Buongiorno, oggi è l'8 dicembre.
L' 8 dicembre 1980 veniva assassinato John Lennon.
Per molti baby-boomers cresciuti nei mitici anni sessanta, un mite lunedì ai primi di dicembre 1980 sarà sempre ricordato come il giorno in cui è morta la musica.
A New York, l'enigmatico, carismatico - e francamente spesso stravagante- ex- Beatle John Lennon, barcollò nella sala d'ingresso del Dakota, lussuoso palazzo nell’ Upper West Side in cui risiedeva da quasi otto anni.
Aveva appena finito di incidere una nuova canzone per i suoi 40 anni “Walking On Thin Ice’’; crollò sanguinante sul pavimento - gli avevano sparato quatto colpi di pistola.
Era tardi, Lennon tornava a casa da lavoro assaporando già l’abbraccio di suo figlio Sean di cinque anni, prima di andare a letto.
Lui e Yoko Ono, sua moglie ma anche collaboratrice musicale, erano scesi dalla loro limousine bianca, facendosi lasciare sul marciapiede fuori dall'edificio piuttosto che farsi accompagnare al sicuro nel cortile del palazzo.
Yoko si affrettò avanti, annuendo con aria assente a uno sconosciuto nell'ombra - c'erano sempre fans e parassiti in agguato al di fuori del Dakota per un assaggio del loro eroe.
Suo marito arrancava dietro e aveva fatto tre o quattro passi quando una voce gridò: Mr Lennon?
La star rallentò poi si voltò a guardare. Immediatamente, realizzò che aveva visto quell’uomo un paio di volte ultimamente - e, prima di quel giorno, gli aveva anche autografato la copertina di un disco.
Ma ora lo sconosciuto aveva uno scopo diverso. Egli era in ginocchio in posizione di combattimento, e aveva un revolver calibro 38 stretto tra le mani.
Cinque spari e quattro proiettili dum-dum, particolarmente adatti per causare il massimo danno fisico, si conficcarono nella schiena di Lennon, fianco e spalla.
Il musicista riuscì ad arrivare all’ ingresso sospirando: 'Mi hanno colpito, mi hanno colpito!’.
Era morto all'arrivo in ospedale un quarto d'ora dopo.
Nel frattempo, il killer, tarchiato di 25 anni, Mark Chapman, se ne stava in silenzio davanti alla scena. Per terra giaceva la pistola fumante che si era lasciato cadere dalle mani, accanto agli occhiali macchiati di sangue di Lennon.
Appoggiato con nonchalance contro il muro del Dakota, Chapman ha cominciato a sfogliare una copia del libro “Il giovane Holden”, famoso romanzo di JD Salinger sull’ alienazione degli adolescenti, il cui personaggio centrale probabilmente gli ispirò quel gesto.
Quando i poliziotti arrivarono, non tentò di fuggire. Appena fu ammanettato e infilato in una macchina della polizia, disse: 'Ho agito da solo'. Nel quartier generale della zona, disse ai poliziotti: 'Lennon doveva morire'.
Per il mondo, sconvolto dalla morte violenta e inutile di Lennon, Chapman non era altro che un pazzo delirante. Prendeva farmaci ed era psicologicamente disturbato.
Aveva subito atti di bullismo a scuola, si era così rifugiato in un mondo immaginario dove esercitava potere su altre persone.
Un adulto senza radici che non aveva mai avuto un vero e proprio lavoro, aveva trovato conforto nella musica dei Beatles. Aveva identificato la sua solitudine con il lato solitario ed insicuro di Lennon, confondendo le personalità.
Ma la scoperta della ricchezza e del florido impero commerciale di Lennon, fu per lui un’enorme delusione.
Si sentiva tradito, offeso. Ha inseguito e sparato al suo ex eroe per un senso strano di retribuzione, accoppiato al desiderio di essere famoso per qualcosa.
Così è andata la storia.
Ma dopo oltre trent'anni dalla morte di Lennon, emerse una nuova teoria, che metteva in discussione questa spiegazione convenzionale sul movente dell’ omicidio.
Anche se apparentemente inverosimile, se fosse vera farebbe trasalire e atterrire i milioni di fan che ancora idolatrano Lennon.
Nel suo libro, l'autore Phil Strongman, sostiene che Chapman è stato solo un burattino. La vera assassina di Lennon è stata la Cia - per volere di fanatici di destra dell’ assetto politico americano.
Egli arriva a questa conclusione controversa contestando molti dei cosiddetti 'fatti' in merito al caso - tra cui l'ipotesi di base che Chapman fosse un fan dei Beatles e Lennon.
Strongman scrive che, fino alla settimana prima dell'uccisione: 'Chapman, "presunto ossessionato da Lennon e "fan dei fans", non possedeva nemmeno un singolo di Lennon, né un libro né un album. Non uno. Non era un fan né tantomeno un ossessionato". '
Dicono che Chapman avesse 14 ore di registrazioni di Lennon, nel suo zaino, il giorno della sparatoria. Ma di esse non si è mai trovata alcuna traccia.
Questa prova non è stata mai prodotta semplicemente perché non esiste.
Così Chapman non era solo né uno stalker delle celebrità andato troppo oltre, Né, dice Strongman, ha ucciso Lennon per 15 minuti di celebrità.
'Se il suo scopo era attirare attenzione su di se, allora perché si è dichiarato colpevole, lasciando che il suo processo non diventasse il processo del secolo, se il suo scopo era avere fama, allora perché si è lasciato scappare questa possibilità?
Strongman vede nella calma del killer dopo la sparatoria, la chiave di ciò che è accaduto realmente, fornisce prove alla sua teoria secondo cui l’assassinio di John Lennon fu un complotto di stato.
Se Chapman, dopo l’ uccisione, sembrava uno zombie, e attese impassibile la polizia come ci è stato raccontato, è solo perché quella era la reazione più appropriata alla sua persona .
Chapman, egli suggerisce, era stato reclutato dalla CIA e addestrato durante i suoi viaggi in tutto il mondo, è stato visto in posti improbabili, da un ragazzo della Georgia.
Che strano, per esempio, che Chapman sia stato a Beirut in un momento in cui la capitale libanese fu la fucina delle attività della CIA – si è detto che lì avesse sede uno dei campi di assassinio top-secret dell'agenzia.
Un altro campo, presumibilmente, si trovava alle Hawaii, dove Chapman ha vissuto per alcuni anni.
Chi ha finanziato il giro del mondo a Chapman? Come poteva, un giovane senza un soldo nel 1975, essere stato in Giappone, Regno Unito, India, Nepal, Corea, Vietnam e Cina?
Il denaro non è mai sembrato essere un problema per Chapman, ma nessuno ha mai spiegato da dove provenisse. L’ unica spiegazione plausibile rimane, secondo Strongman, che i servizi segreti fossero i suoi datori di lavoro.
Probabilmente la CIA plagiò la mente di Chapman, somministrandogli droghe apposite a ciò e con l'ipnosi. Tutte tecniche utilizzate dalla CIA per formare assassini in grado di uccidere fomentatori di disordini, e sui quali potesse poi ricadere la colpa.
Strongman afferma: 'Catcher In The Rye‘ (il titolo originale del Giovane Holden) faceva parte del programma d’ipnosi di Chapman, una parola d’ ordine che poteva arrivare a lui, attraverso un messaggio registrato su un nastro, un telex, un telegramma o una semplice telefonata.
"E’ anche vero che i teorici della cospirazione hanno a lungo sospettato che sia gli americani sia i loro nemici comunisti utilizzassero tali tecniche per attivare assassini dormienti '- come romanzato nel film The Manchurian Candidate.
L'autore si chiede se Chapman rientrava nella categoria dei killer inconsapevoli o complice inconsapevole.
Ma il suo profondo sospetto è che Chapman non agì da solo - non più, dice, di quanto abbia fatto Lee Harvey Oswald con l'assassinio di JFK a Dallas o di Sirhan Sirhan accusato della morte di Bobby Kennedy. Dubita persino che sia stato Chapman a sparare.
'I proiettili che colpirono Lennon, erano tutti così vicini e persino i medici ebbero difficoltà a precisarne i diversi punti d’ accesso. Se tutti questi colpi provenivano da Chapman, allora la sua fu un’ ‘’opera miracolosa’’.
'In effetti, se ognuno di quei colpi veniva da Chapman l’opera fu miracolosa perché egli era in piedi sulla destra di Lennon e, secondo il referto dell'autopsia e il certificato di morte Lennon riportava solo ferite nella parte sinistra del corpo.'
Qualcun altro doveva essere coinvolto, Strongman insiste. Egli sostiene che forse una spia della CIA che lavorava al Dakota sia stato il vero assassino.
Ciò che fa crescere il suo sospetto è la natura sommaria delle indagini della polizia dopo l'arresto di Chapman.
La sua calma bizzarra post-uccisione non è stato mai messa in discussione, non è stata mai eseguito un test di droga, il suo stato "programmato" (termine usato da più di un ufficiale di polizia) non è stato mai studiato, né tantomeno si è investigato sui suoi movimenti precedenti l’omicidio ('In parole povere, le indagini per l'assassinio furono spaventosamente lente e lacunose. ')
Probabilmente, conclude, l'FBI cospirava con la CIA per nascondere la verità- e cioè che ombre istituzionali americane avevano ordinato l'assassinio di Lennon.
Ma perché Lennon era sulla loro lista ? Aveva, a quanto pare fatto tremare i piani d'America, la potente ala destra, prima con la sua opposizione alla guerra del Vietnam e poi con la sua campagna di pacifismo.
Ed è in questo periodo, che molti di noi che hanno creduto fosse un periodo di pausa necessario per riprendere fiato, che Lennon ha dato sfogo al suo genio, al suo essere un uomo di spettacolo e un esibizionista. Ma era un sognatore, non un attivista pericoloso.
Ha scritto canzoni, ha suonato la chitarra, aveva idee divertenti. Ci ha fatto ridere nonostante la sua irriverenza.
Non aveva intenzione di abbattere il capitalismo. Cercava solo di tenerlo fuori dalla sua vita.
Ancora, il fatto che alcuni dei dossier relativi alle indagini dei servizi segreti sulle attività di Lennon rimangano inaccessibili continuano ad alimentare i sospetti di un insabbiamento.
Strongman scrive: 'Io sono convinto, come qualsiasi essere umano può esserlo, che sia l’FBI sia la CIA abbiano insabbiato i fatti del dicembre 1980. E Sono entrambi profondamente coinvolti nell'uccisione stessa.'
Nel frattempo, Chapman - stalker pazzo o assassino robot - continua a vivere.
Stranamente, se la teoria Strongman è vera, è riuscito a sopravvivere tre decenni in una delle prigioni più violente d'America, nonostante sia a conoscenza di informazioni pericolose.
Chapman è rinchiuso nella prigione di Attica, da quasi 40 anni, per la sua condanna a vita, ben oltre il minimo di 20 anni decretati dal giudice che lo ha condannato.
Quando nel 2006 gli è stato chiesto il perché avesse ucciso Lennon, Chapman ha detto:
'Volevo essere famoso, Volevo attirare grande attenzione, che ho ricevuto.' Nel 2010 ha detto che nel 1980 aveva una lunga lista di potenziali obiettivi, tra cui Liz Taylor, il conduttore televisivo Johnnie Carson e Paul McCartney.
“Erano famosi”, ha detto, ‘uccidendoli avrei ottenuto tanta notorietà in pochissimo tempo’.
Ha colpito Lennon, ha spiegato, solo perché il Dakota è facilmente raggiungibile 'Sentivo che uccidendo lui sarei diventato qualcuno e, invece sono diventato un assassino, e gli assassini non sono qualcuno’. Invece di prendere la mia vita ho preso quella di qualcun altro, per sua sfortuna. '
Nel 2006, la sua quarta domanda per il rilascio - Yoko Ono come sempre si è opposta - è stata rifiutata; ogni due anni ripete la domanda, e ancora nel settembre del 2022, per la dodicesima volta, la domanda è stata rifiutata, dopo 41 anni di carcere.
La tredicesima richiesta di rilascio è in calendario a febbraio 2024.
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venerdì 8 dicembre 2023
giovedì 7 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Il 7 dicembre 1851 l'americano John Gorrie brevetta il frigorifero.
La refrigerazione è il processo di abbassamento e mantenimento della temperatura in un certo spazio allo scopo di raffreddare o mantenere un determinato prodotto. Tale refrigerazione controlla sia lo sviluppo batterico che le reazioni chimiche avverse che si presentano nell'atmosfera normale.
Durante gli ultimi 150 anni circa, i grandi progressi della refrigerazione ci hanno offerto la possibilità di conservare e raffreddare l'alimento, altre sostanze e noi stessi. La refrigerazione abbatte le barriere tra clima e stagione. Mentre ha aiutato alla crescita di tutti i processi industriali, la refrigerazione è diventata un'industria a sé.
Il coltivatore Thomas Moore del Maryland, per primo ha introdotto il termine "frigorifero" nel 1803.
L'uso di ghiaccio, naturale o prodotto, per la refrigerazione era molto diffuso fino poco prima della I° guerra mondiale, quando i frigoriferi meccanici o elettrici sono diventato disponibili.
Il ghiaccio deve la relativa efficacia come refrigerante al fatto che ha una temperatura costante di fusione di 0°C (32°F). Per fondersi, il ghiaccio deve assorbire il calore che ammonta a 333,1 kJ/kg (143,3 Btu/lb).
Il ghiaccio di fusione in presenza di un sale di dissoluzione abbassa il relativo punto di fusione di parecchi gradi, le derrate alimentari potevano essere così mantenute più a lungo.
L'Anidride carbonica solida, conosciuta come ghiaccio secco è usata anche come refrigerante. Non avendo fase liquida a pressione atmosferica normale, sublima direttamente dal solido al vapore ad una temperatura di -78.5°C (-109.3°F)
Nel 1840, vengono utilizzati i primi mezzi stradali e ferroviari principalmente utilizzati per trasportare il latte ed il burro. Nel 1860, il trasporto frigorifero viene esteso anche a pesce e latticini. Il carro ferroviario refrigerato è stato brevettato da J.b. Sutherland di Detroit, Michigan nel 1867.
Fu realizzato con pareti isolate e con contenitori per ghiaccio nelle estremità. L'aria entrando dalla parte superiore dei contenitori viene raffreddata uscendo dalla parte inferiore, circolando così per conduzione naturale. Si sono ridotte le perdite del ghiaccio per fusione dall'80% al 20% a beneficio dei prodotti trasportati.
Il processo di refrigerazione è iniziato nel 1850 con compressione del vapore usando l'aria e successivamente l'ammoniaca come refrigerante.
Con l'avvento dei nuovi impianti meccanici, malgrado i vantaggi apportati, la refrigerazione ha avuto numerosi problemi. I refrigeranti utilizzati come l'anidride solforosa ed il methylchloride provocavano la morte: l'uso per compressione dell'ammoniaca ha avuto un effetto tossico dato da perdite e fuoriuscite nell'impianto.
Frigidaire nel 1928 ha scoperto un nuovo tipo e categoria di refrigeranti sintetici, denominati HALOCARBONS o CFC (clorofluorocarburi). La General Motors ha brevettato tutti i sistemi refrigeranti col CFC nel 1930. Data la rilevante importanza a livello mondiale per la conservazione degli alimenti, alla GM non fu consentito di mantenere per sé il brevetto del sistema refrigerante con CFC. All'intera industria è stata permesso di usare i brevetti e la tecnologia di refrigerazione, commutandoli a nuovi agenti "sicuri" come il Freon (adesso vietato per il danno dello strato di ozono). Senza la scoperta del CFC, "la refrigerazione non sarebbe stata diffusa così capillarmente".
Nella refrigerazione meccanica, il raffreddamento costante è realizzato dalla circolazione di un refrigerante in un sistema chiuso, in cui si volatilizza un gas, poi si condensa, così in ciclo continuo. Se non avviene nessuna perdita nell’impianto, il refrigerante dura indefinitamente durante l'intera durata del sistema.
I due tipi principali di sistemi di refrigerazione meccanici usati sono: il sistema di compressione, usato nelle unità domestiche e per le grandi applicazioni di conservazione in celle frigorifere e di trasporto e per la maggior parte dell’aria condizionata; ed il sistema di assorbimento, ora impiegato in gran parte per le unità di aria condizionata ma precedentemente anche usato per le unità domestiche.
Quasi tutti i primi refrigeranti erano infiammabili, tossici o entrambi ed alcuni inoltre erano altamente reattivi. Gli incidenti erano comuni.
L'operazione di individuazione del refrigerante non infiammabile con buona stabilità è stata data a Thomas Midgley nel 1926. Con i suoi soci Henne e McNary, Midgley ha osservato che i refrigeranti in uso avevano un contenuto relativamente basso di elementi chimici, questi raggruppati in una fila ed in una colonna d'intersezione della tabella periodica degli elementi. L'elemento all'intersezione era fluoro, conosciuto per essere tossico da sé. Tuttavia, Midgley ed i suoi collaboratori hanno ritenuto che i residui che lo contengono dovevano essere non tossici e non infiammabili.
La loro attenzione è passata ai fluoruri organici, circa il punto di ebollizione per tetrafluoromethane (tetrafluoride del carbonio) da confrontare a quelli per altri residui fluorati. La temperatura d'ebollizione corretta, successivamente trovata, era molto più bassa. Tuttavia, il valore errato era nella gamma cercata e condotto alla valutazione dei fluoruri organici come candidati.
La tesi di Shorthand più successivamente introdotta per facilitare l'identificazione dei fluoruri organici, per una ricerca sistematica, è usata oggi come il sistema di numerazione per i refrigeranti. Le indicazioni di numero senza ambiguità indicano le composizioni chimiche e strutture. Nei giorni successivi, Midgley ed i suoi collaboratori avevano identificato il diclorodifluorometano sintetizzato (CC12F2), ora conosciuto come R12.
La prima prova di tossicità è stata effettuata esponendo una cavia al nuovo residuo. Sorprendentemente, l'animale non fu intossicato, ma morì quando la prova venne ripetuta con un altro campione.
L'esame successivo del trifluoruro dell'antimonio (usato per preparare il diclorodifluorometano da tetracloruro di carbonio) ha indicato un agente inquinante. Questo agente, durante la reazione del trifluoruro dell'antimonio con tetracloruro di carbonio, forma il fosgene (CC120) un gas altamente tossico per inalazione, corrosivo per gli occhi e per la pelle. Per dimostrare poi nella nuova formula la sicurezza di questo gas, ad una riunione della società chimica americana, Midgley ha inalato R-12, dando sicurezza nella maneggiabilità della miscela.
Nel 1928, Frigidaire scopre un nuovo tipo e categoria di refrigeranti sintetici, denominati HALOCARBONS o CFC (clorofluorocarburi).
La refrigerazione, partendo dal ghiaccio, ha dato benefici importanti alle industrie della metallurgia: per esempio, il freddo meccanicamente prodotto è stato usato per contribuire a temperare il cutlery e gli attrezzi. La produzione del ferro ha ottenuto una spinta, poiché la refrigerazione ha rimosso l'umidità dall'aria trasportata ai forni, aumentandone la produzione. I laminatoi della industria tessile hanno usato la refrigerazione nella mercerizzazione, nell'imbianchimento e nella tintura. La pelliccia e l'immagazzinaggio di merci di lana in aree refrigerate hanno permesso di eliminare i lepidotteri. La refrigerazione inoltre ha aiutato le fiorerie, soddisfacendo particolarmente le esigenze stagionali poiché i fiori da taglio durano così più a lungo. Un'applicazione sanitaria, la conservazione di corpi umani dopo la morte. Laminatoi di zucchero, confetterie, fabbriche di cioccolato, forni, fornitori del lievito, aziende del tè, tutti hanno trovato nella refrigerazione il loro sviluppo e commercio. Gli hotels, i ristoranti, saloni, sono divenuti utilizzatori della refrigerazione. La refrigerazione nelle fabbriche di munizioni ha fornito un controllo rigoroso richiesto da temperature e dell'umidità.
Beneficiari in primis della refrigerazione sono state le aziende di lavorazione della carne, ai formaggi e prodotti ittici, al resto dei prodotti deperibili, portando ad oggi nei trasporti frigoriferi a temperatura controllata tecnologia e qualità, a puro vantaggio per il loro commercio e mantenimento, ma cosa essenziale la qualità della nostra alimentazione.
La refrigerazione è parte integrante della nostra vita, oggi più che mai.
mercoledì 6 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 6 dicembre.
Il 6 dicembre la religione cristiana celebra San Nicola (Santa Claus).
San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente.
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.
Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”).
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita.
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata.
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.
Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore.
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.
Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province.
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della volontà di Dio.
Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani.
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti.
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro, sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325.
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco. Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede.
Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.
Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.
Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.
Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.
È poco noto che Venezia spartisce con Bari la custodia delle reliquie di San Nicola. I Veneziani, infatti, non si erano rassegnati all'incursione dei baresi e nel 1099-1100, durante la prima crociata, approdarono a Myra, dove fu loro indicato il sepolcro vuoto dal quale i baresi avevano trafugato le ossa. Tuttavia qualcuno rammentò di aver visto celebrare le cerimonie più importanti, non sull'altare maggiore, ma in un ambiente secondario. Fu in tale ambiente che i veneziani rinvennero una gran quantità di minuti frammenti ossei che i baresi non avevano potuto prelevare. Questi vennero traslati nell'abbazia di San Nicolò del Lido.
San Nicolò venne quindi proclamato protettore della flotta della Serenissima e la chiesa divenne un importante luogo di culto. San Nicolò era infatti venerato come protettore dei marinai, non a caso la chiesa era collocata sul Porto del Lido, dove finiva la laguna e cominciava il mare aperto. A San Nicolò del Lido terminava l'annuale rito dello sposalizio del Mare.
Solo in tempi recenti, l'autenticità delle spoglie veneziane è stata accertata, ponendo fine a una secolare contesa fra le due città
Il 6 dicembre la religione cristiana celebra San Nicola (Santa Claus).
San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente.
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.
Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”).
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita.
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata.
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.
Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore.
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.
Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province.
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della volontà di Dio.
Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani.
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti.
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro, sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325.
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco. Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede.
Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.
Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.
Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.
Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.
È poco noto che Venezia spartisce con Bari la custodia delle reliquie di San Nicola. I Veneziani, infatti, non si erano rassegnati all'incursione dei baresi e nel 1099-1100, durante la prima crociata, approdarono a Myra, dove fu loro indicato il sepolcro vuoto dal quale i baresi avevano trafugato le ossa. Tuttavia qualcuno rammentò di aver visto celebrare le cerimonie più importanti, non sull'altare maggiore, ma in un ambiente secondario. Fu in tale ambiente che i veneziani rinvennero una gran quantità di minuti frammenti ossei che i baresi non avevano potuto prelevare. Questi vennero traslati nell'abbazia di San Nicolò del Lido.
San Nicolò venne quindi proclamato protettore della flotta della Serenissima e la chiesa divenne un importante luogo di culto. San Nicolò era infatti venerato come protettore dei marinai, non a caso la chiesa era collocata sul Porto del Lido, dove finiva la laguna e cominciava il mare aperto. A San Nicolò del Lido terminava l'annuale rito dello sposalizio del Mare.
Solo in tempi recenti, l'autenticità delle spoglie veneziane è stata accertata, ponendo fine a una secolare contesa fra le due città
martedì 5 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 5 dicembre.
Il 5 dicembre 1945 cinque aerei del volo 19 della Us Air Force scompaiono misteriosamente nel triangolo delle Bermude.
Il triangolo delle Bermude è un’area dell’Oceano Atlantico settentrionale compresa tra Miami, le isole Bermuda e Porto Rico. Per decenni il leggendario Triangolo dell’Atlantico ha catturato l’immaginazione umana con sparizioni inspiegabili di navi, aerei e persone. Già dai primi anni ’50, fonti di cronaca riportarono numerose imbarcazioni e velivoli drammaticamente scomparsi, inclusa la sparizione del Volo 19 e di un gruppo di cinque navi della United States Navy. Famosa, nel 1974, l’opera “Bermuda, il triangolo maledetto, 1974” di Charles Berlitz. Nel tempo si sono susseguite ipotesi più o meno fantasiose, includendo persino forze sconosciute di entità aliene o l’influenza di oggetti appartenenti al continente perduto di Atlantide. Vortici spazio-temporali e idee stravaganti che suscitano un fascino particolare, ma che con la realtà hanno ben poco da condividere. Sono tante anche le interpretazioni scientifiche che hanno trovato spazio negli ultimi anni, alcune delle quali convincenti. Le intemperie, prime tra tutte, potrebbero spiegare tanti incidenti avvenuti in questo luogo così avvolto dal mistero. La maggior parte delle tempeste tropicali atlantiche e gli uragani passano proprio attraverso il triangolo delle bermude, mettendo a dura prova le abilità di piloti e comandanti. Alcuni ricercatori hanno anche incluso la possibilità che il gas metano in risalita dai sedimenti oceanici sia in grado di inghiottire le imbarcazioni a causa della formazione di bolle di gas che determinano una diminuzione della densità dell’acqua. Un nesso non accertato, ma probabile, dal momento che i fondali del triangolo delle Bermuda hanno concentrazioni di idrati di metano elevatissime, tra le più alte al mondo.
Secondo la US Navy e la US Coast Guard, tuttavia, il triangolo delle Bermuda non sarebbe un luogo misterioso, dal momento che il numero di incidenti non è affatto superiore a quello di una qualsiasi altra regione ad alta densità di traffico aeronavale. L’incidentalità, sempre secondo la Guardia Costiera degli Stati uniti, è nella norma per la quantità di traffico, e molti degli incidenti avvenuti sarebbero derivati da normali cause fisiche e meccaniche. La forza della natura, la fallibilità umana e la grande popolarità conferita dai media, supererebbero di gran lunga anche la fantascienza. Sempre secondo le autorità locali, non esistono mappe ufficiali che delineano i confini del Triangolo, per cui molti degli incidenti avvenuti al largo dell’arcipelago sarebbero stati “spostati” nel cuore dell’area. L’istituto U.S. Board of Geographic Names, tra le altre cose, non include il triangolo delle Bermude tra i nomi ufficiali e non possiede alcun file sul territorio, includendo i vertici come immaginari. Quello che appariva come uno dei luoghi più misteriosi del globo è in realtà un’area oceanica come tante, resa celebre da scrittori e registi. Caratterizzata da condizioni meteorologiche talvolta proibitive, l’area non è altro che una delle zone più belle del nostro pianeta, che va rispettata e tutelata. Il mistero è risolto.
Il 5 dicembre 1945 cinque aerei del volo 19 della Us Air Force scompaiono misteriosamente nel triangolo delle Bermude.
Il triangolo delle Bermude è un’area dell’Oceano Atlantico settentrionale compresa tra Miami, le isole Bermuda e Porto Rico. Per decenni il leggendario Triangolo dell’Atlantico ha catturato l’immaginazione umana con sparizioni inspiegabili di navi, aerei e persone. Già dai primi anni ’50, fonti di cronaca riportarono numerose imbarcazioni e velivoli drammaticamente scomparsi, inclusa la sparizione del Volo 19 e di un gruppo di cinque navi della United States Navy. Famosa, nel 1974, l’opera “Bermuda, il triangolo maledetto, 1974” di Charles Berlitz. Nel tempo si sono susseguite ipotesi più o meno fantasiose, includendo persino forze sconosciute di entità aliene o l’influenza di oggetti appartenenti al continente perduto di Atlantide. Vortici spazio-temporali e idee stravaganti che suscitano un fascino particolare, ma che con la realtà hanno ben poco da condividere. Sono tante anche le interpretazioni scientifiche che hanno trovato spazio negli ultimi anni, alcune delle quali convincenti. Le intemperie, prime tra tutte, potrebbero spiegare tanti incidenti avvenuti in questo luogo così avvolto dal mistero. La maggior parte delle tempeste tropicali atlantiche e gli uragani passano proprio attraverso il triangolo delle bermude, mettendo a dura prova le abilità di piloti e comandanti. Alcuni ricercatori hanno anche incluso la possibilità che il gas metano in risalita dai sedimenti oceanici sia in grado di inghiottire le imbarcazioni a causa della formazione di bolle di gas che determinano una diminuzione della densità dell’acqua. Un nesso non accertato, ma probabile, dal momento che i fondali del triangolo delle Bermuda hanno concentrazioni di idrati di metano elevatissime, tra le più alte al mondo.
Secondo la US Navy e la US Coast Guard, tuttavia, il triangolo delle Bermuda non sarebbe un luogo misterioso, dal momento che il numero di incidenti non è affatto superiore a quello di una qualsiasi altra regione ad alta densità di traffico aeronavale. L’incidentalità, sempre secondo la Guardia Costiera degli Stati uniti, è nella norma per la quantità di traffico, e molti degli incidenti avvenuti sarebbero derivati da normali cause fisiche e meccaniche. La forza della natura, la fallibilità umana e la grande popolarità conferita dai media, supererebbero di gran lunga anche la fantascienza. Sempre secondo le autorità locali, non esistono mappe ufficiali che delineano i confini del Triangolo, per cui molti degli incidenti avvenuti al largo dell’arcipelago sarebbero stati “spostati” nel cuore dell’area. L’istituto U.S. Board of Geographic Names, tra le altre cose, non include il triangolo delle Bermude tra i nomi ufficiali e non possiede alcun file sul territorio, includendo i vertici come immaginari. Quello che appariva come uno dei luoghi più misteriosi del globo è in realtà un’area oceanica come tante, resa celebre da scrittori e registi. Caratterizzata da condizioni meteorologiche talvolta proibitive, l’area non è altro che una delle zone più belle del nostro pianeta, che va rispettata e tutelata. Il mistero è risolto.
lunedì 4 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 4 dicembre.
Il 4 dicembre 1969 Fred Hampton e Mark Clark, 2 membri delle Pantere Nere, vengono uccisi in una incursione della polizia di Chicago.
Un pomeriggio d'autunno del 1966 un'auto della polizia californiana in normale servizio di perlustramento nel ghetto nero di Oakland, giunta all'altezza di Grove Street rallentò e si fermò davanti ad un capannello di persone: su una catapecchia in mattoni rossi un cartello di legno portava la scritta Black Panthers Party for self-defense ( Partito delle Pantere Nere per l'autodifesa ): ne uscirono sei o sette neri armati di carabine, pistole e fucili a pallettoni. L'auto della polizia scivolò via rapidamente e per radio dette l'allarme alla centrale .
Due delle persone di colore - uno studente in legge di 24 anni a nome Huey Newton e un attore di varietà fallito di 27 anni, Bobby Seale - salirono su una vecchia Ford del 1956 parcheggiata lì davanti e si misero tranquillamente ad aspettare, con le armi in bella vista. Dopo pochi minuti, arrivarono quattro auto della polizia. Un agente con la pistola in pugno si avvicinò e chiese a Newton :"Ehi, che diavolo credete di fare con tutte quelle armi ?" "E tu con la tua ?" rispose impassibile Newton. Mentre si stava radunando una piccola folla di neri, Huey scese e mise un colpo in canna alla sua carabina M-1. I poliziotti cominciarono a preoccuparsi e ad allontanare i passanti. La discussione continuò per qualche minuto, sempre più tesa, poi la polizia, di fronte non tanto alle armi, quanto allo sfoggio inaudito di consapevolezza giuridica dei propri diritti fornito da quei neri, fece marcia indietro e sparì. Questo episodio, raccontato da Bobby Seale nel suo libro "Seize the time (Cogli l'occasione), segna il primo confronto, con il codice e con le armi, tra il Black Panther Party e l'ordine costituito dall'America bianca. Nei molti e spesso sanguinosi conflitti che ad esso seguiranno fra quello scorcio del 1966 e la fine del 1971 passa come una meteora, dall'oscurità, alla fama, all'annientamento, la storia del più celebre movimento di colore del dopoguerra.
Oakland (all'epoca 450.000 abitanti di cui 200.000 di colore ) era un prototipo di piccola città industriale americana che riproduce, esasperandoli, tutti i problemi del Paese, con il suo "campus" universitario in ebollizione, il suo ghetto colmo di giovani disoccupati, la tensione razziale. Huey Newton e Bobby Seale, i due fondatori delle "Pantere Nere", non sono né dei poveri disperati né dei rivoluzionari di professione. Risiedendo nel ghetto, assistono quotidianamente alle sopraffazioni della polizia bianca contro la gente nera e sanno che non tutti in questa polveriera, soprattutto i giovani, sono disposti a sopportare in eterno. Vivendo però e studiando anche nel campus del Meritt College, la lettura di opere quali "I dannati della terra di Fanon", l'autobiografia di Malcolm X, i pensieri di Mao, e allo stesso tempo la constatazione comune a tanti studenti bianchi radicali del fallimento dei sit-ins e delle marce per i diritti civili nel Sud, li spingono a cercare nuove forme di lotta. Intanto, le rivolte dei ghetti di Haarlem (New York, 1964) e di Watts (Los Angeles,1965) e l'assassinio di Malcolm X (New York, 21 febbraio 1965) sembrano aver aperto un nuovo e più drammatico corso al movimento fino ad allora prevalentemente riformistico per l'affermazione del Black Power, il potere nero. Questo sfondo di tensione e di violenza nell'America johnsoniana, sempre più pesantemente coinvolta all'esterno in quella guerra del Vietnam che sarà l'altro vessillo ideologico della rivolta giovanile, spiega come la modesta scintilla accesa da Newton e Seale sia rapidamente dilagata, snaturando forse l'essenza iniziale del movimento, che era ingenuamente riformistica e legalitaria.
La prima "scoperta" di Newton, studente in legge è infatti che nello stato della California è consentito girare armati per "legittima difesa", e che in macchina un cittadino può liberamente portare una pistola con un colpo in canna. Ma soprattutto che il codice garantisce a tutti, anche in caso di arresto, una vastissima gamma di diritti. Solo che, nel caso dei neri, questi diritti vengono quasi sistematicamente violati: anche a causa della totale ignoranza di troppa gente di colore, e della naturale abitudine dei poliziotti bianchi a trattare i neri non come cittadini dell'America, ma di una colonia chiamata ghetto. Newton e Seale raccattano fondi vendendo per un dollaro l'uno libricini rossi dei Pensieri di Mao comprati a 25 cents da un importatore cinese, e con i primi 200 dollari comprano fucili e organizzano bande armate di giovani neri, che cominciano a pattugliare in auto le strade del ghetto di Oakland con l'incarico di "sorvegliare" i poliziotti perché non commettano angherie contro la gente di colore, e non compiano arresti pretestuosi. A questi ragazzi delle pattuglie Newton ha fatto imparare a memoria quello che nel 1969 verrà poi codificato come Piccolo manuale di pronto soccorso legale in tredici punti. E non a caso la denominazione completa che alla fine del settembre 1966 era stato fondato da Huey Newton e da Bobby Seale (essendo anche gli unici iscritti al momento, si erano attribuiti l'un l'altro la carica rispettivamente di Ministro della Difesa e di Presidente) è Black Panthers Party For Self-Defense, per l'autodifesa. Quello è il senso originario delle armi e del codice: ma questi due simboli contengono in potenza anche un messaggio rivoluzionario esplosivo, e cioè la creazione di uno "Stato alternativo" che demitizza il sistema giuridico e di potere americano messo in piedi dalla razza bianca, e tenta di sostituirlo con un sistema di ideali, di leggi, di potere nero. Il Black Power appunto.
In forma semplicistica, ma proprio per questo estremamente popolare e suggestiva, Bobby Seale nel libro già citato racconta così la nascita del movimento :".... Quando dunque organizzammo il Partito di legittima difesa delle Pantere Nere, Huey mi disse: "Bobby, bisogna che elaboriamo un programma tale che le nostre madri che hanno sgobbato tanto per tirarci su, i nostri padri che hanno lavorato duro per nutrirci, i nostri fratelli minori che vanno a scuola ma ne usciranno semianalfabeti, capaci a stento di leggere, in grado di pronunciare solo parole storpiate, siano tutti in grado di capirlo…". "In primo luogo vogliamo libertà, vogliamo essere in grado di condizionare il destino delle nostre comunità nere. Secondo: vogliamo il pieno impegno per la nostra gente. Terzo: vogliamo case degne di esseri umani. Quarto: vogliamo che tutti i neri di sesso maschile siano esentati del servizio militare. Quinto: vogliamo un' istruzione come si deve per i nostri neri, in seno alle nostre comunità, tale da svelarci la vera natura della società decadente e razzista in cui viviamo, e che indichi ai nostri fratelli e sorelle qual è il loro posto nella società perché se lo ignorano non c'è nulla su cui possiamo contare. Sesto: vogliamo che sia messo l'alt ai latrocini esercitati dagl'imprenditori bianchi razzisti a spese dei neri nelle comunità nere. Settimo: vogliamo che si ponga immediatamente fine alle brutalità e agli assassini di neri da parte della polizia. Ottavo: vogliamo che tutti i neri detenuti nelle carceri siano rilasciati perché non hanno avuto un equo processo, dal momento che sono stati condannati da giurie composte esclusivamente di bianchi, ciò che costituisce l'esatto equivalente di quanto accadeva nella Germania nazista agli ebrei. Nono: vogliamo che i neri, se devono essere processati, lo siano da gente come loro, intendendo individui che hanno la stessa estrazione economica, sociale, religiosa, storica e razziale. Decimo, e per riassumere: vogliamo terra, vogliamo pane, vogliamo case, vogliamo di che coprirci, vogliamo giustizia e vogliamo pace. ". L'attività del partito ebbe inizio con una serie di comizi improvvisati nel ghetto, di riunioni nelle sede di Grove Street, e con una febbrile azione di reclutamento: secondo la leggenda , la terza Pantera fu Bobby Hutton, che aveva appena 15 anni (sarà ucciso 2 anni dopo dalla polizia, nello stesso ghetto di Oakland). I molti altri che si iscrivono, attratti più dalle armi e dalla suggestiva divisa paramilitare (calzoni neri, giacca di cuoio nera, basco nero, fucile nero) che non dall'ideologia, sono per ora nella stragrande maggioranza giovani neri che hanno fatto parte di gang giovanili (come Davide Hilliard, nominato "Segretario per l'organizzazione" ), e hanno conosciuto il carcere, le sparatorie , le bastonate dei poliziotti.
Da Oakland, il fenomeno delle Black Panthers si allarga a tutta la baia di San Francisco, dal ghetto le adesioni si estendono anche ai "campus" per opera dei radicali bianchi: i giornali ne parlano, cominciano a circolare le prime fotografie. Dall'underground le "Pantere" si avviano a diventare un mito. Nel dicembre 1966 intanto esce di prigione in California, dopo aver scontato nove anni per assalto a mano armata e tentato omicidio, Eldridge Cleaver: è un ragazzo di 21 anni, anche lui nato nella Middle Class nera ( il padre è cameriere su un treno di lusso), ma fin dall'adolescenza sbattuto da una prigione all'altra, prima per un furtarello, poi quand'è ancora studente alle medie per spaccio di marijuana. Alto quasi due metri e dotato di un'agilità felina, aveva davanti a sé una carriera di idolo del football americano, ma le scarpe chiodate resteranno per sempre appese al chiodo. A Soledad, il carcere che tanta sinistra importanza avrà nei destini delle "Pantere Nere" (George Jackson fu accusato insieme a due "fratelli", di avervi percosso a morte una guardia, dopo che tre detenuti neri erano stati uccisi: e di qui inizia la vicenda dei Soledad Brothers che porterà all'arresto di Angela Davis, alla morte di Jonathan Jackson nel tentativo di liberare due "Pantere" durante un processo e all'assassinio dello stesso George Jackson nel penitenziario di San Quentin), Eldridge Cleaver matura la sua coscienza rivoluzionaria: impara a scrivere, sviluppa le sue ossessioni, principale fra tutte lo stupro della donna bianca come atto insurrezionale. "Il carcere" dirà più tardi in Soul on Ice, l'opera letterariamente più valida del movimento "ti assicura una sorta di stravolta pace dello spirito. Hai a disposizione ore e ore, in cui sai che nulla accadrà: per anni non devi preoccuparti di vita sociale, balli, ragazze; non devi neppure prenderti cura della tua biancheria. La mente ti si fa acuta, studi e impari. E sondi te stesso". Sempre in carcere, dove tornerà dopo essere stato rilasciato, scopre il movimento dei "musulmani Neri" e divenne Eldridge X, ministro del culto per la comunità nera del carcere, intrecciando una fitta corrispondenza con vari avvocati bianchi liberali. Uno di questi è una donna, Beverly Axelrod, molto introdotta negli ambienti culturali radicali di San Francisco e collaboratrice della rivista cattolica di sinistra Ramparts. Tra i due nasce un amore, e la Axelrod imbastisce una campagna di stampa per il rilancio di Cleaver. Quando lui è rimesso in libertà, nel dicembre 1966, gli trova un posto come collaboratore della rivista. In occasione dell'arrivo a San Francisco della vedova di Malcolm X, Betty shabazz, Cleaver conosce le "Pantere" Newton e Seale, che hanno organizzato un corteo armato per proteggerla. Si unisce così al Black Panther Party, portandovi un duplice contributo che avrà un'importanza determinante: lo spirito della rivoluzione nera emerso negli ultimi tempi nella dottrina di Malcolm X e della sua fazione dei Black Muslims, e l'appoggio di stampa, di ideologia e di mezzi finanziari della intellighentsia radicale bianca. Sono questi due contributi che fanno compiere al Black Panthers Party il salto della self-defense (non a caso questa parola verrà cancellata dalla dizione ufficiale del partito) a velleità rivoluzionarie e alla vera confrontazione con il sistema.
La repressione non tarda a venire : Il 2 maggio 1967 il Parlamento di California si riunisce a Sacramento per votare una legge che proibisce ai neri di portare le armi. Il Black Panther Party reagisce con una sfida: 30 "Pantere" irrompono, armi in pugno, nella sala di riunione, e leggono un documento nel quale si accusa lo Stato di voler "reprimere il diritto dei neri all'autodifesa". E' un gesto spettacolare che, ripreso in diretta dalla televisione, scatena l'entusiasmo nei ghetti di tutte le maggiori città americane e fa affluire a centinaia nuove iscrizioni al partito (che tuttavia, nel 1969, non supererà mai i 5.000 iscritti). Ma il 12 ottobre dello stesso anno, in seguito ad una sparatoria in cui un poliziotto di Oakland viene ucciso, Huey Newton è arrestato con l'accusa di omicidio. Cleaver, che nel frattempo sta emergendo come il leader della corrente rivoluzionaria del movimento, cerca l'apporto di nuove forze. Nel febbraio 1968 confluiscono nel Black Panthers Party lo SNCC (Students' Non -Violent Coordinating Committee) di Stokeley Carmicheal e Rap Brown, che sono i massimi teorici e gli elementi di punta del Black Power, e il Pace and Freedom Party (partito della Pace e della Libertà), un partito di radicali bianchi con molte simpatie tra gli studenti dello SDS (Students for a Democratic Society). Sono forze nuove e nuovi soldi, provenienti dalle fonti più disparate quali gli studenti, i ricchi progressisti, la gente del ghetto, il partito comunista americano. Certo, servono a pagare pesanti cauzioni come quella di 30 milioni che servirà a mettere in libertà provvisoria Newton, ma nello stesso tempo questo pericoloso convergere di un certo tipo di consensi spinge le Black Panthers verso l'illusione di essere pronte per la sfida all' America bianca, e incomincia a rendere più diffidenti le massa nere moderate. Si delinea insomma quella "doppia anima" del partito, quella spaccatura - ancora non avvertita dai più - che porterà le "Pantere" alla scissione e alla morte. Il primo effetto clamoroso della fusione è intanto quello di presentare Cleaver come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti per le elezioni di novembre (otterrà 200.000 voti). Mentre in tutto il mondo soffia il gran vento della contestazione giovanile, e il maggio di Parigi è alle soglie, in America il sistema risponde pesantemente alla sfida. Il 4 aprile 1968 Martin Luther King, l'apostolo della non-violenza è assassinato a Memphis (Tennessee) da James Earl Ray ( almeno, questo è l'uomo che si dichiarerà colpevole e verrà condannato a 99 anni di prigione ) .
Mentre i ghetti neri sono in subbuglio e le "Pantere Nere" invitano alla calma per motivi tattici, il 6 aprile a Oakland gli agenti circondano il quartiere generale del partito in Grove Street, col pretesto di una perquisizione. A poca distanza, tre auto con sette "Pantere" a bordo, circolano lentamente in perlustrazione. In quella di testa ci sono Cleaver con Bobby Hutton: li supera un auto della polizia a fari spenti, li blocca e ordina loro di uscire con le mani in alto. Segue uno scambio di colpi. Hutton viene ucciso : Cleaver, ferito ad una gamba, viene prima portato in ospedale e poi imprigionato assieme agli altri cinque per "attacco a mano armata". L'anno della grande sfida al sistema si chiude con la maggior parte dei capi del partito in carcere in carcere o in libertà provvisoria, mentre Richard Nixon, eletto Presidente con uno strettissimo margine sul candidato democratico Humphrey (43,4 contro 42,7% dei voti), promette al paese il ritorno alla "Legge e all'Ordine". Lo sbandamento nelle file delle Black Panthers e le infiltrazioni di elementi provocatori manovrati dall' F.B.I. non tardano a dare i loro frutti. In gennaio, due vice-ministri delle "Pantere", Carter e Huggins, sono assassinati all'università di Los Angeles. In aprile a New York il Procuratore Generale rinvia a giudizio 13 membri del partito ( 11 uomini e 2 donne ) accusati di aver tentato di sistemare cariche di esplosivo nel giardino botanico di Brooklyn, in 5 cinque grandi magazzini e in una stazione della Metropolitana. L'accusa si basa sulla testimonianza di tre agenti dell'F.B.I. che, fingendosi radicali bianchi, si erano infiltrati nel gruppo terrorista. In maggio, la polizia arresta Bobby Seale, presidente del Partito sotto l'accusa di aver fatto torturare e assassinare Alex Rackley, un iscritto sospettato di tradimento. Cleaver intanto rilasciato del Carcere, fugge prima a Cuba e poi in Algeria. In dicembre, a Chicago, 14 poliziotti armati di pistole e fucili mitragliatori fanno irruzione alle 4 del mattino : Fred Hampton, capo del locale "Stato Maggiore" delle "Pantere", e Mark Clark sono assassinati mentre sono ancora a letto. A New York fa intanto storia un ricevimento organizzato in casa di Leonard Bernstein, il celebre direttore d'orchestra e compositore: ospiti d'onore, in mezzo a signore ingioiellate e ad alcuni fra i nomi più prestigiosi della cultura e dello spettacolo, sono alcune "Pantere" venute "in tenuta di guerra". Il New York Times commenta "..Questo cosiddetto partito è ormai l'incrocio fra un'ideologia mao-marxista e una organizzazione paramilitare di tipo fascista. Certamente i diritti costituzionali dei suoi membri vanno rispettati; ma ricevimenti come quelli di Bergstein degradano chi li offre come chi vi partecipa, e sono un insulto alla memoria di Martin Luther King ....".
Quando Huey Newton esce di prigione, ai primi di agosto del 1970, trova un partito già in via di disgregazione: il legame con la base nera del ghetto, che si era tentato di rinsaldare un anno prima con tutto un programma di "colazioni per i bambini neri poveri" e di "scuole della liberazione" per i giovani, è diventato sempre più precario. Di contro, più pesante è diventata sul partito l'ipoteca ideologica e finanziaria dei radicali bianchi, mentre da Algeri Cleaver seguita a predicare la "rivoluzione armata". Il 7 agosto, dopo la sparatoria nel tribunale della contea di Marin in California dove vengono uccisi Jonathan Jackson, altre due "Pantere" e un giudice, Angela Davis viene accusata di aver fornito le armi per il complotto e successivamente arrestata dall'F.B.I. Angela, la brillante ex allieva di Marcuse, studentessa alla Sorbona e in Germania, iscritta al Partito Comunista, diventa di colpo, grazie alla pubblicità fattale dalla stampa, il personaggio principale della rivolta nera. E proprio questo fatto dimostra il fallimento delle "Black Panthers" sia come partito che doveva stabilire un legame con le masse, sia come gruppuscolo rivoluzionario che è stato prontamente scavalcato non appena i suoi esponenti sono finiti in galera o hanno smesso di «far notizia» perché hanno perso il loro fascino romantico di fronte a quella intellighentsia pronta ad adottare subito nuovi personaggi più alla moda come Angela Davis o più drammatici come George Jackson. La crisi interna esplode agli inizi del 1971: David Hilliard, un fedelissimo seguace di Newton e di Seale fin dagli inizi, assume l'incarico di «Ispettore generale» e cerca di ampliare la funzione del partito al servizio della comunità nera, criticando quella impostazione rivoluzionaria di Cleaver che, secondo il gruppo di Oakland, condurrà il partito alla distruzione ad opera della polizia e dell'FBI, o lo costringerà alla lotta sotterranea staccandolo così dalla sua base naturale e popolare, che rimane quella del ghetto.
Questa nuova impostazione ha il pieno appoggio del Partito Comunista americano, ma viene respinta dai gruppi di New York e di Kansas city che, capeggiati da David Cox, sostengono che questo tentativo di salvare il partito in un momento difficile, significa in realtà svuotarlo di ogni forza e farlo regredire. Il 26 febbraio, sbigottiti, i telespettatori americani assistono «in diretta», come è ormai normale per tanti avvenimenti tragici o esaltanti della loro storia, alla spaccatura ufficiale delle "Black Panthers". L'ospite presente in studio è Huey Newton, il suo interlocutore è Eldridge Cleaver in collegamento telefonico da Algeri. Newton afferma che il terrorismo, quando è fine a se stesso, pregiudica ogni movimento rivoluzionario e serve solo a favorire la repressione poliziesca. Cleaver chiede l'espulsione di Hilliard per aver «diviso il partito», Newton accusa lui di «corruzione» e di «nefasta influenza». Poche settimane dopo, l'organo del partito, "Black Panther", esce con in copertina la figura della moglie di Cleaver, Kathleen, che ha sul volto i segni di percosse: la scritta dice «Liberiamo tutti i prigionieri politici». Nell'articolo, Cleaver viene accusato di averla seviziata e di aver ucciso e sotterrato il suo presunto amante, un nero americano che era fuggito da Cuba dirottando un aereo.
Cleaver reagisce espellendo Newton dal partito, e accusandolo a sua volta di «imborghesimento» (per il fatto di vivere a Oakland in un attico dove paga l'equivalente di 400 mila lire al mese dell'epoca di affitto), di amicizie omosessuali e di corruzione (perché si fa pagare ogni conferenza l'equivalente di un milione e mezzo di lire, che si guarda bene dal distribuire al partito). Sulla scia di queste roventi polemiche nascono perfino i primi bagliori di una «guerra civile» fra «Pantere» delle due opposte fazioni: un seguace di Cleaver viene ucciso ad Harlem, e qualche settimana dopo in uno scantinato si trova massacrato un seguace di Newton. In marzo, Stokeley Carmichael dichiara in una intervista a un giornale: «Le Pantere Nere sono praticamente finite». Anche Angela Davis è finita più o meno nel dimenticatoio, travolta dall'implacabile meccanismo di quella instant history americana, che vuole sempre nuovi eroi (siano rivoluzionari o prodotti del sistema non fa differenza) per altrettanto rapidamente bruciarli. ll suo libro Angela Davis, An Autobiography, per il quale l'editore quando Angela era sulla cresta dell'onda le aveva versato cento milioni di anticipo, ha avuto poche recensioni e scarso successo. Delle "Black Panthers" non vi è quasi più traccia negli archivi dei giornali americani per il periodo successivo al 1971. Le uniche città dove il Black Panther Party mantenne un minimo di organizzazione furono Chicago, Washington e Oakland.
Qui, i due fondatori originari, sopravvissuti alla violenza della repressione a molti processi, allo scisma, si rifecero una verginità col ritorno del Partito al riformismo e alla legalità. Bobby Seale nel 1973 ha speso 300 milioni in una campagna per l'elezione a sindaco di Oakland. Non ha vinto, ma ha ottenuto un buon successo con 40.000 voti, dopo aver condotto per mesi una campagna basata sulla cooperazione razziale, il doposcuola per i bambini del ghetto, la protezione dei vecchi e delle donne nere dalla violenza, la lotta contro la droga e l'analfabetismo. Nel 1992, interpretò un piccolo ruolo in Malcolm X, film diretto da Spike Lee. e dal 2002 si occupa di educazione giovanile.
Huey Newton visse quasi asceticamente nella sua famosa "prigione dorata" in un grattacielo nella zona residenziale di Oakland. Nel 1974 fu accusato dell'omicidio di una prostituta diciassettenne. Huey non si presentò al processo, e venne inserito dall'FBI nella lista delle persone più ricercate. Scappò a Cuba, dove trascorse tre anni in esilio. Nel 1977 Newton tornò negli USA per sostenere il processo, perché, a suo dire, il clima politico era cambiato e ora avrebbe potuto avere un giusto processo. Fu quindi assolto dall'accusa di omicidio. Il 22 agosto 1989 Huey fu ucciso dal ventiquattrenne Tyrone Robinson che, reo confesso, fu giudicato colpevole nel processo conclusosi nel 1991 e condannato a trentadue anni di carcere.
Il 4 dicembre 1969 Fred Hampton e Mark Clark, 2 membri delle Pantere Nere, vengono uccisi in una incursione della polizia di Chicago.
Un pomeriggio d'autunno del 1966 un'auto della polizia californiana in normale servizio di perlustramento nel ghetto nero di Oakland, giunta all'altezza di Grove Street rallentò e si fermò davanti ad un capannello di persone: su una catapecchia in mattoni rossi un cartello di legno portava la scritta Black Panthers Party for self-defense ( Partito delle Pantere Nere per l'autodifesa ): ne uscirono sei o sette neri armati di carabine, pistole e fucili a pallettoni. L'auto della polizia scivolò via rapidamente e per radio dette l'allarme alla centrale .
Due delle persone di colore - uno studente in legge di 24 anni a nome Huey Newton e un attore di varietà fallito di 27 anni, Bobby Seale - salirono su una vecchia Ford del 1956 parcheggiata lì davanti e si misero tranquillamente ad aspettare, con le armi in bella vista. Dopo pochi minuti, arrivarono quattro auto della polizia. Un agente con la pistola in pugno si avvicinò e chiese a Newton :"Ehi, che diavolo credete di fare con tutte quelle armi ?" "E tu con la tua ?" rispose impassibile Newton. Mentre si stava radunando una piccola folla di neri, Huey scese e mise un colpo in canna alla sua carabina M-1. I poliziotti cominciarono a preoccuparsi e ad allontanare i passanti. La discussione continuò per qualche minuto, sempre più tesa, poi la polizia, di fronte non tanto alle armi, quanto allo sfoggio inaudito di consapevolezza giuridica dei propri diritti fornito da quei neri, fece marcia indietro e sparì. Questo episodio, raccontato da Bobby Seale nel suo libro "Seize the time (Cogli l'occasione), segna il primo confronto, con il codice e con le armi, tra il Black Panther Party e l'ordine costituito dall'America bianca. Nei molti e spesso sanguinosi conflitti che ad esso seguiranno fra quello scorcio del 1966 e la fine del 1971 passa come una meteora, dall'oscurità, alla fama, all'annientamento, la storia del più celebre movimento di colore del dopoguerra.
Oakland (all'epoca 450.000 abitanti di cui 200.000 di colore ) era un prototipo di piccola città industriale americana che riproduce, esasperandoli, tutti i problemi del Paese, con il suo "campus" universitario in ebollizione, il suo ghetto colmo di giovani disoccupati, la tensione razziale. Huey Newton e Bobby Seale, i due fondatori delle "Pantere Nere", non sono né dei poveri disperati né dei rivoluzionari di professione. Risiedendo nel ghetto, assistono quotidianamente alle sopraffazioni della polizia bianca contro la gente nera e sanno che non tutti in questa polveriera, soprattutto i giovani, sono disposti a sopportare in eterno. Vivendo però e studiando anche nel campus del Meritt College, la lettura di opere quali "I dannati della terra di Fanon", l'autobiografia di Malcolm X, i pensieri di Mao, e allo stesso tempo la constatazione comune a tanti studenti bianchi radicali del fallimento dei sit-ins e delle marce per i diritti civili nel Sud, li spingono a cercare nuove forme di lotta. Intanto, le rivolte dei ghetti di Haarlem (New York, 1964) e di Watts (Los Angeles,1965) e l'assassinio di Malcolm X (New York, 21 febbraio 1965) sembrano aver aperto un nuovo e più drammatico corso al movimento fino ad allora prevalentemente riformistico per l'affermazione del Black Power, il potere nero. Questo sfondo di tensione e di violenza nell'America johnsoniana, sempre più pesantemente coinvolta all'esterno in quella guerra del Vietnam che sarà l'altro vessillo ideologico della rivolta giovanile, spiega come la modesta scintilla accesa da Newton e Seale sia rapidamente dilagata, snaturando forse l'essenza iniziale del movimento, che era ingenuamente riformistica e legalitaria.
La prima "scoperta" di Newton, studente in legge è infatti che nello stato della California è consentito girare armati per "legittima difesa", e che in macchina un cittadino può liberamente portare una pistola con un colpo in canna. Ma soprattutto che il codice garantisce a tutti, anche in caso di arresto, una vastissima gamma di diritti. Solo che, nel caso dei neri, questi diritti vengono quasi sistematicamente violati: anche a causa della totale ignoranza di troppa gente di colore, e della naturale abitudine dei poliziotti bianchi a trattare i neri non come cittadini dell'America, ma di una colonia chiamata ghetto. Newton e Seale raccattano fondi vendendo per un dollaro l'uno libricini rossi dei Pensieri di Mao comprati a 25 cents da un importatore cinese, e con i primi 200 dollari comprano fucili e organizzano bande armate di giovani neri, che cominciano a pattugliare in auto le strade del ghetto di Oakland con l'incarico di "sorvegliare" i poliziotti perché non commettano angherie contro la gente di colore, e non compiano arresti pretestuosi. A questi ragazzi delle pattuglie Newton ha fatto imparare a memoria quello che nel 1969 verrà poi codificato come Piccolo manuale di pronto soccorso legale in tredici punti. E non a caso la denominazione completa che alla fine del settembre 1966 era stato fondato da Huey Newton e da Bobby Seale (essendo anche gli unici iscritti al momento, si erano attribuiti l'un l'altro la carica rispettivamente di Ministro della Difesa e di Presidente) è Black Panthers Party For Self-Defense, per l'autodifesa. Quello è il senso originario delle armi e del codice: ma questi due simboli contengono in potenza anche un messaggio rivoluzionario esplosivo, e cioè la creazione di uno "Stato alternativo" che demitizza il sistema giuridico e di potere americano messo in piedi dalla razza bianca, e tenta di sostituirlo con un sistema di ideali, di leggi, di potere nero. Il Black Power appunto.
In forma semplicistica, ma proprio per questo estremamente popolare e suggestiva, Bobby Seale nel libro già citato racconta così la nascita del movimento :".... Quando dunque organizzammo il Partito di legittima difesa delle Pantere Nere, Huey mi disse: "Bobby, bisogna che elaboriamo un programma tale che le nostre madri che hanno sgobbato tanto per tirarci su, i nostri padri che hanno lavorato duro per nutrirci, i nostri fratelli minori che vanno a scuola ma ne usciranno semianalfabeti, capaci a stento di leggere, in grado di pronunciare solo parole storpiate, siano tutti in grado di capirlo…". "In primo luogo vogliamo libertà, vogliamo essere in grado di condizionare il destino delle nostre comunità nere. Secondo: vogliamo il pieno impegno per la nostra gente. Terzo: vogliamo case degne di esseri umani. Quarto: vogliamo che tutti i neri di sesso maschile siano esentati del servizio militare. Quinto: vogliamo un' istruzione come si deve per i nostri neri, in seno alle nostre comunità, tale da svelarci la vera natura della società decadente e razzista in cui viviamo, e che indichi ai nostri fratelli e sorelle qual è il loro posto nella società perché se lo ignorano non c'è nulla su cui possiamo contare. Sesto: vogliamo che sia messo l'alt ai latrocini esercitati dagl'imprenditori bianchi razzisti a spese dei neri nelle comunità nere. Settimo: vogliamo che si ponga immediatamente fine alle brutalità e agli assassini di neri da parte della polizia. Ottavo: vogliamo che tutti i neri detenuti nelle carceri siano rilasciati perché non hanno avuto un equo processo, dal momento che sono stati condannati da giurie composte esclusivamente di bianchi, ciò che costituisce l'esatto equivalente di quanto accadeva nella Germania nazista agli ebrei. Nono: vogliamo che i neri, se devono essere processati, lo siano da gente come loro, intendendo individui che hanno la stessa estrazione economica, sociale, religiosa, storica e razziale. Decimo, e per riassumere: vogliamo terra, vogliamo pane, vogliamo case, vogliamo di che coprirci, vogliamo giustizia e vogliamo pace. ". L'attività del partito ebbe inizio con una serie di comizi improvvisati nel ghetto, di riunioni nelle sede di Grove Street, e con una febbrile azione di reclutamento: secondo la leggenda , la terza Pantera fu Bobby Hutton, che aveva appena 15 anni (sarà ucciso 2 anni dopo dalla polizia, nello stesso ghetto di Oakland). I molti altri che si iscrivono, attratti più dalle armi e dalla suggestiva divisa paramilitare (calzoni neri, giacca di cuoio nera, basco nero, fucile nero) che non dall'ideologia, sono per ora nella stragrande maggioranza giovani neri che hanno fatto parte di gang giovanili (come Davide Hilliard, nominato "Segretario per l'organizzazione" ), e hanno conosciuto il carcere, le sparatorie , le bastonate dei poliziotti.
Da Oakland, il fenomeno delle Black Panthers si allarga a tutta la baia di San Francisco, dal ghetto le adesioni si estendono anche ai "campus" per opera dei radicali bianchi: i giornali ne parlano, cominciano a circolare le prime fotografie. Dall'underground le "Pantere" si avviano a diventare un mito. Nel dicembre 1966 intanto esce di prigione in California, dopo aver scontato nove anni per assalto a mano armata e tentato omicidio, Eldridge Cleaver: è un ragazzo di 21 anni, anche lui nato nella Middle Class nera ( il padre è cameriere su un treno di lusso), ma fin dall'adolescenza sbattuto da una prigione all'altra, prima per un furtarello, poi quand'è ancora studente alle medie per spaccio di marijuana. Alto quasi due metri e dotato di un'agilità felina, aveva davanti a sé una carriera di idolo del football americano, ma le scarpe chiodate resteranno per sempre appese al chiodo. A Soledad, il carcere che tanta sinistra importanza avrà nei destini delle "Pantere Nere" (George Jackson fu accusato insieme a due "fratelli", di avervi percosso a morte una guardia, dopo che tre detenuti neri erano stati uccisi: e di qui inizia la vicenda dei Soledad Brothers che porterà all'arresto di Angela Davis, alla morte di Jonathan Jackson nel tentativo di liberare due "Pantere" durante un processo e all'assassinio dello stesso George Jackson nel penitenziario di San Quentin), Eldridge Cleaver matura la sua coscienza rivoluzionaria: impara a scrivere, sviluppa le sue ossessioni, principale fra tutte lo stupro della donna bianca come atto insurrezionale. "Il carcere" dirà più tardi in Soul on Ice, l'opera letterariamente più valida del movimento "ti assicura una sorta di stravolta pace dello spirito. Hai a disposizione ore e ore, in cui sai che nulla accadrà: per anni non devi preoccuparti di vita sociale, balli, ragazze; non devi neppure prenderti cura della tua biancheria. La mente ti si fa acuta, studi e impari. E sondi te stesso". Sempre in carcere, dove tornerà dopo essere stato rilasciato, scopre il movimento dei "musulmani Neri" e divenne Eldridge X, ministro del culto per la comunità nera del carcere, intrecciando una fitta corrispondenza con vari avvocati bianchi liberali. Uno di questi è una donna, Beverly Axelrod, molto introdotta negli ambienti culturali radicali di San Francisco e collaboratrice della rivista cattolica di sinistra Ramparts. Tra i due nasce un amore, e la Axelrod imbastisce una campagna di stampa per il rilancio di Cleaver. Quando lui è rimesso in libertà, nel dicembre 1966, gli trova un posto come collaboratore della rivista. In occasione dell'arrivo a San Francisco della vedova di Malcolm X, Betty shabazz, Cleaver conosce le "Pantere" Newton e Seale, che hanno organizzato un corteo armato per proteggerla. Si unisce così al Black Panther Party, portandovi un duplice contributo che avrà un'importanza determinante: lo spirito della rivoluzione nera emerso negli ultimi tempi nella dottrina di Malcolm X e della sua fazione dei Black Muslims, e l'appoggio di stampa, di ideologia e di mezzi finanziari della intellighentsia radicale bianca. Sono questi due contributi che fanno compiere al Black Panthers Party il salto della self-defense (non a caso questa parola verrà cancellata dalla dizione ufficiale del partito) a velleità rivoluzionarie e alla vera confrontazione con il sistema.
La repressione non tarda a venire : Il 2 maggio 1967 il Parlamento di California si riunisce a Sacramento per votare una legge che proibisce ai neri di portare le armi. Il Black Panther Party reagisce con una sfida: 30 "Pantere" irrompono, armi in pugno, nella sala di riunione, e leggono un documento nel quale si accusa lo Stato di voler "reprimere il diritto dei neri all'autodifesa". E' un gesto spettacolare che, ripreso in diretta dalla televisione, scatena l'entusiasmo nei ghetti di tutte le maggiori città americane e fa affluire a centinaia nuove iscrizioni al partito (che tuttavia, nel 1969, non supererà mai i 5.000 iscritti). Ma il 12 ottobre dello stesso anno, in seguito ad una sparatoria in cui un poliziotto di Oakland viene ucciso, Huey Newton è arrestato con l'accusa di omicidio. Cleaver, che nel frattempo sta emergendo come il leader della corrente rivoluzionaria del movimento, cerca l'apporto di nuove forze. Nel febbraio 1968 confluiscono nel Black Panthers Party lo SNCC (Students' Non -Violent Coordinating Committee) di Stokeley Carmicheal e Rap Brown, che sono i massimi teorici e gli elementi di punta del Black Power, e il Pace and Freedom Party (partito della Pace e della Libertà), un partito di radicali bianchi con molte simpatie tra gli studenti dello SDS (Students for a Democratic Society). Sono forze nuove e nuovi soldi, provenienti dalle fonti più disparate quali gli studenti, i ricchi progressisti, la gente del ghetto, il partito comunista americano. Certo, servono a pagare pesanti cauzioni come quella di 30 milioni che servirà a mettere in libertà provvisoria Newton, ma nello stesso tempo questo pericoloso convergere di un certo tipo di consensi spinge le Black Panthers verso l'illusione di essere pronte per la sfida all' America bianca, e incomincia a rendere più diffidenti le massa nere moderate. Si delinea insomma quella "doppia anima" del partito, quella spaccatura - ancora non avvertita dai più - che porterà le "Pantere" alla scissione e alla morte. Il primo effetto clamoroso della fusione è intanto quello di presentare Cleaver come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti per le elezioni di novembre (otterrà 200.000 voti). Mentre in tutto il mondo soffia il gran vento della contestazione giovanile, e il maggio di Parigi è alle soglie, in America il sistema risponde pesantemente alla sfida. Il 4 aprile 1968 Martin Luther King, l'apostolo della non-violenza è assassinato a Memphis (Tennessee) da James Earl Ray ( almeno, questo è l'uomo che si dichiarerà colpevole e verrà condannato a 99 anni di prigione ) .
Mentre i ghetti neri sono in subbuglio e le "Pantere Nere" invitano alla calma per motivi tattici, il 6 aprile a Oakland gli agenti circondano il quartiere generale del partito in Grove Street, col pretesto di una perquisizione. A poca distanza, tre auto con sette "Pantere" a bordo, circolano lentamente in perlustrazione. In quella di testa ci sono Cleaver con Bobby Hutton: li supera un auto della polizia a fari spenti, li blocca e ordina loro di uscire con le mani in alto. Segue uno scambio di colpi. Hutton viene ucciso : Cleaver, ferito ad una gamba, viene prima portato in ospedale e poi imprigionato assieme agli altri cinque per "attacco a mano armata". L'anno della grande sfida al sistema si chiude con la maggior parte dei capi del partito in carcere in carcere o in libertà provvisoria, mentre Richard Nixon, eletto Presidente con uno strettissimo margine sul candidato democratico Humphrey (43,4 contro 42,7% dei voti), promette al paese il ritorno alla "Legge e all'Ordine". Lo sbandamento nelle file delle Black Panthers e le infiltrazioni di elementi provocatori manovrati dall' F.B.I. non tardano a dare i loro frutti. In gennaio, due vice-ministri delle "Pantere", Carter e Huggins, sono assassinati all'università di Los Angeles. In aprile a New York il Procuratore Generale rinvia a giudizio 13 membri del partito ( 11 uomini e 2 donne ) accusati di aver tentato di sistemare cariche di esplosivo nel giardino botanico di Brooklyn, in 5 cinque grandi magazzini e in una stazione della Metropolitana. L'accusa si basa sulla testimonianza di tre agenti dell'F.B.I. che, fingendosi radicali bianchi, si erano infiltrati nel gruppo terrorista. In maggio, la polizia arresta Bobby Seale, presidente del Partito sotto l'accusa di aver fatto torturare e assassinare Alex Rackley, un iscritto sospettato di tradimento. Cleaver intanto rilasciato del Carcere, fugge prima a Cuba e poi in Algeria. In dicembre, a Chicago, 14 poliziotti armati di pistole e fucili mitragliatori fanno irruzione alle 4 del mattino : Fred Hampton, capo del locale "Stato Maggiore" delle "Pantere", e Mark Clark sono assassinati mentre sono ancora a letto. A New York fa intanto storia un ricevimento organizzato in casa di Leonard Bernstein, il celebre direttore d'orchestra e compositore: ospiti d'onore, in mezzo a signore ingioiellate e ad alcuni fra i nomi più prestigiosi della cultura e dello spettacolo, sono alcune "Pantere" venute "in tenuta di guerra". Il New York Times commenta "..Questo cosiddetto partito è ormai l'incrocio fra un'ideologia mao-marxista e una organizzazione paramilitare di tipo fascista. Certamente i diritti costituzionali dei suoi membri vanno rispettati; ma ricevimenti come quelli di Bergstein degradano chi li offre come chi vi partecipa, e sono un insulto alla memoria di Martin Luther King ....".
Quando Huey Newton esce di prigione, ai primi di agosto del 1970, trova un partito già in via di disgregazione: il legame con la base nera del ghetto, che si era tentato di rinsaldare un anno prima con tutto un programma di "colazioni per i bambini neri poveri" e di "scuole della liberazione" per i giovani, è diventato sempre più precario. Di contro, più pesante è diventata sul partito l'ipoteca ideologica e finanziaria dei radicali bianchi, mentre da Algeri Cleaver seguita a predicare la "rivoluzione armata". Il 7 agosto, dopo la sparatoria nel tribunale della contea di Marin in California dove vengono uccisi Jonathan Jackson, altre due "Pantere" e un giudice, Angela Davis viene accusata di aver fornito le armi per il complotto e successivamente arrestata dall'F.B.I. Angela, la brillante ex allieva di Marcuse, studentessa alla Sorbona e in Germania, iscritta al Partito Comunista, diventa di colpo, grazie alla pubblicità fattale dalla stampa, il personaggio principale della rivolta nera. E proprio questo fatto dimostra il fallimento delle "Black Panthers" sia come partito che doveva stabilire un legame con le masse, sia come gruppuscolo rivoluzionario che è stato prontamente scavalcato non appena i suoi esponenti sono finiti in galera o hanno smesso di «far notizia» perché hanno perso il loro fascino romantico di fronte a quella intellighentsia pronta ad adottare subito nuovi personaggi più alla moda come Angela Davis o più drammatici come George Jackson. La crisi interna esplode agli inizi del 1971: David Hilliard, un fedelissimo seguace di Newton e di Seale fin dagli inizi, assume l'incarico di «Ispettore generale» e cerca di ampliare la funzione del partito al servizio della comunità nera, criticando quella impostazione rivoluzionaria di Cleaver che, secondo il gruppo di Oakland, condurrà il partito alla distruzione ad opera della polizia e dell'FBI, o lo costringerà alla lotta sotterranea staccandolo così dalla sua base naturale e popolare, che rimane quella del ghetto.
Questa nuova impostazione ha il pieno appoggio del Partito Comunista americano, ma viene respinta dai gruppi di New York e di Kansas city che, capeggiati da David Cox, sostengono che questo tentativo di salvare il partito in un momento difficile, significa in realtà svuotarlo di ogni forza e farlo regredire. Il 26 febbraio, sbigottiti, i telespettatori americani assistono «in diretta», come è ormai normale per tanti avvenimenti tragici o esaltanti della loro storia, alla spaccatura ufficiale delle "Black Panthers". L'ospite presente in studio è Huey Newton, il suo interlocutore è Eldridge Cleaver in collegamento telefonico da Algeri. Newton afferma che il terrorismo, quando è fine a se stesso, pregiudica ogni movimento rivoluzionario e serve solo a favorire la repressione poliziesca. Cleaver chiede l'espulsione di Hilliard per aver «diviso il partito», Newton accusa lui di «corruzione» e di «nefasta influenza». Poche settimane dopo, l'organo del partito, "Black Panther", esce con in copertina la figura della moglie di Cleaver, Kathleen, che ha sul volto i segni di percosse: la scritta dice «Liberiamo tutti i prigionieri politici». Nell'articolo, Cleaver viene accusato di averla seviziata e di aver ucciso e sotterrato il suo presunto amante, un nero americano che era fuggito da Cuba dirottando un aereo.
Cleaver reagisce espellendo Newton dal partito, e accusandolo a sua volta di «imborghesimento» (per il fatto di vivere a Oakland in un attico dove paga l'equivalente di 400 mila lire al mese dell'epoca di affitto), di amicizie omosessuali e di corruzione (perché si fa pagare ogni conferenza l'equivalente di un milione e mezzo di lire, che si guarda bene dal distribuire al partito). Sulla scia di queste roventi polemiche nascono perfino i primi bagliori di una «guerra civile» fra «Pantere» delle due opposte fazioni: un seguace di Cleaver viene ucciso ad Harlem, e qualche settimana dopo in uno scantinato si trova massacrato un seguace di Newton. In marzo, Stokeley Carmichael dichiara in una intervista a un giornale: «Le Pantere Nere sono praticamente finite». Anche Angela Davis è finita più o meno nel dimenticatoio, travolta dall'implacabile meccanismo di quella instant history americana, che vuole sempre nuovi eroi (siano rivoluzionari o prodotti del sistema non fa differenza) per altrettanto rapidamente bruciarli. ll suo libro Angela Davis, An Autobiography, per il quale l'editore quando Angela era sulla cresta dell'onda le aveva versato cento milioni di anticipo, ha avuto poche recensioni e scarso successo. Delle "Black Panthers" non vi è quasi più traccia negli archivi dei giornali americani per il periodo successivo al 1971. Le uniche città dove il Black Panther Party mantenne un minimo di organizzazione furono Chicago, Washington e Oakland.
Qui, i due fondatori originari, sopravvissuti alla violenza della repressione a molti processi, allo scisma, si rifecero una verginità col ritorno del Partito al riformismo e alla legalità. Bobby Seale nel 1973 ha speso 300 milioni in una campagna per l'elezione a sindaco di Oakland. Non ha vinto, ma ha ottenuto un buon successo con 40.000 voti, dopo aver condotto per mesi una campagna basata sulla cooperazione razziale, il doposcuola per i bambini del ghetto, la protezione dei vecchi e delle donne nere dalla violenza, la lotta contro la droga e l'analfabetismo. Nel 1992, interpretò un piccolo ruolo in Malcolm X, film diretto da Spike Lee. e dal 2002 si occupa di educazione giovanile.
Huey Newton visse quasi asceticamente nella sua famosa "prigione dorata" in un grattacielo nella zona residenziale di Oakland. Nel 1974 fu accusato dell'omicidio di una prostituta diciassettenne. Huey non si presentò al processo, e venne inserito dall'FBI nella lista delle persone più ricercate. Scappò a Cuba, dove trascorse tre anni in esilio. Nel 1977 Newton tornò negli USA per sostenere il processo, perché, a suo dire, il clima politico era cambiato e ora avrebbe potuto avere un giusto processo. Fu quindi assolto dall'accusa di omicidio. Il 22 agosto 1989 Huey fu ucciso dal ventiquattrenne Tyrone Robinson che, reo confesso, fu giudicato colpevole nel processo conclusosi nel 1991 e condannato a trentadue anni di carcere.
domenica 3 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 3 dicembre.
Il 3 dicembre 1823 muore Giovanni Battista Belzoni, il grande egittologo italiano.
Un personaggio davvero illustre ma mai come meriterebbe di esserlo. Per la sua incredibile vita la sua figura meriterebbe una maggiore valorizzazione se è vero che per le avventure vissute il nostro Belzoni pare aver ispirato il personaggio cinematografico Indiana Jones, noto in tutto il mondo e creato da George Lucas.
Nacque a Padova nel 1778 da una famiglia modesta e fino all’età di 16 anni aiutò il padre nella bottega di barbiere.
Poi si trasferì a Roma dove iniziò ad interessarsi soprattutto di idraulica, ma cominciandosi anche ad accostare all’archeologia, forse sotto il fascino delle rovine dell’antica Urbe. Si trasferì poi a Parigi, dove si mise a vendere per strada immagini sacre e altri oggetti. Per evitare la coscrizione nell’esercito napoleonico riparò in Inghilterra nel 1803 dove tra i vari lavori arrivò a fare anche l’”uomo forzuto” in un circo. Era alto 2 metri e aveva un fisico imponente. Si presentava al pubblico come Patagonian Sanson (Sansone della Patagonia) ed il suo numero principale era quello di riuscire a sollevare una piramide umana di 12 persone!
Viaggiò poi in Spagna, Portogallo, Sicilia e Malta, allestendo anche spettacoli di idraulica applicata, creando giochi di acqua e di fuoco, che ebbero molto successo nel mondo del teatro. Nel 1815, durante un soggiorno nell’isola di Malta venne a sapere che il viceré d’Egitto, Mohammed Ali, era alla ricerca di nuove soluzioni nel campo di idraulica per risolvere problemi legati all’irrigazione. Si decise così a partire per l’Egitto per mettere a disposizione le sue conoscenze nel campo. Fu l’inizio di una nuova vita. Belzoni presentò al sovrano una macchina di sua invenzione per il sollevamento dell’acqua, macchina che però non ebbe il successo sperato. Ma in Egitto Belzoni ebbe modo di conoscere il console generale britannico, Henry Salt, che era anche un amante dell’archeologia egizia, il quale gli commissionò il trasporto, dal tempio funerario di Qurneh (Tebe ovest) al British Museum di Londra, di una statua colossale di Ramesse II.
Sfruttando le sue conoscenze di ingegneria idraulica, piuttosto che le sue scarse nozioni archeologiche, Belzoni riuscì a portare a compimento l’impresa, che segnò l’inizio di altre “imprese” archeologiche.
In un momento in cui l’egittologia era ancora agli inizi e in cui la scrittura geroglifica non era stata decifrata, Belzoni si mise a viaggiare per il Paese scoprendo monumenti di grande valore, dedicandosi a scavi e a prospezioni archeologiche in zone anche poco note. Arrivò ad Abu Simbel, iniziando lo scoprimento del tempio di Ramesse II. Asportò da File un obelisco, che si rivelò poi di grande importanza per la decifrazione della scrittura egizia; condusse scavi nel tempio di Mut a Karnak, da dove prelevò alcune bellissime statue; cominciò ad esplorare la necropoli della Valle dei Re, scoprendo le tombe di Ramesse I e di Sethi I (ottobre 1817). Nel marzo del 1818 trovò l’ingresso della piramide di Chefren, che si pensava massiccia, e l’evento suscitò in Inghilterra un tale entusiasmo, che venne coniata una medaglia commemorativa dell’evento. All’interno della camera sepolcrale mise la sua firma “scoperta da G.Belzoni, 2 marzo 1818). Esplorò anche la città di Berenice sul Mar Rosso e l’Oasi del Fayyum. Molti sono i meriti di Belzoni; tra questi “prudenza estrema nello stabilire la datazione di un monumento…sobrietà e precisione nelle descrizioni… assenza di interpretazioni avventate degli oggetti, e di ogni mitizzazione degli antichi Egiziani”.
Notevoli furono l’impegno nel ricopiare e ricalcare in cera buona parte dei bassorilievi della tomba di Seti I, come pure, rintracciata la città di Berenice, la cura nel rilevare la zona e abbozzare un tentativo di datazione in base ai dati del tempio ivi rinvenuto; precisione e metodo il Belzoni dimostrò nell’apertura della piramide del re Chefren, riuscendo nell’impresa attraverso un attento esame della struttura interna della piramide di Cheope.
Nel 1819 Belzoni fece ritorno in Inghilterra, avendo procurato al British Museum importanti monumenti, grazie ai quali la modesta collezione egizia era diventata molto importante. Altri cimeli vennero dati a Cambridge, a Bruxelles, a Padova. La relazione dei suoi viaggi fu scritta in inglese in quegli stessi anni, corredata da un bellissimo volume di tavole. Il racconto ebbe un notevole successo, così come la mostra, allestita nella Egyptian Hall di Piccadilly dei calchi grafici tratti dalla tomba di Sethi I. Ai primi del 1823 Belzoni partì nuovamente per l’Africa per conto dell’Associazione africana con sede a Londra. Nel dicembre dello stesso anno, mentre si trovava in Nigeria morì, colpito da dissenteria nel porto fluviale di Gwato, circa 40 km prima di Benin City. Il signor Houtson, che lo accompagnava in questa spedizione, lo fece seppellire ai piedi di un albero alla periferia di Gwato, e sulla tomba fece apporre un'epigrafe recante il nome e la data di morte del Belzoni. Fece anche scrivere la seguente preghiera: "Il gentiluomo che ha messo questa epigrafe sulla tomba del celebrato e intrepido viaggiatore, spera che ogni europeo che visiti questo posto faccia pulire il terreno e riparare lo steccato intorno, se necessario". Un viaggiatore europeo che tornò sul luogo circa quarant'anni dopo non trovò nient'altro che l'albero.
Belzoni fu molto importante per l’archeologia e per un museo quale il British Museum. Lavorò instancabilmente (usando miracolosamente quel suo innato fiuto di ricerca), portando alla luce incredibili reperti attualmente in mostra al museo londinese. Fu impunemente ingannato e usato dall’allora governo Britannico che gli negò l’onore di essere nominato come autore dei ritrovamenti. Se vi recate al British Museum e vedete la statua di Ramesses sappiate che è lì per merito di Belzoni nonostante non troverete scritto il suo nome se non dietro all’orecchio del faraone su cui lo stesso Belzoni iscrisse il suo nome. La BBC qualche tempo fa raccontò la vita del Grande Belzoni in un serial televisivo, esponendo finalmente una verità che per troppo tempo fu soppressa. Sarebbe bello un giorno poter vedere il suo nome inscritto al British Museum, vicino ai suoi amati reperti egizi.
A Padova gli è stata dedicata una via nel cuore del borgo dove era nato, il Portello, il più popolare dei borghi padovani. Presso il Museo Archeologico all’interno del complesso dei Musici Civici degli Eremitani esiste una sezione egizia formata da due sale dedicate al pioniere dell’egittologia. Una curiosità è rappresentata anche dal fatto che il Belzoni conosceva Jappelli, il noto ingegnere ed architetto che progettò il Caffè Pedrocchi, al cui interno, la Sala Egizia e quella Moresca rappresentano proprio un omaggio di Jappelli all’esploratore padovano.
Il 3 dicembre 1823 muore Giovanni Battista Belzoni, il grande egittologo italiano.
Un personaggio davvero illustre ma mai come meriterebbe di esserlo. Per la sua incredibile vita la sua figura meriterebbe una maggiore valorizzazione se è vero che per le avventure vissute il nostro Belzoni pare aver ispirato il personaggio cinematografico Indiana Jones, noto in tutto il mondo e creato da George Lucas.
Nacque a Padova nel 1778 da una famiglia modesta e fino all’età di 16 anni aiutò il padre nella bottega di barbiere.
Poi si trasferì a Roma dove iniziò ad interessarsi soprattutto di idraulica, ma cominciandosi anche ad accostare all’archeologia, forse sotto il fascino delle rovine dell’antica Urbe. Si trasferì poi a Parigi, dove si mise a vendere per strada immagini sacre e altri oggetti. Per evitare la coscrizione nell’esercito napoleonico riparò in Inghilterra nel 1803 dove tra i vari lavori arrivò a fare anche l’”uomo forzuto” in un circo. Era alto 2 metri e aveva un fisico imponente. Si presentava al pubblico come Patagonian Sanson (Sansone della Patagonia) ed il suo numero principale era quello di riuscire a sollevare una piramide umana di 12 persone!
Viaggiò poi in Spagna, Portogallo, Sicilia e Malta, allestendo anche spettacoli di idraulica applicata, creando giochi di acqua e di fuoco, che ebbero molto successo nel mondo del teatro. Nel 1815, durante un soggiorno nell’isola di Malta venne a sapere che il viceré d’Egitto, Mohammed Ali, era alla ricerca di nuove soluzioni nel campo di idraulica per risolvere problemi legati all’irrigazione. Si decise così a partire per l’Egitto per mettere a disposizione le sue conoscenze nel campo. Fu l’inizio di una nuova vita. Belzoni presentò al sovrano una macchina di sua invenzione per il sollevamento dell’acqua, macchina che però non ebbe il successo sperato. Ma in Egitto Belzoni ebbe modo di conoscere il console generale britannico, Henry Salt, che era anche un amante dell’archeologia egizia, il quale gli commissionò il trasporto, dal tempio funerario di Qurneh (Tebe ovest) al British Museum di Londra, di una statua colossale di Ramesse II.
Sfruttando le sue conoscenze di ingegneria idraulica, piuttosto che le sue scarse nozioni archeologiche, Belzoni riuscì a portare a compimento l’impresa, che segnò l’inizio di altre “imprese” archeologiche.
In un momento in cui l’egittologia era ancora agli inizi e in cui la scrittura geroglifica non era stata decifrata, Belzoni si mise a viaggiare per il Paese scoprendo monumenti di grande valore, dedicandosi a scavi e a prospezioni archeologiche in zone anche poco note. Arrivò ad Abu Simbel, iniziando lo scoprimento del tempio di Ramesse II. Asportò da File un obelisco, che si rivelò poi di grande importanza per la decifrazione della scrittura egizia; condusse scavi nel tempio di Mut a Karnak, da dove prelevò alcune bellissime statue; cominciò ad esplorare la necropoli della Valle dei Re, scoprendo le tombe di Ramesse I e di Sethi I (ottobre 1817). Nel marzo del 1818 trovò l’ingresso della piramide di Chefren, che si pensava massiccia, e l’evento suscitò in Inghilterra un tale entusiasmo, che venne coniata una medaglia commemorativa dell’evento. All’interno della camera sepolcrale mise la sua firma “scoperta da G.Belzoni, 2 marzo 1818). Esplorò anche la città di Berenice sul Mar Rosso e l’Oasi del Fayyum. Molti sono i meriti di Belzoni; tra questi “prudenza estrema nello stabilire la datazione di un monumento…sobrietà e precisione nelle descrizioni… assenza di interpretazioni avventate degli oggetti, e di ogni mitizzazione degli antichi Egiziani”.
Notevoli furono l’impegno nel ricopiare e ricalcare in cera buona parte dei bassorilievi della tomba di Seti I, come pure, rintracciata la città di Berenice, la cura nel rilevare la zona e abbozzare un tentativo di datazione in base ai dati del tempio ivi rinvenuto; precisione e metodo il Belzoni dimostrò nell’apertura della piramide del re Chefren, riuscendo nell’impresa attraverso un attento esame della struttura interna della piramide di Cheope.
Nel 1819 Belzoni fece ritorno in Inghilterra, avendo procurato al British Museum importanti monumenti, grazie ai quali la modesta collezione egizia era diventata molto importante. Altri cimeli vennero dati a Cambridge, a Bruxelles, a Padova. La relazione dei suoi viaggi fu scritta in inglese in quegli stessi anni, corredata da un bellissimo volume di tavole. Il racconto ebbe un notevole successo, così come la mostra, allestita nella Egyptian Hall di Piccadilly dei calchi grafici tratti dalla tomba di Sethi I. Ai primi del 1823 Belzoni partì nuovamente per l’Africa per conto dell’Associazione africana con sede a Londra. Nel dicembre dello stesso anno, mentre si trovava in Nigeria morì, colpito da dissenteria nel porto fluviale di Gwato, circa 40 km prima di Benin City. Il signor Houtson, che lo accompagnava in questa spedizione, lo fece seppellire ai piedi di un albero alla periferia di Gwato, e sulla tomba fece apporre un'epigrafe recante il nome e la data di morte del Belzoni. Fece anche scrivere la seguente preghiera: "Il gentiluomo che ha messo questa epigrafe sulla tomba del celebrato e intrepido viaggiatore, spera che ogni europeo che visiti questo posto faccia pulire il terreno e riparare lo steccato intorno, se necessario". Un viaggiatore europeo che tornò sul luogo circa quarant'anni dopo non trovò nient'altro che l'albero.
Belzoni fu molto importante per l’archeologia e per un museo quale il British Museum. Lavorò instancabilmente (usando miracolosamente quel suo innato fiuto di ricerca), portando alla luce incredibili reperti attualmente in mostra al museo londinese. Fu impunemente ingannato e usato dall’allora governo Britannico che gli negò l’onore di essere nominato come autore dei ritrovamenti. Se vi recate al British Museum e vedete la statua di Ramesses sappiate che è lì per merito di Belzoni nonostante non troverete scritto il suo nome se non dietro all’orecchio del faraone su cui lo stesso Belzoni iscrisse il suo nome. La BBC qualche tempo fa raccontò la vita del Grande Belzoni in un serial televisivo, esponendo finalmente una verità che per troppo tempo fu soppressa. Sarebbe bello un giorno poter vedere il suo nome inscritto al British Museum, vicino ai suoi amati reperti egizi.
A Padova gli è stata dedicata una via nel cuore del borgo dove era nato, il Portello, il più popolare dei borghi padovani. Presso il Museo Archeologico all’interno del complesso dei Musici Civici degli Eremitani esiste una sezione egizia formata da due sale dedicate al pioniere dell’egittologia. Una curiosità è rappresentata anche dal fatto che il Belzoni conosceva Jappelli, il noto ingegnere ed architetto che progettò il Caffè Pedrocchi, al cui interno, la Sala Egizia e quella Moresca rappresentano proprio un omaggio di Jappelli all’esploratore padovano.
sabato 2 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 2 dicembre.
Il 2 dicembre la Chiesa Cattolica festeggia Santa Bibiana (o Viviana).
Papa Simplicio, nel V secolo, le dedicò la chiesa sull'Esquilino.
Il culto di questa Santa è stato assai vivace, forse anche grazie al suo bel nome, più diffuso di quanto non si pensi. Bibiana ha infatti la stessa origine del nome di Viviana, e perciò la Santa di oggi può essere presa come Patrona anche dalle donne che ripetono il nome di Viviana: un nome, nella etimologia popolare, legato al verbo " vivere ", e quindi sinonimo dì vitalità, vivacità, e augurio di spirituale sopravvivenza.
In assenza di notizie storiche, sul conto di Santa Bibiana, o Viviana, è stata tessuta una fantasiosa e complessa leggenda, che deve essere piaciuta moltissimo ai fedeli, contribuendo così alla popolarità della Santa.
Secondo tale leggenda, Bibiana sarebbe stata vittima della tardiva persecuzione di Giuliano, l'Imperatore apostata, che rinnegò cioè la propria fede, E poiché l'Imperatore risiedeva in Oriente sarebbe stato il Governatore di Roma, Aproniano, a infierire non soltanto contro Bibiana, ma contro la famiglia cristiana della Santa: il padre Flaviano, la madre Defrosa e la sorella Demetra.
Ma come mai il Governatore di Roma avrebbe nutrito tanto odio verso i battezzati? La leggenda lo spiega dicendo che Aproniano aveva perduto un occhio, e attribuiva la sua infermità, non ad un incidente, ma alle arti maligne dei cristiani.
A buon conto, esiliato Flaviano e fatta morire in carcere Dafrosa, l'orbo persecutore poté impadronirsi dei beni della famiglia. Per completar la sua opera, non gli mancava che costringere all'apostasia le due giovani figlie, e ciò sembrava assai facile, data appunto la loro età.
Demetra infatti, minacciata di orribili tormenti, morì in carcere, sopraffatta dall'ansia. Restò Bibiana, e contro di lei furono inutili tutte le minacce del dolore fisico.
Il Governatore allora mutò strategia. Pensò di piegare la volontà della fanciulla, corrompendola con le seduzioni del piacere e gli allettamenti del vizio. Per far ciò consegnò Bibiana a una turpe mezzana, esperta di intrighi amorosi.
Naturalmente Bibiana non venne meno ai doveri della virtù, e Aproniano, deluso nelle sue speranze, non seppe far di meglio che flagellarla ferocemente, tanto da condurla alla morte, quattro giorni dopo.
Leggenda, abbiamo detto: pura leggenda, che nessun indizio rende né plausibile né probabile. Immaginata per conferire titoli di gloria, insieme con la palma del martirio, all'ignota benefattrice cristiana, titolare della chiesa sull'Esquilino.
Il 2 dicembre la Chiesa Cattolica festeggia Santa Bibiana (o Viviana).
Papa Simplicio, nel V secolo, le dedicò la chiesa sull'Esquilino.
Il culto di questa Santa è stato assai vivace, forse anche grazie al suo bel nome, più diffuso di quanto non si pensi. Bibiana ha infatti la stessa origine del nome di Viviana, e perciò la Santa di oggi può essere presa come Patrona anche dalle donne che ripetono il nome di Viviana: un nome, nella etimologia popolare, legato al verbo " vivere ", e quindi sinonimo dì vitalità, vivacità, e augurio di spirituale sopravvivenza.
In assenza di notizie storiche, sul conto di Santa Bibiana, o Viviana, è stata tessuta una fantasiosa e complessa leggenda, che deve essere piaciuta moltissimo ai fedeli, contribuendo così alla popolarità della Santa.
Secondo tale leggenda, Bibiana sarebbe stata vittima della tardiva persecuzione di Giuliano, l'Imperatore apostata, che rinnegò cioè la propria fede, E poiché l'Imperatore risiedeva in Oriente sarebbe stato il Governatore di Roma, Aproniano, a infierire non soltanto contro Bibiana, ma contro la famiglia cristiana della Santa: il padre Flaviano, la madre Defrosa e la sorella Demetra.
Ma come mai il Governatore di Roma avrebbe nutrito tanto odio verso i battezzati? La leggenda lo spiega dicendo che Aproniano aveva perduto un occhio, e attribuiva la sua infermità, non ad un incidente, ma alle arti maligne dei cristiani.
A buon conto, esiliato Flaviano e fatta morire in carcere Dafrosa, l'orbo persecutore poté impadronirsi dei beni della famiglia. Per completar la sua opera, non gli mancava che costringere all'apostasia le due giovani figlie, e ciò sembrava assai facile, data appunto la loro età.
Demetra infatti, minacciata di orribili tormenti, morì in carcere, sopraffatta dall'ansia. Restò Bibiana, e contro di lei furono inutili tutte le minacce del dolore fisico.
Il Governatore allora mutò strategia. Pensò di piegare la volontà della fanciulla, corrompendola con le seduzioni del piacere e gli allettamenti del vizio. Per far ciò consegnò Bibiana a una turpe mezzana, esperta di intrighi amorosi.
Naturalmente Bibiana non venne meno ai doveri della virtù, e Aproniano, deluso nelle sue speranze, non seppe far di meglio che flagellarla ferocemente, tanto da condurla alla morte, quattro giorni dopo.
Leggenda, abbiamo detto: pura leggenda, che nessun indizio rende né plausibile né probabile. Immaginata per conferire titoli di gloria, insieme con la palma del martirio, all'ignota benefattrice cristiana, titolare della chiesa sull'Esquilino.
venerdì 1 dicembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il primo dicembre.
Il primo dicembre 1955 Rosa Louise MaCauly sposata Parks, dopo una giornata di lavoro particolarmente pesante, era lavorante sarta in un grande magazzino di Montgomery, la capitale dell'Alabama, e dopo una lunga attesa alla fermata dell'autobus e al freddo, salì sull'autobus, ed essendo esausta si mise a sedere in una delle file di mezzo (per i neri era riservata solamente la parte di dietro degli autobus). L'autobus continuò a caricare passeggeri finché non fu pieno. Il conduttore del mezzo, vedendo un bianco in piedi, pretese che lei si alzasse e gli cedesse il posto. Rosa Parks si rifiutò e venne arrestata. Così cominciò la battaglia non violenta contro l'ingiustizia e la segregazione razziale.
Negli stati del Sud degli USA, come l'Alabama, vigevano le leggi di “Jim Crow” che imponevano una violenta segregazione alla popolazione “di colore”. I negroes, come venivano chiamati con disprezzo gli afroamericani, non potevano accedere ai luoghi frequentati dai bianchi. “White only” era il cartello che appariva dappertutto, fuori dai ristoranti, dalle scuole, sui treni… I negroes avevano i loro bagni pubblici, i loro ospedali, scuole, negozi.
Eppure nel 1863 il presidente Abramo Lincoln aveva combattuto e vinto la guerra di secessione contro gli stati del Sud dominati dai proprietari delle grandi piantagioni di cotone e tabacco e alleati con la Corona britannica e aveva abolito la schiavitù. Ma lentamente e soprattutto dall'inizio del 1900 il razzismo e il potere delle oligarchie divennero nuovamente dominanti. Gli incappucciati del KKK con le loro croci infuocate controllavano il territorio e picchiavano selvaggiamente e uccidevano chi non “stava al suo posto”. Erano “cristiani” fondamentalisti pronti a tutto, pronti anche al terrorismo, precursori di quel potente fondamentalismo che oggi sta dietro ai neocon di Bush e Cheney.
Dall'incarcerazione di Rosa Parks cominciò un boicottaggio dei mezzi pubblici che andò avanti per 381 giorni paralizzando il sistema di trasporti della città, anche con delle serie ripercussioni economiche per i negozi in mano ai segregazionisti e ai loro simpatizzanti. Nel 1956 la Corte Suprema si sentì obbligata a dichiarare incostituzionale ogni forma di discriminazione razziale. Come giustamente riconobbe Bill Clinton nel 1999 consegnandole una onorificenza:” Mettendosi a sedere, lei si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell'America”.
Martin Luther King divenne noto a livello internazionale quando ci fu l'incidente di Rosa Parks.
Il 24 ottobre 2005, all'età di 92 anni, Rosa Parks ci ha lasciato, con la stessa semplicità e delicatezza che avevano caratterizzato tutta la sua vita di grande e tenace combattente per la giustizia.
Il primo dicembre 1955 Rosa Louise MaCauly sposata Parks, dopo una giornata di lavoro particolarmente pesante, era lavorante sarta in un grande magazzino di Montgomery, la capitale dell'Alabama, e dopo una lunga attesa alla fermata dell'autobus e al freddo, salì sull'autobus, ed essendo esausta si mise a sedere in una delle file di mezzo (per i neri era riservata solamente la parte di dietro degli autobus). L'autobus continuò a caricare passeggeri finché non fu pieno. Il conduttore del mezzo, vedendo un bianco in piedi, pretese che lei si alzasse e gli cedesse il posto. Rosa Parks si rifiutò e venne arrestata. Così cominciò la battaglia non violenta contro l'ingiustizia e la segregazione razziale.
Negli stati del Sud degli USA, come l'Alabama, vigevano le leggi di “Jim Crow” che imponevano una violenta segregazione alla popolazione “di colore”. I negroes, come venivano chiamati con disprezzo gli afroamericani, non potevano accedere ai luoghi frequentati dai bianchi. “White only” era il cartello che appariva dappertutto, fuori dai ristoranti, dalle scuole, sui treni… I negroes avevano i loro bagni pubblici, i loro ospedali, scuole, negozi.
Eppure nel 1863 il presidente Abramo Lincoln aveva combattuto e vinto la guerra di secessione contro gli stati del Sud dominati dai proprietari delle grandi piantagioni di cotone e tabacco e alleati con la Corona britannica e aveva abolito la schiavitù. Ma lentamente e soprattutto dall'inizio del 1900 il razzismo e il potere delle oligarchie divennero nuovamente dominanti. Gli incappucciati del KKK con le loro croci infuocate controllavano il territorio e picchiavano selvaggiamente e uccidevano chi non “stava al suo posto”. Erano “cristiani” fondamentalisti pronti a tutto, pronti anche al terrorismo, precursori di quel potente fondamentalismo che oggi sta dietro ai neocon di Bush e Cheney.
Dall'incarcerazione di Rosa Parks cominciò un boicottaggio dei mezzi pubblici che andò avanti per 381 giorni paralizzando il sistema di trasporti della città, anche con delle serie ripercussioni economiche per i negozi in mano ai segregazionisti e ai loro simpatizzanti. Nel 1956 la Corte Suprema si sentì obbligata a dichiarare incostituzionale ogni forma di discriminazione razziale. Come giustamente riconobbe Bill Clinton nel 1999 consegnandole una onorificenza:” Mettendosi a sedere, lei si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell'America”.
Martin Luther King divenne noto a livello internazionale quando ci fu l'incidente di Rosa Parks.
Il 24 ottobre 2005, all'età di 92 anni, Rosa Parks ci ha lasciato, con la stessa semplicità e delicatezza che avevano caratterizzato tutta la sua vita di grande e tenace combattente per la giustizia.
giovedì 30 novembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 30 novembre.
Il 30 novembre 1954 Ann Hodges divenne la prima persona a venire colpita da un oggetto extraterrestre.
"I residenti di Sylacauga ed altri provenienti da più lontano, da Tuscaloosa, videro uno strano oggetto striare il cielo pomeridiano e sentirono rumori descritti come esplosioni o suoni sordi", racconta MJ Ellington sul Decatur Daily, quando nel 2006 raccontò l'episodio.
Nel frattempo, Ann Elizabeth Hodges si trovava sul divano di casa sua, a Sylacauga, Alabama, quando fu svegliata da un forte rumore e qualche dolore. Si alzò e fece una scoperta davvero sorprendente: una roccia nera di ignota provenienza si trovava nel suo salotto. La signora Hodges divenne, in questo modo e involontariamente, la prima persona al mondo nella storia moderna e di cui si aveva notizia ad essere stata colpita da un sasso caduto dallo spazio.
Si trattava di un meteorite, un pezzo di una meteora che aveva penetrato e resistito all'atmosfera per finire nel salotto di casa Hodges. E con una traiettoria del tutto insolita: caduta dal cielo, infatti, aveva forato il tetto dell'abitazione, rimbalzato sulla radio per finire direttamente sulla coscia dell'ignara donna. Una foto di Ann Hodges nel 1954 mostra il livido lasciato sulla sua coscia dopo essere stata colpita dal meteorite. Nel dicembre dello stesso anno, la rivista Life definì “l'incidente” come “il primo caso di aggressione da parte di un autentico missile cosmico nei confronti degli Stati Uniti” e soprannominò il meteorite opaco e nero Big Bruiser From The Sky.
Il meteorite riscosse un'immediata reazione a Sylacauga. Secondo l'Encyclopedia of Alabama, più di 200 persone, tra vicini, amici, sconosciuti e i media, rimasero sconvolti dall'accaduto. Billy Field, un cittadino di Sylacauga, fu intervistato sul meteorite da parte della University of Alabama Honors College, nel 2009. “Mi ricordo che là fuori, c'erano auto in fila come se tutto l'Alabama stesse andando ad una partita di calcio. Le auto erano in fila e, lentamente, tutte passavano davanti l'abitazione della signora Hodges per guardare la casa della stella cadente”, racconta Field, professore di telecomunicazioni e cinema nello stato dell'Alabama. "La gente giungeva nelle vicinanze della casa, l'avrebbe guardata e osservato la porta sul retro".
Dopo una lunga battaglia legale, la signora Hodges e suo marito assicurarono l'oggetto delle dimensioni di un pompelmo e lo donarono in seguito al Museo di Storia Naturale dell'Alabama, dove si trova tuttora.
Una storia ai limiti della realtà quella della signora Hodges. Gli astronomi oggi dichiarano che le possibilità di una collisione con un meteorite sono davvero molto basse, ma non impossibili. E, si sa, sebbene il mondo sia tanto grande, gli scherzi del destino ci mettono lo zampino. Tanto che, in un Universo immenso, su di un pianeta vasto, un continente tanto grande, un meteorite può persino raggiungere il salotto di casa.
Il 30 novembre 1954 Ann Hodges divenne la prima persona a venire colpita da un oggetto extraterrestre.
"I residenti di Sylacauga ed altri provenienti da più lontano, da Tuscaloosa, videro uno strano oggetto striare il cielo pomeridiano e sentirono rumori descritti come esplosioni o suoni sordi", racconta MJ Ellington sul Decatur Daily, quando nel 2006 raccontò l'episodio.
Nel frattempo, Ann Elizabeth Hodges si trovava sul divano di casa sua, a Sylacauga, Alabama, quando fu svegliata da un forte rumore e qualche dolore. Si alzò e fece una scoperta davvero sorprendente: una roccia nera di ignota provenienza si trovava nel suo salotto. La signora Hodges divenne, in questo modo e involontariamente, la prima persona al mondo nella storia moderna e di cui si aveva notizia ad essere stata colpita da un sasso caduto dallo spazio.
Si trattava di un meteorite, un pezzo di una meteora che aveva penetrato e resistito all'atmosfera per finire nel salotto di casa Hodges. E con una traiettoria del tutto insolita: caduta dal cielo, infatti, aveva forato il tetto dell'abitazione, rimbalzato sulla radio per finire direttamente sulla coscia dell'ignara donna. Una foto di Ann Hodges nel 1954 mostra il livido lasciato sulla sua coscia dopo essere stata colpita dal meteorite. Nel dicembre dello stesso anno, la rivista Life definì “l'incidente” come “il primo caso di aggressione da parte di un autentico missile cosmico nei confronti degli Stati Uniti” e soprannominò il meteorite opaco e nero Big Bruiser From The Sky.
Il meteorite riscosse un'immediata reazione a Sylacauga. Secondo l'Encyclopedia of Alabama, più di 200 persone, tra vicini, amici, sconosciuti e i media, rimasero sconvolti dall'accaduto. Billy Field, un cittadino di Sylacauga, fu intervistato sul meteorite da parte della University of Alabama Honors College, nel 2009. “Mi ricordo che là fuori, c'erano auto in fila come se tutto l'Alabama stesse andando ad una partita di calcio. Le auto erano in fila e, lentamente, tutte passavano davanti l'abitazione della signora Hodges per guardare la casa della stella cadente”, racconta Field, professore di telecomunicazioni e cinema nello stato dell'Alabama. "La gente giungeva nelle vicinanze della casa, l'avrebbe guardata e osservato la porta sul retro".
Dopo una lunga battaglia legale, la signora Hodges e suo marito assicurarono l'oggetto delle dimensioni di un pompelmo e lo donarono in seguito al Museo di Storia Naturale dell'Alabama, dove si trova tuttora.
Una storia ai limiti della realtà quella della signora Hodges. Gli astronomi oggi dichiarano che le possibilità di una collisione con un meteorite sono davvero molto basse, ma non impossibili. E, si sa, sebbene il mondo sia tanto grande, gli scherzi del destino ci mettono lo zampino. Tanto che, in un Universo immenso, su di un pianeta vasto, un continente tanto grande, un meteorite può persino raggiungere il salotto di casa.
mercoledì 29 novembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 29 novembre.
Il 29 novembre 1797 nasce Gaetano Donizetti.
Domenico Gaetano Maria Donizetti nasce a Bergamo da una famiglia di umili condizioni, quinto dei sei figli di Andrea Donizetti e Domenica Nava.
Nel 1806 Gaetano viene ammesso alle "Lezioni caritatevoli di musica" dirette e fondate da Simone Mayr con lo scopo di poter preparare i bambini per il coro e impartire loro delle solide basi musicali. Il ragazzo dimostra subito di essere uno studente esuberante e particolarmente sveglio: Mayr intuisce le potenzialità del ragazzo e decide di seguire personalmente la sua istruzione musicale in clavicembalo e composizione.
Nel 1811 Donizetti scrive "Il Piccolo compositore di Musica" per una recita scolastica, aiutato e corretto dall'amato insegnante che lo sosterrà per tutta la vita e per il quale sempre nutrirà un profondo rispetto.
Nel 1815, su raccomandazione di Mayr, Donizetti si trasferisce a Bologna per completare gli studi con padre Stanislao Mattei, che già era stato insegnante di Rossini. Mayr partecipa alle spese necessarie per il mantenimento del ragazzo. Con il frate minore francescano, noto compositore e didatta, Donizetti segue per due anni i corsi di contrappunto e sicuramente riceve una formazione impeccabile, anche se non riesce a legare pienamente con lui, causa il carattere scontroso e taciturno dell'insegnante.
Negli ultimi mesi del 1817 Gaetano ritorna a Bergamo e, grazie all'interessamento di Mayr, riesce a firmare quasi subito un contratto per scrivere quattro opere per l'impresario Zancla, esordendo a Venezia nel 1818 con "Enrico di Borgogna", opera seguita nel 1819 da "Il falegname di Livonia", rappresentate entrambe con discreto successo e nelle quali si percepisce l'inevitabile influsso - per quell'epoca - di Gioacchino Rossini.
La sua attività può continuare tranquillamente anche grazie al fatto che, come racconta lo stesso compositore, riesce ad evitare il servizio militare: Marianna Pezzoli Grattaroli, signora della ricca borghesia di Bergamo, entusiasta per le eccezionali doti del giovane Donizetti, riesce a comprarne l'esenzione.
Nel 1822 presenta alla Scala "Chiara e Serafina", un totale fiasco che gli chiude per ben otto anni le porte del grande teatro milanese.
Il vero debutto nell'opera avviene grazie al fatto che Mayr rifiuta la commissione per una nuova opera e riesce a convincere gli organizzatori a passarla a Donizetti. Nasce così nel 1822, al Teatro Argentina di Roma, "Zoraida di Granata", che viene accolta con entusiasmo dal pubblico.
Il famoso impresario teatrale Domenico Barbaja, che nella sua carriera fa la fortuna anche di Rossini, Bellini, Pacini e molti altri, chiede a Donizetti di scrivere un'opera semiseria per il San Carlo di Napoli: "La Zingara" viene presentata nello stesso anno e ottiene un importante successo.
A differenza di Rossini, Bellini e successivamente Verdi, i quali sapevano amministrarsi nel lavoro, Gaetano Donizetti produce di fretta, senza fare accurate scelte, seguendo ed accettando, soprattutto, i ritmi frenetici e stressanti imposti dalle condizioni della vita teatrale del tempo.
Alla fine della sua non certo lunga vita l'instancabile compositore lascia circa settanta opere fra serie, semiserie, buffe, farse, gran opéras e opéra-comiques. A queste bisogna aggiungere 28 cantate con accompagnamento di orchestra o pianoforte, diverse composizioni di carattere religioso (fra cui due Messe da Requiem in memoria di Bellini e Zingarelli, e gli oratori "Il diluvio universale" e "Le sette chiese"), brani sinfonici, più di 250 liriche per una o più voci e pianoforte e composizioni strumentali da camera, fra cui 19 quartetti per archi che denotano l'influenza dei principali classici viennesi, Mozart, Gluck, Haydn, conosciuti e approfonditi con i suoi due maestri.
Sensibile ad ogni esigenza che sia manifestata dal pubblico e dagli impresari, viene accusato, soprattutto dai critici francesi (primo fra tutti Hector Berlioz che lo attacca con forza sul Journal des débats), di essere "trasandato e ripetitivo".
L'incredibile prolificità di Donizetti è dettata dalla sete di guadagno in un'epoca nella quale il compositore non percepiva i diritti d'autore intesi come lo sono oggi, ma quasi solamente il compenso stabilito al momento della commissione dell'opera.
L'abilità di Donizetti sta nel fatto che quasi mai scende a livelli artistici improponibili, grazie al mestiere ed alla professionalità acquisiti durante gli studi con Mayr: si tratta di quella che viene definita la "poetica della fretta", che farebbe sì che la fantasia creatrice, invece di essere turbata e depressa dalle scadenze che devono essere rispettate, è solleticata, sollecitata e tenuta sempre sotto tensione.
Nel 1830, con la collaborazione del librettista Felice Romani, ottiene il primo vero grande trionfo con "Anna Bolena", presentata al Teatro Carcano di Milano e, nel giro di pochi mesi, anche a Parigi e Londra.
Anche se il successo e la prospettiva tangibile di una carriera internazionale gli permetterebbero di rallentare gli impegni, Donizetti continua a scrivere a ritmi incredibili: cinque opere in poco meno di un anno, prima di arrivare ad un'altra tappa essenziale della sua produzione, il capolavoro comico "L'elisir d'amore", scritto in meno di un mese ancora su libretto di Romani, rappresentato nel 1832 con grandissimo successo al Teatro della Canobbiana di Milano.
Nel 1833 presenta a Roma "Il furioso all'isola di San Domingo" e alla Scala "Lucrezia Borgia", che viene salutata dalla critica e dal pubblico come un capolavoro.
L'anno successivo firma un contratto con il San Carlo di Napoli che prevede un'opera seria all'anno. La prima che deve andare in scena è "Maria Stuarda", ma il libretto, tratto dal noto dramma di Schiller, non passa il vaglio della censura a causa del finale cruento: i censori napoletani erano ben noti per pretendere solo il "lieto fine". In dieci giorni Donizetti adatta la musica ad un nuovo testo, "Buondelmonte", che viene accolto non certamente in modo positivo. Ma la sfortuna di quest'opera non finisce: "Maria Stuarda", ripresentata nella sua veste originale alla Scala nel 1835 finisce in un clamoroso fiasco causato dalle pessime condizioni di salute della Malibran, nonché dai suoi capricci da diva.
In seguito al volontario ritiro dalle scene di Rossini nel 1829 ed alla prematura e inaspettata morte di Bellini nel 1835, Donizetti rimane l'unico grande rappresentante del melodramma italiano. Proprio Rossini gli apre le porte dei teatri della capitale francese (e degli allettanti compensi, ben superiori a quelli che possono ottenersi in Italia) e invita Donizetti a comporre nel 1835 "Marin Faliero" da rappresentare a Parigi.
Nello stesso anno a Napoli arriva lo straordinario successo di "Lucia di Lammermoor", su un testo di Salvatore Cammarano, il librettista, successore di Romani, più importante del periodo romantico, che già ha collaborato con Mercadante, Pacini e che scriverà successivamente per Verdi quattro libretti, tra i quali quelli per "Luisa Miller" e "Il trovatore".
Tra il 1836 e il 1837 vengono a mancare i genitori, una figlia e l'adorata moglie Vírginia Vasselli, sposata nel 1828. Neanche i ripetuti lutti familiari rallentano la sua ormai frenetica produzione.
In ottobre, amareggiato per la mancata nomina a direttore del Conservatorio come successore di Nicola Antonio Zingarelli (gli viene preferito il più "autenticamente napoletano" Mercadante), prende la decisione di abbandonare Napoli e di trasferirsi a Parigi. Torna in Italia, a Milano, nel 1841.
Ha così l'occasione di assistere alle prove del "Nabucco" di Verdi nel 1842 e ne rimane talmente impressionato che, da quel momento, si adopera per cercare di far conoscere il giovane compositore a Vienna, dove è direttore musicale della stagione italiana.
Nello stesso anno dirige a Bologna, su invito dello stesso autore, una memorabile esecuzione (la prima in Italia) dello Stabat Mater di Rossini, il quale vorrebbe che Donizetti accettasse l'importante incarico di maestro di cappella a San Petronio. Il compositore non accetta in quanto anela a coprire quello, ben più prestigioso e più remunerativo, di Kapellmeister presso la corte asburgica.
Durante le prove di "Don Sebastiano" (Parigi 1843) tutti notano il comportamento assurdo e stravagante del compositore, colpito da frequenti amnesie e diventato sempre più intemperante, malgrado fosse conosciuto come persona affabile, spiritosa, di grande e squisita sensibilità.
Da anni Donizetti ha in effetti contratto la sifilide: alla fine del 1845 è colpito da una grave paralisi cerebrale, indotta dall'ultimo stadio della malattia, e dai sintomi di una malattia mentale che già si era manifestata precedentemente.
Il 28 gennaio 1846 il nipote Andrea, inviato dal padre Giuseppe che risiede a Costantinopoli e che è stato avvertito dagli amici del compositore, organizza un consulto medico e pochi giorni dopo Donizetti viene rinchiuso in una casa di cura di Ivry, vicino a Parigi, dove rimane per ben diciassette mesi. Le sue ultime lettere conosciute risalgono ai primi giorni del suo ricovero e rappresentano il disperato bisogno di una mente ormai irrimediabilmente confusa che chiede aiuto.
Solamente grazie alle minacce di suscitare un caso diplomatico internazionale, visto che Donizetti è cittadino austroungarico e maestro di cappella dell'imperatore Ferdinando I d'Asburgo, il nipote ottiene il permesso di portarlo a Bergamo il 6 ottobre 1847, quando ormai il compositore è paralizzato e in grado al massimo di emettere qualche monosillabo, spesso senza senso.
Viene sistemato a casa di amici che si prendono amorevolmente cura di lui fino al suo ultimo giorno di vita. Gaetano Donizetti muore l'8 aprile 1848.
La sua tomba si trova nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo.
Il 29 novembre 1797 nasce Gaetano Donizetti.
Domenico Gaetano Maria Donizetti nasce a Bergamo da una famiglia di umili condizioni, quinto dei sei figli di Andrea Donizetti e Domenica Nava.
Nel 1806 Gaetano viene ammesso alle "Lezioni caritatevoli di musica" dirette e fondate da Simone Mayr con lo scopo di poter preparare i bambini per il coro e impartire loro delle solide basi musicali. Il ragazzo dimostra subito di essere uno studente esuberante e particolarmente sveglio: Mayr intuisce le potenzialità del ragazzo e decide di seguire personalmente la sua istruzione musicale in clavicembalo e composizione.
Nel 1811 Donizetti scrive "Il Piccolo compositore di Musica" per una recita scolastica, aiutato e corretto dall'amato insegnante che lo sosterrà per tutta la vita e per il quale sempre nutrirà un profondo rispetto.
Nel 1815, su raccomandazione di Mayr, Donizetti si trasferisce a Bologna per completare gli studi con padre Stanislao Mattei, che già era stato insegnante di Rossini. Mayr partecipa alle spese necessarie per il mantenimento del ragazzo. Con il frate minore francescano, noto compositore e didatta, Donizetti segue per due anni i corsi di contrappunto e sicuramente riceve una formazione impeccabile, anche se non riesce a legare pienamente con lui, causa il carattere scontroso e taciturno dell'insegnante.
Negli ultimi mesi del 1817 Gaetano ritorna a Bergamo e, grazie all'interessamento di Mayr, riesce a firmare quasi subito un contratto per scrivere quattro opere per l'impresario Zancla, esordendo a Venezia nel 1818 con "Enrico di Borgogna", opera seguita nel 1819 da "Il falegname di Livonia", rappresentate entrambe con discreto successo e nelle quali si percepisce l'inevitabile influsso - per quell'epoca - di Gioacchino Rossini.
La sua attività può continuare tranquillamente anche grazie al fatto che, come racconta lo stesso compositore, riesce ad evitare il servizio militare: Marianna Pezzoli Grattaroli, signora della ricca borghesia di Bergamo, entusiasta per le eccezionali doti del giovane Donizetti, riesce a comprarne l'esenzione.
Nel 1822 presenta alla Scala "Chiara e Serafina", un totale fiasco che gli chiude per ben otto anni le porte del grande teatro milanese.
Il vero debutto nell'opera avviene grazie al fatto che Mayr rifiuta la commissione per una nuova opera e riesce a convincere gli organizzatori a passarla a Donizetti. Nasce così nel 1822, al Teatro Argentina di Roma, "Zoraida di Granata", che viene accolta con entusiasmo dal pubblico.
Il famoso impresario teatrale Domenico Barbaja, che nella sua carriera fa la fortuna anche di Rossini, Bellini, Pacini e molti altri, chiede a Donizetti di scrivere un'opera semiseria per il San Carlo di Napoli: "La Zingara" viene presentata nello stesso anno e ottiene un importante successo.
A differenza di Rossini, Bellini e successivamente Verdi, i quali sapevano amministrarsi nel lavoro, Gaetano Donizetti produce di fretta, senza fare accurate scelte, seguendo ed accettando, soprattutto, i ritmi frenetici e stressanti imposti dalle condizioni della vita teatrale del tempo.
Alla fine della sua non certo lunga vita l'instancabile compositore lascia circa settanta opere fra serie, semiserie, buffe, farse, gran opéras e opéra-comiques. A queste bisogna aggiungere 28 cantate con accompagnamento di orchestra o pianoforte, diverse composizioni di carattere religioso (fra cui due Messe da Requiem in memoria di Bellini e Zingarelli, e gli oratori "Il diluvio universale" e "Le sette chiese"), brani sinfonici, più di 250 liriche per una o più voci e pianoforte e composizioni strumentali da camera, fra cui 19 quartetti per archi che denotano l'influenza dei principali classici viennesi, Mozart, Gluck, Haydn, conosciuti e approfonditi con i suoi due maestri.
Sensibile ad ogni esigenza che sia manifestata dal pubblico e dagli impresari, viene accusato, soprattutto dai critici francesi (primo fra tutti Hector Berlioz che lo attacca con forza sul Journal des débats), di essere "trasandato e ripetitivo".
L'incredibile prolificità di Donizetti è dettata dalla sete di guadagno in un'epoca nella quale il compositore non percepiva i diritti d'autore intesi come lo sono oggi, ma quasi solamente il compenso stabilito al momento della commissione dell'opera.
L'abilità di Donizetti sta nel fatto che quasi mai scende a livelli artistici improponibili, grazie al mestiere ed alla professionalità acquisiti durante gli studi con Mayr: si tratta di quella che viene definita la "poetica della fretta", che farebbe sì che la fantasia creatrice, invece di essere turbata e depressa dalle scadenze che devono essere rispettate, è solleticata, sollecitata e tenuta sempre sotto tensione.
Nel 1830, con la collaborazione del librettista Felice Romani, ottiene il primo vero grande trionfo con "Anna Bolena", presentata al Teatro Carcano di Milano e, nel giro di pochi mesi, anche a Parigi e Londra.
Anche se il successo e la prospettiva tangibile di una carriera internazionale gli permetterebbero di rallentare gli impegni, Donizetti continua a scrivere a ritmi incredibili: cinque opere in poco meno di un anno, prima di arrivare ad un'altra tappa essenziale della sua produzione, il capolavoro comico "L'elisir d'amore", scritto in meno di un mese ancora su libretto di Romani, rappresentato nel 1832 con grandissimo successo al Teatro della Canobbiana di Milano.
Nel 1833 presenta a Roma "Il furioso all'isola di San Domingo" e alla Scala "Lucrezia Borgia", che viene salutata dalla critica e dal pubblico come un capolavoro.
L'anno successivo firma un contratto con il San Carlo di Napoli che prevede un'opera seria all'anno. La prima che deve andare in scena è "Maria Stuarda", ma il libretto, tratto dal noto dramma di Schiller, non passa il vaglio della censura a causa del finale cruento: i censori napoletani erano ben noti per pretendere solo il "lieto fine". In dieci giorni Donizetti adatta la musica ad un nuovo testo, "Buondelmonte", che viene accolto non certamente in modo positivo. Ma la sfortuna di quest'opera non finisce: "Maria Stuarda", ripresentata nella sua veste originale alla Scala nel 1835 finisce in un clamoroso fiasco causato dalle pessime condizioni di salute della Malibran, nonché dai suoi capricci da diva.
In seguito al volontario ritiro dalle scene di Rossini nel 1829 ed alla prematura e inaspettata morte di Bellini nel 1835, Donizetti rimane l'unico grande rappresentante del melodramma italiano. Proprio Rossini gli apre le porte dei teatri della capitale francese (e degli allettanti compensi, ben superiori a quelli che possono ottenersi in Italia) e invita Donizetti a comporre nel 1835 "Marin Faliero" da rappresentare a Parigi.
Nello stesso anno a Napoli arriva lo straordinario successo di "Lucia di Lammermoor", su un testo di Salvatore Cammarano, il librettista, successore di Romani, più importante del periodo romantico, che già ha collaborato con Mercadante, Pacini e che scriverà successivamente per Verdi quattro libretti, tra i quali quelli per "Luisa Miller" e "Il trovatore".
Tra il 1836 e il 1837 vengono a mancare i genitori, una figlia e l'adorata moglie Vírginia Vasselli, sposata nel 1828. Neanche i ripetuti lutti familiari rallentano la sua ormai frenetica produzione.
In ottobre, amareggiato per la mancata nomina a direttore del Conservatorio come successore di Nicola Antonio Zingarelli (gli viene preferito il più "autenticamente napoletano" Mercadante), prende la decisione di abbandonare Napoli e di trasferirsi a Parigi. Torna in Italia, a Milano, nel 1841.
Ha così l'occasione di assistere alle prove del "Nabucco" di Verdi nel 1842 e ne rimane talmente impressionato che, da quel momento, si adopera per cercare di far conoscere il giovane compositore a Vienna, dove è direttore musicale della stagione italiana.
Nello stesso anno dirige a Bologna, su invito dello stesso autore, una memorabile esecuzione (la prima in Italia) dello Stabat Mater di Rossini, il quale vorrebbe che Donizetti accettasse l'importante incarico di maestro di cappella a San Petronio. Il compositore non accetta in quanto anela a coprire quello, ben più prestigioso e più remunerativo, di Kapellmeister presso la corte asburgica.
Durante le prove di "Don Sebastiano" (Parigi 1843) tutti notano il comportamento assurdo e stravagante del compositore, colpito da frequenti amnesie e diventato sempre più intemperante, malgrado fosse conosciuto come persona affabile, spiritosa, di grande e squisita sensibilità.
Da anni Donizetti ha in effetti contratto la sifilide: alla fine del 1845 è colpito da una grave paralisi cerebrale, indotta dall'ultimo stadio della malattia, e dai sintomi di una malattia mentale che già si era manifestata precedentemente.
Il 28 gennaio 1846 il nipote Andrea, inviato dal padre Giuseppe che risiede a Costantinopoli e che è stato avvertito dagli amici del compositore, organizza un consulto medico e pochi giorni dopo Donizetti viene rinchiuso in una casa di cura di Ivry, vicino a Parigi, dove rimane per ben diciassette mesi. Le sue ultime lettere conosciute risalgono ai primi giorni del suo ricovero e rappresentano il disperato bisogno di una mente ormai irrimediabilmente confusa che chiede aiuto.
Solamente grazie alle minacce di suscitare un caso diplomatico internazionale, visto che Donizetti è cittadino austroungarico e maestro di cappella dell'imperatore Ferdinando I d'Asburgo, il nipote ottiene il permesso di portarlo a Bergamo il 6 ottobre 1847, quando ormai il compositore è paralizzato e in grado al massimo di emettere qualche monosillabo, spesso senza senso.
Viene sistemato a casa di amici che si prendono amorevolmente cura di lui fino al suo ultimo giorno di vita. Gaetano Donizetti muore l'8 aprile 1848.
La sua tomba si trova nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo.
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