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mercoledì 30 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 30 novembre.
Il 30 novembre 1979 esce nei negozi di dischi l'album doppio "The Wall" dei Pink Floyd.
La solitudine, immensa solitudine. The Wall è forse il disco più aggressivo dei Pink Floyd, ma in realtà tratta di un argomento fragile, che non può lasciare indifferente nessuno, perché tutti lo hanno, a proprio tempo, desiderato e temuto. A tratti claustrofobico, oscuro, e spigoloso; in altri punti invece morbido e con un fare quasi consolatorio. La psichedelia viene abbandonata quasi totalmente in questo disco, per far spazio a un baratro sonoro e concettuale, sul cui orlo si viene a trovare l'ascoltatore.
Richiesto inizialmente per risanare i debiti dei Floyd e per alleggerire la pressione del fisco inglese, The Wall è il secondo doppio album dei Pink Floyd dopo Ummagumma. All'uscita scatenò (e continua ad agitare ancora oggi) discussioni contrastanti riguardo alla sua fattura: tra chi lo considerava il migliore tra gli album floydiani e chi invece lo dipingeva non solo come di livello minore dei precedenti, ma anche la fine dei veri Pink Floyd. The Wall non è né l'una né l'altra cosa; esso fu percepito come album diverso, sia in meglio che in peggio, per la forte assenza delle "tastiere a tappeto" di Richard Wright, estromesso durante la realizzazione del disco per diverbi con Roger Waters e che partecipò all'album come session man, le quali nei dischi precedenti contribuivano a creare una musica straniante ed onirica. Esse furono sostituite parzialmente da pianoforte classico ed orchestra. Certo The wall non è un album esente da difetti, ma la sua struttura di concept da grande rilievo e la forza dirompente ne hanno fatto un pilastro del rock.
The Wall narra la storia della rockstar Pink (in gran parte ispirata alla vita dello stesso Roger Waters), segnata da avvenimenti tragici come la morte del padre quando il protagonista era ancora in fasce, la scuola disumanizzante, una madre iperprotettiva, le groupies, gli eccessi, il divorzio. Non reggendo il peso di tutto ciò, Pink si chiude dietro ad un muro (il "wall" del titolo) che lo isola dal mondo esterno facendolo però diventare completamente solo e accompagnandolo allo stesso tempo alla follia (richiamo a Syd barret, mai dimenticato dai Pink Floyd successivamente al suo abbandono). Tutto questo sfocia in sbotti di rabbia a volte violenti (The Thin Ice) a volte compressi (One Of My Turns), ma anche in ballate delicate e strazianti (Nobody Home).
La novità si avverte fin dai primi brani del disco, con le quartine suonate sul rullante da Nick Mason che rievocano un suono più heavy dei dischi precedenti e richiamano anche sonorità belliche (è ancora la batteria di Mason a richiamare sventagliate di mitragliatrice), come pure l'elicottero di Another Brick In The Wall Part II. Il tema dominante del primo disco è un possibile rapporto tra la massificazione dei giovani, subita in un rigido quanto alienante sistema scolastico, e l'inquadramento militare, temi raccontati durante l'infanzia e l'adolescenza di Pink. Another Brick In The Wall è ripresa tre volte: la prima parte è più rilassata ed evidenzia il basso pulsante di Waters, la terza è veloce e pesante nel suo rock pieno, e la seconda parte è la canzone più famosa dei Pink Floyd, seconda forse solo a Money, con un incedere coinvolgente e il coro dei bambini che ribatte alla voce principale. Un cult è diventato anche il video di questo brano che mostra i bambini del coro rinchiusi all'interno del muro di copertina e la celebre marcia dei martelli. Ci sono momenti di leggerezza (Mother), ma per la maggior parte tutto è malfermo ed inquieto come gli ideali e le speranze adolescenziali: Empty Spaces evoca suoni e minacce lontane con la chitarra che dipinge trame inquietanti su una percussione ossessiva, Young Lust è un hard rock che nasconde la nevrosi.
Nel secondo disco si passa alle esperienze successive di Pink, al suo difficile rapporto con la madre, alla fama di rockstar, fino a che anche il rapporto con la moglie si spezza per l'incomunicabilità: è l'ultimo mattone che chiude il muro, dentro al quale il personaggio si rifugia per non subire il dolore progressivo che sta cozzando contro la sua vita e che però lo riduce in completa solitudine. Tenta di vincere il proprio isolamento, ma inutilmente (Is There Anybody Out There?, Nobody Home) mentre è in balia dei suoi produttori che lo salvano da un overdose solo per sbatterlo di nuovo sul palco a proprio uso e consumo in Comfortably Numb. Questo pezzo procede stupendo tra atmosfere stranianti e quasi da sogno febbrile, scandito da due degli assoli più belli della storia del rock, magistralmente eseguiti da David Gilmour.
Già l'inizio aveva graffiato con Hey You, sospesa tra chitarre ricamate e distorte ed elettronica deformata, il resto non è da meno: Run Like Hell, inizialmente concepito come "brano da discoteca" dai produttori e pulsante però del dramma della storia e Waiting For The Worms, dilaniata tra dolcezza e violenza difformi, rappresentazione ideale dello stato d'animo e mentale di Pink. Si apre poi un processo (The Trial) il cui esito è la condanna, forse dolorosa, ma liberatoria, ad abbattere il muro, ad esporsi senza difese precostruite ai proprio simili. Il doppio album si conclude con Outside The Wall, poetica ed introspettiva (Soli o a coppie/ Quelli che davvero ti amano/ Camminano su e giù fuori dal muro/ Qualcuno mano nella mano/ Qualcuno si riunisce in band/ I cuori sanguinanti e gli artisti/ fanno la loro comparsa/ E quando hanno dato tutto ciò che potevano/ Alcuni barcollano e cadono/ Dopo tutto non è facile/ Sentire il tuo cuore contro un muro di pazzi). Conclude la riflessione di Waters, incentrata sulla massificazione giovanile e sulla perdita di identità degli adolescenti, spesso favorita e anche sfruttata dalle rockstar.
Durante la canzone Empty Spaces si può udire chiaramente un messaggio registrato al contrario (il suddetto messaggio è nell'album in studio, ma non nel live e nel film). Se si ascolta la canzone al contrario, rallentando la velocità, si sente: "Any better: congratulations! You've just discovered the secret message. Please, send your answer to "Old Pink", care of the "Funny Farm", Chalfont." (Niente di meglio: congratulazioni! Hai appena scoperto il messaggio segreto. Per favore, spedisci la tua risposta al "Vecchio Pink", presso la "Funny Farm", a Chalfont). Funny Farm è un termine in slang inglese con il quale si indicano gli ospedali psichiatrici. Il messaggio, evidente parodia dei messaggi subliminali, è anche un chiaro riferimento al mai dimenticato Syd Barrett, fondatore ed ex-leader dei Pink Floyd, allontanato dal gruppo per problemi comportamentali causati principalmente dall'assunzione di droghe psicotrope.
Alcuni anni dopo Alan Parker dirigerà il film Pink Floyd The Wall, trasposizione cinematografica dell'album. L'attore protagonista sarà l'allora semisconosciuto leader dei Boomtown Rats, Bob Geldof.
Il film Pink Floyd The Wall fu presentato, in anteprima, al 35esimo festival di Cannes, il 22 maggio 1982, a mezzanotte. Nel film vengono mostrati circa venti minuti delle animazioni originali di Gerald Scarfe create per i concerti. La pellicola è dotata di un'incisiva violenza psicologica: basti pensare alla sequenza dei bambini gettati nel tritacarne o quella dei bombardamenti di Goodbye Blue Sky.
The Wall può essere considerato come un punto d'arrivo della complessa esperienza musicale dei Pink Floyd, ed è un capolavoro per il connubio tra liriche, musica ed esecuzione dal vivo. Forse non è stato il loro miglior disco, di sicuro è una gran bella prova del fatto che di un gruppo come i Pink Floyd oggi si sente la mancanza e riascoltando anche "The Wall" si capisce che questo gruppo è riuscito a far risplendere il grande diamante presente nell'anima di ognuno di noi.

martedì 29 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 novembre.
Il 29 novembre 1945 viene dichiarata la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia (in seguito rinominata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia).
La Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia fu lo stato principale dei Balcani dal 1943 al 1992, anno della sua dissoluzione.
Fondata nel 1943 sulle ceneri del Regno di Jugoslavia sotto il nome di Repubblica Democratica Jugoslava, nel 1945 cambiò il nome in Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia mentre nel 1963 assunse il suo nome definitivo.
La Jugoslavia confinava a nord-ovest con l'Italia e l'Austria, a nord con Ungheria e Romania, a est con la Bulgaria, a sud con l'Albania e la Grecia e ad ovest con il mar Adriatico.
Durante la Guerra fredda la Jugoslavia fu un importante membro dei paesi non allineati.
Nel 1945 il suo primo presidente fu Ivan Ribar mentre il Maresciallo Tito divenne Primo Ministro nel 1953. Tito venne eletto presidente, succedendo a Ribar, ed ottenne la carica vitalizia nel 1963.
 Nel corso degli anni Settanta il modello jugoslavo di socialismo attraversò un periodo di crisi. La stagnazione economica ha fatto  riemergere gli  antichi conflitti nazionali che il federalismo e l'autogestione sembravano avere, se non risolto, certo affievolito. Aumentò la divaricazione tra le capacità produttive e il tenore di vita del nord e l'arretratezza e la miseria delle aree meridionali.
La crisi fu risolta da Tito accentuando la repressione e ampliando l'autonomia delle repubbliche. Accanto all'epurazione degli elementi critici e al rifiuto di incamminarsi sulla via della democrazia e del pluralismo, venne riformata la Costituzione con garanzie prevalentemente formali sulla collegialità del potere e la rotazione delle cariche tra i comunisti delle diverse repubbliche.
La morte di Tito nel 1980 coglie impreparata la dirigenza jugoslava. Negli ultimi anni il vecchio leader aveva favorito l'emergere di una classe dirigente più giovane, emarginando gli ultimi rappresentanti della propria generazione che si mostravano sempre più critici nei riguardi del suo potere personale. Questa nuova dirigenza non fu però capace di trovare una linea unitaria e di comprendere a fondo i guasti che si erano accumulati nella gestione economica. Il debito pubblico continuò a crescere. Nel marzo del 1981 si ebbe una prima esplosione del nazionalismo del Kosovo, dove la popolazione di origine albanese rivendicava maggiore autonomia e suscitava le proteste accompagnate dalle violenze dei serbi.
L'aggravarsi della crisi economica indusse i gruppi dirigenti delle repubbliche  a lottare fra loro per difendere il livello di vita dei propri amministrati assicurando loro il massimo delle risorse disponibili. La burocrazia centrale,  prevalentemente serba, come i vertici militari, non fece nulla per frenare il riacutizzarsi del già citato contrasto fra le zone settentrionali più agiate e  quelle meridionali più povere. Pur appartenendo tutti alla Lega dei comunisti, i dirigenti delle singole repubbliche che cercano legittimazione e  consenso accentuano la loro polemica in senso più decisamente nazionalistico. I rapporti tra serbi, sloveni e croati si deteriorano di anno in anno mentre le  posizioni nazionalistiche ottengono maggiori consensi e iniziano a trovare forme stabili di organizzazione.
Nel 1990 la Lega dei comunisti si scioglie e al  suo posto, spesso con le stesse personalità comuniste, sorgono partiti nazionalisti che puntano all'egemonia o alla secessione dell'Unione. Il 25  giugno del 1991 Slovenia e Croazia si dichiarano indipendenti, inutilmente contrastate dall'esercito federale, seguite una dopo l'altra da tutte le altre repubbliche federative.
L'origine della guerra civile fu la dichiarazione d'indipendenza con cui Croazia e Slovenia abbandonarono la Repubblica federativa jugoslava, mettendo in crisi l'assetto federale. Per contro i serbi, che furono al vertice dello stato, rivendicarono il diritto a essere gli unici rappresentanti del popolo jugoslavo, forti della loro presenza maggioritaria nelle forze armate. Il primo attacco fu sferrato contro la Slovenia e si risolse con il ritiro delle truppe in ottobre. In seguito il conflitto si estese alla Croazia, dove l'esercito ottenne l'appoggio della minoranza serba, e si concluse con un primo armistizio nel gennaio del 1992.
La situazione precipitò già il mese successivo con il voto per l'indipendenza della Bosnia-Erzegovina, invocata dai croati e musulmani. Allorché, il 6 aprile, anche la Comunità europea e gli USA riconobbero il nuovo stato bosniaco, la Repubblica cominciò l'assedio di Sarajevo. La guerra civile vide contrapposti croati, serbi e musulmani e ebbe come teatro soprattutto Croazia e Bosnia.
Né gli sforzi diplomatici dei paesi vicini, né l'invio di truppe dell'ONU riuscirono a mettere fine a una guerra caratterizzata da massacri e dalla creazione di veri e propri campi di concentramento per la popolazione civile. Questo drammatico decorso portò, il 22 aprile del 1994, all'intervento delle truppe NATO per proteggere le sei zone della Bosnia assegnate all'ONU. L'impotenza dell'ONU si manifestò nel luglio 1995 quando le truppe serbe occuparono queste zone.
 Dopo una durissima parabola ascendente bellica si arrivò finalmente, grazie alla mediazione dello statunitense Richard Holbrooke, all'accordo di Dayton (21 novembre 1995) per la cessazione delle ostilità cui seguì un piano di pace che divise la Bosnia in due entità: la Federazione croato/musulmana che ricopriva il 51% del territorio, e la Repubblica serba di Bosnia, per il restante 49%.
Le ultime due repubbliche jugoslave, Serbia e Montenegro, formarono nel 1992 una nuova federazione denominata Repubblica Federale di Jugoslavia, la cui struttura e nome vennero ridefiniti nel 2003, quando divenne Unione Statale di Serbia e Montenegro.
Nonostante le guerre civili nelle vicine Croazia e Bosnia Erzegovina, la Serbia rimase in pace fino al 1998, benché il governo di Slobodan Milošević e le istituzioni sostenessero, più o meno ufficialmente, i Serbi di Croazia e di Bosnia, in guerra aperta con le altre nazionalità, armando e consigliando le loro truppe.
Tra il 1998 e il 1999, continui scontri in Kosovo tra le forze di sicurezza serbo-jugoslave e l'Esercito di Liberazione Albanese (UÇK), riportati dai media occidentali, portarono al bombardamento della NATO sulla Serbia (Operazione Allied Force), che durò per 78 giorni. Gli attacchi vennero fermati da un accordo, firmato da Milošević, che prevedeva la rimozione dalla provincia di ogni forza di sicurezza, incluso esercito e polizia, rimpiazzati da un corpo speciale internazionale su mandato delle Nazioni Unite. In base all'accordo, il Kosovo rimaneva sotto la sovranità formale della Repubblica Federale di Jugoslavia.
Slobodan Milošević, legittimo presidente federale, rimase al potere per circa un anno dopo il conflitto del Kosovo. In seguito alle elezioni presidenziali dell'autunno 2000, e le successive dimostrazioni popolari, fu costretto ad ammettere la sconfitta elettorale. Il 6 ottobre si insediò come presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia Vojislav Koštunica, lo sfidante di Milošević. Con le elezioni parlamentari del gennaio 2001, Zoran Đinđić divenne primo ministro. Đinđić venne assassinato mentre era in carica a Belgrado il 12 marzo 2003, da persone vicine al crimine organizzato. Subito dopo l'assassinio venne dichiarato lo stato di emergenza e la presidente del parlamento, Nataša Mićić, assunse le funzioni di primo ministro facente funzioni.
Nel 2003 il parlamento federale di Belgrado raggiunse un accordo su una ristrutturazione della Federazione, che attenuasse i legami fra Serbia e Montenegro. La Jugoslavia cessava così anche nominalmente di esistere, divenendo Unione di Serbia e Montenegro. Tuttavia il Montenegro non cessò di battersi per la propria indipendenza,  che ha raggiunto solo nell'Agosto 2006.

lunedì 28 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 novembre.
Il 28 novembre 1905 Arthur Griffith fonda il Sinn Féin in Irlanda.
Per capire il ruolo del Sinn Féin nella storia dell’Irlanda del Nord (Ulster) dobbiamo prima presentare in breve la situazione. Nell’Ulster non esiste una nazione o un popolo nord-irlandese perché di fatto in quella regione convivono due realtà diverse: quella di matrice protestante (unionista) e quella cattolica (nazionalista).
La maggioranza protestante tende a ritenersi di cittadinanza britannica ed è favorevole al mantenimento della regione all'interno del Regno Unito, mentre, al contrario, un’ampia minoranza si definisce irlandese, volendo l’integrazione delle sei contee nord-irlandese nella repubblica d’Irlanda (Eire). La paura dei protestanti è che in una ipotetica Irlanda unita diventeranno una minoranza discriminata dalla maggioranza cattolica, mentre la paura dei cattolici dell’Ulster è che nella situazione attuale rimarranno soltanto una minoranza discriminata dalla maggioranza protestante. La peculiarità del conflitto nella regione sta soprattutto nel fatto che nell’Irlanda del Nord ci sono due comunità distinte, due religioni distinte, due culture e anche due lingue. In altre parole, due comunità etniche che oltre a condurre vite separate desiderano appartenere a due stati nazionali diversi.
Secondo i nazionalisti cattolici nord-irlandesi esiste una nazione irlandese, e l’isola irlandese è la sua terra. La volontà della nazione irlandese non potrà essere liberamente espressa fino a quando sussisterà l’attuale divisione dell’isola. La colpa dell’attuale divisione sarebbe esclusivamente della Gran Bretagna. Secondo gli stessi la soluzione del conflitto è un’Irlanda unita e sovrana, proprio a causa del fallimento della divisione dell’isola, quale soluzione pensata per risolvere il problema nord-irlandese. Portavoce di questa visione era fino a pochi anni fa il partito Sinn Féin.
Sinn Féin che in irlandese significa “Noi Stessi” (o "noi soli"), è un partito repubblicano, il più forte partito tra gli elettori cattolici nord-irlandesi ed il secondo più importante nell’Irlanda del Nord dopo il Partito dei Unionisti Democratici (Democratic Unionist Party); nella Repubblica d’Irlanda è il quarto più votato partito.
Il moderno Sinn Féin, attivo soprattutto nell’Irlanda del Nord guidato dal 1983 da Gerry Adams, nacque nel 1970 con la scissione dal cosiddetto “Official Sinn Féin”, il quale nel 1977 ha cambiato nome in “Sinn Féin The Workers’ Party” (Sinn Féin il Partito degli Operai), diventando “Workers’ Party” nel 1982. Nella scissione del 1970, l'odierno Sinn Féin ha preso il nome di “Provisional Sein Féin”.
L’importanza del SF sta nel fatto che negli ultimi 30 anni è stato uno degli attori protagonisti del conflitto nord-irlandese. SF è stato da sempre visto come l’ala politica dell’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) o meglio, della PIRA (Esercito Repubblicano Irlandese Provvisorio) o comunque in stretto contatto con essa. Se all’inizio sembrava che SF fosse un attore di secondo piano sulla scena politica nord-irlandese perché nei primi anni ottanta il partito non era rappresentato in nessuna assemblea legislativa, con lo Sciopero della Fame (Hunger Strike) del 1981 dei detenuti repubblicani avvenuto nel carcere di Maze e con l’elezione del loro capo Bobby Sands, nel Parlamento Britannico (1981), la fortuna politica e il peso nella realtà nord-irlandese di SF ha cominciato a cambiare.
La decisione presa durante l’Ard Fheis (il Congresso Annuale del Partito) del 1986 quando la maggioranza degli iscritti, guidati da Gerry Adams, votarono per terminare la politica dell'astensionismo significava che SF era pronto a riconoscere le istituzioni create dal governo britannico sull'isola. Con l'iniziativa del ’86 di deviare dalla linea repubblicana tradizionale, cioè quella dell'assenteismo in caso di vittoria elettorale (i parlamentari eletti non avrebbero occupato i seggi a Westminster, non essendo ritenuto legale l’atto di unione legislativa dell’Irlanda del Nord con la Gran Bretagna), sia il più importante partito nazionalista a quei tempi, il Social Democratic and Labour Party (SDLP), sia il governo britannico cominciano a prendere sul serio la voce di SF.
All’inizio degli anni ’80 SF si muoveva nei parametri del pensiero repubblicano irlandese. Il movimento repubblicano ha come obiettivo l’unificazione dell’Irlanda del Nord con la Repubblica d’Irlanda sia con metodi politici, sia utilizzando la lotta armata. Secondo Nioclás O'Ceallaigh il movimento repubblicano è composto da più entità a parte SF: IRA (le varie frazioni), SF Repubblicano, il Movimento per la Sovranità delle 32 Contee (32 County Sovereignty Movement), il Partito degli Operai (Worker’s Party) ed altre organizzazioni minori.  
Nella Repubblica d'Irlanda il SF ha visto, dal 1989, lentamente crescere i propri consensi. Nel 1997, il SF è riuscito, dal 1957, ad eleggere per la prima volta un deputato, grazie al 2,6% dei consensi. I voti per il SF sono più che raddoppiati nelle elezioni del 2002, quando i socialisti nazionali hanno ottenuto il 6,5% dei consensi ed hanno eletto 5 deputati.
Alle politiche del 2007, il SF è sceso a 4 seggi, pur avendo avuto un incremento in termini di consensi, 6,9% (+0,4%).
Negli ultimi anni il partito è riuscito ad allargare decisamente il suo bacino elettorale, ottenendo l'11,2% alle Europee del 2009 e il 9,9% alle ultime elezioni politiche irlandesi (febbraio 2011), conquistando 14 seggi. Nel 2012 si è schierato per il NO al referendum sul fiscal compact.
Il Sinn Féin odierno è invece un partito indipendentista molto attivo soprattutto nell'Irlanda del Nord, dove proclama la necessità dell'unità irlandese. Organo politico dell'IRA, nel 1998 partecipa alla stesura del Belfast Agreement, noto anche come Accordo del Venerdì Santo (Good Friday Agreement).
Nel suo programma politico sono presenti spunti e argomentazioni di stampo socialista.
Attuale leader del movimento è Gerry Adams. Altro personaggio chiave del partito è Martin McGuinness che attualmente ricopre la carica di vicepremier nel governo di coalizione nord-irlandese. Non ufficialmente, ma secondo molte fonti, i due sarebbero stati membri del Consiglio dell'Esercito (Army Council) dell'IRA, braccio armato del partito durante gli anni della guerra.
Il partito è presente al Parlamento Europeo con 2 europarlamentari (uno eletto nella Repubblica d'Irlanda e uno nel Regno Unito) iscritti al gruppo della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (GUE/NGL), di cui fanno parte i partiti della sinistra radicale europea tra cui gli italiani Rifondazione Comunista e il Partito dei Comunisti Italiani.
Alle elezioni del 2011 per il Parlamento dell'Irlanda del Nord, il SF ha conquistato il 26,9% dei consensi ed ha eletto 29 deputati, uno in più del 2007. Il SF dal 1982 ha visto sempre incrementare i propri consensi: 10% (1982); 15,5% (1996); 17,7%(1998); 23,5% (2003); 26,2% (2007).
Alle elezioni generali del 2020 il SF si attesta come primo partito del paese ottenendo il 24,5% dei voti, realizzando un sorpasso storico sui due partiti conservatori che per un secolo hanno primeggiato nella competizione elettorale.

domenica 27 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 27 novembre.
Il 27 novembre 1897 nasce nel napoletano Vito Genovese.
Vito Genovese è stato il capo della Famiglia mafiosa che porta il suo nome dal 1957 al 1969, anno della sua morte. Genovese è stato il mentore di Vincent Gigante, futuro boss della Famiglia. Anche suo fratello Michael era un membro della cosca.
Vito Genovese emigra in America con la sua famiglia nel 1913 e con i suoi familiari si stabilisce a Little Italy (New York), dove già abitano alcuni suoi parenti. Nel 1915 subisce il primo arresto per possesso illegale di arma da fuoco e verrà condannato ad un anno di reclusione. Uscito di prigione conosce un giovane coetaneo, Lucky Luciano. I due diventeranno inseparabili e la loro amicizia durerà per quasi quarant'anni.
All'inizio degli anni venti, Luciano lo introduce nella Famiglia mafiosa guidata da Joe Masseria. Sotto la sua guida, Genovese si occupa di estorsioni e contrabbando di alcolici e, grazie al suo carattere sadico e violento, diventa uno dei più spietati e sanguinari killer della Famiglia.
Nel 1930, con lo scoppio della guerra castellammarese, compie decine di omicidi, tra cui quello del boss Gaetano Reina.
Nel 1931 Lucky Luciano, assieme agli altri boss, organizza l'omicidio di Joe Masseria e Salvatore Maranzano, i due mafiosi più potenti dell'epoca, mettendo cosi fine alla guerra. Genovese fu uno dei killer di Joe Masseria assieme a Joe Adonis ed Albert Anastasia.
Lucky Luciano, nuovo boss della Famiglia, nomina Genovese suo vice: cosi, a soli 34 anni, Vito diventa uno dei più potenti mafiosi di New York. Quando nel 1936 Luciano viene arrestato e condannato a 30 anni di carcere, pur continuando a comandare dalla prigione, affida la reggenza della Famiglia al vicecapo Vito Genovese. Appena un anno dopo, nel 1937, Genovese è costretto a darsi alla latitanza perché accusato dalla procura distrettuale di New York di essere il mandante dell'omicidio di Ferdinand Boccia, un soldato e suo ex socio nella Famiglia. Genovese lascia gli Stati Uniti e si rifugia in Italia.
Genovese, da tipico opportunista, diventa subito sostenitore di Benito Mussolini e degli altri gerarchi fascisti. Nel 1943, con lo sbarco degli alleati in Sicilia, Genovese diventa l'interprete ufficiale del colonnello Charles Poletti.
Genovese prospera con i suoi affari nel mercato nero e nel contrabbando grazie agli ufficiali americani corrotti, tra cui lo stesso colonnello Poletti, legato alla mafia. Ma nel 1945 la polizia militare scopre i suoi loschi affari e lo arresta. L'agente Orange Dickley, ufficiale della polizia militare, scopre che Genovese in realtà è ricercato per omicidio e lo fa rimpatriare negli Stati Uniti per sottoporlo a processo.
Durante lo svolgimento del processo, i testimoni chiave incominciano a morire in modi misteriosi (naturalmente assassinati dagli uomini di Genovese). Le morti, grazie alle autorità di polizia corrotte, vengono archiviati come suicidi e così Genovese viene assolto da tutte le accuse.
Sempre nel 1946 Lucky Luciano era stato espulso dagli Stati Uniti e quindi Frank Costello era diventato il boss ufficiale della Famiglia Luciano. Costello declassò Genovese da potenziale erede al trono della Famiglia e inoltre, negli anni di assenza di Genovese, Costello aveva diminuito di molto il potere ai suoi uomini di fiducia. Genovese, che aspirava al ruolo di boss, cominciò a nutrire rancore verso il suo vecchio amico, progettandone l'eliminazione.
Genovese aveva il sostegno dei suoi fedelissimi: Jerry Catena, Michele Miranda, Anthony Strollo, Philip Lombardo e Thomas Eboli. Tuttavia Costello era ancora uno dei più potenti boss d'America ed era sostenuto da alcuni dei capidecina più potenti della Famiglia: Joe Adonis, Anthony Carfano, Rocco Pellegrino, John Biello, John De Noia e soprattutto il suo vicecapo Willie Moretti.
Genovese cosi attua una specie di "guerra fredda" e nel 1951 fa assassinare Willie Moretti. Costello preferisce non cadere nelle provocazioni per non scatenare una guerra fratricida all'interno della Famiglia.
Nel 1953 Joe Adonis viene espulso dagli Stati Uniti e così il potere di Frank Costello incomincia a crollare. Nel 1957, con la morte per cause naturali di John De Noia, il ritiro dalle attività mafiose di John Biello e l'omicidio di Albert Anastasia (capo della Famiglia Mangano e alleato di Costello stesso), Genovese decide che è venuta l'ora di deporre dal trono Frank Costello.
Frank Costello, leggermente ferito nel corso di un agguato mentre sta rientrando nella sua casa a Manhattan, decide di ritirarsi e lasciare il posto a Genovese. Il killer, Vincent Gigante, è un giovane soldato di Vito Genovese.
Genovese nomina come vicecapo Jerry Catena e come consigliere Michele Miranda. Pochi mesi dopo con Carlo Gambino, nuovo capo della Famiglia Mangano, organizza la Riunione di Appalachin.
Nel 1959 Genovese viene arrestato e condannato a 15 anni di carcere, con l'accusa di essere uno degli organizzatori di un traffico di eroina.
Pur continuando a comandare dal carcere, Genovese nomina come reggente Anthony Strollo che, assieme a Catena, Miranda, Lombardo ed Eboli, gestiranno gli affari della cosca. Nel 1962 ordina dal carcere l'omicidio dello stesso Strollo, colpevole secondo lui di essere diventato troppo autonomo e di essersi avvicinato troppo a Carlo Gambino.
Nel 1963 uno dei suoi uomini, Joe Valachi, accetta di testimoniare contro di lui e l'intera mafia, diventando così il primo pentito di Cosa Nostra in America.
Valachi, recluso nello stesso carcere di Genovese, temeva di essere ucciso su ordine del suo anziano boss. Questa pubblicità, indesiderata dalla Mafia, portò un grosso danno di immagine a Genovese, ritenuto dagli altri boss il responsabile del pentimento di Joe Valachi.
Vito Genovese muore in carcere per un attacco di cuore nel 1969, all'età di 72 anni.
Genovese è considerato uno dei boss mafiosi più traditori, doppiogiochisti e spietati della Mafia americana.

sabato 26 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 novembre.
Il 26 novembre 1504 muore Isabella di Castiglia, la regina che aveva voluto il viaggio nelle Americhe di Colombo.
Isabella di Castiglia nasce il 22 aprile 1451 a Madrigal de las Altas Torres, in Spagna. Il padre è il re Giovanni II e la madre è la regina Isabella del Portogallo, sposata dal sovrano spagnolo in seconde nozze, poiché rimasto vedovo della prima moglie Maria d'Aragona.
Il padre muore quando Isabella ha solo tre anni e nel 1454 gli succede al trono per via ereditaria il figlio Enrico IV. Isabella quindi non sarebbe destinata a governare il Paese, poiché oltre al fratellastro Enrico IV, il futuro successore al trono di Spagna è il fratello minore Alfonso.
Presto Enrico IV, che ha condotto male la politica del Paese, deve nominare come erede al trono il fratello minore di Isabella, Alfonso. La principessa spagnola, che ha vissuto fino ai primi anni Sessanta del 1400 ad Arévalo ricevendo un'istruzione umanistica (infatti si dedica alla poesia, alla musica e alla letteratura), nel 1462 deve far ritorno a corte, in quanto il fratello è destinato a salire sul soglio reale.
In questi anni arriva anche per lei il momento di trovare un consorte importante, che permetta alla Spagna di stringere delle alleanze strategiche importanti con altri Paesi influenti dell'epoca. Mostrando un'acuta intelligenza, decide di scegliere con accuratezza il suo futuro marito, rifiutando la mano del re del Portogallo e quella del Gran Maestro dell'ordine cavalleresco di Calatreva.
Nel luglio 1468 l'erede al trono di Spagna Alfonso muore a causa della peste, per cui di lì a poco il re Enrico IV è costretto a proclamare la sorellastra erede al trono delle Asturie. Pur avendo numerosi pretendenti, sceglie in totale autonomia quale sarebbe stato il suo consorte; decide così di sposare Ferdinando di Trastamara, che è anche suo cugino.
I due si sposano in grande segreto il 19 ottobre 1469, senza avere l'approvazione del sovrano spagnolo, il quale dopo aver scoperto le nozze segrete, decide di diseredare Isabella per la successione al trono di Spagna. Secondo gli accordi segreti fatti in occasione del matrimonio, Ferdinando non avrebbe dovuto avanzare pretese al trono di Spagna.
Cinque anni dopo, il sovrano Enrico IV muore e il 13 dicembre dello stesso anno Isabella e il marito sono proclamati e incoronati sovrani di Spagna. Questa incoronazione però crea delle lotte intestine, poiché vari sovrani sono interessati alla successione al trono spagnolo. Inoltre tra i due coniugi viene firmato un accordo con cui Isabella può governare con autorità in Castiglia, ma non nell'Aragona, dove il potere politico è nelle mani del consorte.
La situazione è difficile, poiché la Castiglia viene invasa nell'estate del 1474 da Alfonso V, re del Portogallo. Grazie all'intervento del re Ferdinando, il quale è alla guida di un piccolo esercito, la guerra finisce in seguito alla campagna militare di Toro tenutasi due anni dopo. Le truppe del re hanno vinto.
Il potere dei due sovrani cattolici aumenta in seguito alla morte di Giovanni II d'Aragona avvenuta nel 1479. In questa circostanza, infatti, Ferdinando ottiene il controllo del Regno di Sicilia e diventa re d'Aragona. Dopo aver liberato la città di Malaga, dove la regina è grande protagonista, nel 1492 grazie alla sua abilità in campo militare e diplomatico il sovrano spagnolo riconquista anche Grenada, che fino a poco tempo prima è in mano agli arabi.
Subito dopo la presa di Grenada, i reali di Spagna ricevono per mano del papa Innocenzo VIII il titolo di "Maestà cattolica".
Nello stesso anno la regina di Spagna, in seguito a una decisione presa di comune accordo con una Commissione di dotti, decide di finanziare la spedizione dell'esploratore genovese Cristoforo Colombo, che in passato le aveva proposto di appoggiare una spedizione navale che lo avrebbe portato nelle Indie.
Nello storico anno 1492 quindi Colombo parte con i suoi uomini a bordo delle tre caravelle. In quest'anno si aggiungono ai possedimenti spagnoli anche la Sardegna e le Baleari.
La regina, insieme al consorte, conduce inoltre una politica interna tesa a consolidare la monarchia in senso assolutistico, riformando in particolar modo i rapporti con il clero e la nobiltà. Vengono istituite le Cortes, organi formati da parlamentari provenienti dalla nobiltà, dal clero e da alcune città, che hanno il compito di proporre ai sovrani l'emanazione di nuove leggi.
L'elemento fondamentale che consolida il potere monarchico in Spagna è però il cattolicesimo. Un provvedimento che viene preso dai reali di Spagna in tale circostanza è quello di porre sotto l'amministrazione della Corona il tribunale dell'Inquisizione e il Clero cattolico.
Il 1492 è anche l'anno in cui viene emanato il Decreto di espulsione degli ebrei che non vogliono accettare la conversione forzata alla religione cattolica e il battesimo.
L'anno seguente Cristoforo Colombo fa ritorno in Europa e, recandosi a Barcellona, porta ai sovrani oro, piante e indigeni che ha trovato nelle nuove terre scoperte.
Nel 1503 la politica reale contro le minoranze etniche continua con la conversione forzata alla religione cattolica dei moriscos che vivono a Grenada.
Ricoverata a Medina del Campo (Valladolid), per un cancro all'utero, Isabella morì il 26 novembre 1504 nel palazzo reale di Medina del Campo e sul trono di Castiglia le successe la figlia terzogenita Giovanna detta la Pazza, mentre la reggenza venne rivendicata sia dal marito Filippo il Bello che dal padre Ferdinando.
Dapprima fu inumata nella chiesa di San Francisco della Alhambra, il 18 dicembre del 1504, secondo il suo desiderio. Attualmente Isabella è sepolta nella Cappella reale di Granada, un fastoso sepolcro (che fu profanato durante l'Invasione Francese del 1800), nel centro della città, costruito dal nipote Carlo di Gand, re di Spagna con il titolo di Carlo I e in seguito Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V.
Nel sepolcro si trovano anche il marito Ferdinando II di Aragona, la figlia Giovanna la Pazza con suo marito, Filippo il Bello, la figlia prediletta di Isabella, Isabella, regina del Portogallo col figlioletto Michele della Pace d'Aviz.
Nel museo della Cappella Reale si trovano la corona e lo scettro della regina Isabella.

venerdì 25 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 novembre.
Il 25 novembre 1990 un elicottero dell'Agip che trasportava operai su una piattaforma petrolifera precipita in mare nei pressi di Marina di Ravenna.
I tralicci da queste parti sono diventati un'attrazione turistica. "Salite sulla motonave, vi portiamo a visitare le piattaforme petrolifere, potrete pescare gli sgombri", annunciano gli altoparlanti sui lidi d'estate. Ce ne sono ventisei, di queste piattaforme, tra le Marche e l'Emilia Romagna, tutte usate per la produzione di metano. Vi lavorano gli operai che "vivono sul ferro".
Sei giorni in piattaforma, a sorvegliare gli impianti e fare manutenzione, poi quattro giorni a casa. Alla fine, passi su quei ferri più di metà della tua vita.
Quel 25 novembre il cambio turno capitò di domenica. Quattro operai specializzati dovranno andare alla piattaforma davanti Porto Corsini, gli altri quattro a quella davanti a Cervia, entrambe a undici miglia dalla spiaggia. Ci sono poi due cuochi della ditta Ligabue, che ha vinto l'appalto per le piattaforme Agip. Per gli operai tecnici il salario è di 1.850.000 lire, per il capo piattaforma 2.200.000.
L'elicottero, un "Puma" costruito dalla francese Aerospatiale, appartiene a un'altra società che effettua il servizio in appalto, la Elitos di Firenze.
Il primo pilota ha seimila ore di volo, il secondo tremila. Sono quasi le nove del mattino, il volo inizia.
"Ho sentito uno scoppio", racconta Marcello Mandrini, che a Marina gestisce il bagno Trieste, "come un tuono. L'elicottero si è impennato, si è spaccato ed è caduto giù. Le pale si sono staccate, l'elicottero è venuto giù di colpo".
Nessuna comunicazione con la torre di controllo, nessun allarme. Alla fine moriranno in 13.
Due corpi affiorano e vengono recuperati dai sommozzatori nel mare in tempesta. Degli altri e dei resti del velivolo non v'è traccia.
Alle quattro del pomeriggio di mercoledì le reti di due pescherecci strappano all' Adriatico i morti ed i resti della sciagura dell' elicottero. I cavi trascinati dai barconi si impigliano nella carlinga e, più distante, nel motore dell' Sa 330 Puma in cui hanno perso la vita precipitando in mare tre piloti, due cuochi ed otto operai dell' Agip. I rottami stanno a dieci metri di profondità e ad ottocento dalla spiaggia di Marina di Ravenna. La zona è lontana mezzo chilometro da quella dove per due giorni una flottiglia di venti battelli e decine di sommozzatori hanno cercato invano. Le carcasse appaiono quasi sommerse dalla sabbia, occorreranno ore per recuperarle. Alle otto di sera arriva l' ordine: Sospendere il recupero, si riprende domani mattina. Una scelta obbligata. Sul fondo l' acqua è torbida e i sub a fatica riescono solo ad individuare dei corpi. Non si sa ancora se tutti e undici i cadaveri (quelli dei due cuochi erano già stati raccolti in mare domenica) sono imprigionati fra le lamiere. Alcuni sembrano ancora legati ai seggiolini dalle cinture di sicurezza e per liberarli le squadre di soccorso devono spostare motori e pezzi del velivolo. L' operazione è complicata dal buio, i sub lavorano alla luce delle fotoelettriche prima dello stop. L' importante ora è che ci restituiscano i nostri cari, aspetteremo fino all'alba pur di rivederli è il coro doloroso dei familiari in attesa sulla spiagga. Per loro è la fine di un'angosciosa attesa durata cinquantacinque ore. Adesso coi rottami emergono possibili verità su una sciagura che per Giuseppe Voltolina, presidente dell' Associazione nazionale piloti d'elicottero, non ha precedenti e non ha spiegazioni nella letteratura aeronautica. Ma l'incubo svanisce anche per il piccolo esercito di soccorritori che fra ricerche e risultati nulli rischiava un naufragio sul fronte dell' efficienza. La situazione cambia quando alla mattina del terzo giorno i tecnici simulano con un altro elicottero il viaggio del Puma della morte. Alcuni indizi e ritrovamenti di oggetti fanno pensare che la zona in cui il velivolo si è inabissato non sia quella indicata dai testimoni oculari. Così, alla fine della prova, flottiglia e sommozzatori cominciano a setacciare qualche centinaio di metri più a sud. Per le ricerche entrano in azione anche le sofisticate apparecchiature dei vigili del fuoco e della capitaneria di porto. Ma il nuovo spiegamento di forze è reso inutile cinquantacinque ore dopo, quando due vecchi barconi, servendosi dell'antica, tradizionale pesca a strascico scovano i resti del Sa 330. Ora le tre inchieste avviate da magistratura, Agip e Civilavia avranno undici cadaveri e uno scheletro di elicottero per scoprire la verità su quanto avvenuto domenica a duecento metri d'altezza sul mare, quando il fumo e un boato hanno provocato la caduta improvvisa. Con le ricerche ancora in corso, Mimmo Carise, pilota dell'Elitos, la società che gestiva i servizi di collegamento aereo fra lo stabilimento di Marina di Ravenna e le piattaforme metanifere, apre un dubbio: L' elicottero dal '72 ha avuto continue modifiche e potenziamenti. Queste modifiche hanno compromesso la tenuta? L'ipotesi di un cedimento strutturale si affianca a quella della rottura del rotore che muove le pale. E il mistero sulla sciagura continua mentre la magistratura ha disposto il sequestro delle carte di bordo e dei registri di manutenzione del Puma.

giovedì 24 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 24 novembre. Il 24 novembre 1530, probabilmente, muore Jacopo Barigazzi, meglio noto come Berengario da Carpi. Jacopo Barigazzi nacque a Carpi da Faustino e Orsolina Forghieri. Si ignora l'anno della sua nascita, ma poiché egli afferma che era "satis puer" nel 1467, quando un certo medico Giacobbe ebreo guarì Ercole d'Este da una pericolosa ferita, si può ritenere che egli sia nato intorno al 1460. Nella letteratura a lui relativa fu sempre chiamato, fino a circa un secolo fa, lacopo Berengario. Il Guaitoli per primo appurò che il suo nome di famiglia era "de Barigatiis". Nei documenti notarili che a lui si riferiscono il suo nome appare in varie forme, tra cui anche "de Berengariis"; ma è da notare che la forma "de Barigatiis" è quella che troviamo in tutti i documenti redatti a Carpi. Nei titoli delle sue opere egli chiama se stesso semplicemente "Carpus", mentre negli explicit e nella dedicatoria delle "Isagoge" troviamo "Iacobus Berengarius". Ma poiché di lui non possediamo autografi è impossibile stabilire come egli abitualmente si facesse chiamare. Il padre era barbiere e chirurgo: un chirurgo tutt'altro che volgare, almeno a giudicare dalle operazioni e dalle cure che il B. dice d'avergli visto eseguire. Ancor quasi fanciullo, questi fu avviato allo studio della chirurgia e cominciò a dilettarsi di anatomia. Egli stesso ci fa sapere che coltivò gli "honestissima studia" delle lettere alla scuola di Aldo Manuzio. A verosimile che suo padre, data anche la sua professione, fosse quasi familiare dei signori della piccola città e che il figlio, pressappoco ventenne, potesse approfittare dell'insegnamento del Manuzio, chiamato a Carpi come precettore d'Alberto Pio che, nato nel 1475, era molto più giovane di lui. In quegli anni, e anche in seguito, quando si fece sempre più minacciosa l'inframmettenza del duca Ercole negli affari di Carpi, Jacopo fu un appassionato partigiano dei Pio contro gli Estensi. Nel 1500, dopo la cessione ad Ercole della parte spettante a Giberto Pio nella signorìa indivisa di Carpi, venne, in contumacia, condannato a pagare una multa di 100 ducati o ad avere mozzo il naso per aver ingiuriato il duca. E anche in età più matura, nonostante i suoi ottimi rapporti con nemici di Alberto, egli rimase in qualche modo a lui devoto, come provano la dedica delle Isagoge e gli stemmi dei Pio posti nei frontespizi di quasi tutte le sue opere. L'insegnamento del Manuzio non fu certo senza importanza nella sua formazione intellettuale: esso mise il giovane apprendista chirurgo, vissuto sempre in un ambiente paesano, a contatto con la più aggiornata cultura e gli fece conoscere le nuove correnti d'idee che circolavano nel mondo dell'umanesimo. Berengario non diventò mai un buon latinista: il suo latino, nonostante certe pretese di letterarietà che notiamo nelle dedicatorie e nei proemi delle opere, restò sempre alquanto rozzo. Tuttavia sembra eccessivamente negativo il giudizio che ne diedero, per esempio, il Putti e il Roth: si tratta di un latino generalmente chiaro, semplice, adatto allo scopo pratico cui doveva servire. Ma più che l'acquisto di capacità di scrittore, Jacopo dovette forse alla scuola dei Manuzio il suo interesse (che per molti indizi appare ben vivo anche quando egli è più preso dall'attività scientifica e professionale) per le lettere e per le arti. La sua biblioteca, andata dispersa, dovette essere notevolmente ricca, giacché egli accuratamente ne dispose nel suo testamento facendola anche oggetto di fedecommesso. Inoltre egli fu collezionista di oggetti d'arte: sappiamo che possedette un San Giovannino di Raffaeuo, donatogli dal card. Colonna, alcuni vasetti d'argento che egli stesso fece fare al Cellini, un torso antico di marmo che ora si trova nel Museo civico di Bologna. Ci sono del resto in Berengario, per quel che le fonti ci lasciano intravvedere, diversi altri tratti di carattere che lo apparentano a gran parte degli umanisti: il desiderio di fama, l'avidità di guadagno, l'opportunismo politico, la gelosa suscettibilità, l'amore per la polemica. La sua preparazione professionale fu certo più pratica che teorica ed egli cominciò giovanissimo a esercitare l'arte chirurgica, prima come assistente del padre, poi come principale operatore. Di nessun altro suo maestro, all'infuori del padre, egli fa mai menzione; ma dovette certe seguire anche corsi abbastanza regolari nello Studio di Bologna, dove il 3 ag. 1489 "aprobatus fuit in artibus et medicina". Il fatto che egli abbia studiato a Bologna anziché a Ferrara, la cui scuola era in quegli anni più famosa, si spiega pensando ai rapporti tutt'altro che amichevoli tra gli Estensi e i Pio. Alla fine del 1502 fu nominato lettore di chirurgia nello Studio bolognese col salario di 100 lire annue, che gli fu poi a più riprese accresciuto sino a raggiungere, nel 1525, le 350 lire. La sua nomina a lettore, sebbene, oltre a non essere bolognese, egli fosse partigiano di Alberto Pio, alla cui politica i Bentivoglio erano fortemente ostili, dimostra che egli doveva già godere di una fama acquistata con la sua abilità chirurgica, l'efficacia delle sue cure, la quantità e la qualità della sua clientela. Nel 1506 ottenne la cittadinanza bolognese mediante un breve di papa Giulio II (qualche anno dopo ebbe anche quella di Reggio) e nel 1508 il reggimento della città gli affidò la cura degli ammalati di peste con un salario supplementare di 100 lire. Per qualche tempo, prima del 1505, tenne anche la lettura di medicina pratica. La sua attività d'insegnamento fu interrotta da assenze più o meno lunghe quando egli era chiamato fuori di Bologna per curare importanti personaggi: così nel febbraio 1514 papa Leone X ordinò al legato e al reggimento di Bologna di concedergli una licenza perché potesse recarsi a Firenze a curare Alessandro Soderini. Nel 1514 fu stampato in Bologna da Giustiniano da Rubiera il primo libro che reca il suo nome, sia pure soltanto come recensore: l'Anathomia Mundini noviter impressa et per Carpum emendata. In verità l'emendamento si riduce a poca cosa e l'edizione, che ebbe almeno tre ristampe, non è molto migliore delle precedenti. Nel 1517 fu chiamato ad Ancona per curare, insieme con altri medici e chirurghi, Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, gravemente ferito al capo nell'assedio di Mondolfo. Ci furono tra i medici dissensi e discussioni: forse a Berengario spiacque anche che l'operatore principale fosse Niccolò fiorentino. L'occasione gli diede lo spunto per il suo Tractatus de fractura calvae sive cranei (Bononiae, Hier. de Benedictis, 1518), che ebbe grandissima fortuna (altre ediz., oltre una di cui s'ignorano anno e luogo, Venezia 1535, Leida 1629, 1651, 1715, 1728). Un altro notevole consulto fu quello che egli ebbe, con altri medici, nel 1520, al letto del marchese Galeazzo Pallavicino in Cremona. In quel tempo Jacopo attendeva alla composizione di un'opera di notevole impegno, i Carpi Commentaria cum amplissimis additionibus super anathomia Mundini (Bononiae, Hier. de Benedictis, 1521), dedicata al cardinale Giulio de' Medici. Sono questi gli anni in cui la sua attività d'autore e di editore di testi è più feconda: nello stesso 1521 uscì in Bologna per i tipi di Gerolamo de Benedietis, "procurante Carpo", un'edizione dei trattato di Ulrich von Hutten De guaiaci medicina et morbo gallico. La sifilide, comparsa in Italia verso la fine del sec. XV, aveva avuto, nei primi decenni del secolo successivo, carattere epidemico, e Jacopo, curando moltissimi sifilitici di elevata condizione sociale realizzava ingentissimi guadagni. Un episodio, recentemente messo in luce dal Di Pietro, mostra che egli cercava di trovare qualche pianta indigena che avesse virtù terapeutiche simili a quelle del guaiaco. Nel 1522, a richiesta del suo discepolo Ochoa Gonzales, pubblicò i libri De Crisi di Galeno, tradotti dal Laurenziano, medico fiorentino; nello stesso anno fece stampare l'opera che forse più di ogni altra contribuì a rassodare la sua fama, cioè le Isagoge breves perlucide ac uberrime in anatomiam humani corporis,dedicandola ad Alberto Pio (Bononiae, Benedictus Hectoris, 1522; altre ediz.: Bologna 1523, Strasburgo 1530, Venezia 1535; trad. ingl. di H. Jackson, Londra, 1660 e 1662). Fu questa la sua ultima opera. Nel 1525 fu chiamato a Piacenza a consulto per la cura di Giovanni dalle Bande Nere, ferito all'assedio di Pavia. Verso la fine dello stesso anno e al principio del seguente soggiornò a Roma per curare un non identificato personaggio della curia, forse il cardinale Pompeo Colonna. A questo soggiorno romano si riferisce un passo dell'autobiografia del Cellini, in cui è detto, tra l'altro, che il papa avrebbe voluto che egli restasse al suo servizio, ma che Berengario rifiutò. Nel gennaio 1527 egli lasciò la cattedra di Bologna, e pare non volontariamente, per motivi che ci restano ignoti. Dei suoi ultimi anni non sappiamo quasi nulla. Nel marzo 1528 era a Carpi, dove fece testamento lasciando erede il nipote Damiano; nel luglio dello stesso anno era a Modena, dove curò un familiare di mons. Rangoni. Intanto doveva essere entrato in buoni rapporti col duca di Ferrara, tant'è vero che nel 1529 compare tra i suoi stipendiati. E' perciò verosimile che risiedesse a Ferrara. Ma doveva avere ancora affari a Bologna, dove nel 1529 uscì, per le stampe di G. B. Faelli, una raccolta di scritti di Galeno nelle traduzioni del Leoniceno, del Calcondila e di Antonio Fortolo, con una sua dedicatoria al cardinale Ercole Gonzaga, importante perché ci lascia intravvedere una certa sua dimestichezza col Pomponazzi e col Buonamici. La sua fama, le sue prestazioni mediche a personaggi d'alto rango, gli procurarono, oltre che lauti guadagni, anche potenti protezioni e posizioni di privilegio. Per più volte egli poté lasciarsi andare, impunito, a violenze e a usurpazioni di diritti altrui. Nel 1511 fu processato per avere, spalleggiato da un servitore, aggredito a mano armata il dottore in medicina G. B. Sforzani: il servitore fu condannato a una multa, ma Berengario non ebbe nessuna condanna. Nello stesso anno, dopo il ritorno a Bologna di Annibale Bentivoglio (di cui, a quanto pare, egli era diventato seguace), assalì lo stipendiario papale Natale da Brindisi, svaligiandone anche la casa; tornata Bologna in possesso del papa, venne condannato alla sola restituzione del mal tolto. Nel 1529 cercava di usucapire, non pagandone il canone enfìteutico, una casa di proprietà dell'ospedale e della chiesa di S. Giovanni Gerosolimitano, a Bologna, di cui era commendatario Pietro Bembo, il quale, alle raccomandazioni del governatore e di altri personaggi, rispondeva di poter consentire che Jacopo non pagasse affitto, ma che non avrebbe tollerato che l'ospedale venisse spogliato della sua proprietà. Non è certo dove e quando sia morto. Il Baruffaldi scrive che morì a Ferrara il 24 nov. 1530 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco; ma le ricerche fatte fare dal Putti per rintracciare la fonte della notizia non hanno dato risultati. D'altra parte M. A. Guarini nel libro, pubblicato nel 1621, in cui sono annotati tutti i personaggi illustri sepolti nelle chiese di Ferrara, non fa parola del Barigazzi. Il Falloppio scrisse che egli aveva accumulato 40000 ducati e che lasciò erede il duca di Ferrara. Un secondo testamento non si è mai trovato e perciò la cosa resta molto dubbia; certo è tuttavia che il 12 ott. 1531 i fattori generali ducali investirono un certo Gerolamo del Tura di una casa che era stata del Barigazzi. Uomo di ingegno brillantissimo, dotato di salda cultura, fu indubbiamente un buon medico. In particolare venne da molti ricordato per aver introdotto l'uso del mercurio nella cura della sifilide: in realtà, non fu certo questo il suo maggior merito e, d'altra parte, appare anche assai poco probabile che egli sia stato l'ideatore di tale terapia (egli infatti, sempre prontissimo a lodarsi, non si attribuì mai tale merito); è più verosimile che egli abbia applicato largamente e con buona dottrina un metodo terapeutico allora non molto conosciuto, e sembra certo che egli fosse tra i primi in Italia ad usare il legno di guaiaco. Fu un ottimo chirurgo, ricco dell'esperienza acquisita, ancora fanciullo, sotto la guida del padre (di ciò sempre menava vanto, tanto che nell'edizione 1535 del suo trattato sulle fratture del cranio, f01. 30 a, scrìveva: "Nerno enim est peritus chirurgus qui a pueritia non vacavit huic arti"). In particolare, fu un valente esecutore della trapanazione del cranio e conobbe le fratture delle ossa da colpi di arma da fuoco. Si occupò di chirurgia ostetrica e ginecologica, eseguendo interventi sull'utero per curarne il prolasso, praticando il taglio cesareo e compiendo importanti osservazioni: cosi, oltre a descrivere alcuni casi di avvolgimento del cordone ombelicale e di fratture del cranio fetale conseguenti sia al parto strumentale, sia a quello spontaneo ma laborioso, in contraddizione con i dominanti concetti galenici egli affermò d'aver constatato che nel cordone ombelicale è contenuta generalmente una sola vena. Il suo merito principale fu senza dubbio lo studio dell'anatomia: convinto che non era possibile imparare sui libri tale disciplina senza il soccorso di dimostrazioni pratiche, egli sezionò numerosi cadaveri, dimostrò pubblicamente l'infondatezza delle notizie raccolte nei vecchi trattati (molto spesso riferite all'anatomia del maiale) e sostenne che gli scienziati debbono trarre materia di studio dall'osservazione diretta dei fenomeni naturali e non dall'autorità degli scrittori precedenti. Egli non era "lettore", ma dimostratore di anatomia; non leggeva agli studenti il trattato di Mondino de' Liuzzi, ma scendeva dalla cattedra per dimostrare egli stesso al tavolo anatomico la costituzione del corpo umano. Così, in contrasto alle altre credenze risalenti ad Aristotele, dimostrò che i nervi originano dal cervello e dal midollo spinale, descrisse l'esistenza di cinque cartilagini nella laringe e quella dei due ossicini martello e incudine nell'orecchio medio; individuò le valvole cardiache, descrisse mirabilmente il ceco e l'appendice vermiforme, studiò il mesentere, scoprì le vescichette seminali. Sembra che gli fossero anche noti i vasi linfatici. Forse, fu proprio a causa del grande amore per lo studio dell'anatomia che venne accusato di aver eseguito la vivisezione di due Spagnoli sifilitici: tuttavia è da rilevare che di tale accusa è fatta menzione nelle opere postume di Gabriello Falloppio, rimaneggiate e in gran parte riscritte dai discepoli, e che d'altra parte lo stesso Berengario condannò sempre la pratica della vivisezione, più volte aspramente biasimando gli antichi Erasistrato ed Erofilo che l'avevano praticata.

mercoledì 23 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 23 novembre.
Il 23 novembre 1654 il filosofo Pascal si converte al Cristianesimo.
Nasce il 19 giugno 1623 a Clermont-Ferrand (Francia) da una famiglia di ottima condizione sociale. Il padre, Etienne Pascal, lo istruisce personalmente iniziandolo ad interessi scientifici e facendogli frequentare le riunioni dei circoli culturali parigini. Fra l'altro, ad un certo punto si trasferisce con i figli a Rouen, in Normandia, poiché nominato Commissario del re per le imposte.
Il piccolo Pascal mostra assai precocemente le sue straordinarie doti di intelligenza. A soli sedici anni, per esempio, scrive un "Trattato delle coniche" (nel quadro della "geometria proiettiva"), purtroppo in seguito andato perduto; queste prime prove intellettuali saranno fondamentali per gli studi successivi. In particolare, l'assiduo studio della geometria lo porterà ad elaborare il teorema che porta il suo nome ("Teorema di Pascal", appunto), concernente l'esagono inscritto in una conica qualsiasi.
Pascal, fra l'altro, è considerato uno dei padri della robotica e del calcolo computazionale e questo attraverso risultati raggiunti già a soli diciotto anni di età. La passione per il calcolo e il desiderio di allargare le potenzialità di quest'ultimo, infatti, lo portano a progettare la prima macchina calcolatrice, detta poi "pascalina". In realtà, l'idea di partenza ebbe una genesi molto pragmatica e apparentemente meno nobile, ossia quella di aiutare il padre che, oberato di lavoro, aveva bisogno di eseguire dei calcoli in maniera più rapida. Dopo due anni di ricerche, ecco che Blaise stupisce il genitore e il resto della famiglia con questa invenzione straordinaria. Il brevetto, chiesto nel 1645, gli fu concesso nel 1649.
Parallelamente agli interessi scientifici e filosofici, Pascal ha però sempre coltivato un intenso spirito religioso e un'intensa riflessione teologica, tanto da essere considerato a tutt'oggi uno dei più grandi, se non il più grande, pensatori cristiani degli ultimi quattro secoli. La prima conversione di Pascal si fa solitamente risalire al 1646, anno che registra fra l'altro un grave peggioramento della sua incerta salute. Il senso di prostrazione e di abbattimento causato dalla malattia lo induce a mettere sulla carta le sue riflessioni, che ci parlano delle sue esperienze sull'esistenza del vuoto e del timore da questo procurato. Questi scritti troveranno più ampia stesura in una pubblicazione del 1647.
Dell'anno 1648 rimane invece celebre l'esperimento che fece effettuare da suo cognato il 19 settembre: con questa prova Pascal dimostrò che la pressione dell'atmosfera sulla colonna di mercurio di un barometro torricelliano diminuisce con l'aumentare dell'altitudine. Intanto, sua sorella Jacqueline prende la strada del convento e, nel 1652, si fa monaca, entrando nel convento femminile di Port-Royal, istituto già celeberrimo per la famosa scuola di logica a cui anche Pascal aderirà.
Tormentato da forti cefalee, Pascal è "costretto", su consiglio dei medici, ad osservare un regime più mondano. L'imperativo dei cerusici è quello di svagarsi, lasciando momentaneamente perdere l'intenso studio. Al periodo mondano apparterebbe, secondo Victor Cousin, il "Discorso sulle passioni d'amore" scoperto nel 1843. Uomo profondo e assetato di spiritualità, ben presto si annoia di frequentare salotti e feste insulse. Incomincia invece a prendere in seria considerazione gli studi sul calcolo delle probabilità che lo porteranno in molteplici direzioni di ricerca, anche in ossequio all'interesse per il gioco d'azzardo che Pascal coltivava.
A seguito di frequenti contatti con la sorella Jaqueline, attraversa una nuova crisi mistica che si risolve nella notte del 23 novembre quando vive un'intensa esperienza religiosa, narrata poi nel famoso "Memoriale". Nel gennaio del 1655 Pascal si reca a Port-Royal, dove vi trascorre alcune settimane e dove scrive la "Conversione del peccatore". Tra il gennaio del '56 ed il marzo del '57 scrive poi 18 celebri lettere, le "Provinciali", raccolte poi in volume. Lo scopo dichiarato di quegli scritti è quello di difendere Port-Royal dalla accuse degli antigiansenisti. In esse tenterà anche di mettere in ridicolo la morale dei Gesuiti e di criticarne a fondo i presupposti filosofico-teologici. Il 6 settembre la congregazione dell'Indice condanna le "Provinciali".
Tornato a più "terreni" interessi scientifici, si dedica al problema della cicloide (roulette), ne trova la soluzione e pubblica il "Trattato generale sulla cicloide". Del '58 sono gli importanti "Scritti sulla Grazia" nei quali rivela una gran conoscenza teologica mentre, in parallelo, continua a lavorare al progetto di una "Apologia del Cristianesimo", mai terminata; i frammenti furono poi raccolti nei "Pensieri", pubblicati per la prima volta nel 1669.
E' proprio nei "Pensieri" che compare la famosa tesi della "scommessa" circa la fede. In sintesi, Pascal sostiene che, a fronte del "silenzio di Dio", del "vuoto" che ci circonda, la ricerca del Dio nascosto diventa un affare di cuore, in appello alle regioni più segrete dell'animo umano. Pascal nutre sfiducia nei metodi dimostrativi nel campo della fede religiosa ed è anzi persuaso che Dio non sia oggetto tanto di convinzione razionale, quanto piuttosto di un sentimento irrazionale.
In questo quadro, un altra distinzione fondamentale introdotta da Pascal, distinzione di sapore squisitamente letterario, è quella fra "l'esprit de géometrie e l'esprit de finesse", ossia fra "spirito di geometria e spirito di finezza". Il primo, in sostanza, procederebbe per deduzioni logiche e per ragionamenti stringenti, oppure per definizioni, e perviene a risultati tangibili e comprovabili, ma distanti dallo spirito comune, dato che per afferrarli ci vuole conoscenza, studio ed esercitazione. Viceversa, lo "spirito di finezza" tiene in considerazioni un gran numero di principi, alcuni dei quali veramente sottili ed indecifrabili, che è inevitabile che sia indeterminato e vago. Esso dunque appartiene ad una sfera che si riferisce al sentimento, al gusto estetico e financo alla vita morale. Non però alla scienza, che ha bisogno di "applicazioni" più rigorose.
Il senso della celebre frase pascaliana "il cuore conosce cose che la ragione non conosce" è tutto giocato nell'intervallo che passa fra queste due distinzioni. Insomma, nella vita alle volte capiamo le cose solo attraverso l'esprit de finesse, attraverso la "sapienza del cuore", cose che la ragione è impossibilitata a comprendere, se non a cogliere.
Una descrizione eloquente del pensiero pascaliano la troviamo nella Garzantina di Letteratura: "La malattia, per Pascal, è la condizione naturale del cristiano; la sua fede è una scommessa in cui tutto viene impegnato, senza restrizioni. Questa violenta presa di coscienza dei limiti della ragione, e dell'impossibilità di assorbire l'uomo nell'ordine della geometria, giustifica l'accostamento di Pascal ai grandi maestri dell'esistenzialismo e dell'irrazionalismo moderni, da Kierkegaard a Nietzsche a Dostoevskij: ma non bisogna dimenticare il valore che il pensiero conserva per Pascal. "L'uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma una canna che pensa. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero". Opera in cui si confrontano e si scontrano le esigenze estreme della scienza e della religione, i "Pensieri" sono, nello stesso tempo, un grande capolavoro letterario, che getta sulla scena un nuovo eroe: l'uomo, come ha scritto O. Macchia, .inquieto, torturato dall'incostanza e dalla noia e dal voler essere felice, nonostante le sue miserie..."
Inoltre, nella sua essenza più vera, in un certo senso la fede la si può equiparare ad una sorta di scommessa. Chi questa fede ce l'ha per dono naturale non ha ragione di preoccuparsi ma chi invece ritiene di non possedere questo dono, dovrebbe riflettere sul fatto che la "scommessa" sull'esistenza è comunque vinta, se accettata, perché a fronte di questo sacrificio, si guadagna un bene incommensurabile come quello della vita eterna. Al contrario, naturalmente, se Dio davvero non esiste non si perde nulla ma anzi ci si guadagna comunque, perché si sarà vissuto in modo saggio e retto.
Dopo un lungo periodo di ritiro nell'eremo di Port-Royal, muore il 19 agosto 1662 a soli trentanove anni.
L'autopsia a cui fu sottoposto rivelò gravi disturbi a carico dello stomaco e dell'addome, nonché danni al tessuto cerebrale, tuttavia la causa della morte e della salute cronicamente malferma non furono mai del tutto chiarite. Si pensa alla tubercolosi, ad un tumore allo stomaco, oppure ad una combinazione delle due malattie. Egli seguiva comunque, per ragioni etiche e morali, una dieta leggera, di tipo vegetariano. Le emicranie che afflissero Pascal furono molto probabilmente causate dai danni al cervello. Fu sepolto nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont.

martedì 22 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 22 novembre.
Il 22 novembre 1990 Margaret Thatcher, la lady di ferro, rassegna le dimissioni da primo ministro britannico.
Margaret Hilda Roberts Thatcher nasce il 13 ottobre del 1925, figlia di un droghiere che si era faticosamente conquistato il suo posto ad Oxford. Dopo una serie di studi regolari, che non evidenziano in lei nessuna particolare dote straordinaria sul piano intellettuale (anche se si notava certamente il fatto che fosse intelligente), si dedica agli studi di chimica, laureandosi all'università di Oxford. Dal 1947 al 1951 lavora come chimico nella ricerca, ma nel 1953, avendo anche studiato come avvocato, diviene fiscalista.
Nel rivangare i tempi passati di questa signora che ha segnato profondamente la storia del suo paese, tutti i testimoni sono però concordi nel definirla una persona dotata di una incredibile grinta, di grande buonsenso e di uno straordinario fiuto politico.
Una volta scesa in politica nelle file della destra inglese, infatti, ebbe il merito, quando tutti davano ormai per scontato il tramonto della Gran Bretagna, di aver impugnato la "frusta" e di aver restituito ai suoi concittadini l'orgoglio di essere inglesi, impegnandoli addirittura in una improbabile guerra contro l'Argentina in difesa delle dimenticate isole Falkland.
Entrata nel Partito Conservatore, venne dunque eletta alla camera dei comuni nel 1959 ricoprendo, fra l'altro, il ruolo di ministro dell'istruzione e delle scienze nel governo Heath per quattro anni, dal 1970 al 1974. Dopo la sconfitta conservatrice nelle elezioni del 1974, sfidò Heath per la leadership del suo partito e la conquistò nel 1975. Quattro anni dopo condusse il partito alla vittoria, promettendo di fermare il declino economico britannico e di ridurre il ruolo dello Stato. E' il 4 maggio 1979 quando inizia il suo mandato di Primo Ministro.
Margaret Thatcher fondò la sua politica sull'idea che "la società non esiste. Ci sono solo individui, uomini e donne, e ci sono famiglie". La "purga thatcheriana" consistette quindi in sostanza nella deregolamentazione di lavoro e mercati del capitale, nella privatizzazione di quelle industrie nazionalizzate che lo stato britannico aveva assunto come risultato della guerra, della depressione economica e dell'ideologia socialista. Il risultato? Ha dichiarato lei stessa (e d'altronde confermano, secondo gli analisti, i dati macroeconomici): "Abbiamo ridotto il deficit governativo e abbiamo ripagato il debito. Abbiamo fortemente tagliato la tassa sul reddito di base e anche le tasse più alte. E per far ciò abbiamo saldamente ridotto la spesa pubblica come percentuale del prodotto nazionale. Abbiamo riformato la legge sui sindacati e i regolamenti inutili. Abbiamo creato un circolo virtuoso: tirando indietro il governo abbiamo lasciato spazio al settore privato e così il settore privato ha generato più crescita, il che a sua volta ha permesso solide finanze e tasse basse".
Il suo agire politico, insomma, si basa sull'assunto liberista che: "il governo può fare poco di buono e molto che invece fa male e quindi il campo di azione del governo deve essere tenuto al minimo" e che "è il possesso di proprietà che ha un effetto psicologico misterioso ma non per questo meno reale: il prendersi cura del proprio offre un addestramento nel divenire cittadini responsabili. Il possedere una proprietà dà all'uomo indipendenza contro un governo troppo invadente. Per la maggior parte di noi i nodi della proprietà ci costringono entro doveri che altrimenti potremmo scansare: per continuare con la metafora ci impediscono di cadere nell'emarginazione. Incoraggiare la gente ad acquistare proprietà e risparmiare è stato molto di più di un programma economico". È stata, infatti, "la realizzazione di un programma che ha posto termine ad una società ''basata su una sola generazione'', mettendoci al suo posto una democrazia fondata sul possesso di capitale".
Rinfrancata dal successo della sua politica sulle isole Falkland nel 1982, condusse i conservatori ad una grande vittoria alle elezioni del giugno 1983. Nell'ottobre del 1984 sfuggì ad un attentato quando esplose una bomba degli estremisti repubblicani irlandesi al Grand Hotel di Brighton durante un congresso del partito. Nuovamente vittoriosa nel giugno del 1987 diventò il primo premier britannico nel ventesimo secolo ad ottenere tre mandati consecutivi.
La "Lady di ferro", così soprannominata per il suo polso fermo e per la decisione con cui portò avanti le sue riforme, lasciò volontariamente e ufficialmente Downing Street, dimettendosi, nel novembre 1990, in piena crisi del Golfo, soprattutto a causa di alcuni contrasti sorti nel partito sulla sua politica fiscale e sul suo euroscetticismo. A proposito della crisi Mediorientale, in alcune interviste l'ex leader conservatrice dichiarò in veste non ufficiale il proprio stupore per una guerra conclusa troppo in fretta e senza l'annientamento del dittatore iracheno: "Quando cominci un lavoro quello che conta è farlo fino in fondo, e bene. Saddam invece è ancora lì e la questione nel Golfo non si è ancora chiusa".
In seguito Margaret Thatcher, diventata Baronessa, osservò presumibilmente con soddisfazione il programma che lei non ebbe il tempo di completare applicato dal partito "progressista" di Blair mentre il partito conservatore che la cacciò da Downing Street si trovava ridotto a brandelli. Ancora oggi qualche analista, qualche politologo o talvolta anche qualche leader di partito dichiarano apertamente che per risolvere i loro problemi ci vorrebbe una Thatcher, allo scopo di applicare la cura inglese anche al proprio Paese. Il "thathcherismo", infatti, diede vita a qualcosa che influenzò, per almeno una generazione, il corso mondiale degli eventi.
L'importanza storica di Margaret Thatcher, in sintesi, è insomma quella di essere stata la prima in Europa a portare avanti una politica basata sulla necessità di combattere lo statalismo e di individuare nell'impresa privata e nel libero mercato il mezzo migliore per rilanciare l'economia di un paese.
All'inizio del 2012 è uscito al cinema il film biografico "The Iron Lady" interpretato dalla bravissima Meryl Streep.
Dopo infarti e ictus che l'hanno colpita all'inizio degli anni 2000, e da tempo malata di Alzheimer, Margaret Thatcher si è spenta a Londra all'età di 87 anni il giorno 8 aprile 2013.

lunedì 21 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 21 novembre.
Il 21 novembre 1934 Ella Fitzgerald debutta a New York all'Apollo Theater.
Celeberrima per la sua straordinaria duttilità vocale - era capace di elettrizzanti acuti quanto di suadenti tonalità basse - le sue improvvisazioni e i suoi virtuosismi nello "scat" (stile canoro che consiste nell'usare la voce come uno strumento, cantando sillabe accostate casualmente), Ella Fitzgerald è stata assieme a Billie Holiday e Sarah Vaughan una delle più grandi cantanti di jazz di sempre, distinguendosi soprattutto nel genere dello "swing", in cui eccelleva per una voce sfavillante con cui riusciva, con la stessa intensità, a far commuovere e a far divertire.
Ella Jane Fitzgerald nasce a Newport News, in Virginia, il 25 aprile 1917. Trascorre la sua infanzia in un orfanotrofio di New York, e appena diciassettenne fa il suo debutto come cantante sul palcoscenico dell' "Harlem Apollo Theatre", durante la serata dedicata agli artisti dilettanti.
La giovane si presenta come ballerina, ma una crisi di nervi le impedisce qualunque movimento: una volta fuori dalle quinte è il panico. Su incitamento del presentatore la giovane Ella decide di non lasciare il pubblico a bocca asciutta, e così comincia a cantare.
Nonostante l'insicurezza vince il primo premio.
Quella sera stessa viene notata dal noto batterista Chick Webb, che la vuole come cantante della sua band. Dal 1934 al 1939 Ella Fitzgerald canterà con la "Chick Webb Band", della cui direzione prenderà le redini dal 1939, anno della morte di Webb, fino al 1942.
Verso la metà degli anni '40, Ella Fitzgerald si esibisce in Europa e in Asia portando il suo jazz nelle sale da concerto classiche. Ormai è una diva: le sue ineguagliabili doti canore la portano ad affrontare diversi generi, come lo swing, il dixieland e il blues, oltre al caro vecchio jazz. Dal 1946 Ella farà parte anche del "Jazz at the Philharmonic".
Negli anni '50 canta, tra gli altri, con Duke Ellington alla "Carnegie Hall" di New York, e con il trio di Oscar Peterson.
Tra le sue ultime apparizioni in pubblico va ricordato il concerto al "Kool Jazz Festival" tenuto nel 1985 sempre alla "Carnegie Hall". Rimane indimenticabile la sua interpretazione nell'opera "Porgy and Bess" di George Gershwin, al fianco di Louis Armstrong, della cui colonna sonora amava intonare con struggente sensibilità in quasi tutti i suoi concerti la celeberrima "Summertime".
Nonostante negli ultimi anni la grande cantante subisca una grave forma di diabete, continuerà ad esibirsi in pubblico con grande forza d'animo fino al 1992.
Ella Fitzgerald si è spenta il 15 giugno 1996 a Beverly Hills, in California, all'età di settantotto anni.

domenica 20 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 20 novembre.
Il 20 novembre 2007 l'allora ministro dei beni culturali ed ex sindaco di Roma Francesco Rutelli annuncia il ritrovamento sotto il Colle Palatino del Lupercale.
Secondo la leggenda, Romolo e Remo, abbandonati in un cesto sul greto del fiume, arrivano in una zona acquitrinosa. Qui vengono raccolti dalla lupa e portati al riparo in una grotta. Ora quella grotta è stata individuata: sul Colle Palatino, a 16 metri di profondità, tra il Circo Massimo e la casa di Augusto. Fu proprio Augusto che la trasformò in un luogo di culto legato alla fondazione di Roma. Un culto - ha spiegato l'archeologo Andrea Carandini - ancora vivo nel quinto secolo dopo Cristo e che suscitò le ire del Papa Gelasio: il Pontefice proibì ai romani di correre intorno al Palatino, il «sacro colle», frustando le donne per renderle fertili. Era un rituale legato al mito del Lupercale. Per il momento nessuno è stato in grado di entrare all'interno della stanza, alta 7,40 metri e larga sei metri circa. Finora è stato possibile far scendere una sonda con una microtelecamera: al centro della stanza l'apparecchio ha inquadrato l'aquila di Augusto e numerosi mosaici di marmo policromo. Ora si dovrà cercare un varco per entrare nella grotta, costruire un cantiere in sicurezza, e svuotare del terriccio l'intera costruzione tenendo conto che la grotta si trova a 16 metri di profondità rispetto al Palatino e che è all'altezza del Circo Massimo. «Gli studiosi - ha spiegato Rutelli - valuteranno per anni i dettagli di questa struttura. Si tratta di un luogo di culto, un santuario che Augusto trasformò in uno dei punti centrali della sua casa. Per secoli era stato cercato ed ora finalmente è sotto gli occhi di tutti».
Un buon numero di fonti antiche ci informa sulle origini e sulla natura del Lupercale, la grotta nella quale giunsero, trasportati dal Tevere in piena, Remo e Romolo, e sui Lupercalia, festività ad esso connessa, dedicata a Lupercus, divinità protettrice della fertilità, del bestiame e del raccolto.
Il Lupercale e la Ficus Ruminalis – l’albero presso il quale i gemelli vennero allattati dalla Lupa – si trovavano ai piedi del Palatino, probabilmente nella parte sud occidentale, “a ridosso del lato del Palatino sulla strada che porta al circo”, come ci narra Dionigi di Alicarnasso. L’area era compresa nel Cermalus, uno dei monti ricordato da Varrone nella lista di quelli costituenti il Septimontium, centro sul sito di Roma precedente la fondazione della città.
Dionigi di Alicarnasso descrive il luogo di culto come una grotta, circondata da un bosco sacro, all’interno della quale era una sorgente: “E per prima cosa costruirono un tempio a Pan Liceo – per gli Arcadi è il più antico e il più onorato degli dei – quando trovarono il posto adatto.
Questo posto i Romani lo chiamano il Lupercale, ma noi potremmo chiamarlo Lykaion o Lycaeum.
Ora, è vero, da quando il quartiere dell’area sacra si è unito alla città, è divenuto difficile comprendere l’antica natura del luogo.
Tuttavia, al principio, ci è stato detto, c’era una grande grotta sotto il colle, coperta a volta, accanto a un folto bosco; una profonda sorgente sgorgava attraverso le rocce, e la valletta adiacente allo strapiombo era ombreggiata da alberi alti e fitti.
In questo luogo costruirono un altare al dio e fecero il loro tradizionale sacrificio, che i Romani hanno continuato a offrire in questo giorno del mese di Febbraio, dopo il solstizio di inverno, senza alterare nulla nei riti allora stabiliti”.
Dallo stesso autore è evidenziato il collegamento topografico con l’aedes Victoriae: “Sulla sommità della collina edificarono il tempio di Vittoria e istituirono sacrifici anche per lei…”.
L’area ospitava anche un recinto sacro con un simulacro della lupa e un altare a Pan (da identificare con Fauno), come sempre Dionigi di Alicarnasso ci informa: “C’era non lontano un sacro luogo, coperto da un folto bosco, e una roccia cava dalla quale sgorgava una sorgente; si diceva che il bosco fosse consacrato a Pan, e ci fosse un altare dedicato al dio. In questo luogo, quindi, giunse la lupa e si nascose. Il bosco non esiste più, ma si vede ancora la grotta nella quale sgorga la sorgente, costruita a ridosso del lato del Palatino sulla strada che porta al circo, e vicino c’è un recinto nel quale è una statua che ricorda la leggenda: rappresenta una lupa che allatta due neonati, le figure sono in bronzo e di antica fattura. Si dice che in quest’area ci sia stato un santuario degli Arcadi che, in passato, giunsero qui con Evandro”.
Secondo Velleio Patercolo presso il Lupercale venne edificato, nel 154 a.C., ad opera del censore C. Cassio Longino, un teatro nel quale si avvenivano rappresentazioni nel corso dei Ludi Megalensi, che si svolgevano di fronte al tempio della Magna Mater.
Augusto ci informa, nelle sue Res Gestae, di aver restaurato il Lupercale; in quella occasione nella grotta sacra vennero collocate statue dei membri della famiglia imperiale.
I Cataloghi Regionari (elenchi con funzione probabilmente amministrativa di alcuni monumenti delle regiones nelle quali Augusto divise Roma, risalenti al IV secolo d.C.) della Regio X Palatium lo nominano per ultimo, dopo la Victoria Germaniana.
La grotta era il punto di partenza dei Lupercalia, riti di purificazione e fecondità, che venivano celebrati il 15 febbraio. La festa si svolgeva, in linea generale, così: i Luperci (termine forse da interpretare come sacerdoti-lupo, che definisce gli addetti alla celebrazione del culto, membri di importanti famiglie) vestiti con pelli di capra, convenivano presso il Lupercale, dove sacrificavano delle capre e un cane e offrivano le focacce preparate dalle Vestali. Con il coltello che era servito per effettuare il sacrificio, ancora sporco, si macchiavano di sangue le fronti di due giovani di alto lignaggio; il sangue veniva poi asciugato con lana intinta nel latte di capra. Quindi tagliavano le pelli delle capre in strisce per farne delle fruste, e dopo un ricco banchetto correvano probabilmente intorno al Palatino frustando chiunque incontrassero; le frustate rendevano fertili le donne e facilitavano il parto. La corsa intorno al Palatino aveva anche il significato di atto purificatorio.
Ancora nel 496 d.C. i Lupercalia dovevano essere celebrati, se papa Gelasio scrive un trattato per ottenerne l’abolizione.
Nel 1526 venne scoperta, ai piedi dell’angolo sud occidentale del Palatino, una grotta-ninfeo decorata con conchiglie e pietre, secondo il Lanciani da identificare con il Lupercale. Per lo Hulsen doveva trattarsi invece del ninfeo di una ricca domus privata.
Secondo il De Angelis D’Ossat la grotta e la fonte perenne in essa sgorgante, che secondo le fonti era soggetta a inondazioni del Tevere, poteva trovarsi nelle ghiaie di base del Palatino, a una quota approssimativa di 8 metri sul livello del mare.

sabato 19 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 19 novembre.
Il 19 novembre 1924, a Los Angeles, in California, il famoso regista e attore di film muti, Thomas Ince muore per un attacco di cuore nel suo letto. Di li a poco, però, iniziarono ad affiorare delle voci secondo le quali non era morto di cause naturali ma per colpa di un incidente: il magnate dell’editoria William Randolph Hearst gli aveva sparato. La sua morte è ancora un mistero.
Ince è stato un regista cinematografico, produttore cinematografico e sceneggiatore statunitense, uno dei pionieri del cinema muto statunitense. A lui si devono almeno un centinaio di interpretazioni in film, tra cui moltissimi western: era conosciuto, infatti, come il “padre del western". Inventò anche dei sistemi innovativi di ripresa cinematografica.
Il 19 novembre 1924, però, Thomas H. Ince morì, secondo la versione ufficiale, per un attacco cardiaco, mentre era a bordo dello yacht “Oneida“ di William Randolph Hearst.
Ma le chiacchiere a Hollywood trovarono subito luogo e si parlò di un omicidio: Ince, secondo le voci, sarebbe stato colpito da un proiettile destinato a Charlie Chaplin; colpa di una relazione con Marion Davies, amante di Hearst. La copertina del Los Angeles Times del 22 novembre, però, titolò: “Produttore cinematografico sparato sullo yacht di Hearst!”. Una versione che, misteriosamente, cambia nell’edizione della sera.
Pure la Davies contribuì a confondere le indagini, negando l'incidente. Non riconobbe mai che Chaplin, Louella Parsons (una giornalista d'assalto di Hollywood) o il dottor Daniel Goodman (manager della casa di produzione di Hearst) fossero a bordo dello yacht quel fine settimana. Insistette sempre che aveva saputo della morte di Ince, informata da Nell Ince, la moglie, che l'aveva chiamata il lunedì pomeriggio agli United Studios.
Quando l'Oneida salpò, la Parsons lavorava a New York per i giornali di Hearst occupandosi delle cronache degli spettacoli. Dopo il caso Ince, Hearst le firmò un contratto a vita, aumentandole lo stipendio. Hearst riconobbe anche alla vedova Nell Ince un fondo fiduciario prima che lei se ne partisse per l'Europa. Nell rifiutò l'autopsia e ordinò l'immediata cremazione del corpo del marito.
L'ultimo film prodotto da Ince, Enticement, una storia romantica ambientata nelle Alpi francesi, fu distribuito dopo la sua morte, nel 1925.
Nel 1996, venne pubblicato un romanzo dal titolo Murder at San Simeon (Omicidio a San Simeon) di Patricia Hearst (nipote di William Randolph Hearst) e di Cordelia Frances Biddle. Una versione romanzata dell'omicidio che sposa la tesi della relazione tra Chaplin e Marion Davies, presentando la figura di un Hearst, anziano, geloso e possessivo.
Nel 2001, Peter Bogdanovich ha girato Hollywood Confidential (The Cat's Meow), che riprende questa versione della storia. Il regista ha dichiarato che ne era venuto a conoscenza attraverso quello che gli aveva riferito Orson Welles il quale, a sua volta, l'aveva saputa da Herman J. Mankiewicz mentre stava lavorando con lui alla stesura della sceneggiatura di Quarto potere.

venerdì 18 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 18 novembre.
Il 18 novembre 1959 a New York ha luogo l'anteprima mondiale del Kolossal "Ben Hur".
Il più famoso e pluripremiato film della storia del cinema e nello specifico genere dell'historical-movie. Ben-Hur si può definire un film d'immagine e d'attori, di spettacolarità e contenuto, trascinato da circa 500 caratteristi (ben 365 parlanti e 73 ufficialmente accreditati) e oltre 60.000 comparse. Le sequenze visive ad ampio raggio fanno la parte del leone e grazie al loro apporto questo capolavoro ha raggiunto i massimi vertici di popolarità.
Per Ben-Hur, si decise di dare una svolta epocale ad un genere sempre espresso in funzione della magniloquenza visiva. Quindi, unione d'intenti sia nelle immagini che nel contenuto. Per questo motivo furono scelti come interpreti perfettamente calzanti alla storia narrata. Charlton Heston, che sostituì il più affermato Burt Lancaster il quale aveva rifiutato la parte, Jack Hawkins il solo attore di successo presente nel cast, Stephen Boyd co-protagonista del film, ma sorpassato nei titoli del film da Hawkins per "motivi gerarchici" (obbligato tra l'altro a mettersi le lenti a contatto marrone, imposte da qualche consulente storico che sosteneva la tesi secondo la quale "i romani non potevano avere occhi celesti"), un sorprendente Hugh Griffith e nel ruolo femminile la sconosciuta attrice israeliana Haya Harareet con una decina di film in carriera. Willyam Wyler, favorevolmente impressionato dalla performace in I Dieci Comandamenti (1956, di Cecil B. DeMille), decise di affidare il ruolo di protagonista a Charlton Heston, già da lui diretto in un ruolo da non protagonista l'anno prima nel superwestern Il grande paese. Rifiutò Kirk Douglas, il quale, infuriato, pensò bene di controbattere questa produzione allestendo personalmente un altro kolossal 'romano', Spartacus, da lui stesso prodotto e interpretato.
Il film è strutturato su cinque sequenze memorabili: i forzati ai remi, la battaglia navale e, naturalmente, la famosissima corsa delle bighe o, meglio definite, quadrighe; oltre, le straordinarie scene del lebbrosario e della Via Crucis. Si vocifera che il regista William Wyler, ossessionato dalla sequenza della corsa (giovanissimo, fu aiuto regista di Fred Niblo nel Ben Hur del '25) decise di dirigere il film proprio per realizzare questa scena.
La sceneggiatura fu scritta da Karl Tumberg, inizialmente orribile e nell'insieme molto deprimente, al punto che Wyler chiese l'intervento di tre penne illustri, Chritopher Fry, Maxwell Anderson e, soprattutto, Gore Vidal, i quali, cestinando l'originale, riscrissero daccapo l'intera sceneggiatura. Tumberg rimase tra gli accrediti ma non vinse l'Oscar (Wyler gli fece una campagna negativa) e fu l'unico nelle complessive 12 nomination a non riceverlo.
Le riprese del film durarono circa un anno, monopolizzando interamente Cinecittà. La lavorazione andò avanti non senza travagli e momenti di panico totale, in particolare per la scena della corsa delle bighe. Dopo mesi di preparativi al Circo Massimo, nel cuore di Roma, quando l'installazione dell'impianto scenografico era ormai ultimata e tutto era pronto per essere filmato, arrivò il contrordine dalla sovraintendenza che bloccò le riprese. Si decise allora di trasferire il tutto al circo di Massenzio, con ulteriore perdita di tempo e soprattutto di denaro. Anche questo sito fu scartato e la location finalmente trovò luogo nella spianata di Tor di Valle, già strutturata e in fase di costruzione per l'ippodromo di trotto, poi inaugurato nel 1960, in concomitanza delle Olimpiadi di Roma. In questa situazione di caos indescrivibile trovò la morte il produttore Sam Zimbalist, stroncato da infarto probabilmente causato dallo stress emotivo portato dai continui accadimenti.
La corsa delle bighe è la sequenza più famosa della storia del cinema; 32 minuti senza interruzione, che per una scena d'azione costituisce un record. Occorsero tre mesi per completarla e all'inizio sorse un altro problema, occorrevano quattro purosangue totalmente bianchi e in Italia non esistevano. Dopo frenetiche ricerche, che fecero perdere altro tempo, i cavalli furono individuati in Cecoslovacchia e da qui fatti arrivare via treno.
Finalmente iniziarono le riprese. Wyler, molto esigente con i direttori della fotografia, pretese inquadrature da tutti i settori possibili dell'arena, comprese quelle dall'alto. Il regista voleva immagini dense di crudo realismo. Per la prima volta in un film s'incominciano a vedere effetti truculenti come sangue, braccia e gambe mozzate, scene fino allora considerate off-limits dalla ferrea censura americana in generale e dalla "pia" Metro Goldwyn Mayer in particolare.
La sequenza della caduta dalla biga di Charlton Heston, o meglio del suo stuntman Joe Canutt, è reale; frutto di un incidente che nel suo sviluppo dava un'impressione visiva notevole, tale che infine fu deciso di inserirla nel film.
La battaglia navale fu girata in interni nelle due piscine di Cinecittà, con appropriato uso di modellini in scala disegnati da Mauro Zambuto e orchestrati dal mago dei trucchi Arnold Gillespie. A questo proposito, bisogna tenere conto che il film è datato 1959, quando le tecniche di realizzazione per gli effetti speciali non erano all'avanguardia come oggi, dove la grafica computerizzata è divenuta l'elemento centrale nella concretizzazione di un film. Di notevole spessore visivo i forzati che remano incatenati alle galere a ritmo di tamburo.
La figura di Cristo (non si vede mai il volto) aleggia nella pellicola a ricordo che il soggetto di riferimento del film, pur nella drammaticità d'eventi e situazioni, è lui. Si è voluto dare, pur in una situazione tipicamente religiosa, un tono d'assoluta drammaticità ad una vicenda realista (il conflitto tra due amici d'infanzia ormai adulti) e adatta in qualsiasi tempo e circostanza. Entrambi sono alle prese, uno con l'idealismo patriottico ancorato rigidamente alle origini della sua terra invasa dai conquistatori e l'altro con sete di potere e tale bramosia, che pur di arrivare ai fini prestabiliti non bada a mezzi termini per raggiungerli. Su quest'aspetto ruota l'intera vicenda, l'amicizia, il dolore, la sublimazione della vendetta e infine la conversione, non intesa soltanto come viatico religioso ma soprattutto come rispetto della propria e altrui dignità in senso laico.
A tale proposito Gore Vidal ci ricamò sopra. Lo scrittore descrisse l'amicizia tra Ben Hur e Messala come un rapporto tra due gay; ed anche se nessuno si accorse di questa sottigliezza, ciò mandò su tutte le furie Wyler, al punto che il regista troncò di netto l'amicizia con lo sceneggiatore. Tra l'altro il solo Stephen Boyd era a conoscenza di questa variazione e sul set si comportò di conseguenza. Seguendo attentamente le fasi iniziali del film si può costatare, in alcune circostanze, lo sguardo di smarrimento di Charlton Heston a fronte della gestualità di Boyd.
La recitazione è sulle righe, con uno straordinario Heston, un già sopra citato Griffith, oltre ad un notevole numero di bravi caratteristi, tutti su libro-paga della MGM. Scenografia e costumi corrispondono in parte alla tradizione secolare della casa produttrice. In questo caso però è evidente una certa sobrietà della messa in scena. La ricostruzione dei set non è certo paragonabile ai precedenti film targati MGM dove, grazie all'apporto del re dell'art direction Cedric Gibbon ormai deceduto, il contorno era disegnato con novizia di particolari e amalgamato in una sorta di pomposa e magniloquente rappresentazione. Per curiosità, lo sfondo usato nei titoli di testa (Il giudizio universale) fu riutilizzato nel 1965 per Il tormento e l'estasi di Carol Reed, con Charlton Heston nel ruolo di Michelangelo.
Sommando i vari parametri di realizzazione è facile individuare il trionfo dell'estetico sul concreto, anche se la notevole fluidità del racconto crea un perfetto connubio tra "esteriorità" e "soggetto", raggiungendo una simbiosi così perfetta tale da poter dimostrare che l'uno non può fare a meno dell'altro; ed è un caso raro se non unico in un impianto narrativo colossale.
Presente nel cast anche Mario Soldati, che si occupò della corsa assieme al veterano degli stuntman Yakima Canutt e suo figlio Joe. Senza accrediti figurano attori italiani come Giuliano Gemma, Lando Buzzanca e Marina Berti. Le voci dei narratori appartengono a Walter Pidgeon per l'edizione originale e Gino Cervi per quell'italiana. Consulente per il technicolor non più il bravissimo Henri Jaffa, ma Charles K. Hagedon e la differenza si vede. In tempi recenti, il tecnico Patrizio Corrado ha rielaborato elettronicamente il colore delle immagini.
I capolavori assoluti nella storia del cinema sono difficilmente elencabili, per tantissimi motivi ma soprattutto per la diversità esistente tra un genere e un altro. Il kolossal (che non è un genere ma un'identificazione ben precisa di un tipico linguaggio cinematografico) da sempre è stato oggetto di recensioni molto negative da parte della critica e spesso a ragione. Questi film si sono da sempre prodotti badando poco ai contenuti e molto alla sostanza. Nella loro realizzazione, scenografia, costumi, arredamento, colonna sonora, trucco, effetti speciali e la partecipazione di decine di migliaia di comparse la facevano da padrone, relegando in secondo piano il soggetto e la sceneggiatura, vera essenza di un film. Addirittura, gli attori e in qualche caso persino i registi, potevano risultare elementi trascurabili; e questo da sempre, dai muti di Griffith e DeMille d'inizio secolo per arrivare ai Titanic e Il Gladiatore dei nostri giorni. Non sempre però è accaduto questo. Ci sono le eccezioni che confermano la regola e il Ben-Hur del 1959 n'è il classico esempio.

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