Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già distrutto sia moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del papato.
Morì, infatti, pochi giorni dopo, l'11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita dietro sua commissione da Arnolfo di Cambio.
Roma intanto si era ripopolata ed era diventata splendida. Mai prima d'allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e dipinti: a Orvieto, Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture di marmo e di bronzo, nell'affresco di Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia di San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella lotta per l'affermazione del primato della Chiesa sul potere temporale dei re e imperatori.
Con lui finisce la teocrazia, la divinizzazione della propria sacra persona, in antitesi con il ruolo di "servus servorum Dei" indicato da San Gregorio Magno. Ma con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un'occasione ecumenica unica di penitenza e di riconciliazione spirituale.
giovedì 23 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 23 dicembre.
Il 23 dicembre 1966 viene proiettato per la prima volta "Il buono, il brutto e il cattivo" di Sergio Leone.
Tre pistoleri - il buono (Clint Eastwood), il brutto (Eli Wallach) e il cattivo (Lee Van Cleef) - sono in cerca di fortuna durante la guerra civile americana. La fortuna consiste in un forziere pieno d'oro dell'esercito dei confederati, sepolto in un cimitero. Il problema è che nessuno conosce l'esatta ubicazione dell'oro, dato che la conoscenza dei dettagli è divisa tra loro; dunque sono costretti a lavorare insieme per trovarli. Esiste una sorta di patto tra gentiluomini per dividere l'oro equamente, ma nessuno di loro è in effetti un gentiluomo. Non sembrerebbe una trama così profonda da riempire un film di tre ore, ma quando sei Sergio Leone non hai bisogno di una trama profonda.
La trilogia di Leone del Pugno di Dollari, di cui questo film è l'ultimo capitolo, rappresenta lo spartiacque nel genere dei western, offrendosi come ponte di congiunzione tra John Ford e, successivamente, lo stesso Clint Eastwood. Ford lavorava con un forte senso di economia, sfruttando i grandi paesaggi e pochi tagli; Leone no. Non faceva nulla a metà; al contrario abbracciava l'eccesso dove i suoi predecessori lo evitavano. Per questo sceglieva i migliori attori anzichè quelli scarsi.
Hollywood stava per mettere da parte Eastwood quando venne selezionato per L'uomo senza nome. A quel tempo gli attori non passavano facilmente dalla tv al cinema e Eastwood, dopo essere stato tra i protagonisti di Rawhide, non stava trovando lavoro nel cinema, mentre Leone non riusciva a trovare grandi attori; in qualche modo si può dire che fu inevitabile incontrarsi. Fu un matrimonio strano, ma pieno di successo tra un regista che non aveva tempo per le mezze misure e un attore che poteva stare ad occhi socchiusi per tutto il film, se gli veniva richiesto. Clint fu utile a Leone come zavorra, ad impedire che volasse troppo alto nella sua follia. Lo stesso effetto che fa il personaggio di Clint con quello di Eli, a controllare la situazione mentre Wallach fa i conti con il suo passato.
Qualche critico ha osservato che nel mondo di Leone se qualcosa non è nello schermo, allora non è visibile ai personaggi. Perciò se Tuco scava in una tomba non vede Eastwood che arriva, così come né lui né Eastwood vedono l'arrivo di Sentenza, sebbene sembrerebbe impossibile non farlo. Ciò si deve al fatto che per Leone l'impossibile non è assolutamente più importante dell'effetto cinematografico. Un regista normale avrebbe speso un tempo enorme a giustificare, in qualche modo, come Sentenza arrivi così vicino; per Leone la plausibilità non conta di fronte all'effetto drammatico dei protagonisti colti alla sprovvista. La scena funziona, quindi perchè preoccuparsi di spiegarla? Come spesso accade, questo modo di dirigere nasce dalla necessità. Nei suoi primi film Leone non aveva il budget per preoccuparsi della continuità, e sviluppò uno stile che gli permettesse di gettare la prudenza alle ortiche e trovare modi perchè la sospensione di incredulità funzionasse.
Per lo stesso motivo la colonna sonora ossessionante di Ennio Morricone si deve in parte alle difficoltà di girare i dialoghi a causa del budget ridotto. Grandi porzioni dei dialoghi esistenti furono doppiati, ma mostrare lunghe sequenze senza dialoghi riempite di musica ha un impatto molto più forte sullo spettatore. Perciò più era efficace la colonna sonora (e il suo grande brano musicale iniziale, che evoca l'ululato di un coyote), meno necessario era il doppiaggio di Leone, e più efficace il film nel suo complesso.
Uno dei segni che contraddistingue un grande regista è l'aver fatto un film che pochi altri avrebbero potuto fare. Non c'è dubbio che Il buono, il brutto e il cattivo sia uno di quei film. Prendete ad esempio la scena dei tre pistoleri immobili al cimitero, in attesa di affrontarsi. Pochi registi avrebbero avuto il coraggio di estendere la scena tanto quanto lui, o di spendere tanto tempo a costruire la suspense intervallando i primi piani dei tre attori; e ancora meno sarebbero quelli in grando di far funzionare quella scena, mentre Leone ci riesce creando forse la miglior scena di un film pieno di grandi scene. Tutti questi accorgimenti fanno del film un grande film, senza il quale avremmo forse perduto l'eredità di Clint Eastwood e forse il genere Westerne stesso. E per questo dobbiamo a Leone più di quanto possiamo immaginare.
Il 23 dicembre 1966 viene proiettato per la prima volta "Il buono, il brutto e il cattivo" di Sergio Leone.
Tre pistoleri - il buono (Clint Eastwood), il brutto (Eli Wallach) e il cattivo (Lee Van Cleef) - sono in cerca di fortuna durante la guerra civile americana. La fortuna consiste in un forziere pieno d'oro dell'esercito dei confederati, sepolto in un cimitero. Il problema è che nessuno conosce l'esatta ubicazione dell'oro, dato che la conoscenza dei dettagli è divisa tra loro; dunque sono costretti a lavorare insieme per trovarli. Esiste una sorta di patto tra gentiluomini per dividere l'oro equamente, ma nessuno di loro è in effetti un gentiluomo. Non sembrerebbe una trama così profonda da riempire un film di tre ore, ma quando sei Sergio Leone non hai bisogno di una trama profonda.
La trilogia di Leone del Pugno di Dollari, di cui questo film è l'ultimo capitolo, rappresenta lo spartiacque nel genere dei western, offrendosi come ponte di congiunzione tra John Ford e, successivamente, lo stesso Clint Eastwood. Ford lavorava con un forte senso di economia, sfruttando i grandi paesaggi e pochi tagli; Leone no. Non faceva nulla a metà; al contrario abbracciava l'eccesso dove i suoi predecessori lo evitavano. Per questo sceglieva i migliori attori anzichè quelli scarsi.
Hollywood stava per mettere da parte Eastwood quando venne selezionato per L'uomo senza nome. A quel tempo gli attori non passavano facilmente dalla tv al cinema e Eastwood, dopo essere stato tra i protagonisti di Rawhide, non stava trovando lavoro nel cinema, mentre Leone non riusciva a trovare grandi attori; in qualche modo si può dire che fu inevitabile incontrarsi. Fu un matrimonio strano, ma pieno di successo tra un regista che non aveva tempo per le mezze misure e un attore che poteva stare ad occhi socchiusi per tutto il film, se gli veniva richiesto. Clint fu utile a Leone come zavorra, ad impedire che volasse troppo alto nella sua follia. Lo stesso effetto che fa il personaggio di Clint con quello di Eli, a controllare la situazione mentre Wallach fa i conti con il suo passato.
Qualche critico ha osservato che nel mondo di Leone se qualcosa non è nello schermo, allora non è visibile ai personaggi. Perciò se Tuco scava in una tomba non vede Eastwood che arriva, così come né lui né Eastwood vedono l'arrivo di Sentenza, sebbene sembrerebbe impossibile non farlo. Ciò si deve al fatto che per Leone l'impossibile non è assolutamente più importante dell'effetto cinematografico. Un regista normale avrebbe speso un tempo enorme a giustificare, in qualche modo, come Sentenza arrivi così vicino; per Leone la plausibilità non conta di fronte all'effetto drammatico dei protagonisti colti alla sprovvista. La scena funziona, quindi perchè preoccuparsi di spiegarla? Come spesso accade, questo modo di dirigere nasce dalla necessità. Nei suoi primi film Leone non aveva il budget per preoccuparsi della continuità, e sviluppò uno stile che gli permettesse di gettare la prudenza alle ortiche e trovare modi perchè la sospensione di incredulità funzionasse.
Per lo stesso motivo la colonna sonora ossessionante di Ennio Morricone si deve in parte alle difficoltà di girare i dialoghi a causa del budget ridotto. Grandi porzioni dei dialoghi esistenti furono doppiati, ma mostrare lunghe sequenze senza dialoghi riempite di musica ha un impatto molto più forte sullo spettatore. Perciò più era efficace la colonna sonora (e il suo grande brano musicale iniziale, che evoca l'ululato di un coyote), meno necessario era il doppiaggio di Leone, e più efficace il film nel suo complesso.
Uno dei segni che contraddistingue un grande regista è l'aver fatto un film che pochi altri avrebbero potuto fare. Non c'è dubbio che Il buono, il brutto e il cattivo sia uno di quei film. Prendete ad esempio la scena dei tre pistoleri immobili al cimitero, in attesa di affrontarsi. Pochi registi avrebbero avuto il coraggio di estendere la scena tanto quanto lui, o di spendere tanto tempo a costruire la suspense intervallando i primi piani dei tre attori; e ancora meno sarebbero quelli in grando di far funzionare quella scena, mentre Leone ci riesce creando forse la miglior scena di un film pieno di grandi scene. Tutti questi accorgimenti fanno del film un grande film, senza il quale avremmo forse perduto l'eredità di Clint Eastwood e forse il genere Westerne stesso. E per questo dobbiamo a Leone più di quanto possiamo immaginare.
martedì 21 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 21 dicembre.
Secondo il calendario Maya, il 21 dicembre 2012 è terminato per la quarta volta un intero ciclo del calendario, ossia un ciclo di un milione e ottocentosettantaduemila giorni (circa 5000 anni), e dunque è finita la quarta era. Secondo alcuni, ciò avrebbe dovuto presupporre la fine del mondo o comunque un qualche tipo di grosso sconvolgimento planetario, come accaduto secondo il credo Maya negli altri 3 cambiamenti di ciclo.
Per prima cosa, il calendario Maya viene chiamato spesso Calendario Azteco. Questo calendario è registrato sottoforma di incisioni sulla "pietra del sole" Azteca attualmente in esposizione al Museo Nazionale di Antropologia e Storia situato all'interno del Chapultepec Park, a Città del Messico. Ci sono molte cose che potremmo dire riguardo la pietra scolpita, ma molti di questi dettagli sono irrilevanti per il discorso della fine del mondo.
Nel nostro calendario moderno, chiamato Calendario Gregoriano, abbiamo giorni, settimane, mesi e anni. Nel Calendario Maya è tutto più complesso. Infatti, in realtà sono tre calendari distinti. Prima di tutto c'è il calendario religioso che richiede 260 giorni per completare un intero ciclo religioso. Ci sono 20 "settimane" formate da 13 giorni ciascuna. Ogni settimana ha un nome speciale, un logo grafico e un significato univoco associato.
Poi c'è il calendario solare. Ha 365 giorni, come il nostro moderno calendario. È diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno. Alla fine del ciclo ci sono 5 giorni speciali considerati sfortunati perchè non appartenenti a nessun mese. Ogni mese ha un nome speciale, un logo grafico e un significato speciale.
Quindi è possibile, per qualunque data specifica, calcolare la settimana religiosa e il mese solare e predire le influenze che guidano il fato. Ma questo in realtà non è collegato con la profezia del 2012. Per capirla dobbiamo dare un'occhiata al terzo calendario, chiamato "del lungo conto".
Mentre i primi due cicli possono essere idealizzati come ruote di un ingranaggio, che ruotano nel tempo, il lungo conto è un numero lineare di giorni, che iniziano dal primo giorno, "1", e contano ogni giorno fino al presente. Qualunque giorno nella storia puo' essere registrato utilizzando il lungo conto e, con un po' di matematica, si puo' anche risalire alla corrispondente settimana religiosa o mese solare.
I giorni del lungo conto sono numerati con uno strano sistema. Invece di scrivere i numeri come facciamo noi, da destra a sinistra con ciascun posto che rappresenta un multiplo di 10 (esempio: 10000, 1000, 100, 10, 1), i Maya avevano solo 5 posizioni.
La prima posizione registrava un numero da 0 a 20. A sinistra, il secondo posto poteva avere un intervallo tra 0 e 17; il terzo da 0 a 19; il quarto da 0 a 19 e l'ultimo da 0 a 12. I numeri erano scritti da destra a sinistra, come nel nostro sistema, separati da un punto. Invece di multipli di 10, la prima posizione aveva multipli di 1 (come il nostro sistema); la seconda posizione aveva un multiplo di 20; la terza posizione un multiplo di 360; la quarta un multiplo di 7200 e la quinta un multiplo di 144000.
Quindi un numero di lungo conto, ad esempio, poteva essere scritto come 4.12.5.9.0 e sarebbe stato calcolato come segue:
(4 x 144.000) + (12 x 7200) + (5 x 360) + (9 x 20) + (0 + 1) o un lungo conto di 145980.
Non è difficile realizzare che il massimo numero che puo' essere registrato in questo modo sarebbe 12.19.19.17.20, anche se alcuni ricercatori preferiscono scrivere 13.0.0.0.0. Questo ammonta ad un numero di lungo conto di 1.872.000 giorni o 5125.36 anni dei nostri moderni calcoli. Ovviamente, il calendario è molto vecchio!
Attraverso gli anni, gli archeologi hanno trovato monumenti scolpiti che registravano il lungo conto per date conosciute nella storia Maya. Una volta che una data veniva fissata nel tempo, era semplice determinare quale fosse il "giorno 1", 11 Agosto 3114 a.C. Ed era anche semplice calcolare la data in cui il calendario sarebbe finito - 21 Dicembre 2012.
Ovviamente, il solo fatto che il calendario finisca non prova che quel tempo, o il mondo, o la vita finiranno.
Secondo il calendario Maya, il 21 dicembre 2012 è terminato per la quarta volta un intero ciclo del calendario, ossia un ciclo di un milione e ottocentosettantaduemila giorni (circa 5000 anni), e dunque è finita la quarta era. Secondo alcuni, ciò avrebbe dovuto presupporre la fine del mondo o comunque un qualche tipo di grosso sconvolgimento planetario, come accaduto secondo il credo Maya negli altri 3 cambiamenti di ciclo.
Per prima cosa, il calendario Maya viene chiamato spesso Calendario Azteco. Questo calendario è registrato sottoforma di incisioni sulla "pietra del sole" Azteca attualmente in esposizione al Museo Nazionale di Antropologia e Storia situato all'interno del Chapultepec Park, a Città del Messico. Ci sono molte cose che potremmo dire riguardo la pietra scolpita, ma molti di questi dettagli sono irrilevanti per il discorso della fine del mondo.
Nel nostro calendario moderno, chiamato Calendario Gregoriano, abbiamo giorni, settimane, mesi e anni. Nel Calendario Maya è tutto più complesso. Infatti, in realtà sono tre calendari distinti. Prima di tutto c'è il calendario religioso che richiede 260 giorni per completare un intero ciclo religioso. Ci sono 20 "settimane" formate da 13 giorni ciascuna. Ogni settimana ha un nome speciale, un logo grafico e un significato univoco associato.
Poi c'è il calendario solare. Ha 365 giorni, come il nostro moderno calendario. È diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno. Alla fine del ciclo ci sono 5 giorni speciali considerati sfortunati perchè non appartenenti a nessun mese. Ogni mese ha un nome speciale, un logo grafico e un significato speciale.
Quindi è possibile, per qualunque data specifica, calcolare la settimana religiosa e il mese solare e predire le influenze che guidano il fato. Ma questo in realtà non è collegato con la profezia del 2012. Per capirla dobbiamo dare un'occhiata al terzo calendario, chiamato "del lungo conto".
Mentre i primi due cicli possono essere idealizzati come ruote di un ingranaggio, che ruotano nel tempo, il lungo conto è un numero lineare di giorni, che iniziano dal primo giorno, "1", e contano ogni giorno fino al presente. Qualunque giorno nella storia puo' essere registrato utilizzando il lungo conto e, con un po' di matematica, si puo' anche risalire alla corrispondente settimana religiosa o mese solare.
I giorni del lungo conto sono numerati con uno strano sistema. Invece di scrivere i numeri come facciamo noi, da destra a sinistra con ciascun posto che rappresenta un multiplo di 10 (esempio: 10000, 1000, 100, 10, 1), i Maya avevano solo 5 posizioni.
La prima posizione registrava un numero da 0 a 20. A sinistra, il secondo posto poteva avere un intervallo tra 0 e 17; il terzo da 0 a 19; il quarto da 0 a 19 e l'ultimo da 0 a 12. I numeri erano scritti da destra a sinistra, come nel nostro sistema, separati da un punto. Invece di multipli di 10, la prima posizione aveva multipli di 1 (come il nostro sistema); la seconda posizione aveva un multiplo di 20; la terza posizione un multiplo di 360; la quarta un multiplo di 7200 e la quinta un multiplo di 144000.
Quindi un numero di lungo conto, ad esempio, poteva essere scritto come 4.12.5.9.0 e sarebbe stato calcolato come segue:
(4 x 144.000) + (12 x 7200) + (5 x 360) + (9 x 20) + (0 + 1) o un lungo conto di 145980.
Non è difficile realizzare che il massimo numero che puo' essere registrato in questo modo sarebbe 12.19.19.17.20, anche se alcuni ricercatori preferiscono scrivere 13.0.0.0.0. Questo ammonta ad un numero di lungo conto di 1.872.000 giorni o 5125.36 anni dei nostri moderni calcoli. Ovviamente, il calendario è molto vecchio!
Attraverso gli anni, gli archeologi hanno trovato monumenti scolpiti che registravano il lungo conto per date conosciute nella storia Maya. Una volta che una data veniva fissata nel tempo, era semplice determinare quale fosse il "giorno 1", 11 Agosto 3114 a.C. Ed era anche semplice calcolare la data in cui il calendario sarebbe finito - 21 Dicembre 2012.
Ovviamente, il solo fatto che il calendario finisca non prova che quel tempo, o il mondo, o la vita finiranno.
lunedì 20 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 20 dicembre.
Il 20 dicembre 69 d.C. Tito Vespasiano diviene imperatore di Roma, il quarto di quell'anno, ponendo termine alla tumultuosa lotta per la successione di Nerone.
Tito Flavio Sabino Vespasiano Cesare Augusto, meglio conosciuto come Vespasiano, nasce in Sabina presso l'antico Vicus Phalacrinae (l'odierna cittadina di Cittareale), figlio di Flavio Sabino, esattore di imposte e piccolo operatore finanziario; la madre Vespasia Polla era sorella di un senatore di Roma.
Dopo aver servito nell'esercito in Tracia ed essere stato questore nella provincia di Creta e Cirene, Vespasiano diviene edile e pretore, avendo nel frattempo sposato Flavia Domitilla, figlia di un cavaliere, da cui avrà due figli: Tito e Domiziano - che diverranno in seguito imperatori - ed una figlia, Domitilla. La moglie e la figlia moriranno entrambe prima che Vespasiano lasci la magistratura.
Dopo aver servito nell'esercito in Germania, partecipa all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio: in questo contesto si distingue nel comando della Legione II Augusta sotto il comando di Aulo Plauzio. Grazie a lui viene sottomessa l'Isola di Wight, portando l'esercito a penetrare il territorio fino ai confini del Somerset (Inghilterra).
Nell'anno 51 è console; nel 63 si reca in Africa in qualità di governatore. Poi è in Grecia al seguito di Nerone e, nel 66 viene incaricato della conduzione della guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l'oriente. Secondo Svetonio, una profezia conosciuta in tutte le province orientali proclamava che dalla Giudea sarebbero venuti i futuri governanti del mondo. Vespasiano probabilmente credeva che questa profezia si applicasse a lui, e avrebbe trovato un gran numero di presagi, oracoli e portenti per rafforzare questa credenza.
A cavallo tra l'anno 68 e il 69, alla morte di Nerone, vengono eletti quattro diversi imperatori provenienti da quattro diverse zone dell'impero: Galba in Spagna, Vitellio dalle legioni germaniche, Otone dalla guardia pretoriana e Vespasiano dalle legioni siriane.
In oriente tutti guardano a Vespasiano; Muciano e le legioni della Siria sono ansiosi di appoggiarlo. Mentre era a Cesarea, Vespasiano viene proclamato imperatore prima dall'esercito in Egitto (1 luglio 69), poi dalle sue truppe in Giudea (11 luglio). Tacito racconta che durante il suo soggiorno in Egitto, Vespasiano si rese protagonista di due miracoli, curando con il suo tocco gli occhi di un cieco e la mano ad uno storpio.
Il favore verso Vespasiano prende rapidamente a crescere e gli eserciti di Tracia e Illiria in breve lo acclamano come loro condottiero, portando il suo ruolo a quello del padrone di metà del mondo romano.
Sotto il comando di Antonio Primo le truppe di Vespasiano entrano quindi in Italia dal nord oriente, sconfiggono l'esercito di Vitellio (seconda battaglia di Bedriaco), saccheggiano Cremona ed avanzano verso Roma, dove entrano e si ingaggiano furiosi combattimenti che portano anche alla distruzione del Campidoglio a causa del fuoco.
Ricevuta la notizia della sconfitta del rivale ucciso ad Alessandria, il nuovo imperatore invia a Roma forniture di grano urgentemente necessarie; contemporaneamente emette un editto - che è più che altro una dichiarazione di intenti - dove assicura il completo rovesciamento delle leggi di Nerone, specialmente di quelle relative al tradimento.
Vespasiano lascia che la guerra in Giudea venga condotta dal figlio Tito, e arriva a Roma nell'anno 70. Cerca da subito di riparare i danni causati dalla guerra civile e, con la cooperazione del senato, instaura nuove e solide basi per il governo e le finanze.
Molto denaro viene speso in lavori pubblici, come in restauri e abbellimenti di Roma, tra cui un nuovo Foro, il Tempio della Pace, i bagni pubblici - che prendono il nome di "Vespasiani", e l'immenso Colosseo. Un celebre aneddoto riferisce che Vespasiano avrebbe messo una tassa sul prelievo di urina (usata dai tintori di panni) dai gabinetti pubblici. Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, rispose: "Pecunia non olet" (il denaro non puzza).
Attraverso il proprio esempio di una vita semplice, mette alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani. Uno dei provvedimenti più importanti di Vespasiano è la promulgazione della lex de imperio Vespasiani, in seguito alla quale se stesso e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non più in base a poteri divini come avevano fatto i predecessori.
Come censore riforma il Senato e l'ordine equestre, promuovendo uomini abili ed onesti.
La guerra in Giudea intanto, con la conquista di Gerusalemme nel 70, veniva conclusa da Tito. Negli anni seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito, memorabile come prima occasione in cui padre e figlio venivano associati nel trionfo, il Tempio di Giano viene chiuso: il mondo romano vivrà in pace per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano diverrà proverbiale.
Nel 78 Agricola andò in Britannia ed estese e consolidò la presenza di Roma nella provincia, spingendosi in armi fino al Galles settentrionale. L'anno seguente Vespasiano morì, il 23 giugno.
Vespasiano fu generoso verso senatori e cavalieri impoveriti, verso città e borghi devastati da calamità, e specialmente verso uomini di lettere e filosofi, molti dei quali ricevettero un vitalizio di più di mille pezzi d'oro all'anno. Si dice che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale.
Vespasiano muore il 23 giugno dell'anno 79 nella sua villa presso le terme di Cotilia, in provincia di Rieti.
Il 20 dicembre 69 d.C. Tito Vespasiano diviene imperatore di Roma, il quarto di quell'anno, ponendo termine alla tumultuosa lotta per la successione di Nerone.
Tito Flavio Sabino Vespasiano Cesare Augusto, meglio conosciuto come Vespasiano, nasce in Sabina presso l'antico Vicus Phalacrinae (l'odierna cittadina di Cittareale), figlio di Flavio Sabino, esattore di imposte e piccolo operatore finanziario; la madre Vespasia Polla era sorella di un senatore di Roma.
Dopo aver servito nell'esercito in Tracia ed essere stato questore nella provincia di Creta e Cirene, Vespasiano diviene edile e pretore, avendo nel frattempo sposato Flavia Domitilla, figlia di un cavaliere, da cui avrà due figli: Tito e Domiziano - che diverranno in seguito imperatori - ed una figlia, Domitilla. La moglie e la figlia moriranno entrambe prima che Vespasiano lasci la magistratura.
Dopo aver servito nell'esercito in Germania, partecipa all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio: in questo contesto si distingue nel comando della Legione II Augusta sotto il comando di Aulo Plauzio. Grazie a lui viene sottomessa l'Isola di Wight, portando l'esercito a penetrare il territorio fino ai confini del Somerset (Inghilterra).
Nell'anno 51 è console; nel 63 si reca in Africa in qualità di governatore. Poi è in Grecia al seguito di Nerone e, nel 66 viene incaricato della conduzione della guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l'oriente. Secondo Svetonio, una profezia conosciuta in tutte le province orientali proclamava che dalla Giudea sarebbero venuti i futuri governanti del mondo. Vespasiano probabilmente credeva che questa profezia si applicasse a lui, e avrebbe trovato un gran numero di presagi, oracoli e portenti per rafforzare questa credenza.
A cavallo tra l'anno 68 e il 69, alla morte di Nerone, vengono eletti quattro diversi imperatori provenienti da quattro diverse zone dell'impero: Galba in Spagna, Vitellio dalle legioni germaniche, Otone dalla guardia pretoriana e Vespasiano dalle legioni siriane.
In oriente tutti guardano a Vespasiano; Muciano e le legioni della Siria sono ansiosi di appoggiarlo. Mentre era a Cesarea, Vespasiano viene proclamato imperatore prima dall'esercito in Egitto (1 luglio 69), poi dalle sue truppe in Giudea (11 luglio). Tacito racconta che durante il suo soggiorno in Egitto, Vespasiano si rese protagonista di due miracoli, curando con il suo tocco gli occhi di un cieco e la mano ad uno storpio.
Il favore verso Vespasiano prende rapidamente a crescere e gli eserciti di Tracia e Illiria in breve lo acclamano come loro condottiero, portando il suo ruolo a quello del padrone di metà del mondo romano.
Sotto il comando di Antonio Primo le truppe di Vespasiano entrano quindi in Italia dal nord oriente, sconfiggono l'esercito di Vitellio (seconda battaglia di Bedriaco), saccheggiano Cremona ed avanzano verso Roma, dove entrano e si ingaggiano furiosi combattimenti che portano anche alla distruzione del Campidoglio a causa del fuoco.
Ricevuta la notizia della sconfitta del rivale ucciso ad Alessandria, il nuovo imperatore invia a Roma forniture di grano urgentemente necessarie; contemporaneamente emette un editto - che è più che altro una dichiarazione di intenti - dove assicura il completo rovesciamento delle leggi di Nerone, specialmente di quelle relative al tradimento.
Vespasiano lascia che la guerra in Giudea venga condotta dal figlio Tito, e arriva a Roma nell'anno 70. Cerca da subito di riparare i danni causati dalla guerra civile e, con la cooperazione del senato, instaura nuove e solide basi per il governo e le finanze.
Molto denaro viene speso in lavori pubblici, come in restauri e abbellimenti di Roma, tra cui un nuovo Foro, il Tempio della Pace, i bagni pubblici - che prendono il nome di "Vespasiani", e l'immenso Colosseo. Un celebre aneddoto riferisce che Vespasiano avrebbe messo una tassa sul prelievo di urina (usata dai tintori di panni) dai gabinetti pubblici. Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, rispose: "Pecunia non olet" (il denaro non puzza).
Attraverso il proprio esempio di una vita semplice, mette alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani. Uno dei provvedimenti più importanti di Vespasiano è la promulgazione della lex de imperio Vespasiani, in seguito alla quale se stesso e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non più in base a poteri divini come avevano fatto i predecessori.
Come censore riforma il Senato e l'ordine equestre, promuovendo uomini abili ed onesti.
La guerra in Giudea intanto, con la conquista di Gerusalemme nel 70, veniva conclusa da Tito. Negli anni seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito, memorabile come prima occasione in cui padre e figlio venivano associati nel trionfo, il Tempio di Giano viene chiuso: il mondo romano vivrà in pace per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano diverrà proverbiale.
Nel 78 Agricola andò in Britannia ed estese e consolidò la presenza di Roma nella provincia, spingendosi in armi fino al Galles settentrionale. L'anno seguente Vespasiano morì, il 23 giugno.
Vespasiano fu generoso verso senatori e cavalieri impoveriti, verso città e borghi devastati da calamità, e specialmente verso uomini di lettere e filosofi, molti dei quali ricevettero un vitalizio di più di mille pezzi d'oro all'anno. Si dice che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale.
Vespasiano muore il 23 giugno dell'anno 79 nella sua villa presso le terme di Cotilia, in provincia di Rieti.
domenica 19 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 19 dicembre.
Il 19 dicembre 1978 John Wayne Gacy viene arrestato con l'accusa di omicidio plurimo.
Non deve sorprendere il fatto che John Wayne Gacy fosse ammirato e amato dalla maggior parte delle persone che lo conoscevano. Era un uomo d'affari acuto che, quando non era impegnato a costruire un solido futuro per la sua società, passava volentieri il tempo ad organizzare feste per gli amici e per i vicini di casa. Inoltre si mascherava da clown per intrattenere i bambini ricoverati negli ospedali locali, ed era coinvolto in numerose organizzazioni per migliorare la qualità della vita altrui.
Insomma, Gacy era agli occhi di tutti un uomo generoso, amichevole e laborioso, dedito alla sua famiglia e alla comunità.
Tuttavia c'era un altro lato della sua personalità che ben pochi conobbero...molti dei quali non sopravissero abbastanza a lungo per raccontarlo...
È il 22 Maggio 1978. Jeffrey Ringall è appena tornato a Chicago dalle sue vacanze invernali e ha deciso di passare la serata a New Town, un quartiere all'avanguardia molto frequentato, ricco di pub e discoteche. Mentre passeggia distrattamente il ragazzo viene avvicinato da una macchina nera. Alla guida c'è un uomo molto grasso, dalla faccia gentile. Gli offre un passaggio e gli propone di farsi uno spinello insieme. Ovviamente Ringall non se lo fa ripetere due volte: fa così freddo lì fuori! Jeffrey non arriverà nemmeno a metà dello spinello: all'improvviso l'uomo lo afferra con la forza e gli schiaccia sul viso uno straccio imbevuto di cloroformio, facendolo piombare in un profondo sonno.
Durante quella sera il ragazzo si sveglia diverse volte, per poi svenire nuovamente. Perciò i suoi ricordi sono piuttosto confusi: la prima immagine che ricorda è se stesso legato su di una sedia, con il grassone nudo innanzi a lui. Al secondo risveglio Ringall vede diversi vibratori sul pavimento, di ogni misura e forma...poi di nuovo il buio. Gacy lo ha drogato per poterlo sodomizzare e torturare sessualmente tutta la notte. Solo il mattino dopo il folle decide di lasciare in pace il ragazzo, depositandolo, ancora privo di sensi, sotto una statua nel Lincoln Park.
Ricoverato d'urgenza in ospedale, Ringall riporta alla polizia pochissimi dettagli... è praticamente impossibile risalire all'attentatore. Gli verranno pronosticati lesioni, danni permanenti al fegato (causati dal cloroformio) e severi traumi emotivi. Eppure Jeffrey Ringall è un ragazzo molto fortunato. Sarà l'unica persona a sopravivere alla follia di John Wayne Gacy che, negli anni '70, torturerà, stuprerà e ucciderà più di trenta ragazzi.
John Wayne Gacy nasce il 17 marzo 1942 in uno dei tanti ospedali di Chicago, l'Edgewater Hospital. È il secondo dei tre figli di due irlandesi emigrati: Marion Elaine Robinson e John Wayne Gacy, Sr. Gacy e le sue due sorelle crescono in un quartiere piccolo borghese, frequentando esclusivamente scuole cattoliche. Nel dopo scuola il ragazzo si impegna anche in varie attività come i Boy Scout o il commesso in un alimentari.
Amato dagli insegnanti e dai colleghi di lavoro, attivissimo tra i Boy Scout. Praticamente Gacy gode di un infanzia normalissima, con l'eccezione del rapporto con il padre e di una serie di incidenti che lo colpiranno.
A 11 anni subisce un colpo in testa che gli causa un grumo di sangue interno. Non gli verrà scoperto fino ai 16 anni, età in cui verrà anche curato. Durante questi 5 anni Gacy soffrirà di continui blackout al cervello, con problemi soprattutto alla vista.
Nemmeno un anno dopo, appena 17enne, gli viene diagnosticata un' indisposizione cardiaca non meglio identificata. Verrà ricoverato numerose volte per dolori al petto, ma nessun medico sarà mai capace di trovare una causa specifica, e quindi una cura al suo problema. Nonostante ciò, Gacy non soffrirà mai di serie problematiche a livello cardiaco.
Il padre di John è un alcolizzato, un uomo folle e violento. Abusa fisicamente e mentalmente della moglie e dei figli. Benché sia un essere spregevole, John Wayne Jr. lo ama profondamente e cerca in ogni modo di guadagnarsi la sua attenzione e la sua devozione, invano. Gacy se ne pentirà per tutta la propria vita.
Dopo aver frequentato ben quattro licei senza mai essersi diplomato, John Wayne Gacy decide di abbandonare gli studi e la propria casa, trasferendosi a Las Vegas. La sua permanenza nella città del vizio durerà ben poco. Non riuscendo a trovare nessun lavoro decente, il giovane impiegherà i soldi guadagnati in 3 mesi di lavoretti, per comprare il biglietto di ritorno per Chicago.
Rimessa la testa a posto, Gacy, scopre di essere portato per gli affari: è un commesso nato, capace di vendere qualsiasi cosa. Si iscrive così a un corso di business e si laurea con facilità. Assunto come tirocinante alla Nunn-Bush Shoe Company, eccelle nella propria posizione tanto che viene presto promosso come manager in un negozio di vestiti da uomo a Spingfield, nell'Illinois.
In questo periodo tornano a farsi sentire i suoi problemi di salute: l'uomo è finito ben oltre il proprio peso forma e i dolori al cuore si fanno sentire con insistenza. Ciò comunque non lo distoglierà mai dalle tante attività in cui è coinvolto.
A Springfield, Gacy collabora infatti con numerose organizzazioni che servono la comunità: Chi Rho Club, Catholic Inter-Club Council, The Federal Civil Defense for Illinois, Chicago Civil Defense, Holy Name Society e la Jaycees, per la quale diviene vice-presidente e dalla quale viene eletto Man of the Year. Tutte le collaborazioni di Gacy sono a titolo gratuito: l'uomo si impegna tanto per gli altri che verrà ricoverato per un esaurimento nervoso.
Nel Settembre del 1964 Gacy sposa una collega di lavoro, Marlynn Myers, i cui genitori possiedono una famosa catena di fast food, la Kentucky Fried Chicken. Ricevuta e accettata una prestigiosa offerta di lavoro del suocero, Gacy e consorte si trasferiscono nello Iowa. La vita di John scorre via felice. Lavora entusiasticamente per 12-14 ore al giorno, si dedica alla famiglia (sua moglie gli darà presto due figli) e dona tutto se stesso alla comunità, attraverso la Jaycees (nella quale si candida a nuovo presidente).
Praticamente una vita felice e serena. Forse troppo perfetta per essere vera...
Nel 1968 cominciano a girare voci maligne sul conto di John Wayne Gacy. La gente mormora che l'uomo sia un omosessuale e viene insinuato che egli offre passaggi ai giovani dipendenti del fast food perché vuole sedurre i ragazzi. Contrariamente a quanto succede di solito, le dicerie su Gacy troveranno presto conferma.
È la primavera del 1968. Gacy viene chiamato in tribunale dalla Contea di Black Hawk. L'accusa è di sodomia nei confronti di un adolescente, Mark Miller. Gacy vince la causa dicendo che il ragazzo si era prostituito per soldi, ma l'avvenimento gli costerà comunque il posto di presidente del Jaycees. Quattro mesi più tardi Gacy deve ricomparire nuovamente in tribunale: l'accusa è di aver pagato un 18enne per far picchiare Mark Miller. Ahimè il bulletto prescelto da Gacy non se l'è cavata bene, ricavandoci addirittura un naso rotto, e Mark Miller ha nuovamente denunciato l'uomo.
Alla fine del processo Gacy viene dichiarato un uomo dalla personalità antisociale. Secondo gli esperti egli non trarrebbe mai nessun beneficio da cure mediche, perciò viene condannato a 10 anni di carcere per sodomia. La moglie lo lascia. Carcerato modello, John Wayne Gacy il 18 giugno 1970, è già ai cancelli della prigione, rilasciato sulla parola e diretto nuovamente alla sua città natale, Chicago.
Dopo essere caduto in un lungo periodo di depressione (suo padre è morto mentre lui era in carcere), Gacy riesce ad ottenere un lavoro come chef in un ristorante e ricomincia, al suo solito, a lavorare con grandissimo entusiasmo. Oltre ad averlo aiutato a trovarsi un lavoro, quell'anima pia di sua madre gli trova anche una casa, al numero 8213 di West Summerdale Avenue, nel distretto di Norwood Park Township.
Il Killer Clown non ci metterà molto a familiarizzare con il vicinato. Sette mesi dopo il trasloco Gacy partecipa già al cenone di Natale della famiglia Grexas e durante la settimana organizza numerosi buffet e drink con gli altri vicini. Nessuno di loro sospetta del passato criminale di Gacy e del suo presente. Proprio sotto Natale l'uomo viene infatti indagato per condotta immorale, poiché avrebbe costretto un ragazzo a compiere atti sessuali con lui. Il ragazzo però non si presenta in tribunale e l'accusa cade.
Il 1 giugno 1972 Gacy sposa Carole Hoff, donna divorziata, con due figlie a carico e debole emotivamente.
Le feste continuano, anche se alcuni vicini, soprattutto la signora Grexas, cominciano a far notare che dalle fondamenta di casa Gacy proviene un odore terribile. Forse un topo morto, forse l'umidità eccessiva, si sprecano le ipotesi, ma l'unico a sapere la verità è Gacy stesso... e la terrà per se per molti anni ancora.
Nonostante l'odore e le lamentele, Gacy continua a organizzare feste a tema e barbecue, uno dei quali entrerà nella storia del quartiere: ben 300 invitati.
Nel 1974, Gacy decide di lanciarsi nel mondo degli affari. Fonda una ditta dal nome Painting, Decorating, and Maintenance o anche PDM Inc. Assume alle proprie dipendenze solo ragazzi molto giovani, spiegando agli amici dubbiosi che i ragazzi giovani costano meno.
Sono ovviamente scuse banali: i veri intenti di Gacy sono quelli di sedurre i propri dipendenti. Ormai la sua omosessualità violenta sta venendo a galla e ne risente anche il matrimonio. Carole si preoccupa per l'umore imprevedibile del marito, dovuto ad una forte insonnia e si preoccupa perché lui non la cerca più sessualmente. Quando infine trova, tra le cose del marito, della pornografia maschile non c'è più niente da fare: nel 1975 la coppia divorzia.
Nonostante i problemi familiari, Gacy si getta nuovamente anima e corpo nel volontariato. La sua iniziativa di mascherarsi da "Pogo il Clown" per intrattenere i bambini negli ospedali commuove l'intera comunità di Chicago.
Gacy non si accontenta e cerca fortuna anche nella politica. Avendo capito di essere entrato nelle grazie di Robert F. Matwick, assessore del partito Democratico, l'uomo manda la propria ditta a pulire gratuitamente una festa Democratica. Questa mossa gli varrà l'incarico di presidente alla commissione per l'illuminazione stradale. È l'inizio della sua personale "corsa alla poltrona", che raggiungerà l'apice con l'incarico di "secretary treasurer" (una sorta di assessore all'economia).
La carriera di Gacy avrà vita breve. Non deve passare molto tempo prima che ricomincino a girare le voci sulla sua presunta omosessualità, orientata soprattutto verso giovani adolescenti. Motivo delle voci sarebbero state le insistenti e palesi avance fatte da Gacy a un suo dipendente sedicenne, Tony Antonucci. Mentre la carriera politica di Gacy è arrivata al capolinea cominciano le misteriose scomparse di giovani adolescenti.
Johnny Butkovich, diciassettenne, ha un hobby molto costoso: truccare macchine. Inevitabile che il ragazzo si arrabbi quando Gacy gli taglia 2 settimane di stipendio. È una pratica molto utilizzata dal Killer Clown quando ha urgente bisogno di soldi. Irritato, Johnny si reca a casa di Gacy, accompagnato da due amici, deciso di riscuotere ciò che gli spetta di diritto. Gacy e Johnny litigano ma alla fine la spunta l'uomo. Il ragazzo arreso riaccompagna gli amici a casa loro e...più nessuno lo rivedrà vivo.
Michael Bonnin, diciassettenne, è un bravo falegname della PDM. Scompare nel giugno '76 mentre andava a prendere un treno. Billy Carroll, Jr. è un ragazzo problematico. Invischiato già a 9 anni in furti, a 16 si prostituisce a giovani e adulti omosessuali. Il 13 giugno 1976, Billy esce di casa e sparisce.
Gregory Godzik è un altro dipendente diciassettenne della PDM, sparisce il 12 dicembre 1976 mentre è atteso a un appuntamento dalla sua ragazza. La polizia ritroverà solo la sua auto.
Il 20 gennaio 1977 tocca a John Szyc di diciannove anni, scomparso.
Tutti questi ragazzi si conoscevano e tutti conoscevano Gacy, ma gli investigatori ancora non collegano i fatti.
Il 15 settembre 1977 scompare Robert Gilroy, 18enne, mentre si dirigeva a un corso di equitazione.
L'ultima scomparsa è quella di Robert Priest, solamente quindicenne, scomparso dopo essere uscito dalla farmacia in cui lavorava. Secondo la madre il ragazzo avrebbe dovuto incontrare un imprenditore locale che gli aveva offerto un lavoro, ma non è mai più tornato a casa. Le indagini sulla scomparsa di Rober Priest porteranno a qualcosa di sconvolgente.
Gacy viene ben presto individuato come l'imprenditore di cui parla la madre del ragazzo scomparso. Il capo delle indagini, l'investigatore Kozenczak, lo va a prendere a casa e lo porta alla stazione di polizia, ma dall'interrogatorio non esce nulla di interessante.
Mentre Gacy se ne torna a casa, Kozenczak, per niente convinto dall'aspetto innocente dell'imprenditore, decide di studiare il suo passato, scoprendo il vecchio processo per sodomia nell'Illinois. Con tali precedenti, non ci vuole molta fatica a ottenere un mandato di perquisizione.
Il 13 dicembre 1978 la polizia entra così nella casa di John Wayne Gacy Jr. Lui non è presente.
Nell'inventario degli oggetti perquisiti risultano:
1 scatola di gioielli, tra cui un anello con incise le iniziali J.A.S. e la scritta "Classe 1975"; 1 scatola di marijuana e cartine; 7 film porno svedesi; pillole di Valium; 1 pugnale molto affilato; 1 tappeto macchiato; fotografie a colori di farmacie e drogherie; 1 agenda piena di indirizzi; 1 scala; scatole piene di libri pornografici e per pederasti come "Tight Teenagers", "The Rights of Gay People", "Bike Boy", "Sex Between Men and Boys", "Twenty-One Abnormal Sex Cases", "The American Bi-Centennial Gay Guide", "Heads & Tails and The Great Swallow"; 1 paio di manette con chiavi; 2 lunghe assi di legno terminanti con dei fori; 1 Berretta da 6mm; Distintivi da poliziotto; 1 vibratore di 45 cm; 1 siringa ipodermica con ago ed una bottiglietta marrone; abiti troppo piccoli per Gacy; corda di nailon.
Vengono confiscate anche tre automobili e un camioncino della ditta. Al suo interno infatti sono stati trovati dei capelli che potrebbero appartenere a Robert Priest.
Attirati dall'odore rancido, i poliziotti si infilano anche sotto la casa, ma la terra sembra intatta e lasciano perdere.
Nei giorni seguenti la polizia effettua numerosissimi interrogatori nel quartiere: nessuno dei vicini ha però qualcosa di compromettente da dire su Gacy. Frustrati, ma convinti che l'uomo sia coinvolto nella scomparsa di Robert Priest, gli investigatori fanno arrestare l'imprenditore con la scusa del possesso illegale di Valium e marijuana.
Inoltre su di lui pesa anche la denuncia di Jeffrey Ringall. Il ragazzo cloroformizzato e sodomizzato il 22 maggio 1978. Ringall, appena ripresosi, desideroso di vendetta, si è appostato all'uscita dell'unica strada che ricordasse di quella terribile notte. Dopo ore interminabili di appostamenti, ha riconosciuto nel traffico la macchina nera del suo torturatore. L'ha seguita fino a casa Gacy e ha denunciato l'uomo alla polizia.
Messo alle strette, Gacy confessa di aver ucciso per autodifesa e che il cadavere è seppellito sotto il garage. Gli investigatori non se lo fanno ripetere due volte e corrono nuovamente alla casa del Killer Clown.
Tra i presenti c'è il Dott. Robert Stein, che riconosce immediatamente l'odore di morte proveniente dalle fondamenta della casa. Stein comincia così a organizzare la ricerca per più corpi, delineando e organizzando le aree di scavo come si fa con uno scavo archeologico.
Mentre gli scavi procedono, venerdì 22 dicembre 1978, Gacy finalmente confessa di aver ucciso almeno trenta persone. Racconta come adescava le vittime, confessa di averli ammanettati mentre ne abusava sessualmente. Il Killer Clown racconta di averli uccisi strangolandoli o tagliando loro la gola, mentre ancora li stuprava. In bocca i ragazzi avevano un calzino o un paio di mutande, in modo da non poter urlare. Gacy ammette anche di aver tenuto per diverse ore i cadaveri sotto il letto o nella mansarda, in attesa di poterli seppellire di nascosto.
Intanto i lavori procedono e affiorano corpi su corpi, alcuni sono seppelliti tanto vicini che Gacy è costretto ad ammettere di aver ucciso anche più di una volta al giorno.
Il 28 dicembre i corpi rimossi sono ventisette.
A Gacy vengono attribuiti anche gli omicidi di due ragazzi ritrovati in un fiumiciattolo fuori città (avevano ancora della biancheria intima in bocca). Gacy ammette che ha utilizzato spesso il fiume perché cominciava a mancare lo spazio sotto casa.
Ma non è finita qui.
Due corpi di adulti vengono ritrovati nel calcestruzzo sotto lo studio di Gacy e un altro corpo viene restituito dal fiume. Incredibilmente l'ultimo ad essere ritrovato è proprio il corpo del povero Robert Priest, ritrovato presso una diga nell'aprile del 1979.
Solo 9 corpi verranno identificati.
Il processo a John Wayne Gacy comincia il 6 febbraio 1980. L'uomo è imputato dell'omicidio di 29 minorenni e di 3 adulti.
La difesa ha tentato come al solito la via dell'incapacità di intendere e di volere, dichiarando il proprio cliente un folle. In questo modo Gacy avrebbe evitato la pena di morte...e inoltre i manicomi rilasciano i criminali dopo alcuni anni, se vengono ritenuti adatti al reinserimento nella società.
Sul banco dei testimoni si alterneranno ben 60 persone. Gacy rimane impassibile e quasi senza emozioni ad ascoltare tutte le testimonianze sul suo conto. Non si scompone nemmeno quando Jeffrey Ringall comincia a piangere e a vomitare mentre racconta la sua brutta avventura.
Degli specialisti analizzano Gacy direttamente in tribunale. Emerge che Gacy è una persona intelligente e brillante, ma che è anche un individuo antisociale, affetto da schizofrenia e disturbi multipli della personalità.
Per la difesa sembra ormai fatta.
Il giorno del verdetto la giuria impiega solamente due ore per deliberare. Alla fine del concilio, nel silenzio dell'aula di tribunale, l'impiegato della corte si alza e a gran voce scandisce le parole scritte dalla giura: "We, the jury, find the defendant, John Wayne Gacy, guilty..." (Trad. Noi della giuria riteniamo l'imputato John Wayne Gacy, colpevole..)
Su di Gacy sono stati scritti diversi libri, mentre sono molto ricercati tra i collezionisti i quadri che egli ha disegnato durante i suoi 14 anni di carcere. Raffigurano tutti dei clown.
Nel 1994 John Wayne Gacy è stato giustiziato con l'iniezione letale.
Il 19 dicembre 1978 John Wayne Gacy viene arrestato con l'accusa di omicidio plurimo.
Non deve sorprendere il fatto che John Wayne Gacy fosse ammirato e amato dalla maggior parte delle persone che lo conoscevano. Era un uomo d'affari acuto che, quando non era impegnato a costruire un solido futuro per la sua società, passava volentieri il tempo ad organizzare feste per gli amici e per i vicini di casa. Inoltre si mascherava da clown per intrattenere i bambini ricoverati negli ospedali locali, ed era coinvolto in numerose organizzazioni per migliorare la qualità della vita altrui.
Insomma, Gacy era agli occhi di tutti un uomo generoso, amichevole e laborioso, dedito alla sua famiglia e alla comunità.
Tuttavia c'era un altro lato della sua personalità che ben pochi conobbero...molti dei quali non sopravissero abbastanza a lungo per raccontarlo...
È il 22 Maggio 1978. Jeffrey Ringall è appena tornato a Chicago dalle sue vacanze invernali e ha deciso di passare la serata a New Town, un quartiere all'avanguardia molto frequentato, ricco di pub e discoteche. Mentre passeggia distrattamente il ragazzo viene avvicinato da una macchina nera. Alla guida c'è un uomo molto grasso, dalla faccia gentile. Gli offre un passaggio e gli propone di farsi uno spinello insieme. Ovviamente Ringall non se lo fa ripetere due volte: fa così freddo lì fuori! Jeffrey non arriverà nemmeno a metà dello spinello: all'improvviso l'uomo lo afferra con la forza e gli schiaccia sul viso uno straccio imbevuto di cloroformio, facendolo piombare in un profondo sonno.
Durante quella sera il ragazzo si sveglia diverse volte, per poi svenire nuovamente. Perciò i suoi ricordi sono piuttosto confusi: la prima immagine che ricorda è se stesso legato su di una sedia, con il grassone nudo innanzi a lui. Al secondo risveglio Ringall vede diversi vibratori sul pavimento, di ogni misura e forma...poi di nuovo il buio. Gacy lo ha drogato per poterlo sodomizzare e torturare sessualmente tutta la notte. Solo il mattino dopo il folle decide di lasciare in pace il ragazzo, depositandolo, ancora privo di sensi, sotto una statua nel Lincoln Park.
Ricoverato d'urgenza in ospedale, Ringall riporta alla polizia pochissimi dettagli... è praticamente impossibile risalire all'attentatore. Gli verranno pronosticati lesioni, danni permanenti al fegato (causati dal cloroformio) e severi traumi emotivi. Eppure Jeffrey Ringall è un ragazzo molto fortunato. Sarà l'unica persona a sopravivere alla follia di John Wayne Gacy che, negli anni '70, torturerà, stuprerà e ucciderà più di trenta ragazzi.
John Wayne Gacy nasce il 17 marzo 1942 in uno dei tanti ospedali di Chicago, l'Edgewater Hospital. È il secondo dei tre figli di due irlandesi emigrati: Marion Elaine Robinson e John Wayne Gacy, Sr. Gacy e le sue due sorelle crescono in un quartiere piccolo borghese, frequentando esclusivamente scuole cattoliche. Nel dopo scuola il ragazzo si impegna anche in varie attività come i Boy Scout o il commesso in un alimentari.
Amato dagli insegnanti e dai colleghi di lavoro, attivissimo tra i Boy Scout. Praticamente Gacy gode di un infanzia normalissima, con l'eccezione del rapporto con il padre e di una serie di incidenti che lo colpiranno.
A 11 anni subisce un colpo in testa che gli causa un grumo di sangue interno. Non gli verrà scoperto fino ai 16 anni, età in cui verrà anche curato. Durante questi 5 anni Gacy soffrirà di continui blackout al cervello, con problemi soprattutto alla vista.
Nemmeno un anno dopo, appena 17enne, gli viene diagnosticata un' indisposizione cardiaca non meglio identificata. Verrà ricoverato numerose volte per dolori al petto, ma nessun medico sarà mai capace di trovare una causa specifica, e quindi una cura al suo problema. Nonostante ciò, Gacy non soffrirà mai di serie problematiche a livello cardiaco.
Il padre di John è un alcolizzato, un uomo folle e violento. Abusa fisicamente e mentalmente della moglie e dei figli. Benché sia un essere spregevole, John Wayne Jr. lo ama profondamente e cerca in ogni modo di guadagnarsi la sua attenzione e la sua devozione, invano. Gacy se ne pentirà per tutta la propria vita.
Dopo aver frequentato ben quattro licei senza mai essersi diplomato, John Wayne Gacy decide di abbandonare gli studi e la propria casa, trasferendosi a Las Vegas. La sua permanenza nella città del vizio durerà ben poco. Non riuscendo a trovare nessun lavoro decente, il giovane impiegherà i soldi guadagnati in 3 mesi di lavoretti, per comprare il biglietto di ritorno per Chicago.
Rimessa la testa a posto, Gacy, scopre di essere portato per gli affari: è un commesso nato, capace di vendere qualsiasi cosa. Si iscrive così a un corso di business e si laurea con facilità. Assunto come tirocinante alla Nunn-Bush Shoe Company, eccelle nella propria posizione tanto che viene presto promosso come manager in un negozio di vestiti da uomo a Spingfield, nell'Illinois.
In questo periodo tornano a farsi sentire i suoi problemi di salute: l'uomo è finito ben oltre il proprio peso forma e i dolori al cuore si fanno sentire con insistenza. Ciò comunque non lo distoglierà mai dalle tante attività in cui è coinvolto.
A Springfield, Gacy collabora infatti con numerose organizzazioni che servono la comunità: Chi Rho Club, Catholic Inter-Club Council, The Federal Civil Defense for Illinois, Chicago Civil Defense, Holy Name Society e la Jaycees, per la quale diviene vice-presidente e dalla quale viene eletto Man of the Year. Tutte le collaborazioni di Gacy sono a titolo gratuito: l'uomo si impegna tanto per gli altri che verrà ricoverato per un esaurimento nervoso.
Nel Settembre del 1964 Gacy sposa una collega di lavoro, Marlynn Myers, i cui genitori possiedono una famosa catena di fast food, la Kentucky Fried Chicken. Ricevuta e accettata una prestigiosa offerta di lavoro del suocero, Gacy e consorte si trasferiscono nello Iowa. La vita di John scorre via felice. Lavora entusiasticamente per 12-14 ore al giorno, si dedica alla famiglia (sua moglie gli darà presto due figli) e dona tutto se stesso alla comunità, attraverso la Jaycees (nella quale si candida a nuovo presidente).
Praticamente una vita felice e serena. Forse troppo perfetta per essere vera...
Nel 1968 cominciano a girare voci maligne sul conto di John Wayne Gacy. La gente mormora che l'uomo sia un omosessuale e viene insinuato che egli offre passaggi ai giovani dipendenti del fast food perché vuole sedurre i ragazzi. Contrariamente a quanto succede di solito, le dicerie su Gacy troveranno presto conferma.
È la primavera del 1968. Gacy viene chiamato in tribunale dalla Contea di Black Hawk. L'accusa è di sodomia nei confronti di un adolescente, Mark Miller. Gacy vince la causa dicendo che il ragazzo si era prostituito per soldi, ma l'avvenimento gli costerà comunque il posto di presidente del Jaycees. Quattro mesi più tardi Gacy deve ricomparire nuovamente in tribunale: l'accusa è di aver pagato un 18enne per far picchiare Mark Miller. Ahimè il bulletto prescelto da Gacy non se l'è cavata bene, ricavandoci addirittura un naso rotto, e Mark Miller ha nuovamente denunciato l'uomo.
Alla fine del processo Gacy viene dichiarato un uomo dalla personalità antisociale. Secondo gli esperti egli non trarrebbe mai nessun beneficio da cure mediche, perciò viene condannato a 10 anni di carcere per sodomia. La moglie lo lascia. Carcerato modello, John Wayne Gacy il 18 giugno 1970, è già ai cancelli della prigione, rilasciato sulla parola e diretto nuovamente alla sua città natale, Chicago.
Dopo essere caduto in un lungo periodo di depressione (suo padre è morto mentre lui era in carcere), Gacy riesce ad ottenere un lavoro come chef in un ristorante e ricomincia, al suo solito, a lavorare con grandissimo entusiasmo. Oltre ad averlo aiutato a trovarsi un lavoro, quell'anima pia di sua madre gli trova anche una casa, al numero 8213 di West Summerdale Avenue, nel distretto di Norwood Park Township.
Il Killer Clown non ci metterà molto a familiarizzare con il vicinato. Sette mesi dopo il trasloco Gacy partecipa già al cenone di Natale della famiglia Grexas e durante la settimana organizza numerosi buffet e drink con gli altri vicini. Nessuno di loro sospetta del passato criminale di Gacy e del suo presente. Proprio sotto Natale l'uomo viene infatti indagato per condotta immorale, poiché avrebbe costretto un ragazzo a compiere atti sessuali con lui. Il ragazzo però non si presenta in tribunale e l'accusa cade.
Il 1 giugno 1972 Gacy sposa Carole Hoff, donna divorziata, con due figlie a carico e debole emotivamente.
Le feste continuano, anche se alcuni vicini, soprattutto la signora Grexas, cominciano a far notare che dalle fondamenta di casa Gacy proviene un odore terribile. Forse un topo morto, forse l'umidità eccessiva, si sprecano le ipotesi, ma l'unico a sapere la verità è Gacy stesso... e la terrà per se per molti anni ancora.
Nonostante l'odore e le lamentele, Gacy continua a organizzare feste a tema e barbecue, uno dei quali entrerà nella storia del quartiere: ben 300 invitati.
Nel 1974, Gacy decide di lanciarsi nel mondo degli affari. Fonda una ditta dal nome Painting, Decorating, and Maintenance o anche PDM Inc. Assume alle proprie dipendenze solo ragazzi molto giovani, spiegando agli amici dubbiosi che i ragazzi giovani costano meno.
Sono ovviamente scuse banali: i veri intenti di Gacy sono quelli di sedurre i propri dipendenti. Ormai la sua omosessualità violenta sta venendo a galla e ne risente anche il matrimonio. Carole si preoccupa per l'umore imprevedibile del marito, dovuto ad una forte insonnia e si preoccupa perché lui non la cerca più sessualmente. Quando infine trova, tra le cose del marito, della pornografia maschile non c'è più niente da fare: nel 1975 la coppia divorzia.
Nonostante i problemi familiari, Gacy si getta nuovamente anima e corpo nel volontariato. La sua iniziativa di mascherarsi da "Pogo il Clown" per intrattenere i bambini negli ospedali commuove l'intera comunità di Chicago.
Gacy non si accontenta e cerca fortuna anche nella politica. Avendo capito di essere entrato nelle grazie di Robert F. Matwick, assessore del partito Democratico, l'uomo manda la propria ditta a pulire gratuitamente una festa Democratica. Questa mossa gli varrà l'incarico di presidente alla commissione per l'illuminazione stradale. È l'inizio della sua personale "corsa alla poltrona", che raggiungerà l'apice con l'incarico di "secretary treasurer" (una sorta di assessore all'economia).
La carriera di Gacy avrà vita breve. Non deve passare molto tempo prima che ricomincino a girare le voci sulla sua presunta omosessualità, orientata soprattutto verso giovani adolescenti. Motivo delle voci sarebbero state le insistenti e palesi avance fatte da Gacy a un suo dipendente sedicenne, Tony Antonucci. Mentre la carriera politica di Gacy è arrivata al capolinea cominciano le misteriose scomparse di giovani adolescenti.
Johnny Butkovich, diciassettenne, ha un hobby molto costoso: truccare macchine. Inevitabile che il ragazzo si arrabbi quando Gacy gli taglia 2 settimane di stipendio. È una pratica molto utilizzata dal Killer Clown quando ha urgente bisogno di soldi. Irritato, Johnny si reca a casa di Gacy, accompagnato da due amici, deciso di riscuotere ciò che gli spetta di diritto. Gacy e Johnny litigano ma alla fine la spunta l'uomo. Il ragazzo arreso riaccompagna gli amici a casa loro e...più nessuno lo rivedrà vivo.
Michael Bonnin, diciassettenne, è un bravo falegname della PDM. Scompare nel giugno '76 mentre andava a prendere un treno. Billy Carroll, Jr. è un ragazzo problematico. Invischiato già a 9 anni in furti, a 16 si prostituisce a giovani e adulti omosessuali. Il 13 giugno 1976, Billy esce di casa e sparisce.
Gregory Godzik è un altro dipendente diciassettenne della PDM, sparisce il 12 dicembre 1976 mentre è atteso a un appuntamento dalla sua ragazza. La polizia ritroverà solo la sua auto.
Il 20 gennaio 1977 tocca a John Szyc di diciannove anni, scomparso.
Tutti questi ragazzi si conoscevano e tutti conoscevano Gacy, ma gli investigatori ancora non collegano i fatti.
Il 15 settembre 1977 scompare Robert Gilroy, 18enne, mentre si dirigeva a un corso di equitazione.
L'ultima scomparsa è quella di Robert Priest, solamente quindicenne, scomparso dopo essere uscito dalla farmacia in cui lavorava. Secondo la madre il ragazzo avrebbe dovuto incontrare un imprenditore locale che gli aveva offerto un lavoro, ma non è mai più tornato a casa. Le indagini sulla scomparsa di Rober Priest porteranno a qualcosa di sconvolgente.
Gacy viene ben presto individuato come l'imprenditore di cui parla la madre del ragazzo scomparso. Il capo delle indagini, l'investigatore Kozenczak, lo va a prendere a casa e lo porta alla stazione di polizia, ma dall'interrogatorio non esce nulla di interessante.
Mentre Gacy se ne torna a casa, Kozenczak, per niente convinto dall'aspetto innocente dell'imprenditore, decide di studiare il suo passato, scoprendo il vecchio processo per sodomia nell'Illinois. Con tali precedenti, non ci vuole molta fatica a ottenere un mandato di perquisizione.
Il 13 dicembre 1978 la polizia entra così nella casa di John Wayne Gacy Jr. Lui non è presente.
Nell'inventario degli oggetti perquisiti risultano:
1 scatola di gioielli, tra cui un anello con incise le iniziali J.A.S. e la scritta "Classe 1975"; 1 scatola di marijuana e cartine; 7 film porno svedesi; pillole di Valium; 1 pugnale molto affilato; 1 tappeto macchiato; fotografie a colori di farmacie e drogherie; 1 agenda piena di indirizzi; 1 scala; scatole piene di libri pornografici e per pederasti come "Tight Teenagers", "The Rights of Gay People", "Bike Boy", "Sex Between Men and Boys", "Twenty-One Abnormal Sex Cases", "The American Bi-Centennial Gay Guide", "Heads & Tails and The Great Swallow"; 1 paio di manette con chiavi; 2 lunghe assi di legno terminanti con dei fori; 1 Berretta da 6mm; Distintivi da poliziotto; 1 vibratore di 45 cm; 1 siringa ipodermica con ago ed una bottiglietta marrone; abiti troppo piccoli per Gacy; corda di nailon.
Vengono confiscate anche tre automobili e un camioncino della ditta. Al suo interno infatti sono stati trovati dei capelli che potrebbero appartenere a Robert Priest.
Attirati dall'odore rancido, i poliziotti si infilano anche sotto la casa, ma la terra sembra intatta e lasciano perdere.
Nei giorni seguenti la polizia effettua numerosissimi interrogatori nel quartiere: nessuno dei vicini ha però qualcosa di compromettente da dire su Gacy. Frustrati, ma convinti che l'uomo sia coinvolto nella scomparsa di Robert Priest, gli investigatori fanno arrestare l'imprenditore con la scusa del possesso illegale di Valium e marijuana.
Inoltre su di lui pesa anche la denuncia di Jeffrey Ringall. Il ragazzo cloroformizzato e sodomizzato il 22 maggio 1978. Ringall, appena ripresosi, desideroso di vendetta, si è appostato all'uscita dell'unica strada che ricordasse di quella terribile notte. Dopo ore interminabili di appostamenti, ha riconosciuto nel traffico la macchina nera del suo torturatore. L'ha seguita fino a casa Gacy e ha denunciato l'uomo alla polizia.
Messo alle strette, Gacy confessa di aver ucciso per autodifesa e che il cadavere è seppellito sotto il garage. Gli investigatori non se lo fanno ripetere due volte e corrono nuovamente alla casa del Killer Clown.
Tra i presenti c'è il Dott. Robert Stein, che riconosce immediatamente l'odore di morte proveniente dalle fondamenta della casa. Stein comincia così a organizzare la ricerca per più corpi, delineando e organizzando le aree di scavo come si fa con uno scavo archeologico.
Mentre gli scavi procedono, venerdì 22 dicembre 1978, Gacy finalmente confessa di aver ucciso almeno trenta persone. Racconta come adescava le vittime, confessa di averli ammanettati mentre ne abusava sessualmente. Il Killer Clown racconta di averli uccisi strangolandoli o tagliando loro la gola, mentre ancora li stuprava. In bocca i ragazzi avevano un calzino o un paio di mutande, in modo da non poter urlare. Gacy ammette anche di aver tenuto per diverse ore i cadaveri sotto il letto o nella mansarda, in attesa di poterli seppellire di nascosto.
Intanto i lavori procedono e affiorano corpi su corpi, alcuni sono seppelliti tanto vicini che Gacy è costretto ad ammettere di aver ucciso anche più di una volta al giorno.
Il 28 dicembre i corpi rimossi sono ventisette.
A Gacy vengono attribuiti anche gli omicidi di due ragazzi ritrovati in un fiumiciattolo fuori città (avevano ancora della biancheria intima in bocca). Gacy ammette che ha utilizzato spesso il fiume perché cominciava a mancare lo spazio sotto casa.
Ma non è finita qui.
Due corpi di adulti vengono ritrovati nel calcestruzzo sotto lo studio di Gacy e un altro corpo viene restituito dal fiume. Incredibilmente l'ultimo ad essere ritrovato è proprio il corpo del povero Robert Priest, ritrovato presso una diga nell'aprile del 1979.
Solo 9 corpi verranno identificati.
Il processo a John Wayne Gacy comincia il 6 febbraio 1980. L'uomo è imputato dell'omicidio di 29 minorenni e di 3 adulti.
La difesa ha tentato come al solito la via dell'incapacità di intendere e di volere, dichiarando il proprio cliente un folle. In questo modo Gacy avrebbe evitato la pena di morte...e inoltre i manicomi rilasciano i criminali dopo alcuni anni, se vengono ritenuti adatti al reinserimento nella società.
Sul banco dei testimoni si alterneranno ben 60 persone. Gacy rimane impassibile e quasi senza emozioni ad ascoltare tutte le testimonianze sul suo conto. Non si scompone nemmeno quando Jeffrey Ringall comincia a piangere e a vomitare mentre racconta la sua brutta avventura.
Degli specialisti analizzano Gacy direttamente in tribunale. Emerge che Gacy è una persona intelligente e brillante, ma che è anche un individuo antisociale, affetto da schizofrenia e disturbi multipli della personalità.
Per la difesa sembra ormai fatta.
Il giorno del verdetto la giuria impiega solamente due ore per deliberare. Alla fine del concilio, nel silenzio dell'aula di tribunale, l'impiegato della corte si alza e a gran voce scandisce le parole scritte dalla giura: "We, the jury, find the defendant, John Wayne Gacy, guilty..." (Trad. Noi della giuria riteniamo l'imputato John Wayne Gacy, colpevole..)
Su di Gacy sono stati scritti diversi libri, mentre sono molto ricercati tra i collezionisti i quadri che egli ha disegnato durante i suoi 14 anni di carcere. Raffigurano tutti dei clown.
Nel 1994 John Wayne Gacy è stato giustiziato con l'iniezione letale.
sabato 18 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il il 18 dicembre.
Il 18 dicembre 1932 Benito Mussolini inaugura ufficialmente la neonata città di Littoria, da lui stesso fortemente voluta, con il discorso nel quale vi era il famoso passaggio "E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende".
La città di Littoria, oggi Latina, costituiva, unitamente alle cittadine di Pomezia, Sabaudia, Aprilia, Pontinia, quella fascia che veniva denominata delle città del grano, e che venne realizzata intorno a Roma sotto il fascismo.
Nei fatti Littoria nasce molto prima della sua inaugurazione ufficiale, avvenuta il 18 dicembre 1932 alla presenza del capo dello stato Benito Mussolini.
Sin dal 1928, recuperando studi ed istanze precedenti, era stata varata la legge , redatta da Arrigo Serpieri, per la bonifica integrale dell'agro romano. Fu così possibile recuperare le ingenti risorse finanziarie occorrenti per portare a buon fine l'impresa.
Dopo una prima fase di bonifica idraulica si procedette al primo decreto di esproprio che attribuiva all'opera nazionale combattenti molti ettari di terreno. Sistemati i terreni si provvide all'appoderamento della pianura con la creazione di fabbricati colonici. Con logica gerarchica tali fabbricati gravitavano su piccoli borghi che, a loro volta, facevano capo alle piccole cittadine dell'agro appositamente costruite. Nell'aprile del 1932 fu lo stesso Mussolini a decidere la nascita della cittadina di Littoria. La redazione del piano regolatore generale, e della quasi totalità degli edifici più rappresentativi, fu affidata ad un giovane architetto di quarantaquattro anni, Oriolo Frezzotti, su incarico dell'O.N.C. .
Il nucleo storico della cittadina era costituito dalla piazza del Littorio con il Municipio, l'albergo Littoria ed un cinema oggi distrutto. Successivamente vennero anche edificati il Palazzo delle Poste (originale edificio dovuto all'architetto futurista A. Mazzoni), una chiesa e, nel 1936, il Palazzo di Giustizia e l'ospedale.
L'architetto romano Frezzotti sviluppò, in sostanza, un modello radiocentrico, in cui la nuova cittadina costituiva un polo di servizio per le originarie 512 case coloniche edificate.
Le nuove città dell'agro pontino nascono, fondamentalmente, dalle stesse istanze che portarono, alla fine degli anni quaranta, alla creazione delle new towns inglesi, le quali hanno goduto e godono di maggiore ed ingiustificata fortuna critica.
Entrambi i tentativi, pur nelle diverse realtà e concezioni, nascevano dal tentativo di controllare i forti flussi migratori verso le grandi città. L'esperienza italiana non si limitò al solo intervento nell'agro romano, ma costituì anche una originale risposta urbanistica in parte messa in opera in altre zone del territorio nazionale (si pensi ad esempio al borgo di Fertilia cittadina edificata in prossimità di Alghero in Sardegna).
Negli anni '60 e '70, Latina visse il mito dello sviluppo industriale. Oggi l'Amministrazione Comunale, anche attraverso la stesura di un nuovo P.R.G., sta cercando di recuperare un passato dignitoso e di mettere fine a quel disordine edilizio che ha caratterizzato l'attività costruttiva del dopoguerra.
Il 18 dicembre 1932 Benito Mussolini inaugura ufficialmente la neonata città di Littoria, da lui stesso fortemente voluta, con il discorso nel quale vi era il famoso passaggio "E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende".
La città di Littoria, oggi Latina, costituiva, unitamente alle cittadine di Pomezia, Sabaudia, Aprilia, Pontinia, quella fascia che veniva denominata delle città del grano, e che venne realizzata intorno a Roma sotto il fascismo.
Nei fatti Littoria nasce molto prima della sua inaugurazione ufficiale, avvenuta il 18 dicembre 1932 alla presenza del capo dello stato Benito Mussolini.
Sin dal 1928, recuperando studi ed istanze precedenti, era stata varata la legge , redatta da Arrigo Serpieri, per la bonifica integrale dell'agro romano. Fu così possibile recuperare le ingenti risorse finanziarie occorrenti per portare a buon fine l'impresa.
Dopo una prima fase di bonifica idraulica si procedette al primo decreto di esproprio che attribuiva all'opera nazionale combattenti molti ettari di terreno. Sistemati i terreni si provvide all'appoderamento della pianura con la creazione di fabbricati colonici. Con logica gerarchica tali fabbricati gravitavano su piccoli borghi che, a loro volta, facevano capo alle piccole cittadine dell'agro appositamente costruite. Nell'aprile del 1932 fu lo stesso Mussolini a decidere la nascita della cittadina di Littoria. La redazione del piano regolatore generale, e della quasi totalità degli edifici più rappresentativi, fu affidata ad un giovane architetto di quarantaquattro anni, Oriolo Frezzotti, su incarico dell'O.N.C. .
Il nucleo storico della cittadina era costituito dalla piazza del Littorio con il Municipio, l'albergo Littoria ed un cinema oggi distrutto. Successivamente vennero anche edificati il Palazzo delle Poste (originale edificio dovuto all'architetto futurista A. Mazzoni), una chiesa e, nel 1936, il Palazzo di Giustizia e l'ospedale.
L'architetto romano Frezzotti sviluppò, in sostanza, un modello radiocentrico, in cui la nuova cittadina costituiva un polo di servizio per le originarie 512 case coloniche edificate.
Le nuove città dell'agro pontino nascono, fondamentalmente, dalle stesse istanze che portarono, alla fine degli anni quaranta, alla creazione delle new towns inglesi, le quali hanno goduto e godono di maggiore ed ingiustificata fortuna critica.
Entrambi i tentativi, pur nelle diverse realtà e concezioni, nascevano dal tentativo di controllare i forti flussi migratori verso le grandi città. L'esperienza italiana non si limitò al solo intervento nell'agro romano, ma costituì anche una originale risposta urbanistica in parte messa in opera in altre zone del territorio nazionale (si pensi ad esempio al borgo di Fertilia cittadina edificata in prossimità di Alghero in Sardegna).
Negli anni '60 e '70, Latina visse il mito dello sviluppo industriale. Oggi l'Amministrazione Comunale, anche attraverso la stesura di un nuovo P.R.G., sta cercando di recuperare un passato dignitoso e di mettere fine a quel disordine edilizio che ha caratterizzato l'attività costruttiva del dopoguerra.
venerdì 17 dicembre 2021
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 17 dicembre.
Il 17 dicembre 1913 nacque a Poggiana Primo Visentin, partigiano.
Primo Visentin, più conosciuto col nome di battaglia di Masaccio, nacque a Poggiana il 17 dicembre 1913 in una famiglia poverissima; il padre morì in guerra nel 1916; ottenne un posto in collegio per orfani di guerra a Vittorio Veneto. Seppe approfittare della possibilità di studiare offertagli: nel 1932 conseguì il diploma magistrale e andò a insegnare alle elementari.
Nel frattempo (1935), inizia gli studi universitari iscrivendosi alla Facoltà di Lettere, a Padova; convinto della garanzia per un ordinato e giusto sviluppo della società italiana, nel 1936 viene nominato segretario del fascio di Loria, carica che lascia nel 1939 per poter concludere gli studi universitari: si laurea il 17 giugno 1940 con lode, discutendo la tesi "La fortuna critica di Giorgione"; c'è da rilevare infatti la sua crescente passione per la pittura, specie per Masaccio e per Giorgione; lui stesso vi si cimenta.
Continua in questo periodo la sua formazione anche umano-spirituale; insegna per un breve periodo al Liceo Messedaglia di Verona e, sembra, anche al Foscarini di Venezia, dove viene in contatto per la prima volta con l'antifascismo organizzato (Dal Bo, Sartor), cui, per un sentimento di fedeltà alla nazione, non aderisce.
Ma al 9 settembre 1943 scappa dalla caserma, a Treviso (dal 25 luglio si trova sotto le armi), e, preso atto della nuova realtà, si butta a capofitto nella organizzazione della resistenza; nel maggio 1944 prende l'iniziativa di raggruppare le varie squadre partigiane in una unica formazione, il Battaglione Mazzini. I suoi scritti denotano buone capacità organizzativa, una moralità che rivela una integrità di principi (per es. i processi per partigiani accusati di furto), e una determinazione che va al di là del rischio della propria vita.
Le vicende del rastrellamento del Monte Grappa portano allo scioglimento del Battaglione Mazzini e alla costituzione della nuova Brigata "Martiri del Grappa" (ottobre 1944). Scrive manifesti, pubblica la "Gazzetta del Patriota" prima e la "Gazzetta Pedemontana" poi, incitando i giovani di leva alla diserzione e denunciando torture e soprusi commessi dai tedeschi e dai fascisti.
Numerose le testimonianze dei poggianesi che mai tradirono "Masaccio" (nome di battaglia che si era scelto in ricordo del pittore da lui tanto ammirato) nei suoi continui spostamenti: tutti sapevano dov'era le sua casetta, giù per il borgo, lungo il Muson, e anche dell'altra casa, della nonna "Bassiana", dove spesso si trovava, nell'attuale via Masaccio, dietro alla casa dove erano ospitate le suore sfollate da Treviso.
Le frenetiche attività degli ultimi mesi di guerra misero ancor più in evidenza la sua capacità direttiva e capacità di giudizio. Fu colpito a morte il 29 aprile 1945, mentre si recava a Loria, in località Piotti, chiamato a trattare la resa di un battaglione di tedeschi in fuga; quel giorno gli alleati liberavano la Castellana. Un unico colpo, entrato dalla parte destra della schiena e uscito dal collo, a sinistra, come testimonia Patrizio Porcellato che ne vegliò il corpo portato a casa, nella sua piccola stanza, e che assistette alla ispezione del pretore di Castelfranco. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Poggiana e la sua lotta per la libertà venne onorata con la medaglia d'oro al valor militare. Non morirà invece la memoria del suo estremo sacrificio e del suo amore per la libertà.
Il 17 dicembre 1913 nacque a Poggiana Primo Visentin, partigiano.
Primo Visentin, più conosciuto col nome di battaglia di Masaccio, nacque a Poggiana il 17 dicembre 1913 in una famiglia poverissima; il padre morì in guerra nel 1916; ottenne un posto in collegio per orfani di guerra a Vittorio Veneto. Seppe approfittare della possibilità di studiare offertagli: nel 1932 conseguì il diploma magistrale e andò a insegnare alle elementari.
Nel frattempo (1935), inizia gli studi universitari iscrivendosi alla Facoltà di Lettere, a Padova; convinto della garanzia per un ordinato e giusto sviluppo della società italiana, nel 1936 viene nominato segretario del fascio di Loria, carica che lascia nel 1939 per poter concludere gli studi universitari: si laurea il 17 giugno 1940 con lode, discutendo la tesi "La fortuna critica di Giorgione"; c'è da rilevare infatti la sua crescente passione per la pittura, specie per Masaccio e per Giorgione; lui stesso vi si cimenta.
Continua in questo periodo la sua formazione anche umano-spirituale; insegna per un breve periodo al Liceo Messedaglia di Verona e, sembra, anche al Foscarini di Venezia, dove viene in contatto per la prima volta con l'antifascismo organizzato (Dal Bo, Sartor), cui, per un sentimento di fedeltà alla nazione, non aderisce.
Ma al 9 settembre 1943 scappa dalla caserma, a Treviso (dal 25 luglio si trova sotto le armi), e, preso atto della nuova realtà, si butta a capofitto nella organizzazione della resistenza; nel maggio 1944 prende l'iniziativa di raggruppare le varie squadre partigiane in una unica formazione, il Battaglione Mazzini. I suoi scritti denotano buone capacità organizzativa, una moralità che rivela una integrità di principi (per es. i processi per partigiani accusati di furto), e una determinazione che va al di là del rischio della propria vita.
Le vicende del rastrellamento del Monte Grappa portano allo scioglimento del Battaglione Mazzini e alla costituzione della nuova Brigata "Martiri del Grappa" (ottobre 1944). Scrive manifesti, pubblica la "Gazzetta del Patriota" prima e la "Gazzetta Pedemontana" poi, incitando i giovani di leva alla diserzione e denunciando torture e soprusi commessi dai tedeschi e dai fascisti.
Numerose le testimonianze dei poggianesi che mai tradirono "Masaccio" (nome di battaglia che si era scelto in ricordo del pittore da lui tanto ammirato) nei suoi continui spostamenti: tutti sapevano dov'era le sua casetta, giù per il borgo, lungo il Muson, e anche dell'altra casa, della nonna "Bassiana", dove spesso si trovava, nell'attuale via Masaccio, dietro alla casa dove erano ospitate le suore sfollate da Treviso.
Le frenetiche attività degli ultimi mesi di guerra misero ancor più in evidenza la sua capacità direttiva e capacità di giudizio. Fu colpito a morte il 29 aprile 1945, mentre si recava a Loria, in località Piotti, chiamato a trattare la resa di un battaglione di tedeschi in fuga; quel giorno gli alleati liberavano la Castellana. Un unico colpo, entrato dalla parte destra della schiena e uscito dal collo, a sinistra, come testimonia Patrizio Porcellato che ne vegliò il corpo portato a casa, nella sua piccola stanza, e che assistette alla ispezione del pretore di Castelfranco. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Poggiana e la sua lotta per la libertà venne onorata con la medaglia d'oro al valor militare. Non morirà invece la memoria del suo estremo sacrificio e del suo amore per la libertà.
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