Buongiorno, oggi è il 31 gennaio.
Il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella viene eletto dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana.
E' nato a Palermo il 23 luglio 1941. Ha tre figli.
Laureato in Giurisprudenza nel 1964 all’Università “La Sapienza” di Roma con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi su “La funzione di indirizzo politico”, è stato iscritto nell’albo degli avvocati del Foro di Palermo dal 1967.
Ha insegnato diritto parlamentare presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo fino al 1983, anno in cui è stato collocato in aspettativa perché entrato a far parte della Camera dei Deputati.
La sua attività scientifica e le sue pubblicazioni hanno riguardato prevalentemente argomenti di diritto costituzionale (intervento della Regione siciliana nell’economia, bicameralismo, procedimento legislativo, attività ispettiva del Parlamento, indennità di espropriazione, evoluzione dell’amministrazione regionale siciliana, controlli sugli enti locali). Altre pubblicazioni hanno riguardato temi legati alla sua attività parlamentare e di governo. Ha svolto relazioni e interventi in convegni di studi giuridici e tenuto lezioni in corsi di master e di specializzazione in varie Università.
Nel 1980 il fratello maggiore Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, fu assassinato da Cosa Nostra.
Il suo percorso politico ha origine all’interno del filone di impegno cattolico-sociale e riformatore. Eletto deputato per la Democrazia Cristiana nel 1983 nella circoscrizione della Sicilia occidentale, ha fatto parte della Camera dei Deputati sino al 2008.
In queste sette legislature ha fatto parte della Commissione Affari costituzionali, della Commissioni Affari esteri e del Comitato per la Legislazione, di cui è stato anche Presidente.
E’ stato componente, inoltre, della Commissione bicamerale per le Riforme istituzionali dell’XI legislatura, di cui è stato Vice Presidente, della Commissione bicamerale per le Riforme istituzionali della XIII legislatura, della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Nella XV legislatura è stato Presidente della Commissione Giurisdizionale della Camera dei Deputati.
Nella XIII legislatura è stato Presidente del Gruppo parlamentare dei Popolari e Democratici (dall’inizio della legislatura all’ottobre 1998).
Dal luglio del 1987 al luglio del 1989 è stato Ministro dei Rapporti con il Parlamento. Risalgono a quegli anni la riforma dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio e l’abolizione della ordinarietà del voto segreto in Parlamento. Dal luglio del 1989 al luglio del 1990 è stato Ministro della Pubblica Istruzione. Sono di quel periodo la Conferenza nazionale della scuola (gennaio ’90) e la riforma degli ordinamenti della scuola elementare che, tra le innovazioni, introdusse il modulo dei tre maestri su due classi (legge n. 148 del 1990).
Dall’ottobre 1998 è stato Vice Presidente del Consiglio dei Ministri sino al dicembre 1999 quando è stato nominato Ministro della Difesa, incarico tenuto fino alle elezioni del giugno del 2001. Approvate in quegli anni la legge che ha abolito la leva militare obbligatoria e quella che ha reso l’Arma dei Carabinieri forza armata autonoma. In quella fase l’Italia ha sviluppato una intensa presenza nelle missioni di pace dispiegate per iniziative delle Nazioni Unite ed ha contribuito significativamente alle operazioni di interposizione e mantenimento della pace in Bosnia-Herzegovina, Kosovo e nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. L’avvio della Politica europea di sicurezza e difesa, in quella stagione, ha visto l’Italia tra i più convinti sostenitori, con l’avvio, tra l’altro, del primo corpo d’armata europeo.
Nelle elezioni politiche del 2008 non si è ricandidato e ha concluso la sua attività politica.
Nel maggio 2009 è stato eletto dal Parlamento componente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, di cui è stato Vice Presidente.
Il 5 ottobre 2011 è stato eletto Giudice Costituzionale dal Parlamento ed è entrato a far parte della Corte Costituzionale con il giuramento dell’11 ottobre 2011.
Il 31 gennaio 2015 è stato eletto dodicesimo Presidente della Repubblica.
È stato rieletto il 29 gennaio 2022, all'ottavo scrutinio con 759 voti, divenendo dunque il secondo Presidente della Repubblica Italiana, dopo Giorgio Napolitano, a essere riconfermato per un secondo mandato, oltreché il secondo più votato di sempre dopo Sandro Pertini. Il 6 ottobre 2023 è diventato il Presidente della Repubblica più duraturo della storia dell'Italia repubblicana.
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mercoledì 31 gennaio 2024
martedì 30 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 30 gennaio.
Il 30 gennaio 1969, a Londra, ha luogo, sul tetto della Apple Records, l'ultimo concerto dei Beatles, poi interrotto dall'intervento della polizia.
Nel gennaio del 1969 i fasti ed i clamori dei tour che i Beatles tennero in tutto il Mondo nei tre anni d’oro della Beatlemania (1964-1966) erano ormai lontani. Dal 29 agosto 1966, data di chiusura del tour Nord Americano di quell’anno (il “The Beatles’ 1966 US Tour” partito il 12 agosto 1966 da Chicago e terminato il 29 agosto a San Francisco con 19 show in 18 giorni) i quattro ragazzi di Liverpool non si erano più esibiti su un palco. Da allora tutti i loro sforzi si erano concentrati sulla sperimentazione in sala di registrazione, attività che sarebbe sfociata nella produzione di alcuni dei dischi più belli della storia della musica: album come “Sgt. Pepper Lonely Heart Club Band”, “The Beatles” ed “Abbey Road” e singoli quali “Strawberry Fields Forever” / “Penny Lane” furono infatti solo alcuni degli strabilianti risultati ottenuti dalle sedute di registrazione nello studio n° 2 di Abbey Road. Purtroppo la morte del loro storico manager Brian Epstein avvenuta il 27 agosto 1967 diede inizio al lento e inesorabile deterioramento del rapporto di coesione ed amicizia che legava i quattro musicisti e che avrebbe portato allo scioglimento del gruppo comunicato ufficialmente il 10 aprile 1970. Nel gennaio del 1969 vi fu un vano tentativo, voluto soprattutto da Paul McCartney, di provare a dare una sterzata decisa al decorso degli eventi, al fine di dare nuova linfa e stimoli al gruppo con il progetto “Get Back”: come dice il nome stesso l’intento era quello di tornare al rock ‘n’ roll delle origini, registrando un album grezzo, senza sovra incisioni, solo sano e vecchio rock ‘n’ roll inciso in presa diretta proprio come avveniva per i primi album dei Fab Four. Il tutto sarebbe stato immortalato in uno special televisivo che avrebbe dovuto documentare la nascita di un disco dei Beatles. Lo show televisivo era stato ideato per promuovere l’album, che avrebbe dovuto intitolarsi “Get Back”, e sarebbe stato trasmesso alla fine del mese di gennaio, una volta che l’album fosse stato dato alle stampe. Il progetto iniziale prevedeva che i Beatles si esibissero al Roundhouse nel mese di gennaio del 1969 e che il materiale ripreso fosse utilizzato per montare uno special mandato in onda dalle televisioni di tutto il mondo.
I rapporti interpersonali e professionali tra i quattro musicisti proprio in quei mesi si stavano logorando vistosamente di giorno in giorno, tuttavia restavano da rispettare le adempienze contrattuali con la United Artists: l’accordo stipulato nel 1964 prevedeva la realizzazione di tre film. Nel 1968 il gruppo si era illuso di aver onorato il contratto con la casa di produzione cinematografica americana considerando “Yellow Submarine” (uscito il 17 luglio 1968, con prima nazionale al London Pavilion) come il famoso terzo film, dopo i due film diretti da Richard Lester: “A Hard Day’s Night” (in Italia “Tutti Per Uno”) del 1964 ed “Help!” (in Italia “Aiuto!”) del 1965. Purtroppo per loro non fu così, il lungometraggio animato non fu conteggiato dai funzionari della casa cinematografica, mancava quindi ancora un film per rispettare il contratto: si decise allora di consegnare alla United Artists gli spezzoni dei filmati che i Beatles avevano girato durante le sedute di registrazione negli studi di Twickenham e della Apple affinché venisse realizzata la fatidica terza pellicola.
I Beatles fin da subito non si erano trovati affatto a loro agio nel tetro e semivuoto studio-teatro di posa n. 1 dei Twickenham Film Studios, soprattutto perché le attrezzature e gli studi erano disponibili prevalentemente alla mattina presto e non avevano potuto quindi filmare di sera e di notte come avevano pianificato. In Merito John dichiarò: “Non era possibile suonare alle otto del mattino o alle dieci, o a qualsiasi ora fosse, in uno strano posto, con la troupe che ti riprendeva e le luci colorate”. Le riprese presso lo studio di Twickenham iniziarono il 2 gennaio 1969 con i titolo provvisorio “Get Back” e si protrassero fino al 15 gennaio, quando i Beatles decisero di trasferirsi nel nuovissimo studio di registrazione che si erano fatti allestire nei seminterrati della Apple e dove a partire da mercoledì 22 gennaio avrebbero continuato a lavorare fino alla fine del mese, terminando le registrazioni e le riprese con la famosa esibizione sul tetto dell’edificio della sede della Apple in Savile Row n.° 3 il 30 gennaio e con un’ ultima sessione di registrazione il 31 gennaio negli studi del seminterrato. Con il mese di gennaio le sedute di registrazione per il progetto furono ultimate, anche perché il 3 febbraio Ringo avrebbe iniziato le riprese del film “Magic Christian”: in poco meno di un mese erano state registrate 30 ore di musica e girate 96 ore di film, mancava solamente il montaggio, ma per ultimarlo… ci volle un anno intero.
In fase di discussione del progetto il regista Micheal Lindsay-Hogg propose di girare alcune scene in un anfiteatro romano in Tunisia. George protestò considerando l’idea poco pratica a causa delle difficoltà di trasporto della troupe e delle attrezzature in Africa, per non parlare dei costi altissimi dell’operazione. Le altre location proposte furono una nave in viaggio attraverso l’oceano, la Cattedrale di Liverpool e la Camera del Parlamento. John fece anche un commento laconico: “Mi sto preparando ad un Manicomio …”. Venne poi presa la decisione di effettuare le riprese sul tetto della Sede della Apple al numero 3 di Savile Row.
L’insoddisfazione e la frustrazione di George furono tali che venerdì 10 gennaio lo spinsero ad abbandonare temporaneamente le riprese soprattutto a causa del comportamento di superiorità che Paul assumeva nei suoi confronti. Ad un certo punto delle riprese nei Twickenham Studios George si rivolse al bassista dicendogli: ”Mi sembra sempre di infastidirti”. La situazione peggiorò quando Paul diede alcuni consigli a George su come suonare. A quel punto George rispose : “Va bene, suonerò tutto quello che vuoi, o non suonerò affatto, se non vorrai!!!”. Dopo la pausa pranzo ed una animata discussione con gli altri tre Beatles nella sala mensa dei Twickenham Studios George abbandonò i compagni anche perché non voleva più esibirsi dal vivo con i Beatles, l’idea dello show televisivo ed il pensiero di andare in Africa o di accettare altri ingaggi lo irritava. Mercoledì 15 gennaio di ritorno a Londra dopo aver trascorso alcuni giorni con i genitori al Nord, George ebbe modo di incontrare John, Paul e Ringo. Durante una riunione serrata ed interminabile (dalla durata di cinque ore) annunciò l’intenzione di voler lasciare il gruppo, avrebbe fatto marcia indietro se gli altri Tre avessero accettato determinate condizioni: dovevano smettere di parlare di esibizioni dal vivo ed usare invece le canzoni destinate allo speciale televisivo, più alcune altre, per la realizzazione di un album. Alla fine accettò il compromesso di suonare eccezionalmente sul tetto della Apple. Al suo effettivo ritorno in sala di registrazione, mercoledì 22 gennaio, George portò con se Billy Preston alle sedute pomeridiane, sperando che la presenza di un altro musicista avesse aiutato ad alleviare la tensione che c’era all’interno del gruppo. Harrison lo aveva incontrato ad un concerto di Ray Charles alla Royal Festival Hall e lo aveva invitato a far visita ai Beatles ed a partecipare alle sedute di registrazione nei seminterrati della Apple in primis per alleggerire l’atmosfera tesa e, dato che erano bandite le sovra incisioni, per aggiungere un quinto musicista fondamentale alla formazione. John, Paul e George conoscevano Billy Preston da lunga data, dal 1962, anno in cui, ancora adolescente, suonava nel complesso che accompagnava Little Richard nelle due settimane in cui la star di Pacom si esibì allo Star Club di Amburgo alternandosi sul palco con i Beatles. Oltre all’ effetto benefico dovuto al cambio di studi di registrazione, con la presenza di Billy le sessioni presero subito un altro verso, il ghiaccio che si era precedentemente creato fra i quattro musicisti di Liverpool si sciolse come d’incanto e quindi Preston fu scritturato per tutte le rimanenti sessioni del progetto “Get Back” ancora previste per un compenso di cinquecento sterline e, il 31 gennaio, la firma di un contratto con la casa discografica Apple (il 5 maggio dello stesso anno avrebbe iniziato la registrazione presso gli Olympic Sound Studios del suo primo album per l’etichetta prodotto in buona parte da George Harrison).
La celebre esibizione sui tetti della Apple fu concepita nel corso di una riunione del 26 gennaio. Fu la prima delle due esibizioni consecutive dei Beatles con Billy Preston che conclusero il progetto “Get Back”: la seconda esibizione si tenne il giorno successivo, venerdì 31 gennaio, nello studio del seminterrato della Apple durante la quale i cinque musicisti si concentrarono sulla registrazione di tre brani ritenuti inadatti per il set sul tetto dell’edificio, ovvero “The Long And Winding Road” e “Let It Be” per le quali era necessario un accompagnamento di pianoforte e l’acustica “Two Of Us”. Per la registrazione di queste tre canzoni i Beatles e Billy Preston si posizionarono come per un concerto vero e proprio, sopra ed intorno ad una piattaforma: come si nota nel filmato di questa session contenuta nel film “Let It Be” al centro dell’attenzione c’era Paul, poiché l’autore dei brani.
Nel corso della riunione tenutasi il 26 gennaio, una volta abbandonata del tutto l’idea dello show televisivo, fu lanciata l’idea di un’esibizione a sorpresa del gruppo, da tenersi il giovedì successivo all’ora di pranzo sul tetto dell’edificio che ospitava gli uffici della Apple. L’idea era quella di gettare nello scompiglio più totale quella zona del centro di Londra e di offrire uno spettacolo gratuito agli impiegati ed ai negozianti che lavoravano nei dintorni. Oggi sono in tanti a reclamare la paternità dell’idea del concerto sul tetto, a riprova del consenso generalizzato che incontrò il progetto. Eppure George quel giovedì 30 gennaio non era ancora del tutto convinto e Ringo era della categorica idea di non partecipare all’iniziativa. Solo lo sforzo congiunto di John e Paul poté vincere la loro riluttanza. Alla fine tutto andò per il meglio, non era il deserto del Sahara, tantomeno un anfiteatro romano, ma i quattro suonarono per l’ultima volta dal vivo insieme, senza neppure essere raggiungibili dallo sguardo della folla riunitasi rapidamente nella strada sottostante, fornendo così al regista Lindsay-Hogg tutto il materiale audio-visivo necessario alla perfetta apoteosi per il progetto “Get Back”.
La sequenza delle canzoni interpretate nello storico concerto del 30 gennaio 1969, ribattezzato come “The Beatles’ Rooftop Concert” (ovvero il “Concerto sul Tetto dei Beatles”), era composta da cinque canzoni, alcune ripetute anche più di una volta:
1)- “Get Back” (Lennon-McCartney) (usata come prova volumi, non verrà inserita nel film “Let It Be”);
2)- “Get Back” (Lennon-McCartney);
3)- “Don’t Let Me Down” (Lennon-McCartney);
4)-“I’ve Got A Feeling” (Lennon-McCartney);
5)- “One After 909” (Lennon-McCartney);
6)-“Dig A Pony” (Lennon-McCartney);
7)-“I’ve Got A Feeling” (Lennon-McCartney) (Versione differente, non utilizzata per il film “Let It Be”);
8)- “Don’tLet Me Down” (Lennon-McCartney)(Versione differente, non utilizzata per il film “LetIt Be”);
9)- “Get Back” (Lennon-McCartney).
L’esibizione in quel freddo giovedì di fine gennaio del 1969 è passata alla storia come l’ultima dal vivo dei Beatles, anche se non fu un vero e proprio concerto. Lo show durò complessivamente 42 minuti (di cui circa la metà utilizzati nel sensazionale finale del film “Let It Be”), incominciò all’ora di pranzo (verso le 13.00) e paralizzò parte della Capitale fino all’arrivo della polizia che interruppe lo spettacolo!
La maggior parte dei 42 minuti prodotti quel giorno sul tetto furono sfruttati commercialmente nel film “Let It Be” e nell’omonimo Album.
L’esecuzione probabilmente si sarebbe ancora protratta ma fu interrotta dall’intervento della polizia che fu chiamata da qualche residente di Savile Row per porre fine allo scompiglio arrecato nel quartiere dalla insolita, e storica, apparizione live del gruppo.
Lindsay-Hogg, intervistato da Rolling Stone e chiamato in merito sul finale del film dichiarò: “L’idea dei Beatles era di introdurre un attore in uniforme da poliziotto, che entrava in scena interrompendo l’esibizione in modo piuttosto duro. In realtà durante le riprese arrivarono veramente i poliziotti e fu una fortuna che non avessimo ancora girato quella scena. Loro chiamarono il cellulare, ma furono molto gentili. Pensammo che sarebbe stata una buona idea mostrare come alcuni poliziotti possano essere anche gentili.”
Il critico Michael Goodwin si rifiutò di credere che non furono utilizzati attori nei panni dei poliziotti e dichiarò: “Nell’ultima parte del film, nella scena in cui i Beatles si esibiscono sul tetto della Apple Building, arrivano alcuni poliziotti che cercano di capire da dove provenga quel baccano. Li vediamo prima all’esterno, per strada, mentre arrivano al portone del palazzo. Aprono la porta (l’inquadratura è sempre dall’esterno), poi interviene un “controcampo”,un’inquadratura in cui li vediamo completare l’azione (aprire la porta), ripresi dall’interno. Il montaggio di questa scena sarebbe normale per un film girato in studio, con attori, ma trovo difficile credere che questo attacco ad incastro delle due scene si possa realizzare in un documentario. Quindi la domanda sporge spontanea: erano attori o poliziotti veri?”
Il 30 gennaio 1969, a Londra, ha luogo, sul tetto della Apple Records, l'ultimo concerto dei Beatles, poi interrotto dall'intervento della polizia.
Nel gennaio del 1969 i fasti ed i clamori dei tour che i Beatles tennero in tutto il Mondo nei tre anni d’oro della Beatlemania (1964-1966) erano ormai lontani. Dal 29 agosto 1966, data di chiusura del tour Nord Americano di quell’anno (il “The Beatles’ 1966 US Tour” partito il 12 agosto 1966 da Chicago e terminato il 29 agosto a San Francisco con 19 show in 18 giorni) i quattro ragazzi di Liverpool non si erano più esibiti su un palco. Da allora tutti i loro sforzi si erano concentrati sulla sperimentazione in sala di registrazione, attività che sarebbe sfociata nella produzione di alcuni dei dischi più belli della storia della musica: album come “Sgt. Pepper Lonely Heart Club Band”, “The Beatles” ed “Abbey Road” e singoli quali “Strawberry Fields Forever” / “Penny Lane” furono infatti solo alcuni degli strabilianti risultati ottenuti dalle sedute di registrazione nello studio n° 2 di Abbey Road. Purtroppo la morte del loro storico manager Brian Epstein avvenuta il 27 agosto 1967 diede inizio al lento e inesorabile deterioramento del rapporto di coesione ed amicizia che legava i quattro musicisti e che avrebbe portato allo scioglimento del gruppo comunicato ufficialmente il 10 aprile 1970. Nel gennaio del 1969 vi fu un vano tentativo, voluto soprattutto da Paul McCartney, di provare a dare una sterzata decisa al decorso degli eventi, al fine di dare nuova linfa e stimoli al gruppo con il progetto “Get Back”: come dice il nome stesso l’intento era quello di tornare al rock ‘n’ roll delle origini, registrando un album grezzo, senza sovra incisioni, solo sano e vecchio rock ‘n’ roll inciso in presa diretta proprio come avveniva per i primi album dei Fab Four. Il tutto sarebbe stato immortalato in uno special televisivo che avrebbe dovuto documentare la nascita di un disco dei Beatles. Lo show televisivo era stato ideato per promuovere l’album, che avrebbe dovuto intitolarsi “Get Back”, e sarebbe stato trasmesso alla fine del mese di gennaio, una volta che l’album fosse stato dato alle stampe. Il progetto iniziale prevedeva che i Beatles si esibissero al Roundhouse nel mese di gennaio del 1969 e che il materiale ripreso fosse utilizzato per montare uno special mandato in onda dalle televisioni di tutto il mondo.
I rapporti interpersonali e professionali tra i quattro musicisti proprio in quei mesi si stavano logorando vistosamente di giorno in giorno, tuttavia restavano da rispettare le adempienze contrattuali con la United Artists: l’accordo stipulato nel 1964 prevedeva la realizzazione di tre film. Nel 1968 il gruppo si era illuso di aver onorato il contratto con la casa di produzione cinematografica americana considerando “Yellow Submarine” (uscito il 17 luglio 1968, con prima nazionale al London Pavilion) come il famoso terzo film, dopo i due film diretti da Richard Lester: “A Hard Day’s Night” (in Italia “Tutti Per Uno”) del 1964 ed “Help!” (in Italia “Aiuto!”) del 1965. Purtroppo per loro non fu così, il lungometraggio animato non fu conteggiato dai funzionari della casa cinematografica, mancava quindi ancora un film per rispettare il contratto: si decise allora di consegnare alla United Artists gli spezzoni dei filmati che i Beatles avevano girato durante le sedute di registrazione negli studi di Twickenham e della Apple affinché venisse realizzata la fatidica terza pellicola.
I Beatles fin da subito non si erano trovati affatto a loro agio nel tetro e semivuoto studio-teatro di posa n. 1 dei Twickenham Film Studios, soprattutto perché le attrezzature e gli studi erano disponibili prevalentemente alla mattina presto e non avevano potuto quindi filmare di sera e di notte come avevano pianificato. In Merito John dichiarò: “Non era possibile suonare alle otto del mattino o alle dieci, o a qualsiasi ora fosse, in uno strano posto, con la troupe che ti riprendeva e le luci colorate”. Le riprese presso lo studio di Twickenham iniziarono il 2 gennaio 1969 con i titolo provvisorio “Get Back” e si protrassero fino al 15 gennaio, quando i Beatles decisero di trasferirsi nel nuovissimo studio di registrazione che si erano fatti allestire nei seminterrati della Apple e dove a partire da mercoledì 22 gennaio avrebbero continuato a lavorare fino alla fine del mese, terminando le registrazioni e le riprese con la famosa esibizione sul tetto dell’edificio della sede della Apple in Savile Row n.° 3 il 30 gennaio e con un’ ultima sessione di registrazione il 31 gennaio negli studi del seminterrato. Con il mese di gennaio le sedute di registrazione per il progetto furono ultimate, anche perché il 3 febbraio Ringo avrebbe iniziato le riprese del film “Magic Christian”: in poco meno di un mese erano state registrate 30 ore di musica e girate 96 ore di film, mancava solamente il montaggio, ma per ultimarlo… ci volle un anno intero.
In fase di discussione del progetto il regista Micheal Lindsay-Hogg propose di girare alcune scene in un anfiteatro romano in Tunisia. George protestò considerando l’idea poco pratica a causa delle difficoltà di trasporto della troupe e delle attrezzature in Africa, per non parlare dei costi altissimi dell’operazione. Le altre location proposte furono una nave in viaggio attraverso l’oceano, la Cattedrale di Liverpool e la Camera del Parlamento. John fece anche un commento laconico: “Mi sto preparando ad un Manicomio …”. Venne poi presa la decisione di effettuare le riprese sul tetto della Sede della Apple al numero 3 di Savile Row.
L’insoddisfazione e la frustrazione di George furono tali che venerdì 10 gennaio lo spinsero ad abbandonare temporaneamente le riprese soprattutto a causa del comportamento di superiorità che Paul assumeva nei suoi confronti. Ad un certo punto delle riprese nei Twickenham Studios George si rivolse al bassista dicendogli: ”Mi sembra sempre di infastidirti”. La situazione peggiorò quando Paul diede alcuni consigli a George su come suonare. A quel punto George rispose : “Va bene, suonerò tutto quello che vuoi, o non suonerò affatto, se non vorrai!!!”. Dopo la pausa pranzo ed una animata discussione con gli altri tre Beatles nella sala mensa dei Twickenham Studios George abbandonò i compagni anche perché non voleva più esibirsi dal vivo con i Beatles, l’idea dello show televisivo ed il pensiero di andare in Africa o di accettare altri ingaggi lo irritava. Mercoledì 15 gennaio di ritorno a Londra dopo aver trascorso alcuni giorni con i genitori al Nord, George ebbe modo di incontrare John, Paul e Ringo. Durante una riunione serrata ed interminabile (dalla durata di cinque ore) annunciò l’intenzione di voler lasciare il gruppo, avrebbe fatto marcia indietro se gli altri Tre avessero accettato determinate condizioni: dovevano smettere di parlare di esibizioni dal vivo ed usare invece le canzoni destinate allo speciale televisivo, più alcune altre, per la realizzazione di un album. Alla fine accettò il compromesso di suonare eccezionalmente sul tetto della Apple. Al suo effettivo ritorno in sala di registrazione, mercoledì 22 gennaio, George portò con se Billy Preston alle sedute pomeridiane, sperando che la presenza di un altro musicista avesse aiutato ad alleviare la tensione che c’era all’interno del gruppo. Harrison lo aveva incontrato ad un concerto di Ray Charles alla Royal Festival Hall e lo aveva invitato a far visita ai Beatles ed a partecipare alle sedute di registrazione nei seminterrati della Apple in primis per alleggerire l’atmosfera tesa e, dato che erano bandite le sovra incisioni, per aggiungere un quinto musicista fondamentale alla formazione. John, Paul e George conoscevano Billy Preston da lunga data, dal 1962, anno in cui, ancora adolescente, suonava nel complesso che accompagnava Little Richard nelle due settimane in cui la star di Pacom si esibì allo Star Club di Amburgo alternandosi sul palco con i Beatles. Oltre all’ effetto benefico dovuto al cambio di studi di registrazione, con la presenza di Billy le sessioni presero subito un altro verso, il ghiaccio che si era precedentemente creato fra i quattro musicisti di Liverpool si sciolse come d’incanto e quindi Preston fu scritturato per tutte le rimanenti sessioni del progetto “Get Back” ancora previste per un compenso di cinquecento sterline e, il 31 gennaio, la firma di un contratto con la casa discografica Apple (il 5 maggio dello stesso anno avrebbe iniziato la registrazione presso gli Olympic Sound Studios del suo primo album per l’etichetta prodotto in buona parte da George Harrison).
La celebre esibizione sui tetti della Apple fu concepita nel corso di una riunione del 26 gennaio. Fu la prima delle due esibizioni consecutive dei Beatles con Billy Preston che conclusero il progetto “Get Back”: la seconda esibizione si tenne il giorno successivo, venerdì 31 gennaio, nello studio del seminterrato della Apple durante la quale i cinque musicisti si concentrarono sulla registrazione di tre brani ritenuti inadatti per il set sul tetto dell’edificio, ovvero “The Long And Winding Road” e “Let It Be” per le quali era necessario un accompagnamento di pianoforte e l’acustica “Two Of Us”. Per la registrazione di queste tre canzoni i Beatles e Billy Preston si posizionarono come per un concerto vero e proprio, sopra ed intorno ad una piattaforma: come si nota nel filmato di questa session contenuta nel film “Let It Be” al centro dell’attenzione c’era Paul, poiché l’autore dei brani.
Nel corso della riunione tenutasi il 26 gennaio, una volta abbandonata del tutto l’idea dello show televisivo, fu lanciata l’idea di un’esibizione a sorpresa del gruppo, da tenersi il giovedì successivo all’ora di pranzo sul tetto dell’edificio che ospitava gli uffici della Apple. L’idea era quella di gettare nello scompiglio più totale quella zona del centro di Londra e di offrire uno spettacolo gratuito agli impiegati ed ai negozianti che lavoravano nei dintorni. Oggi sono in tanti a reclamare la paternità dell’idea del concerto sul tetto, a riprova del consenso generalizzato che incontrò il progetto. Eppure George quel giovedì 30 gennaio non era ancora del tutto convinto e Ringo era della categorica idea di non partecipare all’iniziativa. Solo lo sforzo congiunto di John e Paul poté vincere la loro riluttanza. Alla fine tutto andò per il meglio, non era il deserto del Sahara, tantomeno un anfiteatro romano, ma i quattro suonarono per l’ultima volta dal vivo insieme, senza neppure essere raggiungibili dallo sguardo della folla riunitasi rapidamente nella strada sottostante, fornendo così al regista Lindsay-Hogg tutto il materiale audio-visivo necessario alla perfetta apoteosi per il progetto “Get Back”.
La sequenza delle canzoni interpretate nello storico concerto del 30 gennaio 1969, ribattezzato come “The Beatles’ Rooftop Concert” (ovvero il “Concerto sul Tetto dei Beatles”), era composta da cinque canzoni, alcune ripetute anche più di una volta:
1)- “Get Back” (Lennon-McCartney) (usata come prova volumi, non verrà inserita nel film “Let It Be”);
2)- “Get Back” (Lennon-McCartney);
3)- “Don’t Let Me Down” (Lennon-McCartney);
4)-“I’ve Got A Feeling” (Lennon-McCartney);
5)- “One After 909” (Lennon-McCartney);
6)-“Dig A Pony” (Lennon-McCartney);
7)-“I’ve Got A Feeling” (Lennon-McCartney) (Versione differente, non utilizzata per il film “Let It Be”);
8)- “Don’tLet Me Down” (Lennon-McCartney)(Versione differente, non utilizzata per il film “LetIt Be”);
9)- “Get Back” (Lennon-McCartney).
L’esibizione in quel freddo giovedì di fine gennaio del 1969 è passata alla storia come l’ultima dal vivo dei Beatles, anche se non fu un vero e proprio concerto. Lo show durò complessivamente 42 minuti (di cui circa la metà utilizzati nel sensazionale finale del film “Let It Be”), incominciò all’ora di pranzo (verso le 13.00) e paralizzò parte della Capitale fino all’arrivo della polizia che interruppe lo spettacolo!
La maggior parte dei 42 minuti prodotti quel giorno sul tetto furono sfruttati commercialmente nel film “Let It Be” e nell’omonimo Album.
L’esecuzione probabilmente si sarebbe ancora protratta ma fu interrotta dall’intervento della polizia che fu chiamata da qualche residente di Savile Row per porre fine allo scompiglio arrecato nel quartiere dalla insolita, e storica, apparizione live del gruppo.
Lindsay-Hogg, intervistato da Rolling Stone e chiamato in merito sul finale del film dichiarò: “L’idea dei Beatles era di introdurre un attore in uniforme da poliziotto, che entrava in scena interrompendo l’esibizione in modo piuttosto duro. In realtà durante le riprese arrivarono veramente i poliziotti e fu una fortuna che non avessimo ancora girato quella scena. Loro chiamarono il cellulare, ma furono molto gentili. Pensammo che sarebbe stata una buona idea mostrare come alcuni poliziotti possano essere anche gentili.”
Il critico Michael Goodwin si rifiutò di credere che non furono utilizzati attori nei panni dei poliziotti e dichiarò: “Nell’ultima parte del film, nella scena in cui i Beatles si esibiscono sul tetto della Apple Building, arrivano alcuni poliziotti che cercano di capire da dove provenga quel baccano. Li vediamo prima all’esterno, per strada, mentre arrivano al portone del palazzo. Aprono la porta (l’inquadratura è sempre dall’esterno), poi interviene un “controcampo”,un’inquadratura in cui li vediamo completare l’azione (aprire la porta), ripresi dall’interno. Il montaggio di questa scena sarebbe normale per un film girato in studio, con attori, ma trovo difficile credere che questo attacco ad incastro delle due scene si possa realizzare in un documentario. Quindi la domanda sporge spontanea: erano attori o poliziotti veri?”
lunedì 29 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 29 gennaio.
Il 29 gennaio 1856 la Regina Vittoria istituisce la Victoria Cross, come onorificenza dedicata ai valorosi che si sarebbero distinti in guerra.
Il 26 giugno 1857, durante una cerimonia ad Hyde Park, la regina consegnò le prime 62 croci davanti a una folla festante di circa 100.000 persone. Un secolo e mezzo più tardi, la medaglia è ancora la più alta onorificenza per coraggio e valore di cui un membro delle Forze Armate britanniche può fregiarsi.
La storia della Victoria Cross comincia nel 1854, quando la Gran Bretagna stava combattendo una grande guerra contro la Russia.
La guerra di Crimea fu una delle prime "guerre moderne", in cui reporter dei maggiori quotidiani raccontavano storie dal fronte ai lettori affamati di notizie a casa. Mentre gli ufficiali coraggiosi potevano fregiarsi dell'"order of the Bath", un'onorificenza istituita da Giorgio I nel 1725, non c'era alcun premio per consentire ai soldati ordinari di dimostrare il proprio eroismo.
Altre nazioni europee avevano invece onorificenze che non discriminavano le truppe per classe o grado. Perciò, all'inizio del 1856 la regina Vittoria ordinò al ministero della guerra di istituire una nuova medaglia, la Victoria Cross, che potesse essere assegnata a qualunque membro delle Forze Armate senza distinzione di grado. La medaglia doveva essere retrodatata al 1854, così da poter essere assegnata per atti di eroismo durante la guerra di Crimea.
L'ufficiale Charles David Lucas a bordo della HMS Hecla fu l'autore dell'atto che gli diede l'onore di essere il primo vincitore della Victoria Cross, il 21 giugno 1854. Durante l'attacco alla fortezza russa di Bomarsund nelle isole Aland, un grande proiettile delle batterie di cannoni della fortezza cadde sul ponte della Helca, inesploso. Ignorando gli ordini di mettersi al riparo, Lucas raccolse il proiettile ancora rovente e si diresse con calma ai bordi del ponte buttandolo in mare. Il proiettile esplose appena raggiunse l'acqua. In questo modo fu deciso lo "standard" per le onorificenze seguenti.
Da allora, 1357 Victoria Cross sono state consegnate nei suoi oltre 150 anni di storia. Nei primi anni, l'assegnazione del premio fu assai frequente; molte medaglie furono consegnate ai soldati che combatterono l'ammutinamento indiano, poi a quelli coinvolti nella seconda guerra mondiale. In un solo giorno, il 16 novembre 1857, furono assegnate ben 24 Croci.
In origine si credeva che le medaglie venissero forgiate dal bronzo di due cannoni russi catturati a Sebastopoli durante la guerra di Crimea. Ricerche recenti dimostrano invece che le medaglie sono fatte di metallo di origine cinese, forse di armi cinesi riutilizzate dai russi a Sebastopoli.
Dopo la seconda guerra mondiale sono state assegnate solo 13 Victoria Cross. Il conferimento più recente è relativo al caporale Bill Apiata dello Special Air Service neozelandese, per aver trasportato un compagno gravemente ferito per 70 metri su un terreno roccioso sotto il fuoco nemico di una mitragliatrice pesante durante il conflitto in Afghanistan nel 2004.
Il 29 gennaio 1856 la Regina Vittoria istituisce la Victoria Cross, come onorificenza dedicata ai valorosi che si sarebbero distinti in guerra.
Il 26 giugno 1857, durante una cerimonia ad Hyde Park, la regina consegnò le prime 62 croci davanti a una folla festante di circa 100.000 persone. Un secolo e mezzo più tardi, la medaglia è ancora la più alta onorificenza per coraggio e valore di cui un membro delle Forze Armate britanniche può fregiarsi.
La storia della Victoria Cross comincia nel 1854, quando la Gran Bretagna stava combattendo una grande guerra contro la Russia.
La guerra di Crimea fu una delle prime "guerre moderne", in cui reporter dei maggiori quotidiani raccontavano storie dal fronte ai lettori affamati di notizie a casa. Mentre gli ufficiali coraggiosi potevano fregiarsi dell'"order of the Bath", un'onorificenza istituita da Giorgio I nel 1725, non c'era alcun premio per consentire ai soldati ordinari di dimostrare il proprio eroismo.
Altre nazioni europee avevano invece onorificenze che non discriminavano le truppe per classe o grado. Perciò, all'inizio del 1856 la regina Vittoria ordinò al ministero della guerra di istituire una nuova medaglia, la Victoria Cross, che potesse essere assegnata a qualunque membro delle Forze Armate senza distinzione di grado. La medaglia doveva essere retrodatata al 1854, così da poter essere assegnata per atti di eroismo durante la guerra di Crimea.
L'ufficiale Charles David Lucas a bordo della HMS Hecla fu l'autore dell'atto che gli diede l'onore di essere il primo vincitore della Victoria Cross, il 21 giugno 1854. Durante l'attacco alla fortezza russa di Bomarsund nelle isole Aland, un grande proiettile delle batterie di cannoni della fortezza cadde sul ponte della Helca, inesploso. Ignorando gli ordini di mettersi al riparo, Lucas raccolse il proiettile ancora rovente e si diresse con calma ai bordi del ponte buttandolo in mare. Il proiettile esplose appena raggiunse l'acqua. In questo modo fu deciso lo "standard" per le onorificenze seguenti.
Da allora, 1357 Victoria Cross sono state consegnate nei suoi oltre 150 anni di storia. Nei primi anni, l'assegnazione del premio fu assai frequente; molte medaglie furono consegnate ai soldati che combatterono l'ammutinamento indiano, poi a quelli coinvolti nella seconda guerra mondiale. In un solo giorno, il 16 novembre 1857, furono assegnate ben 24 Croci.
In origine si credeva che le medaglie venissero forgiate dal bronzo di due cannoni russi catturati a Sebastopoli durante la guerra di Crimea. Ricerche recenti dimostrano invece che le medaglie sono fatte di metallo di origine cinese, forse di armi cinesi riutilizzate dai russi a Sebastopoli.
Dopo la seconda guerra mondiale sono state assegnate solo 13 Victoria Cross. Il conferimento più recente è relativo al caporale Bill Apiata dello Special Air Service neozelandese, per aver trasportato un compagno gravemente ferito per 70 metri su un terreno roccioso sotto il fuoco nemico di una mitragliatrice pesante durante il conflitto in Afghanistan nel 2004.
domenica 28 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 28 gennaio.
Il 28 gennaio 1958 nascono i mattoncini della Lego come oggi noi li conosciamo.
Il noto marchio LEGO è un produttore di giocattoli danese che deve la sua fama a Ole Kirk Christiansen il quale nel 1916 inventò i famosi mattoncini.
L'azienda iniziò a produrre i lego nel 1949 ma essi assunsero la forma che hanno ancora oggi solo nel 1958. Tutto iniziò nel 1916 quando Ole Kirk Christiansen aprì una falegnameria nel suo paese dove produceva manualmente articoli da arredo per interni aiutato dai figli e da giovani apprendisti. Nel 1924 però, la falegnameria fu colpita da un incendio innescato accidentalmente da uno dei due figli di Christiansen e tutto andò distrutto. Il falegname non si perse d'animo ed aprì una seconda bottega, più grande, dove poter riprendere il proprio mestiere. La sfortuna volle però che la crisi economica del 1929 portasse un grande calo delle vendite e quindi del lavoro così l'artigiano ebbe la brillante idea di iniziare a produrre cose in formato mignon e proprio tali miniature gli diedero l'ispirazione per la produzione di giocattoli. L'attività iniziò con la produzione di camion, salvadanai e automobili ma gli affari non andavano proprio a gonfie vele; le famiglie del posto non potevano permettersi giocattoli per i propri figli e il più delle volte pagavano il falegname con del cibo. Christiansen conobbe un breve periodo ricco verso gli anni '30 quando iniziò a dilagarsi la moda dello yo-yo che comunque finì rapidamente così com'era iniziata. Dai pezzi rimanenti degli yo-yo ricavò ruote per camion. Il nome LEGO fu coniato nel 1934, deriva dall'unione delle parole danesi "leg godt" che significa "gioca bene"; oggi la società afferma che il termine tradotto in latino significa "mettere insieme" o "assemblare" ma si tratta di una traduzione piuttosto libera di un verbo che solitamente viene tradotto con le parole "scegliere" o "raccogliere". In lingua finlandese il plurale di lego, legot, è usato per indicare la forma rettangolare dei denti. Nel 1947 Christiansen e il figlio Godtfred produssero i primi mattoncini assemblabili in plastica e nel 1949 la società ne iniziò ufficialmente la produzione chiamandoli Automatic Binding Bricks. Questi mattoncini potevano essere montati e smontati e nel 1954 fu dato loro un nuovo nome, "LEGO Mursten" o "LEGO Bricks" ("mattoncini LEGO").
Tuttavia i mattoncini non erano ancora perfetti, erano poco versatili e non garantivano una gran stabilità dei pezzi che sorreggevano così furono perfezionati nel 1958 quando nella parte inferiore furono aggiunti dei piccoli cilindri in modo tale da permettere un incastro più solido. Nello stesso anno Ole Kirk Christiansen morì e l'eredità della società passò al figlio Godtfred. A partire dal 1959 fu abbandonata la produzione dei giocattoli in legno per sviluppare al massimo quella dei giocattoli in plastica, fu istituito il reparto "futura" che doveva occuparsi di sviluppare nuove idee, furono create le prime ruote ed intorno al 1962 l'azienda stipulò un contratto di vendita in Canada che durò fino al 1988. I diversi tipi di mattoncini erano all'epoca circa 50. Nel 1963 iniziò ad essere usata per produrre i lego la plastica ABS, materiale che resiste tutt'oggi. Nel 1963 vennero introdotti i manuali d'istruzione all'interno della confezione e il prodotto più venduto era "il treno" che andava con un motore a 4,5 volt ed iniziò ad essere prodotto a partire dal 1966. Nel 1968 fu creato il parco Legoland a Billund, costruito interamente con mattoncini lego il quale ricopriva una superficie di 12.000 metri quadrati e contò 625.000 visitatori solo nel primo anno di vita.
Negli anni successivi il parco si espanse sempre più ed iniziò a contare sempre più visitatori, nel 1968 furono venduti 18 milioni di confezioni LEGO. Nel 1969 vennero immessi sul mercato i "LEGO Duplo", pensati per i più piccini in quanto consistevano in mattoncini più grandi (quindi non ingeribili) che comunque potevano essere assemblati con quelli di dimensioni più piccole in modo tale da permettere ai bambini un passaggio graduale dai "Duplo" al formato più piccolo.
Intorno al 1960 l'azienda ebbe una grande espansione sia in termini di fatturato che di dipendenti. A partire dal 1970 la LEGO si specializzò anche nel settore femminile, introducendo case per bambole complete di mobilio, ed iniziò a produrre anche le prime barche, davvero galleggianti. Nello stesso periodo entrò a capo della direzione aziendale Kjeld Kirk, figlio di Godtfred, il quale si era specializzato in business. Kjeld introdusse nuovi stabilimenti da produzione e nuovi dipartimenti di ricerca per mantenere sempre alta l'attenzione verso prodotti e metodi di produzione.
Nel 1974 comparvero i primi omini nella confezione "LEGO family" che diventò la più venduta in assoluto.
Nel 1975 fu introdotta la serie "LEGO expert" che poco dopo prese il nome di "expert builder", dedicata alle mani più capaci. Questa serie comprende parti mai introdotte prima come ingranaggi, leve, perni, assi, tutto per costruire modellini realistici di automobili o camion con sospensioni, pistoni e sterzo. Infine, la collezione si completò nel 1978 con la conferma degli omini, questi hanno braccia e gambe orientabili, una tipica faccia di colore giallo sulla quale è dipinto un allegro sorriso. Gli omini furono integrati in quasi tutti i modelli, per permettere ai costruttori di popolare strade, città, case. Visto che ormai strade e città erano al completo, non restava che introdurre un modello spaziale e ciò fece nel 1979 quando introdusse il modello "fabuland" dedicato ai più giovani. Nello stesso anno introdussero anche una nuova serie dedicata alle ragazzine, "scala", per poter costruire dei veri e propri gioielli. Nel 1979 visto il suo grande spirito da imprenditore, Kjeld Kirk diventò presidente della società.
Nel 1980 l'azienda istituì la "divisione prodotti educativi" per potenziare al massimo le capacità educative dei giocattoli e nel 1981 si rinnovò il treno LEGO nato circa 20 anni prima. Nella nuova versione furono introdotti anche segnali, luci e accessori di vario tipo. Successivamente fu rinnovata anche la serie "expert builder" che diventò, nel 1982, la serie "technic".
Nel 1983 non poteva non essere rinnovata che la serie "duplo" alla quale furono aggiunti pezzi per bambini ancora più piccoli e furono aggiunti anche piccoli sognali e omini con arti snodati. Fu poi introdotta la serie "castle" e la serie "luci&suoni" dotata di sistemi elettrici per far funzionare luci e suoni. Nel 1986 il comparto "divisione prodotti educativi" introdusse dei robot, automobili, camion, barche, comandati attraverso un computer.
Nel 1988 si tenne il primo campionato mondiale di costruzioni LEGO; l'anno successivo nacque la serie "pirati", la prima a scostarsi dalla consuetudine di produrre omini dal viso sorridente.
Nel 1990 vide la luce la serie "model team", tre confezioni in una composte da macchine da corsa e fuori strada caratterizzati da una grafica curatissima e nello stesso anno la linea "duplo" fu integrata da quella "tool" che comprendeva viti, giraviti e dadi.
I colori più diffusi nei mattoncini sono il rosso, blu, giallo, nero, grigio e bianco. Altri colori vennero aggiunti successivamente e per molto tempo la società si rifiutò di produrre mattoncini verdi per paura che i bambini costruissero giochi militari affiancando così il gioco dei lego alla guerra. Successivamente però questa idea venne abbandonata ed entrarono in commercio anche mattoncini verdi, insieme a nuove e diverse tonalità della pelle degli omini.
Il 28 gennaio 1958 nascono i mattoncini della Lego come oggi noi li conosciamo.
Il noto marchio LEGO è un produttore di giocattoli danese che deve la sua fama a Ole Kirk Christiansen il quale nel 1916 inventò i famosi mattoncini.
L'azienda iniziò a produrre i lego nel 1949 ma essi assunsero la forma che hanno ancora oggi solo nel 1958. Tutto iniziò nel 1916 quando Ole Kirk Christiansen aprì una falegnameria nel suo paese dove produceva manualmente articoli da arredo per interni aiutato dai figli e da giovani apprendisti. Nel 1924 però, la falegnameria fu colpita da un incendio innescato accidentalmente da uno dei due figli di Christiansen e tutto andò distrutto. Il falegname non si perse d'animo ed aprì una seconda bottega, più grande, dove poter riprendere il proprio mestiere. La sfortuna volle però che la crisi economica del 1929 portasse un grande calo delle vendite e quindi del lavoro così l'artigiano ebbe la brillante idea di iniziare a produrre cose in formato mignon e proprio tali miniature gli diedero l'ispirazione per la produzione di giocattoli. L'attività iniziò con la produzione di camion, salvadanai e automobili ma gli affari non andavano proprio a gonfie vele; le famiglie del posto non potevano permettersi giocattoli per i propri figli e il più delle volte pagavano il falegname con del cibo. Christiansen conobbe un breve periodo ricco verso gli anni '30 quando iniziò a dilagarsi la moda dello yo-yo che comunque finì rapidamente così com'era iniziata. Dai pezzi rimanenti degli yo-yo ricavò ruote per camion. Il nome LEGO fu coniato nel 1934, deriva dall'unione delle parole danesi "leg godt" che significa "gioca bene"; oggi la società afferma che il termine tradotto in latino significa "mettere insieme" o "assemblare" ma si tratta di una traduzione piuttosto libera di un verbo che solitamente viene tradotto con le parole "scegliere" o "raccogliere". In lingua finlandese il plurale di lego, legot, è usato per indicare la forma rettangolare dei denti. Nel 1947 Christiansen e il figlio Godtfred produssero i primi mattoncini assemblabili in plastica e nel 1949 la società ne iniziò ufficialmente la produzione chiamandoli Automatic Binding Bricks. Questi mattoncini potevano essere montati e smontati e nel 1954 fu dato loro un nuovo nome, "LEGO Mursten" o "LEGO Bricks" ("mattoncini LEGO").
Tuttavia i mattoncini non erano ancora perfetti, erano poco versatili e non garantivano una gran stabilità dei pezzi che sorreggevano così furono perfezionati nel 1958 quando nella parte inferiore furono aggiunti dei piccoli cilindri in modo tale da permettere un incastro più solido. Nello stesso anno Ole Kirk Christiansen morì e l'eredità della società passò al figlio Godtfred. A partire dal 1959 fu abbandonata la produzione dei giocattoli in legno per sviluppare al massimo quella dei giocattoli in plastica, fu istituito il reparto "futura" che doveva occuparsi di sviluppare nuove idee, furono create le prime ruote ed intorno al 1962 l'azienda stipulò un contratto di vendita in Canada che durò fino al 1988. I diversi tipi di mattoncini erano all'epoca circa 50. Nel 1963 iniziò ad essere usata per produrre i lego la plastica ABS, materiale che resiste tutt'oggi. Nel 1963 vennero introdotti i manuali d'istruzione all'interno della confezione e il prodotto più venduto era "il treno" che andava con un motore a 4,5 volt ed iniziò ad essere prodotto a partire dal 1966. Nel 1968 fu creato il parco Legoland a Billund, costruito interamente con mattoncini lego il quale ricopriva una superficie di 12.000 metri quadrati e contò 625.000 visitatori solo nel primo anno di vita.
Negli anni successivi il parco si espanse sempre più ed iniziò a contare sempre più visitatori, nel 1968 furono venduti 18 milioni di confezioni LEGO. Nel 1969 vennero immessi sul mercato i "LEGO Duplo", pensati per i più piccini in quanto consistevano in mattoncini più grandi (quindi non ingeribili) che comunque potevano essere assemblati con quelli di dimensioni più piccole in modo tale da permettere ai bambini un passaggio graduale dai "Duplo" al formato più piccolo.
Intorno al 1960 l'azienda ebbe una grande espansione sia in termini di fatturato che di dipendenti. A partire dal 1970 la LEGO si specializzò anche nel settore femminile, introducendo case per bambole complete di mobilio, ed iniziò a produrre anche le prime barche, davvero galleggianti. Nello stesso periodo entrò a capo della direzione aziendale Kjeld Kirk, figlio di Godtfred, il quale si era specializzato in business. Kjeld introdusse nuovi stabilimenti da produzione e nuovi dipartimenti di ricerca per mantenere sempre alta l'attenzione verso prodotti e metodi di produzione.
Nel 1974 comparvero i primi omini nella confezione "LEGO family" che diventò la più venduta in assoluto.
Nel 1975 fu introdotta la serie "LEGO expert" che poco dopo prese il nome di "expert builder", dedicata alle mani più capaci. Questa serie comprende parti mai introdotte prima come ingranaggi, leve, perni, assi, tutto per costruire modellini realistici di automobili o camion con sospensioni, pistoni e sterzo. Infine, la collezione si completò nel 1978 con la conferma degli omini, questi hanno braccia e gambe orientabili, una tipica faccia di colore giallo sulla quale è dipinto un allegro sorriso. Gli omini furono integrati in quasi tutti i modelli, per permettere ai costruttori di popolare strade, città, case. Visto che ormai strade e città erano al completo, non restava che introdurre un modello spaziale e ciò fece nel 1979 quando introdusse il modello "fabuland" dedicato ai più giovani. Nello stesso anno introdussero anche una nuova serie dedicata alle ragazzine, "scala", per poter costruire dei veri e propri gioielli. Nel 1979 visto il suo grande spirito da imprenditore, Kjeld Kirk diventò presidente della società.
Nel 1980 l'azienda istituì la "divisione prodotti educativi" per potenziare al massimo le capacità educative dei giocattoli e nel 1981 si rinnovò il treno LEGO nato circa 20 anni prima. Nella nuova versione furono introdotti anche segnali, luci e accessori di vario tipo. Successivamente fu rinnovata anche la serie "expert builder" che diventò, nel 1982, la serie "technic".
Nel 1983 non poteva non essere rinnovata che la serie "duplo" alla quale furono aggiunti pezzi per bambini ancora più piccoli e furono aggiunti anche piccoli sognali e omini con arti snodati. Fu poi introdotta la serie "castle" e la serie "luci&suoni" dotata di sistemi elettrici per far funzionare luci e suoni. Nel 1986 il comparto "divisione prodotti educativi" introdusse dei robot, automobili, camion, barche, comandati attraverso un computer.
Nel 1988 si tenne il primo campionato mondiale di costruzioni LEGO; l'anno successivo nacque la serie "pirati", la prima a scostarsi dalla consuetudine di produrre omini dal viso sorridente.
Nel 1990 vide la luce la serie "model team", tre confezioni in una composte da macchine da corsa e fuori strada caratterizzati da una grafica curatissima e nello stesso anno la linea "duplo" fu integrata da quella "tool" che comprendeva viti, giraviti e dadi.
I colori più diffusi nei mattoncini sono il rosso, blu, giallo, nero, grigio e bianco. Altri colori vennero aggiunti successivamente e per molto tempo la società si rifiutò di produrre mattoncini verdi per paura che i bambini costruissero giochi militari affiancando così il gioco dei lego alla guerra. Successivamente però questa idea venne abbandonata ed entrarono in commercio anche mattoncini verdi, insieme a nuove e diverse tonalità della pelle degli omini.
sabato 27 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 27 gennaio.
Il 27 gennaio 98 d.C. Marco Ulpio Traiano diventa Imperatore.
Marco Ulpio Traiano nacque in Spagna, nella Betica, nella città di Italica nel 53 d.C. Di famiglia senatoria (il padre fu console in Siria e in Asia e governatore della Betica) Traiano fu per dieci anni nell'esercito, facendovi una reale esperienza delle armi e del comando. Percorse poi i gradi della carriera civile senatoria: fu pretore in Spagna, comandò una legione in Germania, dove partecipò alla repressione della ribellione di Antonio Saturnino, fu console ordinario (91) e, quando Domiziano fu ucciso (96), era governatore della Germania superiore.
Nerva, che aveva bisogno del sostegno d'un uomo forte e onesto e che godesse prestigio presso l'elemento militare, lo adottò nell’ottobre del 97. Morto Nerva (98), Traiano gli succedette, divenendo imperatore a assumendo l'impero a soli 45 anni. Non venne subito a Roma, ma si trattenne a sistemare il problema del confine renano: sistemato durevolmente il confine del Reno, passò a quello del Danubio, preoccupandosi specialmente della sistemazione della Dacia. Rientrò a Roma solo nel 99 d.C.
Attivissimo e intelligente nell'amministrazione come nelle armi, amato dal popolo e dalla classe militare, Traiano riuscì durante il suo regno a mobilitare intorno a sé anche i migliori elementi senatorî ed equestri. L'imperatore si preoccupò di alleviare alcune imposte e di arricchire il fisco vendendo largamente beni che i precedenti imperatori avevano accumulato e immobilizzato nel proprio patrimonio mediante acquisti, confische, doni, legati testamentarî.
La sicurezza e la facilità degli scambî commerciali nei confini dell'Impero aumentarono notevolmente; si creò un'atmosfera di grande e non fittizia sicurezza finanziaria. Un provvedimento notevole fu l'istituzione degli alimenta, ossia la costituzione di una rendita destinata a fornire in Italia i mezzi di sussistenza a fanciulli e fanciulle povere, organizzata in modo tale da rappresentare al tempo stesso una forma di prestito agrario a basso interesse, con cui agevolare il rifiorimento dell'agricoltura italica. Sistemate le faccende interne, Traiano ritenne necessario risolvere definitivamente alcune gravi questioni di confine, in primo luogo quella del Danubio, da tempo minacciato dal potente regno di Dacia, col suo re Decebalo. Negli anni 101-102 e 105-106 ebbero così luogo, sotto la sua personale direzione, le guerre daciche.
Le operazioni militari della spedizione sono riprodotte con meticolosa precisione nei bassorilievi che si avvolgono a spirale intorno alla colonna eretta nel foro che porta il nome dell'imperatore, a Roma (colonna Traiana).
Le famose terme di Traiano sorgevano sul colle Esquilino , fatte costruire sopra l'ala principale della neroniana Domus Aurea e inaugurate nel 109 d.C. Sebbene al giorno d'oggi non rimanga molto delle terme, la loro planimetria può essere ricostruita almeno approssimativamente. E da quel che è rimasto si comprende che la costruzione per grandiosità doveva superare qualunque cosa mai veduta in precedenza; in altre parole, si trattò delle prima terme cittadine di grandi dimensioni e che in tempi successivi furono imitate 11 volte.
Gli impianti termali che formavano il nucleo del complesso di Traiano avevano dimensioni triple di quelle delle vicine terme di Tito. Al centro v'era un enorme salone sormontato da cupola, e nel recinto circostante erano ospitate tutte le molteplici attività di un centro sociale. L'opera imponente e progettata con criteri utilitaristici del tutto moderni, era il frutto del genio di Apollodoro di Damasco, un architetto che seppe servirsi con maestria della tecnica del calcestruzzo, affidandosi ad essa per la realizzazione di aeree volte, di archi e di absidi.
Apollodoro fu anche il progettista del foro di Traiano, l'ultimo, il più complesso e il più sontuoso dei fori che i vari imperatori fecero costruire intorno all'originario foro romano. Esso aveva forma press'a poco rettangolare (metri 164 x metri 108), che venne ricavata tagliando e asportando tutta la parte più bassa del colle Quirinale. V'erano biblioteche in lingua latina e greca, che però, come la maggior parte del complesso, non sono più visibili; mentre sta ancora in piedi la colonna eretta per celebrare la conquista della Dacia.
In prossimità sorgeva la sala colonnata e absidata della Basilica Ulpia. E la grande piazza delimitata da colonne, terminante a nord e a sud con ampliamenti semicircolari (exedrae), ospitava la statua equestre dell'imperatore.
La parete curva a nord formava la facciata dei Mercati Traianei, che si estendevano al di là della stessa, ma più in alto. Questo elaborato complesso sviluppava con abilità la formula familiare del mercato cittadino rispondendo alle esigenze maggiormente varie e più impegnative della metropoli dell'impero. Realizzato con 3 livelli di terrazze sul pendio collinare reso artificialmente ripido, l'intero complesso ospitava più di 150 negozi e uffici.
Il materiale impiegato per l'intera costruzione fu il calcestruzzo rivestito di durevoli mattoni cotti al forno, che da allora in poi furono spesso utilizzati, senza il parametro esterno del marmo o pietra, anche a scopo puramente decorativo. Il punto centrale del complesso era la sala del mercato, costruita da uno spazio rettangolare coperto con volta a crociera, lunga 25 metri e larga circa 9.
Traiano fece anche costruire ex novo, nell'arco di 12 anni (100-112 d.C.), sempre dall'architetto greco-nabateo Apollodoro di Damasco, il celeberrimo porto di Traiano esagonale nella zona di Fiumicino (i cui resti sono ancor oggi imponenti) che collegava Roma con le regioni occidentali dell'Impero e che fu collegato con un nuovo canale al Tevere in modo da facilitare il trasferimento delle derrate a Roma.
Tra i problemi di politica interna, egli doveva affrontare quello dei cristiani, verso i quali fu intransigente, cercando però di rispettare i principî di giustizia del diritto romano. Altro grave problema era quello dei rapporti col regno dei Parti, e Traiano colse l'occasione del contrasto scoppiato a proposito della successione al regno di Armenia, per iniziare, più che sessantenne, la nuova guerra. Traiano compì vittoriosamente grandi operazioni militari, annettendo l'Armenia, giungendo in Mesopotamia, e scendendo con la flotta il Tigri, fino a Babilonia e al Golfo Persico. Ma una violenta sollevazione dei Giudei, il riapparire di forze nemiche qua e là nelle regioni conquistate, la ribellione di città occupate, e altri improvvisi rovesci, lo costrinsero a rinunciare al disegno della conquista totale e a incoronare egli stesso un nuovo re dei Parti. Ammalatosi in Siria, Traiano affidò l'esercito al parente Publio Elio Adriano, e si avviò per tornare a Roma, ma a Selinunte di Cilicia improvvisamente morì.
Il 27 gennaio 98 d.C. Marco Ulpio Traiano diventa Imperatore.
Marco Ulpio Traiano nacque in Spagna, nella Betica, nella città di Italica nel 53 d.C. Di famiglia senatoria (il padre fu console in Siria e in Asia e governatore della Betica) Traiano fu per dieci anni nell'esercito, facendovi una reale esperienza delle armi e del comando. Percorse poi i gradi della carriera civile senatoria: fu pretore in Spagna, comandò una legione in Germania, dove partecipò alla repressione della ribellione di Antonio Saturnino, fu console ordinario (91) e, quando Domiziano fu ucciso (96), era governatore della Germania superiore.
Nerva, che aveva bisogno del sostegno d'un uomo forte e onesto e che godesse prestigio presso l'elemento militare, lo adottò nell’ottobre del 97. Morto Nerva (98), Traiano gli succedette, divenendo imperatore a assumendo l'impero a soli 45 anni. Non venne subito a Roma, ma si trattenne a sistemare il problema del confine renano: sistemato durevolmente il confine del Reno, passò a quello del Danubio, preoccupandosi specialmente della sistemazione della Dacia. Rientrò a Roma solo nel 99 d.C.
Attivissimo e intelligente nell'amministrazione come nelle armi, amato dal popolo e dalla classe militare, Traiano riuscì durante il suo regno a mobilitare intorno a sé anche i migliori elementi senatorî ed equestri. L'imperatore si preoccupò di alleviare alcune imposte e di arricchire il fisco vendendo largamente beni che i precedenti imperatori avevano accumulato e immobilizzato nel proprio patrimonio mediante acquisti, confische, doni, legati testamentarî.
La sicurezza e la facilità degli scambî commerciali nei confini dell'Impero aumentarono notevolmente; si creò un'atmosfera di grande e non fittizia sicurezza finanziaria. Un provvedimento notevole fu l'istituzione degli alimenta, ossia la costituzione di una rendita destinata a fornire in Italia i mezzi di sussistenza a fanciulli e fanciulle povere, organizzata in modo tale da rappresentare al tempo stesso una forma di prestito agrario a basso interesse, con cui agevolare il rifiorimento dell'agricoltura italica. Sistemate le faccende interne, Traiano ritenne necessario risolvere definitivamente alcune gravi questioni di confine, in primo luogo quella del Danubio, da tempo minacciato dal potente regno di Dacia, col suo re Decebalo. Negli anni 101-102 e 105-106 ebbero così luogo, sotto la sua personale direzione, le guerre daciche.
Le operazioni militari della spedizione sono riprodotte con meticolosa precisione nei bassorilievi che si avvolgono a spirale intorno alla colonna eretta nel foro che porta il nome dell'imperatore, a Roma (colonna Traiana).
Le famose terme di Traiano sorgevano sul colle Esquilino , fatte costruire sopra l'ala principale della neroniana Domus Aurea e inaugurate nel 109 d.C. Sebbene al giorno d'oggi non rimanga molto delle terme, la loro planimetria può essere ricostruita almeno approssimativamente. E da quel che è rimasto si comprende che la costruzione per grandiosità doveva superare qualunque cosa mai veduta in precedenza; in altre parole, si trattò delle prima terme cittadine di grandi dimensioni e che in tempi successivi furono imitate 11 volte.
Gli impianti termali che formavano il nucleo del complesso di Traiano avevano dimensioni triple di quelle delle vicine terme di Tito. Al centro v'era un enorme salone sormontato da cupola, e nel recinto circostante erano ospitate tutte le molteplici attività di un centro sociale. L'opera imponente e progettata con criteri utilitaristici del tutto moderni, era il frutto del genio di Apollodoro di Damasco, un architetto che seppe servirsi con maestria della tecnica del calcestruzzo, affidandosi ad essa per la realizzazione di aeree volte, di archi e di absidi.
Apollodoro fu anche il progettista del foro di Traiano, l'ultimo, il più complesso e il più sontuoso dei fori che i vari imperatori fecero costruire intorno all'originario foro romano. Esso aveva forma press'a poco rettangolare (metri 164 x metri 108), che venne ricavata tagliando e asportando tutta la parte più bassa del colle Quirinale. V'erano biblioteche in lingua latina e greca, che però, come la maggior parte del complesso, non sono più visibili; mentre sta ancora in piedi la colonna eretta per celebrare la conquista della Dacia.
In prossimità sorgeva la sala colonnata e absidata della Basilica Ulpia. E la grande piazza delimitata da colonne, terminante a nord e a sud con ampliamenti semicircolari (exedrae), ospitava la statua equestre dell'imperatore.
La parete curva a nord formava la facciata dei Mercati Traianei, che si estendevano al di là della stessa, ma più in alto. Questo elaborato complesso sviluppava con abilità la formula familiare del mercato cittadino rispondendo alle esigenze maggiormente varie e più impegnative della metropoli dell'impero. Realizzato con 3 livelli di terrazze sul pendio collinare reso artificialmente ripido, l'intero complesso ospitava più di 150 negozi e uffici.
Il materiale impiegato per l'intera costruzione fu il calcestruzzo rivestito di durevoli mattoni cotti al forno, che da allora in poi furono spesso utilizzati, senza il parametro esterno del marmo o pietra, anche a scopo puramente decorativo. Il punto centrale del complesso era la sala del mercato, costruita da uno spazio rettangolare coperto con volta a crociera, lunga 25 metri e larga circa 9.
Traiano fece anche costruire ex novo, nell'arco di 12 anni (100-112 d.C.), sempre dall'architetto greco-nabateo Apollodoro di Damasco, il celeberrimo porto di Traiano esagonale nella zona di Fiumicino (i cui resti sono ancor oggi imponenti) che collegava Roma con le regioni occidentali dell'Impero e che fu collegato con un nuovo canale al Tevere in modo da facilitare il trasferimento delle derrate a Roma.
Tra i problemi di politica interna, egli doveva affrontare quello dei cristiani, verso i quali fu intransigente, cercando però di rispettare i principî di giustizia del diritto romano. Altro grave problema era quello dei rapporti col regno dei Parti, e Traiano colse l'occasione del contrasto scoppiato a proposito della successione al regno di Armenia, per iniziare, più che sessantenne, la nuova guerra. Traiano compì vittoriosamente grandi operazioni militari, annettendo l'Armenia, giungendo in Mesopotamia, e scendendo con la flotta il Tigri, fino a Babilonia e al Golfo Persico. Ma una violenta sollevazione dei Giudei, il riapparire di forze nemiche qua e là nelle regioni conquistate, la ribellione di città occupate, e altri improvvisi rovesci, lo costrinsero a rinunciare al disegno della conquista totale e a incoronare egli stesso un nuovo re dei Parti. Ammalatosi in Siria, Traiano affidò l'esercito al parente Publio Elio Adriano, e si avviò per tornare a Roma, ma a Selinunte di Cilicia improvvisamente morì.
venerdì 26 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 26 gennaio.
Il 26 gennaio 1802 il Congresso degli Stati Uniti approva la costituzione di una biblioteca, che diverrà poi la Biblioteca del Congresso.
La biblioteca del Congresso a Washington rappresenta per certi versi l’incarnazione stessa dell’archetipo di biblioteca moderna.
Simbolo della nazione più potente del globo, la Library of Congress è oggi il maggiore deposito del sapere al mondo. Al suo interno sono contenuti oltre 128 milioni di documenti di cui “solo” 28 milioni sono libri; sebbene sia ovviamente impossibile racchiudere in un luogo solo tutto lo scibile documentario umano, la Library of Congress (chiamata molto semplicemente Loc) incarna il tentativo meglio riuscito nella storia dell’umanità di raggiungere questo traguardo utopistico.
Ma la Biblioteca del Congresso non è semplicemente questo: essa riflette anche il collegamento tra il valore del sapere e la democrazia.
Possiamo riassumere la concezione della Biblioteca del Congresso con la seguente citazione del Senatore Clarence Cannon, che difendeva l’incremento di budget riservato alla biblioteca per il 1958: «La Library of Congress è la più grande biblioteca del mondo. E’ chiara, irrefutabile evidenza del mondo accademico e traguardo intellettuale del popolo americano».
La Library of Congress è tuttavia molto più di una semplice biblioteca: possiamo infatti definirla come il polo di riferimento di tutta la realtà bibliografica internazionale, che con le sue prassi e i suoi procedimenti fornisce dei modelli di modus operandi alle altre maggiori biblioteche globali.
Di per sé non è particolarmente antica, ma la sua storia ben esprime il sapore delle epoche nelle quali si è sviluppata, con le loro incertezze, i loro momenti di crisi e di creatività.
Il 26 gennaio 1802 il Congresso degli Stati Uniti approva la costituzione di una biblioteca, che diverrà poi la Biblioteca del Congresso.
La biblioteca del Congresso a Washington rappresenta per certi versi l’incarnazione stessa dell’archetipo di biblioteca moderna.
Simbolo della nazione più potente del globo, la Library of Congress è oggi il maggiore deposito del sapere al mondo. Al suo interno sono contenuti oltre 128 milioni di documenti di cui “solo” 28 milioni sono libri; sebbene sia ovviamente impossibile racchiudere in un luogo solo tutto lo scibile documentario umano, la Library of Congress (chiamata molto semplicemente Loc) incarna il tentativo meglio riuscito nella storia dell’umanità di raggiungere questo traguardo utopistico.
Ma la Biblioteca del Congresso non è semplicemente questo: essa riflette anche il collegamento tra il valore del sapere e la democrazia.
Possiamo riassumere la concezione della Biblioteca del Congresso con la seguente citazione del Senatore Clarence Cannon, che difendeva l’incremento di budget riservato alla biblioteca per il 1958: «La Library of Congress è la più grande biblioteca del mondo. E’ chiara, irrefutabile evidenza del mondo accademico e traguardo intellettuale del popolo americano».
La Library of Congress è tuttavia molto più di una semplice biblioteca: possiamo infatti definirla come il polo di riferimento di tutta la realtà bibliografica internazionale, che con le sue prassi e i suoi procedimenti fornisce dei modelli di modus operandi alle altre maggiori biblioteche globali.
Di per sé non è particolarmente antica, ma la sua storia ben esprime il sapore delle epoche nelle quali si è sviluppata, con le loro incertezze, i loro momenti di crisi e di creatività.
Possiamo senza dubbio definire come, fin dalla sua nascita, siano state le collezioni della Biblioteca del Congresso a definire le sue funzioni, e non viceversa; la sua crescita infatti seguì di pari passo quella dell’intera nazione americana.
Nata nel 1802 come catalogo di libri legislativi, la sua creazione concettuale è però datata già negli ultimi decenni del XVIII secolo, quando le biblioteche private e la nozione stessa di biblioteca cominciavano ad essere conosciute in America.
Inizialmente venne deciso che il bibliotecario sarebbe stato nominato dal presidente in carica, mentre il ricorso ai servizi della biblioteca sarebbe stato riservato solamente ai membri del Congresso Continentale; i primi cataloghi contenenti l’indice delle opere in essere vennero emessi nel 1812, due anni prima della distruzione della biblioteca stessa.
Il 24 agosto 1814 infatti, al termine della guerra del 1812 con la Gran Bretagna, le truppe inglesi bruciarono il Campidoglio e la prima Library of Congress, comprese tutte le opere contenute.
E’ in questo momento di difficoltà che si gettarono le basi della Library of Congress moderna: Thomas Jefferson infatti vendette la sua collezione di oltre 10.000 volumi al Congresso degli Stati Uniti, ricreando di fatto non solo la biblioteca in sé ma anche allargando lo scopo della raccolta stessa ben oltre quello della semplice consultazione legislativa, economica o legale.
Nel 1817 ha inizio anche il regolare deposito delle nuove opere sottoposte a copyright, mentre nel 1837 la biblioteca intrattiene i primi scambi ufficiali con altri enti simili, nazionali e non.
Un fatto importante che contribuì allo sviluppo di tale istituzione fu la prima distribuzione, negli anni ’40 dell’Ottocento, dei cataloghi che elencavano le opere contenute; in questo modo la Library of Congress iniziò a essere conosciuta in tutta la nazione, e i depositi di copyright aumentarono considerevolmente.
Purtroppo nel 1851 un incendio disastroso distrusse oltre 40.000 volumi, compresi circa due terzi dell’intera collezione originaria di Jefferson; per quanto negativo, questo fatto permise tuttavia il successivo ampliamento dell’area della biblioteca. La catastrofe sfiorata mutò la concezione stessa con la quale la biblioteca era stata fino a quel momento identificata: consapevoli dell’enorme valore delle opere contenute, dopo la fine della Guerra Civile vennero introdotte rigide norme di utilizzo: ad esempio, a nessuno fu più permesso di ottenere in prestito le opere rare e i manoscritti, e l’ingresso fu interdetto ai minori di 16 anni.
Nel frattempo aumentavano i fondi destinati annualmente dal Congresso per l’acquisto di libri; nel 1870, il presidente Grant centralizzò il deposito dei materiali sottoposti a copyright alla Library of Congress, e da allora quest’ultimo rappresenta il metodo di acquisizione di opere e materiale più importante dell’ente.
Al volgere del secolo la Biblioteca del Congresso appariva in forte espansione, ma al tempo stesso bisognosa di una riorganizzazione interna: le opere giacevano accumulate in pile, molto spesso in attesa di ordinamento. Tra il 1897 e il 1901 si decise di introdurre una nuova catalogazione delle opere contenute, e si optò per una nuova classificazione, chiamata poi LC, basata su quella decimale Dewey ma ampiamente adattata alle esigenze della Library of Congress, che gradualmente entrerà in vigore nelle varie zone della biblioteca. Il sistema sul quale la LC è basato deve il proprio nome a Melvin Dewey, direttore della biblioteca statale di New York e attivo sostenitore del ruolo nazionale delle biblioteche stesse; egli sviluppò un nuovo sistema di classificazione delle opere basato su appartenenza tematica e suddivisione decimale che, con le opportune modifiche, sopravvive ancora oggi. Nel 1897, all’apertura del nuovo edificio, si decise però di creare un nuovo sistema di classificazione, unico per la Library of Congress, basandosi appunto su quello Dewey; per facilitare la conoscenza delle opere contenute e promuovere l’acquisizione bibliografica, si istituì inoltre il nuovo sistema di schedatura, da inviarsi alle principali biblioteche sul suolo nazionale. Ufficialmente, l’introduzione della classificazione LC è databile al 1930, anche se ufficiosamente essa era già attiva in diverse zone della biblioteca dagli anni precedenti.
Nel corso del XX secolo la biblioteca acquisì un’ingente numero di collezioni estere, tra le quali russe, cinesi, giapponesi ed europee; tuttavia, una parte notevole dei fondi è costituita dai lasciti presidenziali. Nel 1917 Theodore Roosevelt fu il primo ex presidente a donare alla biblioteca un ingente numero di opere ma anche di omaggi materiali ricevuti dal popolo americano durante la sua lunga carriera politica .
Durante gli anni della Seconda Guerra mondiale, la Library of Congress ospitò per breve tempo anche la Magna Carta per conto della Gran Bretagna, mentre la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione furono portate al sicuro a Fort Knox ; tra il 1942 e il 1945 la Biblioteca del Congresso rappresentò un polo centrale nell’analisi del conflitto in corso, sia come sala operativa che come centro d’informazione.
Negli anni del dopoguerra l’espansione della Library of Congress sembra riflettere il concetto di welfare americano; il numero di impiegati addetti crebbe vertiginosamente, e si inaugurarono servizi di apertura continuata per il pubblico, caratteristiche che la Biblioteca del Congresso mantiene intatte ancora oggi.
Concludiamo questa breve analisi storica parlando della crescente automazione e digitalizzazione della biblioteca: già negli anni ’50 si discuteva di una futura velocizzazione dei sistemi di consultazione e analisi; addirittura già nel 1964 venne installato il primo computer nell’area amministrativa, mentre nello stesso anno una commissione interna stabilì che l’automazione computerizzata sarebbe stata una fondamentale strada da percorrere nell’immediato futuro.
Dalla metà degli anni ’60 la digitalizzazione è aumentata esponenzialmente: l’introduzione del progetto MARC e la sua estensione a un numero sempre maggiore di biblioteche mondiali si deve proprio alle iniziative della Library of Congress.
A partire dalla fine degli duemila è stata avviata un’ingente opera di traslazione delle opere più importanti in formato digitale, progetto che continua ininterrottamente da quegli anni.
Concludendo, possiamo quindi definire la Library of Congress come una vera e propria istituzione culturale guida della realtà libraria e culturale mondiale.
Nata nel 1802 come catalogo di libri legislativi, la sua creazione concettuale è però datata già negli ultimi decenni del XVIII secolo, quando le biblioteche private e la nozione stessa di biblioteca cominciavano ad essere conosciute in America.
Inizialmente venne deciso che il bibliotecario sarebbe stato nominato dal presidente in carica, mentre il ricorso ai servizi della biblioteca sarebbe stato riservato solamente ai membri del Congresso Continentale; i primi cataloghi contenenti l’indice delle opere in essere vennero emessi nel 1812, due anni prima della distruzione della biblioteca stessa.
Il 24 agosto 1814 infatti, al termine della guerra del 1812 con la Gran Bretagna, le truppe inglesi bruciarono il Campidoglio e la prima Library of Congress, comprese tutte le opere contenute.
E’ in questo momento di difficoltà che si gettarono le basi della Library of Congress moderna: Thomas Jefferson infatti vendette la sua collezione di oltre 10.000 volumi al Congresso degli Stati Uniti, ricreando di fatto non solo la biblioteca in sé ma anche allargando lo scopo della raccolta stessa ben oltre quello della semplice consultazione legislativa, economica o legale.
Nel 1817 ha inizio anche il regolare deposito delle nuove opere sottoposte a copyright, mentre nel 1837 la biblioteca intrattiene i primi scambi ufficiali con altri enti simili, nazionali e non.
Un fatto importante che contribuì allo sviluppo di tale istituzione fu la prima distribuzione, negli anni ’40 dell’Ottocento, dei cataloghi che elencavano le opere contenute; in questo modo la Library of Congress iniziò a essere conosciuta in tutta la nazione, e i depositi di copyright aumentarono considerevolmente.
Purtroppo nel 1851 un incendio disastroso distrusse oltre 40.000 volumi, compresi circa due terzi dell’intera collezione originaria di Jefferson; per quanto negativo, questo fatto permise tuttavia il successivo ampliamento dell’area della biblioteca. La catastrofe sfiorata mutò la concezione stessa con la quale la biblioteca era stata fino a quel momento identificata: consapevoli dell’enorme valore delle opere contenute, dopo la fine della Guerra Civile vennero introdotte rigide norme di utilizzo: ad esempio, a nessuno fu più permesso di ottenere in prestito le opere rare e i manoscritti, e l’ingresso fu interdetto ai minori di 16 anni.
Nel frattempo aumentavano i fondi destinati annualmente dal Congresso per l’acquisto di libri; nel 1870, il presidente Grant centralizzò il deposito dei materiali sottoposti a copyright alla Library of Congress, e da allora quest’ultimo rappresenta il metodo di acquisizione di opere e materiale più importante dell’ente.
Al volgere del secolo la Biblioteca del Congresso appariva in forte espansione, ma al tempo stesso bisognosa di una riorganizzazione interna: le opere giacevano accumulate in pile, molto spesso in attesa di ordinamento. Tra il 1897 e il 1901 si decise di introdurre una nuova catalogazione delle opere contenute, e si optò per una nuova classificazione, chiamata poi LC, basata su quella decimale Dewey ma ampiamente adattata alle esigenze della Library of Congress, che gradualmente entrerà in vigore nelle varie zone della biblioteca. Il sistema sul quale la LC è basato deve il proprio nome a Melvin Dewey, direttore della biblioteca statale di New York e attivo sostenitore del ruolo nazionale delle biblioteche stesse; egli sviluppò un nuovo sistema di classificazione delle opere basato su appartenenza tematica e suddivisione decimale che, con le opportune modifiche, sopravvive ancora oggi. Nel 1897, all’apertura del nuovo edificio, si decise però di creare un nuovo sistema di classificazione, unico per la Library of Congress, basandosi appunto su quello Dewey; per facilitare la conoscenza delle opere contenute e promuovere l’acquisizione bibliografica, si istituì inoltre il nuovo sistema di schedatura, da inviarsi alle principali biblioteche sul suolo nazionale. Ufficialmente, l’introduzione della classificazione LC è databile al 1930, anche se ufficiosamente essa era già attiva in diverse zone della biblioteca dagli anni precedenti.
Nel corso del XX secolo la biblioteca acquisì un’ingente numero di collezioni estere, tra le quali russe, cinesi, giapponesi ed europee; tuttavia, una parte notevole dei fondi è costituita dai lasciti presidenziali. Nel 1917 Theodore Roosevelt fu il primo ex presidente a donare alla biblioteca un ingente numero di opere ma anche di omaggi materiali ricevuti dal popolo americano durante la sua lunga carriera politica .
Durante gli anni della Seconda Guerra mondiale, la Library of Congress ospitò per breve tempo anche la Magna Carta per conto della Gran Bretagna, mentre la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione furono portate al sicuro a Fort Knox ; tra il 1942 e il 1945 la Biblioteca del Congresso rappresentò un polo centrale nell’analisi del conflitto in corso, sia come sala operativa che come centro d’informazione.
Negli anni del dopoguerra l’espansione della Library of Congress sembra riflettere il concetto di welfare americano; il numero di impiegati addetti crebbe vertiginosamente, e si inaugurarono servizi di apertura continuata per il pubblico, caratteristiche che la Biblioteca del Congresso mantiene intatte ancora oggi.
Concludiamo questa breve analisi storica parlando della crescente automazione e digitalizzazione della biblioteca: già negli anni ’50 si discuteva di una futura velocizzazione dei sistemi di consultazione e analisi; addirittura già nel 1964 venne installato il primo computer nell’area amministrativa, mentre nello stesso anno una commissione interna stabilì che l’automazione computerizzata sarebbe stata una fondamentale strada da percorrere nell’immediato futuro.
Dalla metà degli anni ’60 la digitalizzazione è aumentata esponenzialmente: l’introduzione del progetto MARC e la sua estensione a un numero sempre maggiore di biblioteche mondiali si deve proprio alle iniziative della Library of Congress.
A partire dalla fine degli duemila è stata avviata un’ingente opera di traslazione delle opere più importanti in formato digitale, progetto che continua ininterrottamente da quegli anni.
Concludendo, possiamo quindi definire la Library of Congress come una vera e propria istituzione culturale guida della realtà libraria e culturale mondiale.
giovedì 25 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 25 gennaio.
Il 25 gennaio 1985 i più grandi artisti della musica pop americana si riuniscono per registrare la canzone "We are the world".
All’inizio degli anni Ottanta la situazione di alcuni paese africani, in particolare dell’Etiopia e del Sudan, era disastrosa. Centinaia di migliaia di persone avevano un bisogno disperato di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità.
Harry Belafonte, ispirato dall’inno natalizio "Do they know it’s Christmas" del supergruppo inglese Band Aid, pensò a un’iniziativa simile con artisti americani. Fu contattato Quincy Jones per produrre e incidere il brano, la cui scrittura fu affidata a un trio di star: Michael Jackson, Lionel Richie e Stevie Wonder.
Quest’ultimo, per sopraggiunti impegni, non riuscì a partecipare alla composizione della canzone, che è stata comunque impreziosita dalla sua voce straordinaria.
Michael Jackson è sempre stato un artista sensibile nei confronti delle persone che soffrono: visitava in incognito i bambini malati negli ospedali e regalava loro i biglietti per i suoi concerti. L’ex leader dei Jackson Five è stato il maggior filantropo dello show business, con 400 milioni di dollari donati a ospedali e a orfanotrofi, come ha certificato il Guinness dei primati.
Jackson era quindi l’artista ideale per scrivere la canzone, che non ebbe una genesi facile: lui e Lionel Richie iniziarono a lavorare al brano già nel 1984, ma senza ricavare nulla dalle prime sessioni di registrazione.
Un giorno Quincy Jones, preoccupato per i ritardi sulla tabella di marcia, mise alle strette i due artisti: “Miei cari fratelli, tra meno di tre settimane arriveranno qui quarantasei star e ci serve una maledetta canzone”. Una sera Michael si chiuse nel suo studio casalingo di Hayvenhurst e registrò da solo ritornello, piano, batteria e archi. We are the world aveva finalmente visto la luce.
La sera del 25 gennaio 1985 i più grandi artisti della musica popolare americana, tra cui Bruce Springsteen, Ray Charles, Bob Dylan, Stevie Wonder, Paul Simon e Billy Joel, si ritrovarono a Hollywood, dove si stavano svolgendo gli American Music Award, per incidere la canzone. Ad accoglierli un cartello scritto dallo stesso Quincy Jones: “Siete pregati di lasciare il vostro ego fuori dalla porta”. La canzone fu incisa il 28 gennaio, 34 anni fa.
La Columbia Records si accollò per intero le spese di produzione e di distribuzione. We Are the World fu pubblicata il 7 marzo 1985 in 800.000 copie, che andarono subito esaurite. In trent’anni il singolo ha venduto 20 milioni di copie per un ricavato di 60 milioni di dollari, donati all’Africa.
Il brano vinse il Grammy Award come “canzone dell'anno", come "disco dell'anno" e come "miglior performance di un duo o gruppo vocale pop".
Mentre "Do they know it’s Chistmas" era un allegro brano natalizio cantato in modo corale, We are the world era una ballata semplice, con un indimenticabile coro gospel, che metteva in luce anche le singole individualità.
Pensate allo straordinario “call and response” tra Stevie Wonder e Bruce Springsteen o il pathos della voce di Cindy Lauper, cantante forse non sufficientemente celebrata come meriterebbe.
La canzone fu eseguita il 13 luglio 1985 in mondovisione come gran finale del Live Aid, uno dei più grandi eventi rock di sempre, al John F. Kennedy Stadium di Filadelfia davanti a 90.000 spettatori.
We are the world non solo ha dato un notevole contributo economico alla causa africana, ma ha diffuso in tutto il mondo una maggiore coscienza sociale nei confronti dei problemi del Terzo Mondo.
Risultati che non hanno fermato le immancabili polemiche sull’operazione, alle quali ha risposto lo stesso Quincy Jones: “Chiunque voglia scagliare la prima pietra contro Usa for Africa, può muovere il culo e cominciare a dare una mano. Dio solo sa quanto c’è ancora da fare”.
Il 25 gennaio 1985 i più grandi artisti della musica pop americana si riuniscono per registrare la canzone "We are the world".
All’inizio degli anni Ottanta la situazione di alcuni paese africani, in particolare dell’Etiopia e del Sudan, era disastrosa. Centinaia di migliaia di persone avevano un bisogno disperato di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità.
Harry Belafonte, ispirato dall’inno natalizio "Do they know it’s Christmas" del supergruppo inglese Band Aid, pensò a un’iniziativa simile con artisti americani. Fu contattato Quincy Jones per produrre e incidere il brano, la cui scrittura fu affidata a un trio di star: Michael Jackson, Lionel Richie e Stevie Wonder.
Quest’ultimo, per sopraggiunti impegni, non riuscì a partecipare alla composizione della canzone, che è stata comunque impreziosita dalla sua voce straordinaria.
Michael Jackson è sempre stato un artista sensibile nei confronti delle persone che soffrono: visitava in incognito i bambini malati negli ospedali e regalava loro i biglietti per i suoi concerti. L’ex leader dei Jackson Five è stato il maggior filantropo dello show business, con 400 milioni di dollari donati a ospedali e a orfanotrofi, come ha certificato il Guinness dei primati.
Jackson era quindi l’artista ideale per scrivere la canzone, che non ebbe una genesi facile: lui e Lionel Richie iniziarono a lavorare al brano già nel 1984, ma senza ricavare nulla dalle prime sessioni di registrazione.
Un giorno Quincy Jones, preoccupato per i ritardi sulla tabella di marcia, mise alle strette i due artisti: “Miei cari fratelli, tra meno di tre settimane arriveranno qui quarantasei star e ci serve una maledetta canzone”. Una sera Michael si chiuse nel suo studio casalingo di Hayvenhurst e registrò da solo ritornello, piano, batteria e archi. We are the world aveva finalmente visto la luce.
La sera del 25 gennaio 1985 i più grandi artisti della musica popolare americana, tra cui Bruce Springsteen, Ray Charles, Bob Dylan, Stevie Wonder, Paul Simon e Billy Joel, si ritrovarono a Hollywood, dove si stavano svolgendo gli American Music Award, per incidere la canzone. Ad accoglierli un cartello scritto dallo stesso Quincy Jones: “Siete pregati di lasciare il vostro ego fuori dalla porta”. La canzone fu incisa il 28 gennaio, 34 anni fa.
La Columbia Records si accollò per intero le spese di produzione e di distribuzione. We Are the World fu pubblicata il 7 marzo 1985 in 800.000 copie, che andarono subito esaurite. In trent’anni il singolo ha venduto 20 milioni di copie per un ricavato di 60 milioni di dollari, donati all’Africa.
Il brano vinse il Grammy Award come “canzone dell'anno", come "disco dell'anno" e come "miglior performance di un duo o gruppo vocale pop".
Mentre "Do they know it’s Chistmas" era un allegro brano natalizio cantato in modo corale, We are the world era una ballata semplice, con un indimenticabile coro gospel, che metteva in luce anche le singole individualità.
Pensate allo straordinario “call and response” tra Stevie Wonder e Bruce Springsteen o il pathos della voce di Cindy Lauper, cantante forse non sufficientemente celebrata come meriterebbe.
La canzone fu eseguita il 13 luglio 1985 in mondovisione come gran finale del Live Aid, uno dei più grandi eventi rock di sempre, al John F. Kennedy Stadium di Filadelfia davanti a 90.000 spettatori.
We are the world non solo ha dato un notevole contributo economico alla causa africana, ma ha diffuso in tutto il mondo una maggiore coscienza sociale nei confronti dei problemi del Terzo Mondo.
Risultati che non hanno fermato le immancabili polemiche sull’operazione, alle quali ha risposto lo stesso Quincy Jones: “Chiunque voglia scagliare la prima pietra contro Usa for Africa, può muovere il culo e cominciare a dare una mano. Dio solo sa quanto c’è ancora da fare”.
mercoledì 24 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 24 gennaio.
Il 24 gennaio 1972 viene trovato a Guam un soldato giapponese della seconda guerra mondiale che ancora si nascondeva dal nemico.
Yokoi Shoichi è stato un soldato giapponese, un eroe e poi una celebrità. Nato a Saori, prefettura di Aichi, fu ingaggiato nell’Esercito imperiale giapponese nel 1941 e inviato a Guam (isola dell’Impero) subito dopo. Quando le forze americane hanno riconquistato l’isola nel 1944 con la Battaglia di Guam, Yokoi andò a nascondersi perfettamente come da “manuale” insieme a altri 2 soldati .
Yokoi ed i militari cacciavano principalmente di notte ed utilizzarono gran parte delle piante per formare abiti, biancheria da letto, suppellettili ed oggetti per lo stoccaggio provviste, che nascosero perfettamente nella caverna. I due compagni morirono di malattie ed infezioni, Yokoi rimase solo. Molti dei suoi oggetti sono oggi in mostra presso il museo pubblico in Hagatna, sull’isola di Guam (micronesia).
Yokoi si nascose perfettamente in quanto temeva dure rappresaglie se caduto nelle mani degli abitanti di Guam, questo a causa dei maltrattamenti che l’esercito giapponese aveva perpetrato nel corso dell’occupazione di Guam. Per ventotto anni, si nascose in una grotta nella giungla dell’isola, temendo di uscire dalla clandestinità nonostante avesse letto i volantini lasciati dai volontari che dichiaravano che la seconda guerra mondiale era finita e che si poteva arrendere.
La sera del 24 gennaio 1972, Yokoi fu però definitivamente scoperto nella giungla. E' stato trovato da Jesus Duenas and Manuel DeGracia, due pescatori del posto che avevano messo trappole per gamberetti lungo il piccolo fiume dentro la foresta di Talofofo a Guam, le quali puntualmente venivano rubate da Yokoi. I due avevano inizialmente ipotizzato che Yokoi fosse un abitante del villaggio di Talofofo, cosi a sorpresa riuscirono a catturarlo e trasportarlo fuori della giungla.
“E’ con molto imbarazzo che sono tornato vivo”, disse dopo il suo ritorno in Giappone, portando il suo fucile arrugginito al suo fianco. Questa frase grazie a lui diverrà uno dei detti popolari più famosi in Giappone.
Oggi i turisti visitatori a Guam possono prendere una funivia al “Talafofo Falls Resort Park” e fare un breve giro per vedere la “Grotta di Yokoi,” di fatto un attrazione turistica/monumento a Yokoi ed alla sua vita. La grotta originale ora è sigillata e solo l’ingresso ed i canali di areazione sono visibili, mentre è visitabile una replica della grotta stessa.
Dopo essere tornato in Giappone, Yokoi si sposò e si spostò a vivere in una zona rurale della prefettura di Aichi. Avendo vissuto da solo in una grotta per 28 anni, Yokoi diventò un personaggio popolare della televisione. Egli divenne il protagonista in un documentario del 1977 chiamato “Yokoi; i suoi ventotto anni di vita segreta nella foresta di Guam”. Nel 1991, fu ricevuto in udienza dall’imperatore Akihito. Yokoi considerò l’incontro come il più grande onore della sua vita.
Morì nel 1997, di un attacco cardiaco all’età di 82 anni ed è ora sepolto in un cimitero di Nagoya.
Il 24 gennaio 1972 viene trovato a Guam un soldato giapponese della seconda guerra mondiale che ancora si nascondeva dal nemico.
Yokoi Shoichi è stato un soldato giapponese, un eroe e poi una celebrità. Nato a Saori, prefettura di Aichi, fu ingaggiato nell’Esercito imperiale giapponese nel 1941 e inviato a Guam (isola dell’Impero) subito dopo. Quando le forze americane hanno riconquistato l’isola nel 1944 con la Battaglia di Guam, Yokoi andò a nascondersi perfettamente come da “manuale” insieme a altri 2 soldati .
Yokoi ed i militari cacciavano principalmente di notte ed utilizzarono gran parte delle piante per formare abiti, biancheria da letto, suppellettili ed oggetti per lo stoccaggio provviste, che nascosero perfettamente nella caverna. I due compagni morirono di malattie ed infezioni, Yokoi rimase solo. Molti dei suoi oggetti sono oggi in mostra presso il museo pubblico in Hagatna, sull’isola di Guam (micronesia).
Yokoi si nascose perfettamente in quanto temeva dure rappresaglie se caduto nelle mani degli abitanti di Guam, questo a causa dei maltrattamenti che l’esercito giapponese aveva perpetrato nel corso dell’occupazione di Guam. Per ventotto anni, si nascose in una grotta nella giungla dell’isola, temendo di uscire dalla clandestinità nonostante avesse letto i volantini lasciati dai volontari che dichiaravano che la seconda guerra mondiale era finita e che si poteva arrendere.
La sera del 24 gennaio 1972, Yokoi fu però definitivamente scoperto nella giungla. E' stato trovato da Jesus Duenas and Manuel DeGracia, due pescatori del posto che avevano messo trappole per gamberetti lungo il piccolo fiume dentro la foresta di Talofofo a Guam, le quali puntualmente venivano rubate da Yokoi. I due avevano inizialmente ipotizzato che Yokoi fosse un abitante del villaggio di Talofofo, cosi a sorpresa riuscirono a catturarlo e trasportarlo fuori della giungla.
“E’ con molto imbarazzo che sono tornato vivo”, disse dopo il suo ritorno in Giappone, portando il suo fucile arrugginito al suo fianco. Questa frase grazie a lui diverrà uno dei detti popolari più famosi in Giappone.
Oggi i turisti visitatori a Guam possono prendere una funivia al “Talafofo Falls Resort Park” e fare un breve giro per vedere la “Grotta di Yokoi,” di fatto un attrazione turistica/monumento a Yokoi ed alla sua vita. La grotta originale ora è sigillata e solo l’ingresso ed i canali di areazione sono visibili, mentre è visitabile una replica della grotta stessa.
Dopo essere tornato in Giappone, Yokoi si sposò e si spostò a vivere in una zona rurale della prefettura di Aichi. Avendo vissuto da solo in una grotta per 28 anni, Yokoi diventò un personaggio popolare della televisione. Egli divenne il protagonista in un documentario del 1977 chiamato “Yokoi; i suoi ventotto anni di vita segreta nella foresta di Guam”. Nel 1991, fu ricevuto in udienza dall’imperatore Akihito. Yokoi considerò l’incontro come il più grande onore della sua vita.
Morì nel 1997, di un attacco cardiaco all’età di 82 anni ed è ora sepolto in un cimitero di Nagoya.
martedì 23 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 23 gennaio.
Il 23 gennaio 1994 la Mafia organizzò un attentato allo Stadio Olimpico, che fortunatamente non ebbe luogo per un difetto del detonatore.
Volevano una strage. Quella definitiva, quella ultima dove affermarsi in un braccio di ferro con lo Stato che non accennava ad affondare definitivamente. Anzi: reagiva, urlava, scovava, cercava ordine in un'entropia di decenni. Cosa Nostra era però sicura quel giorno: il 23 gennaio del 1994, l'autobomba presso lo stadio Olimpico, avrebbe fatto il suo dovere.
Quella domenica d'inverno si giocava Roma-Udinese e la mafia non voleva colpire tanto il tifoso ma i Carabinieri in servizio, tanti quel pomeriggio, farne una carneficina per colpire in senso letterale ma anche simbolico, chi si era impegnato e continuava ad impegnarsi per e con lo Stato.
L'attentato all'Olimpico non funzionò: il telecomando ebbe un problema e l'autobomba, che avrebbe dovuto azionarsi qualche minuto dopo la fine della partita, non esplose.
Ci sono voluti molti anni per ricostruire il mancato attentato allo stadio di Roma e il quadro finale, i pezzi mancanti della tragedia più che sfiorata, si sono ricomposti solo qualche anno fa nell'ambito del processo a Dell'Utri, accusato per concorso esterno in associazione mafiosa. Grazie alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza furono raccolti tutti i dettagli della pianificazione della strage. "L'attentato si doveva compiere a Roma – confessò Spatuzza in un'aula di Milano – perché con quello gli volevamo dare il colpo di grazia. La base logistica, diciamo, era Torvaianica. Stabilite le coordinate, quella domenica fu fatto tutto affinché l'attentato si portasse a compimento. Grazie a Dio il telecomando non funzionò, la cosa era mostruosa perché a quel punto divergeva dalla direttiva di fare una strage di almeno cento e passa Carabinieri". Solo che col dispositivo che tardava a funzionare cominciarono ad uscire anche molti tifosi che diluivano il passaggio e il numero degli uomini dell'Arma. A quel punto fu dato ordine a Spatuzza e soci di rinunciare all'esplosione. "La procedura utilizzata per l'attentato a Via D'Amelio – aggiunge Spatuzza – era stata riproposta anche per quello all'Olimpico. Il sabato rubammo un paio di targhe. Il furto fu datato 22 gennaio e quindi la domenica era il 24". Qui il pentito fa un errore "formale", perché il 24 gennaio del 1994 non era una domenica ma un lunedì. È evidente che Spatuzza si riferisse al giorno precedente. In aggiunta confessò inoltre che colpire il quotidiano, il rito dello stadio alla domenica non era la priorità di Cosa Nostra che voleva in realtà punire i Carabinieri: una gara di Serie A ne offriva una concentrazione notevole per una "pena esemplare".
In viale dei Gladiatori doveva esplodere una Lancia Thema con 120 chili di tritolo, quando però il funzionamento dell'autobomba è andato a vuoto, il veicolo fu fatto sparire e l'esplosivo ritrovato nascosto sotto terra, nel 1994 a Capena, località in provincia di Roma, dove un altro pentito Antonio Scarano, l'uomo di Cosa Nostra attivo nella Capitale e nel Centro Italia, aveva affittato casa.
Nel 2002 fu fatta una ricostruzione diversa dell'episodio, dal procuratore antimafia Piero Luigi Vigna: il giorno dell'attentato era stato individuato nel 31 ottobre del 1993, quando all'Olimpico si giocò Lazio-Udinese. Successivamente le dichiarazioni di Spatuzza hanno rettificato i dettagli dell'episodio come si evince da questa sentenza.
La strage dell'Olimpico rientrava in un elenco nero di tutta una serie di attentati mafiosi, organizzati tra l'aprile del 1993 e l'aprile del 1994, dove furono colpite le maggiori città italiane: da via dei Georgofili a Firenze fino a via Palestro a Milano; da San Giovanni in Laterano alla chiesa del Velabro a Roma. Col fenomeno del pentitismo, la mafia ha abbandonato lo strumento delle stragi per quello degli agguati, in un regolamento interno di conti.
Il 23 gennaio 1994 la Mafia organizzò un attentato allo Stadio Olimpico, che fortunatamente non ebbe luogo per un difetto del detonatore.
Volevano una strage. Quella definitiva, quella ultima dove affermarsi in un braccio di ferro con lo Stato che non accennava ad affondare definitivamente. Anzi: reagiva, urlava, scovava, cercava ordine in un'entropia di decenni. Cosa Nostra era però sicura quel giorno: il 23 gennaio del 1994, l'autobomba presso lo stadio Olimpico, avrebbe fatto il suo dovere.
Quella domenica d'inverno si giocava Roma-Udinese e la mafia non voleva colpire tanto il tifoso ma i Carabinieri in servizio, tanti quel pomeriggio, farne una carneficina per colpire in senso letterale ma anche simbolico, chi si era impegnato e continuava ad impegnarsi per e con lo Stato.
L'attentato all'Olimpico non funzionò: il telecomando ebbe un problema e l'autobomba, che avrebbe dovuto azionarsi qualche minuto dopo la fine della partita, non esplose.
Ci sono voluti molti anni per ricostruire il mancato attentato allo stadio di Roma e il quadro finale, i pezzi mancanti della tragedia più che sfiorata, si sono ricomposti solo qualche anno fa nell'ambito del processo a Dell'Utri, accusato per concorso esterno in associazione mafiosa. Grazie alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza furono raccolti tutti i dettagli della pianificazione della strage. "L'attentato si doveva compiere a Roma – confessò Spatuzza in un'aula di Milano – perché con quello gli volevamo dare il colpo di grazia. La base logistica, diciamo, era Torvaianica. Stabilite le coordinate, quella domenica fu fatto tutto affinché l'attentato si portasse a compimento. Grazie a Dio il telecomando non funzionò, la cosa era mostruosa perché a quel punto divergeva dalla direttiva di fare una strage di almeno cento e passa Carabinieri". Solo che col dispositivo che tardava a funzionare cominciarono ad uscire anche molti tifosi che diluivano il passaggio e il numero degli uomini dell'Arma. A quel punto fu dato ordine a Spatuzza e soci di rinunciare all'esplosione. "La procedura utilizzata per l'attentato a Via D'Amelio – aggiunge Spatuzza – era stata riproposta anche per quello all'Olimpico. Il sabato rubammo un paio di targhe. Il furto fu datato 22 gennaio e quindi la domenica era il 24". Qui il pentito fa un errore "formale", perché il 24 gennaio del 1994 non era una domenica ma un lunedì. È evidente che Spatuzza si riferisse al giorno precedente. In aggiunta confessò inoltre che colpire il quotidiano, il rito dello stadio alla domenica non era la priorità di Cosa Nostra che voleva in realtà punire i Carabinieri: una gara di Serie A ne offriva una concentrazione notevole per una "pena esemplare".
In viale dei Gladiatori doveva esplodere una Lancia Thema con 120 chili di tritolo, quando però il funzionamento dell'autobomba è andato a vuoto, il veicolo fu fatto sparire e l'esplosivo ritrovato nascosto sotto terra, nel 1994 a Capena, località in provincia di Roma, dove un altro pentito Antonio Scarano, l'uomo di Cosa Nostra attivo nella Capitale e nel Centro Italia, aveva affittato casa.
Nel 2002 fu fatta una ricostruzione diversa dell'episodio, dal procuratore antimafia Piero Luigi Vigna: il giorno dell'attentato era stato individuato nel 31 ottobre del 1993, quando all'Olimpico si giocò Lazio-Udinese. Successivamente le dichiarazioni di Spatuzza hanno rettificato i dettagli dell'episodio come si evince da questa sentenza.
La strage dell'Olimpico rientrava in un elenco nero di tutta una serie di attentati mafiosi, organizzati tra l'aprile del 1993 e l'aprile del 1994, dove furono colpite le maggiori città italiane: da via dei Georgofili a Firenze fino a via Palestro a Milano; da San Giovanni in Laterano alla chiesa del Velabro a Roma. Col fenomeno del pentitismo, la mafia ha abbandonato lo strumento delle stragi per quello degli agguati, in un regolamento interno di conti.
lunedì 22 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 22 gennaio.
Il 22 gennaio 1905 (o il 9 gennaio, secondo il calendario vigente allora in Russia) ebbe luogo la cosiddetta "domenica di sangue" a San Pietroburgo.
All'inizio del 1904 la situazione sociale ed economica della Russia era estremamente deteriorata. Ai problemi legati alle mai completate riforme in campo agricolo e ad una industrializzazione forzata dall'alto si aggiungevano quelli causati dalla tensione politica e sociale. Quest'ultima, infatti, finì in un moto rivoluzionario: il più ampio e sanguinoso cui l'Europa avesse mai assistito. A far precipitare gli eventi contribuì lo scoppio della guerra col Giappone che, provocando fra l'altro un brusco aumento dei prezzi, fece immediatamente salire la tensione sociale.
In una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone che si dirigeva verso il Palazzo d'Inverno, residenza storica dello zar, per presentare al sovrano una petizione (vi si chiedevano maggiori libertà politiche e interventi atti ad alleviare il disagio delle classi popolari) fu accolto a fucilate dall'esercito: i morti furono più di cento e oltre duemila i feriti. La brutale repressione della domenica di sangue scatenò in tutto il paese un'ondata di agitazioni: a San Pietroburgo e a Mosca gli operai scesero in sciopero; nelle campagne vi furono sollevazioni di contadini; nell'esercito si ebbero ammutinamenti.
Di fronte alla crisi dei poteri, incapaci di riportare l'ordine, anche perché il grosso dell'esercito era impegnato in Estremo Oriente, sorsero spontaneamente in molti centri, i soviet (termine russo che significa "consigli"), cioè rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro. Il più importante era quello di Pietroburgo, il quale assunse la guida del movimento rivoluzionario nella capitale e si trovò a esercitare un notevole potere di fatto in tutta la Russia.
In ottobre lo zar parve finalmente disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative; tuttavia, fra novembre e dicembre, dopo che era stata conclusa la pace con il Giappone e le truppe erano rientrate dal fronte, la corona e il governo passarono alla controffensiva facendo arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciando con durezza le rivolte successivamente scoppiate nella capitale e a Mosca. Spaventati da ciò che stava accadendo e scettici nei confronti del governo nell'idea che riuscisse a riportare l'ordine malgrado le brutali forme di repressione messe in atto, i membri dell'alta borghesia e della nobiltà terriera fecero pressioni sul regime affinché facesse quel minimo di concessioni ritenute necessarie per riportare l'ordine. Nell'ottobre 1905, lo zar pubblicò quello che venne poi chiamato il Manifesto di ottobre con cui concedeva una costituzione e proclamava i basilari diritti civili per tutti i sudditi. Tra le altre cose il documento prevedeva l'elezione di una Duma ossia di un parlamento anche se con poteri limitati ed un sistema elettorale non del tutto equo. Il principale limite ai poteri della Duma risiedeva nel fatto che i ministri continuavano ad essere responsabili solamente di fronte allo Zar. Sulla fine del 1905 il governo, che nonostante tutto non aveva mai smesso di funzionare, riuscì, anche grazie ad una pesante opera di repressione, a riprendere il controllo del paese. Tuttavia le aspettative di un'evoluzione parlamentare del regime andarono comunque deluse. Eletta nel 1906, a suffragio universale ma con un sistema che privilegiava i proprietari terrieri, dotata di poteri troppo limitati, la prima Duma risultò un ostacolo sulla via della restaurazione e fu sciolta dopo poche settimane. Uguale sorte subì una seconda Duma eletta nel 1907 e rivelatasi ancor meno governabile della prima. (4 furono, in totale, le Dume istituite). A questo punto il governo modificò la legge elettorale in modo tale che il voto di un grande proprietario contava cinquecento volte quello di un operaio e poté finalmente disporre di un'assemblea più docile, composta in gran parte da aristocratici. Con questo colpo la Russa tornava a essere un regime sostanzialmente assolutista.
Ma la spinta rivoluzionaria era solo sopita, non cancellata. Durante la prima guerra mondiale, la dinastia zarista dei Romanov conobbe la sua definitiva capitolazione, in quelli che furono definiti "i dieci giorni che sconvolsero il mondo".
Il 22 gennaio 1905 (o il 9 gennaio, secondo il calendario vigente allora in Russia) ebbe luogo la cosiddetta "domenica di sangue" a San Pietroburgo.
All'inizio del 1904 la situazione sociale ed economica della Russia era estremamente deteriorata. Ai problemi legati alle mai completate riforme in campo agricolo e ad una industrializzazione forzata dall'alto si aggiungevano quelli causati dalla tensione politica e sociale. Quest'ultima, infatti, finì in un moto rivoluzionario: il più ampio e sanguinoso cui l'Europa avesse mai assistito. A far precipitare gli eventi contribuì lo scoppio della guerra col Giappone che, provocando fra l'altro un brusco aumento dei prezzi, fece immediatamente salire la tensione sociale.
In una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone che si dirigeva verso il Palazzo d'Inverno, residenza storica dello zar, per presentare al sovrano una petizione (vi si chiedevano maggiori libertà politiche e interventi atti ad alleviare il disagio delle classi popolari) fu accolto a fucilate dall'esercito: i morti furono più di cento e oltre duemila i feriti. La brutale repressione della domenica di sangue scatenò in tutto il paese un'ondata di agitazioni: a San Pietroburgo e a Mosca gli operai scesero in sciopero; nelle campagne vi furono sollevazioni di contadini; nell'esercito si ebbero ammutinamenti.
Di fronte alla crisi dei poteri, incapaci di riportare l'ordine, anche perché il grosso dell'esercito era impegnato in Estremo Oriente, sorsero spontaneamente in molti centri, i soviet (termine russo che significa "consigli"), cioè rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro. Il più importante era quello di Pietroburgo, il quale assunse la guida del movimento rivoluzionario nella capitale e si trovò a esercitare un notevole potere di fatto in tutta la Russia.
In ottobre lo zar parve finalmente disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative; tuttavia, fra novembre e dicembre, dopo che era stata conclusa la pace con il Giappone e le truppe erano rientrate dal fronte, la corona e il governo passarono alla controffensiva facendo arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciando con durezza le rivolte successivamente scoppiate nella capitale e a Mosca. Spaventati da ciò che stava accadendo e scettici nei confronti del governo nell'idea che riuscisse a riportare l'ordine malgrado le brutali forme di repressione messe in atto, i membri dell'alta borghesia e della nobiltà terriera fecero pressioni sul regime affinché facesse quel minimo di concessioni ritenute necessarie per riportare l'ordine. Nell'ottobre 1905, lo zar pubblicò quello che venne poi chiamato il Manifesto di ottobre con cui concedeva una costituzione e proclamava i basilari diritti civili per tutti i sudditi. Tra le altre cose il documento prevedeva l'elezione di una Duma ossia di un parlamento anche se con poteri limitati ed un sistema elettorale non del tutto equo. Il principale limite ai poteri della Duma risiedeva nel fatto che i ministri continuavano ad essere responsabili solamente di fronte allo Zar. Sulla fine del 1905 il governo, che nonostante tutto non aveva mai smesso di funzionare, riuscì, anche grazie ad una pesante opera di repressione, a riprendere il controllo del paese. Tuttavia le aspettative di un'evoluzione parlamentare del regime andarono comunque deluse. Eletta nel 1906, a suffragio universale ma con un sistema che privilegiava i proprietari terrieri, dotata di poteri troppo limitati, la prima Duma risultò un ostacolo sulla via della restaurazione e fu sciolta dopo poche settimane. Uguale sorte subì una seconda Duma eletta nel 1907 e rivelatasi ancor meno governabile della prima. (4 furono, in totale, le Dume istituite). A questo punto il governo modificò la legge elettorale in modo tale che il voto di un grande proprietario contava cinquecento volte quello di un operaio e poté finalmente disporre di un'assemblea più docile, composta in gran parte da aristocratici. Con questo colpo la Russa tornava a essere un regime sostanzialmente assolutista.
Ma la spinta rivoluzionaria era solo sopita, non cancellata. Durante la prima guerra mondiale, la dinastia zarista dei Romanov conobbe la sua definitiva capitolazione, in quelli che furono definiti "i dieci giorni che sconvolsero il mondo".
domenica 21 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 21 gennaio.
Il 21 gennaio 1793 re Luigi XVI viene ghigliottinato a Parigi in Piazza della Rivoluzione (oggi Place de la Concorde).
Luigi XVI nasce a Versailles il 23 agosto 1754 dal delfino di Francia, il principe Luigi e da Maria Giuseppina di Sassonia. Il nonno è il re Luigi XV che il piccolo Luigi nel 1774 sostituirà sul trono di Francia. L'infanzia trascorre serena attraverso i cerimoniali di corte e l'istruzione dovuta ad un bambino del suo rango che doveva studiare grammatica, storia, geografia, lingue e latino, oltre ai fondamenti di politica internazionale e di economia. Il padre muore nel 1765 quando Luigi ha undici anni e nove anni dopo muore anche il nonno.
Luigi ha vent'anni quando sposa Maria Antonietta d'Austria con la quale instaura un rapporto non facile, dovuto al suo disinteresse e alla sua apatia che ne mostrano subito la fiacchezza di carattere. Il suo compito, delicato e complesso, in un'epoca di crisi economica lo mette di fronte a difficili decisioni che spesso non riesce a prendere. Il regno ha bisogno di riforme ma Luigi XVI non riesce ad appoggiare, con la dovuta energia, i suoi governi ed in particolare i ministri delle finanze Turgot e Necker che avevano approntato riforme necessarie a contenere gli sprechi legati ai privilegi delle corte e dell'aristocrazia.
Malgrado sia lui a dare ordine di riaprire il Parlamento chiuso dal nonno nel 1771, la sua debolezza nella dialettica instaurata con i deputati mette l'istituzione monarchica in cattiva luce. La monarchia, che in seguito gli storici hanno in parte rivalutato, soprattutto nelle intenzioni mal realizzate del re, riaccende speranze quando Luigi decide di richiamare al governo il ministro Necker, nell'agosto del 1788 convocando anche gli Stati Generali, nella totale crisi economica e finanziaria dello Stato e con il compito di portare a termine la riforma monetaria. Ma la sua cronica indecisione gli fa fare degli errori, soprattutto nei confronti del Terzo stato che proclama il voto individuale. Questo errore è una delle cause della Rivoluzione.
L'11 luglio del 1789 Necker viene licenziato e questo provoca la presa della Bastiglia. Nelle settimane successive il re rifiuta di controfirmare la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e di dare avvio alla riforma del regime aristocratico con l'abolizione dei feudi. Questo fa aumentare il malcontento popolare che si sviluppa i primi di ottobre del 1789. A questo punto la monarchia rischia di scivolare verso la controrivoluzione, cosa che il re a differenza dei suoi fratelli, il Conte di Provenza e il Conte d'Artois, non vuole che accada. Tuttavia i tentativi dei liberali di far approvare riforme più libertarie non trovano appoggio nella corte e nello stesso monarca.
Il re incapace di prendere una posizione coraggiosa decide per la fuga, il 25 giugno del 1791, facendo sprofondare la monarchia nel ridicolo e nel dileggio. Costretto al giuramento alla Costituzione del 13 settembre 1791, riprende le sue funzioni che nel frattempo erano state sospese. Di fatto il re è agli arresti domiciliari.
Il suo ruolo è in bilico e decide di appoggiare la guerra contro l'Austria nella speranza che l'esercito rivoluzionario perda e avvenga una restaurazione della monarchia. Nel frattempo l'Assemblea legislativa approva una serie di misure eccezionali che il re non controfirma con la conseguenza di far precipitare gli eventi. Il 13 agosto del 1792 il re viene arrestato con l'accusa di cospirare con gli austriaci e il 21 settembre l'Assemblea nazionale dichiara la Francia una Repubblica.
Dopo due mesi, il 13 novembre, si apre il processo al monarca che si difende con maggior forza di quella che mette durante il suo regno, tuttavia viene condannato a morte con 387 voti a favore e 334 per la detenzione. Il 21 gennaio 1793 Re Luigi XVI di Francia viene ghigliottinato in piazza della Rivoluzione a Parigi.
La moglie, Maria Antonietta, lo seguì sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793. Per l'esecuzione fu seguito il medesimo cerimoniale utilizzato per il marito.
I resti dei sovrani, come quelli di altri decapitati, furono cosparsi di calce viva e tumulati in una fossa comune del vecchio Cimitero della Madeleine. Il fratello, Luigi XVIII, una volta diventato re, nel gennaio 1815 fece riesumare i resti di Luigi XVI seppellendoli poi nella Basilica di Saint-Denis, assieme a quelli della moglie Maria Antonietta. Il 21 gennaio 1815, giorno in cui cadeva il ventiduesimo anniversario dalla morte del re, avvenne una solenne processione sino all'abbazia di Saint-Denis, dove Luigi XVI e Maria Antonietta furono inumati, e dove venne eretto un sepolcro; su parte del cimitero della Madeleine Luigi XVIII fece costruire una cappella espiatoria, accanto alla Chiesa della Madeleine. In Francia si sviluppò in seguito un certo culto del "re martire" e della "regina martire".
A differenza di quanto avvenuto con i Romanov, riabilitati ufficialmente dalla Corte suprema russa e canonizzati dalla Chiesa ortodossa, Maria Antonietta e Luigi XVI non sono, però, mai stati simbolicamente "assolti" dall'accusa di tradimento da parte dei tribunali francesi moderni, sebbene le condanne furono implicitamente cancellate già con la restaurazione di Luigi XVIII, che punì con l'esilio (legge contro i regicidi del 1816) i membri della Convenzione ancora vivi tra quelli che votarono la decapitazione dei sovrani (tra essi Jacques-Louis David e Emmanuel Joseph Sieyès).
Il 21 gennaio 1793 re Luigi XVI viene ghigliottinato a Parigi in Piazza della Rivoluzione (oggi Place de la Concorde).
Luigi XVI nasce a Versailles il 23 agosto 1754 dal delfino di Francia, il principe Luigi e da Maria Giuseppina di Sassonia. Il nonno è il re Luigi XV che il piccolo Luigi nel 1774 sostituirà sul trono di Francia. L'infanzia trascorre serena attraverso i cerimoniali di corte e l'istruzione dovuta ad un bambino del suo rango che doveva studiare grammatica, storia, geografia, lingue e latino, oltre ai fondamenti di politica internazionale e di economia. Il padre muore nel 1765 quando Luigi ha undici anni e nove anni dopo muore anche il nonno.
Luigi ha vent'anni quando sposa Maria Antonietta d'Austria con la quale instaura un rapporto non facile, dovuto al suo disinteresse e alla sua apatia che ne mostrano subito la fiacchezza di carattere. Il suo compito, delicato e complesso, in un'epoca di crisi economica lo mette di fronte a difficili decisioni che spesso non riesce a prendere. Il regno ha bisogno di riforme ma Luigi XVI non riesce ad appoggiare, con la dovuta energia, i suoi governi ed in particolare i ministri delle finanze Turgot e Necker che avevano approntato riforme necessarie a contenere gli sprechi legati ai privilegi delle corte e dell'aristocrazia.
Malgrado sia lui a dare ordine di riaprire il Parlamento chiuso dal nonno nel 1771, la sua debolezza nella dialettica instaurata con i deputati mette l'istituzione monarchica in cattiva luce. La monarchia, che in seguito gli storici hanno in parte rivalutato, soprattutto nelle intenzioni mal realizzate del re, riaccende speranze quando Luigi decide di richiamare al governo il ministro Necker, nell'agosto del 1788 convocando anche gli Stati Generali, nella totale crisi economica e finanziaria dello Stato e con il compito di portare a termine la riforma monetaria. Ma la sua cronica indecisione gli fa fare degli errori, soprattutto nei confronti del Terzo stato che proclama il voto individuale. Questo errore è una delle cause della Rivoluzione.
L'11 luglio del 1789 Necker viene licenziato e questo provoca la presa della Bastiglia. Nelle settimane successive il re rifiuta di controfirmare la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e di dare avvio alla riforma del regime aristocratico con l'abolizione dei feudi. Questo fa aumentare il malcontento popolare che si sviluppa i primi di ottobre del 1789. A questo punto la monarchia rischia di scivolare verso la controrivoluzione, cosa che il re a differenza dei suoi fratelli, il Conte di Provenza e il Conte d'Artois, non vuole che accada. Tuttavia i tentativi dei liberali di far approvare riforme più libertarie non trovano appoggio nella corte e nello stesso monarca.
Il re incapace di prendere una posizione coraggiosa decide per la fuga, il 25 giugno del 1791, facendo sprofondare la monarchia nel ridicolo e nel dileggio. Costretto al giuramento alla Costituzione del 13 settembre 1791, riprende le sue funzioni che nel frattempo erano state sospese. Di fatto il re è agli arresti domiciliari.
Il suo ruolo è in bilico e decide di appoggiare la guerra contro l'Austria nella speranza che l'esercito rivoluzionario perda e avvenga una restaurazione della monarchia. Nel frattempo l'Assemblea legislativa approva una serie di misure eccezionali che il re non controfirma con la conseguenza di far precipitare gli eventi. Il 13 agosto del 1792 il re viene arrestato con l'accusa di cospirare con gli austriaci e il 21 settembre l'Assemblea nazionale dichiara la Francia una Repubblica.
Dopo due mesi, il 13 novembre, si apre il processo al monarca che si difende con maggior forza di quella che mette durante il suo regno, tuttavia viene condannato a morte con 387 voti a favore e 334 per la detenzione. Il 21 gennaio 1793 Re Luigi XVI di Francia viene ghigliottinato in piazza della Rivoluzione a Parigi.
La moglie, Maria Antonietta, lo seguì sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793. Per l'esecuzione fu seguito il medesimo cerimoniale utilizzato per il marito.
I resti dei sovrani, come quelli di altri decapitati, furono cosparsi di calce viva e tumulati in una fossa comune del vecchio Cimitero della Madeleine. Il fratello, Luigi XVIII, una volta diventato re, nel gennaio 1815 fece riesumare i resti di Luigi XVI seppellendoli poi nella Basilica di Saint-Denis, assieme a quelli della moglie Maria Antonietta. Il 21 gennaio 1815, giorno in cui cadeva il ventiduesimo anniversario dalla morte del re, avvenne una solenne processione sino all'abbazia di Saint-Denis, dove Luigi XVI e Maria Antonietta furono inumati, e dove venne eretto un sepolcro; su parte del cimitero della Madeleine Luigi XVIII fece costruire una cappella espiatoria, accanto alla Chiesa della Madeleine. In Francia si sviluppò in seguito un certo culto del "re martire" e della "regina martire".
A differenza di quanto avvenuto con i Romanov, riabilitati ufficialmente dalla Corte suprema russa e canonizzati dalla Chiesa ortodossa, Maria Antonietta e Luigi XVI non sono, però, mai stati simbolicamente "assolti" dall'accusa di tradimento da parte dei tribunali francesi moderni, sebbene le condanne furono implicitamente cancellate già con la restaurazione di Luigi XVIII, che punì con l'esilio (legge contro i regicidi del 1816) i membri della Convenzione ancora vivi tra quelli che votarono la decapitazione dei sovrani (tra essi Jacques-Louis David e Emmanuel Joseph Sieyès).
sabato 20 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 20 gennaio.
Il 20 gennaio 2017 Donald Trump si insedia come 45esimo Presidente degli Stati Uniti d'America.
Donald John Trump Senior nasce a New York il 14 giugno del 1946. Famoso imprenditore americano, impegnato in diversi settori, soprattutto quello immobiliare, è considerato uno degli uomini più ricchi del mondo; è noto per i suoi enormi investimenti e per aver fatto del suo cognome una vera e propria etichetta mediatica, utilizzata come marchio per le sue attività e acquisizioni.
La famiglia in cui nasce e cresce il piccolo Donald è di origini tedesche, soprattutto per via patrilineare. I suoi nonni paterni infatti, Frederick Trump ed Elisabeth Christ, diventano cittadini degli Stati Uniti nel 1892, dopo essere emigrati nel 1885.
Fred Christ Trump, il padre di Donald, nasce americano, a Woodhaven, nello stato di New York, l'11 ottobre del 1905. Ed è proprio a lui che Donald deve il suo senso per gli affari e, soprattutto, l'interesse per il settore immobiliare. Fred è un facoltoso costruttore di New York, il quale ha fatto fortuna investendo e proponendo immobili in affitto e vendita, per quella rampante middle class americana che negli anni '50 e '60 ha costruito gran parte della propria ricchezza, costituendo lo strato sociale ed economico prevalente negli Usa.
Ad ogni modo, iscritto alla "Kew-Forest School", nel Queens, il giovane Donald Trump non ha un carattere facile e si mette in cattiva luce a scuola a causa di una sua disciplina non proprio impeccabile. A 13 anni allora, il ragazzo viene iscritto dai genitori ad un'accademia militare: la "New York Military Academy ". L'idea si rivela azzeccata: il futuro Mr Trump si distingue per il proprio valore, conquistando diversi riconoscimenti, come quello di capitano della squadra di baseball, esattamente nel 1964.
Dopo il passaggio dalla "Fordham University" alla "Wharton School" dell'Università della Pennsylvania, Donald Trump si laurea nel 1968, specializzandosi in Economia e Finanza. Il passo seguente è quello presso la Trump Organization, ossia l'azienda paterna, dove comincia ad occuparsi degli affitti di Brooklyn, del Queens e di Staten Island.
Già in questi anni si rivelano le sue enormi capacità di investitore. Lavorando dal college infatti, il giovane e rampante Donald Trump intraprende un progetto di rilancio del complesso residenziale Swifton Village, nell'Ohio, a Cincinnati. Dal 34% di occupazione media degli alloggi, la struttura passa al 100% in un solo anno e quando la Trump Organization vende Swifton Village ricava circa 6 milioni di dollari.
Nel 1971 Donald Trump si sposta a Manhattan e comincia ad interessarsi di grandi costruzioni, nelle quali sia facile riconoscere il nome - o il marchio - di chi le ha realizzate. La prima "grande opera", come si direbbe in Italia, è quella dell'antiquato "Penn Central", in zona West Side, dove Trump realizza il nuovissimo Grand Hyatt, ben altra cosa rispetto al Commodore Hotel. Il successo dell'opera è sotto gli occhi di tutti e alcuni anni dopo, l'imprenditore cerca di sfruttarlo per un'imperiosa opera di ripristino voluta dalla città di New York, ossia di porre il Wollman Rink al Central Park. Nel frattempo Trump dà vita a diverse altre costruzioni e in città il suo nome comincia a circolare, soprattutto sulla carta stampata.
Il progetto del Wollman, iniziato nel 1980, con una previsione di due anni e mezzo di lavori, nel 1986 ristagna, nonostante i 12 milioni di dollari già spesi. Donald Trump si propone di completare l'opera senza alcun costo per il Comune, facendo valere le proprie ragioni soprattutto attraverso i media, che spingono affinché sia lui ad occuparsene. Ottenuto l'appalto, realizza il lavoro in soli sei mesi e con solo 750.000 dei 3 milioni di dollari stanziati.
Forte del successo ottenuto, nel 1988 diventa il proprietario dello storico Hotel Plaza di New York, che mantiene fino al 1998. La sua Trump Organization diventa a tutti gli effetti una importante immobiliare del lusso.
In questi anni '80 però il costruttore investe anche sui casinò e in altre strutture alberghiere, esponendo il proprio nome e le sue garanzie economiche ben oltre il dovuto. Così, nel 1989, a causa della recessione, Trump inizia a trovarsi in una serie di difficoltà finanziarie che si porta dietro per tutto il resto della sua carriera imprenditoriale, considerata da alcuni sempre sul punto di crollare e da altri, al contrario, ben salda e di là dal capitolare.
Ad ogni modo, in questo periodo è il suo terzo casinò, il celebre Taj Mahal, a dargli dei guai. Attraverso i cosiddetti "bond spazzatura", con un tasso di interesse di 1 miliardo di dollari, Trump finanzia questo mirabolante progetto. Ma nel 1991 l'impresa è sull'orlo del fallimento e il magnate del lusso deve cedere il 50% della proprietà del casinò agli obbligazionisti, in cambio di una riduzione dei tassi e di un prolungamento per il rimborso. Si salva dal fallimento, ma deve continuare con l'opera di ridimensionamento delle sue imprese, come quella del Trump Plaza Hotel, che spartisce al 49% con Citibank, e quella del Trump Shuttle, che invece perde definitivamente.
Nonostante queste vicissitudini poco favorevoli, l'imprenditore porta in borsa la sua "Trump Hotels & Casino Resorts". Wall Street spinge le sue azioni sopra i 35 dollari ma, solo tre anni dopo, crollano, a causa di un debito gravante sulla società di 3 miliardi di dollari. Solo nel 2004, la società azionistica annuncia la sua ristrutturazione del debito, con una riduzione della quota azionaria dal 56% al 27%.
"L'esperienza mi ha insegnato alcune cose. Una è quella di ascoltare la propria pancia, non importa come suoni bene sulla carta. La seconda è che si sta generalmente meglio attaccati a ciò che si conosce. E la terza è che a volte i migliori investimenti sono quelli che non si fanno."
Nel frattempo però, l'imprenditore newyorchese investe nei paesi arabi e diventa comproprietario del complesso "Palm Trump International Hotel and Tower", il quale sorge, monumentale, sulla centrale delle tre Isole delle Palme di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, si apre definitivamente ad altri campi, come quello dell'energia, e dal 2006 diventa il più importante testimonial della multinazionale delle telecomunicazioni e dell'energia ACN Inc. Investe anche nel wrestling e in televisione, portando sugli schermi un reality show prodotto interamente da lui dal titolo "The Apprentice".
Negli anni 2000 e 2010 si interessa sempre più alla politica e nel corso di una nota trasmissione televisiva, il "Larry King Live", nel settembre 2008 Donald Trump ufficializza il suo appoggio al Senatore Repubblicano John McCain, in lizza per le presidenziali (poi battuto da Barack Obama).
Nonostante molti facciano il suo nome come futuro candidato repubblicano in vista delle nomination del 2012, il 16 maggio del 2011 Donald Trump smentisce la sua candidatura.
Dal 22 gennaio del 2005 inoltre contrae il suo terzo matrimonio, con Melania Knauss, da cui ha avuto il suo quinto figlio nel 2006, Barron William Trump. In precedenza, il costruttore è stato sposato con Ivana Marie Zelickovà Trump, dal 7 aprile 1977 all'8 giugno 1992 (con cui ha avuto tre figli; Donald John, Ivanka Marie ed Eric), e con Marla Maples, sposata dal 1993 al 1999 (e da cui ha avuto Tiffany Trump nel 1993).
Il 16 giugno 2015 Donald Trump annuncia formalmente la propria candidatura alle elezioni presidenziali del 2016. Passando attraverso varie battaglie politiche (anche interne al suo partito), critiche, discorsi pubblici, un anno più tardi, nel mese di luglio diviene ufficialmente il candidato repubblicano alla Presidenza, per succedere ad Obama. A sfidarlo è Hillary Clinton.
Dopo una campagna elettorale segnata da toni molto aspri, smentendo gran parte delle previsioni, il 9 novembre 2016 Donald Trump è diventato presidente eletto ottenendo il voto della maggioranza, e precisamente di 304, dei 538 grandi elettori che compongono il Collegio elettorale (numero inferiore a quelli ottenuti dal predecessore democratico Barack Obama nelle due precedenti elezioni, ma superiore a quelli del repubblicano George W. Bush nel 2000 e nel 2004). Hillary Clinton è stata invece la più votata a livello popolare, con quasi tre milioni di preferenze in più dell'avversario. Per la quinta volta nella storia degli Stati Uniti e per la seconda volta dal 2000 il candidato più votato non ha coinciso con il vincitore delle elezioni.
Quando i cittadini, concedendogli il loro voto, lo hanno eletto presidente in novembre, Trump ha stabilito cinque primati, concretizzati il 20 gennaio 2017 all'inizio del mandato:
primo presidente a non aver mai ricoperto in precedenza una carica politica, amministrativa o un elevato grado militare;
primo presidente sostenuto dalla maggioranza di membri eletti, in Congresso e Senato, del suo stesso partito all'inizio del suo mandato presidenziale;
primo presidente che rifiuta lo stipendio statale all'inizio del suo mandato presidenziale;
presidente più vecchio, avendo superato i settant'anni di età al momento dell'elezione (primato passato poi al suo successore Biden);
presidente più ricco per patrimonio finanziario personale.
Il 20 gennaio 2017 Donald Trump si insedia come 45esimo Presidente degli Stati Uniti d'America.
Donald John Trump Senior nasce a New York il 14 giugno del 1946. Famoso imprenditore americano, impegnato in diversi settori, soprattutto quello immobiliare, è considerato uno degli uomini più ricchi del mondo; è noto per i suoi enormi investimenti e per aver fatto del suo cognome una vera e propria etichetta mediatica, utilizzata come marchio per le sue attività e acquisizioni.
La famiglia in cui nasce e cresce il piccolo Donald è di origini tedesche, soprattutto per via patrilineare. I suoi nonni paterni infatti, Frederick Trump ed Elisabeth Christ, diventano cittadini degli Stati Uniti nel 1892, dopo essere emigrati nel 1885.
Fred Christ Trump, il padre di Donald, nasce americano, a Woodhaven, nello stato di New York, l'11 ottobre del 1905. Ed è proprio a lui che Donald deve il suo senso per gli affari e, soprattutto, l'interesse per il settore immobiliare. Fred è un facoltoso costruttore di New York, il quale ha fatto fortuna investendo e proponendo immobili in affitto e vendita, per quella rampante middle class americana che negli anni '50 e '60 ha costruito gran parte della propria ricchezza, costituendo lo strato sociale ed economico prevalente negli Usa.
Ad ogni modo, iscritto alla "Kew-Forest School", nel Queens, il giovane Donald Trump non ha un carattere facile e si mette in cattiva luce a scuola a causa di una sua disciplina non proprio impeccabile. A 13 anni allora, il ragazzo viene iscritto dai genitori ad un'accademia militare: la "New York Military Academy ". L'idea si rivela azzeccata: il futuro Mr Trump si distingue per il proprio valore, conquistando diversi riconoscimenti, come quello di capitano della squadra di baseball, esattamente nel 1964.
Dopo il passaggio dalla "Fordham University" alla "Wharton School" dell'Università della Pennsylvania, Donald Trump si laurea nel 1968, specializzandosi in Economia e Finanza. Il passo seguente è quello presso la Trump Organization, ossia l'azienda paterna, dove comincia ad occuparsi degli affitti di Brooklyn, del Queens e di Staten Island.
Già in questi anni si rivelano le sue enormi capacità di investitore. Lavorando dal college infatti, il giovane e rampante Donald Trump intraprende un progetto di rilancio del complesso residenziale Swifton Village, nell'Ohio, a Cincinnati. Dal 34% di occupazione media degli alloggi, la struttura passa al 100% in un solo anno e quando la Trump Organization vende Swifton Village ricava circa 6 milioni di dollari.
Nel 1971 Donald Trump si sposta a Manhattan e comincia ad interessarsi di grandi costruzioni, nelle quali sia facile riconoscere il nome - o il marchio - di chi le ha realizzate. La prima "grande opera", come si direbbe in Italia, è quella dell'antiquato "Penn Central", in zona West Side, dove Trump realizza il nuovissimo Grand Hyatt, ben altra cosa rispetto al Commodore Hotel. Il successo dell'opera è sotto gli occhi di tutti e alcuni anni dopo, l'imprenditore cerca di sfruttarlo per un'imperiosa opera di ripristino voluta dalla città di New York, ossia di porre il Wollman Rink al Central Park. Nel frattempo Trump dà vita a diverse altre costruzioni e in città il suo nome comincia a circolare, soprattutto sulla carta stampata.
Il progetto del Wollman, iniziato nel 1980, con una previsione di due anni e mezzo di lavori, nel 1986 ristagna, nonostante i 12 milioni di dollari già spesi. Donald Trump si propone di completare l'opera senza alcun costo per il Comune, facendo valere le proprie ragioni soprattutto attraverso i media, che spingono affinché sia lui ad occuparsene. Ottenuto l'appalto, realizza il lavoro in soli sei mesi e con solo 750.000 dei 3 milioni di dollari stanziati.
Forte del successo ottenuto, nel 1988 diventa il proprietario dello storico Hotel Plaza di New York, che mantiene fino al 1998. La sua Trump Organization diventa a tutti gli effetti una importante immobiliare del lusso.
In questi anni '80 però il costruttore investe anche sui casinò e in altre strutture alberghiere, esponendo il proprio nome e le sue garanzie economiche ben oltre il dovuto. Così, nel 1989, a causa della recessione, Trump inizia a trovarsi in una serie di difficoltà finanziarie che si porta dietro per tutto il resto della sua carriera imprenditoriale, considerata da alcuni sempre sul punto di crollare e da altri, al contrario, ben salda e di là dal capitolare.
Ad ogni modo, in questo periodo è il suo terzo casinò, il celebre Taj Mahal, a dargli dei guai. Attraverso i cosiddetti "bond spazzatura", con un tasso di interesse di 1 miliardo di dollari, Trump finanzia questo mirabolante progetto. Ma nel 1991 l'impresa è sull'orlo del fallimento e il magnate del lusso deve cedere il 50% della proprietà del casinò agli obbligazionisti, in cambio di una riduzione dei tassi e di un prolungamento per il rimborso. Si salva dal fallimento, ma deve continuare con l'opera di ridimensionamento delle sue imprese, come quella del Trump Plaza Hotel, che spartisce al 49% con Citibank, e quella del Trump Shuttle, che invece perde definitivamente.
Nonostante queste vicissitudini poco favorevoli, l'imprenditore porta in borsa la sua "Trump Hotels & Casino Resorts". Wall Street spinge le sue azioni sopra i 35 dollari ma, solo tre anni dopo, crollano, a causa di un debito gravante sulla società di 3 miliardi di dollari. Solo nel 2004, la società azionistica annuncia la sua ristrutturazione del debito, con una riduzione della quota azionaria dal 56% al 27%.
"L'esperienza mi ha insegnato alcune cose. Una è quella di ascoltare la propria pancia, non importa come suoni bene sulla carta. La seconda è che si sta generalmente meglio attaccati a ciò che si conosce. E la terza è che a volte i migliori investimenti sono quelli che non si fanno."
Nel frattempo però, l'imprenditore newyorchese investe nei paesi arabi e diventa comproprietario del complesso "Palm Trump International Hotel and Tower", il quale sorge, monumentale, sulla centrale delle tre Isole delle Palme di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, si apre definitivamente ad altri campi, come quello dell'energia, e dal 2006 diventa il più importante testimonial della multinazionale delle telecomunicazioni e dell'energia ACN Inc. Investe anche nel wrestling e in televisione, portando sugli schermi un reality show prodotto interamente da lui dal titolo "The Apprentice".
Negli anni 2000 e 2010 si interessa sempre più alla politica e nel corso di una nota trasmissione televisiva, il "Larry King Live", nel settembre 2008 Donald Trump ufficializza il suo appoggio al Senatore Repubblicano John McCain, in lizza per le presidenziali (poi battuto da Barack Obama).
Nonostante molti facciano il suo nome come futuro candidato repubblicano in vista delle nomination del 2012, il 16 maggio del 2011 Donald Trump smentisce la sua candidatura.
Dal 22 gennaio del 2005 inoltre contrae il suo terzo matrimonio, con Melania Knauss, da cui ha avuto il suo quinto figlio nel 2006, Barron William Trump. In precedenza, il costruttore è stato sposato con Ivana Marie Zelickovà Trump, dal 7 aprile 1977 all'8 giugno 1992 (con cui ha avuto tre figli; Donald John, Ivanka Marie ed Eric), e con Marla Maples, sposata dal 1993 al 1999 (e da cui ha avuto Tiffany Trump nel 1993).
Il 16 giugno 2015 Donald Trump annuncia formalmente la propria candidatura alle elezioni presidenziali del 2016. Passando attraverso varie battaglie politiche (anche interne al suo partito), critiche, discorsi pubblici, un anno più tardi, nel mese di luglio diviene ufficialmente il candidato repubblicano alla Presidenza, per succedere ad Obama. A sfidarlo è Hillary Clinton.
Dopo una campagna elettorale segnata da toni molto aspri, smentendo gran parte delle previsioni, il 9 novembre 2016 Donald Trump è diventato presidente eletto ottenendo il voto della maggioranza, e precisamente di 304, dei 538 grandi elettori che compongono il Collegio elettorale (numero inferiore a quelli ottenuti dal predecessore democratico Barack Obama nelle due precedenti elezioni, ma superiore a quelli del repubblicano George W. Bush nel 2000 e nel 2004). Hillary Clinton è stata invece la più votata a livello popolare, con quasi tre milioni di preferenze in più dell'avversario. Per la quinta volta nella storia degli Stati Uniti e per la seconda volta dal 2000 il candidato più votato non ha coinciso con il vincitore delle elezioni.
Quando i cittadini, concedendogli il loro voto, lo hanno eletto presidente in novembre, Trump ha stabilito cinque primati, concretizzati il 20 gennaio 2017 all'inizio del mandato:
primo presidente a non aver mai ricoperto in precedenza una carica politica, amministrativa o un elevato grado militare;
primo presidente sostenuto dalla maggioranza di membri eletti, in Congresso e Senato, del suo stesso partito all'inizio del suo mandato presidenziale;
primo presidente che rifiuta lo stipendio statale all'inizio del suo mandato presidenziale;
presidente più vecchio, avendo superato i settant'anni di età al momento dell'elezione (primato passato poi al suo successore Biden);
presidente più ricco per patrimonio finanziario personale.
venerdì 19 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 19 gennaio.
Il 19 gennaio 1853 va in scena a Roma la prima assoluta de "Il trovatore", di Giuseppe Verdi.
Dalla primavera del 1851 Verdi e la Strepponi si sono trasferiti nella tenuta di Sant'Agata, in una piccola casa che nel corso degli anni subirà modifiche e ampliamenti. Lontano dai pettegolezzi e immerso nella pace della campagna, il musicista può finalmente lavorare solo su soggetti di suo gradimento e senza preoccuparsi di una loro possibile esecuzione.
Ha già messo al lavoro due librettisti: Cammarano sta lavorando su El trovador dello spagnolo Antonio García Gutiérrez, a Piave propone invece quello che definisce «un soggetto semplice e affettuoso».
Verdi, che da tempo ha superato quella deferenza nei confronti di Cammarano, non è soddisfatto della prima impostazione del libretto e subito chiarisce la sua visione dell'opera: uno schema epico-narrativo. Proprio in quest'ottica nasce e va interpretato Il trovatore, tutto immerso in una perenne e irreale atmosfera notturna. E' una notte silenziosa, lo ribadiscono più volte i personaggi: "Tacea la notte placida" canta Leonora e "Tace la notte" ribadisce il conte di Luna. Non vi sono temporali, come in Rigoletto, qui la notte assiste immota ai racconti dei vari personaggi.
L'opera si apre con il capitano Ferrando che narra l'antefatto. E' poi la volta di Leonora che racconta il suo passato incontro con il trovatore. Nell'aria "Condotta ell'era in ceppi", Azucena, con il carattere ossessivo che le è proprio, unisce passato e presente. Segue Manrico, che in "Mal reggendo all'aspro assalto" racconta il suo duello con il conte. Solo nel terzo atto, quando Azucena è catturata, passato e presente arrivano a unirsi e da questo momento la vicenda passa a un tragico e ineluttabile presente.
In contrasto con la notte, cupa e avvolgente, ma anche fredda, quasi priva di vita, c'è un altro elemento costante, il fuoco. E non è solamente quello del rogo che ossessiona la mente di Azucena, è l'ardore delle passioni che anima i vari protagonisti: "Perigliosa fiamma tu nutri" dice Ines, rivolgendosi a Leonora, e la stessa, poco prima di morire esclama: "...la mano è gelo...". Ma qui, toccandosi il petto, "...fuoco orribile arde…". E ancora il conte di Luna esclama: "Ah, l'amorosa fiamma, m'arde ogni fibra…".
Nel Trovatore si respira un'atmosfera che potremmo definire di "ballata epico-romantica" e in questo contesto i personaggi si riappropriano di un linguaggio che Verdi sembra aver del tutto eliminato, un eloquio nuovamente schematico, fatto di recitativo, aria e cabaletta. Ma è giusto che sia così per questa cupa favola, assolutamente fuori dal tempo.
Con Trovatore si chiude fatalmente la collaborazione di Verdi con Salvatore Cammarano. Nel luglio del 1852 il librettista muore a lavoro incompiuto. Il completamento del libretto, sulla base dei suoi appunti, è operato da Leone Emanuele Bardare, un letterato napoletano. Lo spartito è completato da Verdi nel dicembre 1852 e l'opera può andare in scena il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma. Il successo è enorme e il pubblico è accorso in massa a teatro, anche se il Tevere, straripato in più punti, avrebbe potuto in qualche modo mettere a rischio la prima.
Il 19 gennaio 1853 va in scena a Roma la prima assoluta de "Il trovatore", di Giuseppe Verdi.
Dalla primavera del 1851 Verdi e la Strepponi si sono trasferiti nella tenuta di Sant'Agata, in una piccola casa che nel corso degli anni subirà modifiche e ampliamenti. Lontano dai pettegolezzi e immerso nella pace della campagna, il musicista può finalmente lavorare solo su soggetti di suo gradimento e senza preoccuparsi di una loro possibile esecuzione.
Ha già messo al lavoro due librettisti: Cammarano sta lavorando su El trovador dello spagnolo Antonio García Gutiérrez, a Piave propone invece quello che definisce «un soggetto semplice e affettuoso».
Verdi, che da tempo ha superato quella deferenza nei confronti di Cammarano, non è soddisfatto della prima impostazione del libretto e subito chiarisce la sua visione dell'opera: uno schema epico-narrativo. Proprio in quest'ottica nasce e va interpretato Il trovatore, tutto immerso in una perenne e irreale atmosfera notturna. E' una notte silenziosa, lo ribadiscono più volte i personaggi: "Tacea la notte placida" canta Leonora e "Tace la notte" ribadisce il conte di Luna. Non vi sono temporali, come in Rigoletto, qui la notte assiste immota ai racconti dei vari personaggi.
L'opera si apre con il capitano Ferrando che narra l'antefatto. E' poi la volta di Leonora che racconta il suo passato incontro con il trovatore. Nell'aria "Condotta ell'era in ceppi", Azucena, con il carattere ossessivo che le è proprio, unisce passato e presente. Segue Manrico, che in "Mal reggendo all'aspro assalto" racconta il suo duello con il conte. Solo nel terzo atto, quando Azucena è catturata, passato e presente arrivano a unirsi e da questo momento la vicenda passa a un tragico e ineluttabile presente.
In contrasto con la notte, cupa e avvolgente, ma anche fredda, quasi priva di vita, c'è un altro elemento costante, il fuoco. E non è solamente quello del rogo che ossessiona la mente di Azucena, è l'ardore delle passioni che anima i vari protagonisti: "Perigliosa fiamma tu nutri" dice Ines, rivolgendosi a Leonora, e la stessa, poco prima di morire esclama: "...la mano è gelo...". Ma qui, toccandosi il petto, "...fuoco orribile arde…". E ancora il conte di Luna esclama: "Ah, l'amorosa fiamma, m'arde ogni fibra…".
Nel Trovatore si respira un'atmosfera che potremmo definire di "ballata epico-romantica" e in questo contesto i personaggi si riappropriano di un linguaggio che Verdi sembra aver del tutto eliminato, un eloquio nuovamente schematico, fatto di recitativo, aria e cabaletta. Ma è giusto che sia così per questa cupa favola, assolutamente fuori dal tempo.
Con Trovatore si chiude fatalmente la collaborazione di Verdi con Salvatore Cammarano. Nel luglio del 1852 il librettista muore a lavoro incompiuto. Il completamento del libretto, sulla base dei suoi appunti, è operato da Leone Emanuele Bardare, un letterato napoletano. Lo spartito è completato da Verdi nel dicembre 1852 e l'opera può andare in scena il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma. Il successo è enorme e il pubblico è accorso in massa a teatro, anche se il Tevere, straripato in più punti, avrebbe potuto in qualche modo mettere a rischio la prima.
giovedì 18 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 18 gennaio.
Il 18 gennaio 1871 Guglielmo I viene proclamato imperatore di Germania, nella reggia di Versailles. Nasce il Primo Reich.
Guglielmo Federico Ludovico, nacque a Berlino in Germania il 22 marzo del 1797, suo padre era il Re di Prussia Federico Guglielmo I e sua madre era Luisa di Maclemburgo-Strelitz.
Secondogenito della famiglia reale prussiana, fu estraniato dalla politica dello stato, in quanto il trono era già designato per il primogenito che prenderà poi il nome di Federico Guglielmo IV perciò iniziò la carriera militare e nel 1814 si distinse come ottimo soldato contro Napoleone, nelle battaglie di Ligny e di Waterloo.
In seguito alla disabilità del fratello Re che durerà per il resto della sua vita, Guglielmo divenne il Principe reggente, non avendo avuto Federico Guglielmo IV, eredi, fino al 2 gennaio del 1861, quando la sopraggiunta morte del fratello, permise l’incoronazione di Guglielmo a Re di Prussia con il nome di Guglielmo I.
Durante il suo regno, avvennero fatti molto importanti, sia politici e territoriali, non solo per la Prussia e dopo per la Germania ma anche per l’Europa, in quanto l’elezione di Otto von Bismarck a primo ministro del regno, portò ad una serie di guerre, perpetrate da quest’ultimo, contro l’Austria, la Danimarca, la Francia, per l’indipendenza, il rafforzamento dello stato prussiano ed il consolidamento di potenza nell’Europa di fine Ottocento, della Germania.
Ci fu una lunga discussione sul carattere federale da dare al nuovo Impero e sul titolo da attribuire al nuovo Imperatore in quanto quest’ultimo voleva attribuirsi il nome di Imperatore di Germania; ma in tal caso, si sarebbe creata una situazione analoga a quella accaduta secoli prima con Carlo V, e gli altri monarchi tedeschi ancora regnanti sui loro stati come Guglielmo sulla Prussia non avrebbero mai accettato.
L’elezione ad Imperatore della confederazione germanica non riuscì a calmare il malcontento che dilagava tra la popolazione; ci furono due tentativi di assassinare il sovrano tedesco, non andati a segno, che diedero tuttavia un’occasione per la proclamazione di leggi anti-socialiste e la chiusura di alcuni giornali dello stesso stampo. Queste leggi vennero tuttavia abolite il primo ottobre 1890.
Durante il suo regno, il colonialismo tedesco fu portato avanti con grande sforzo, conquistando diversi territori, come il Togo, il Camerun, la Tanzania e Namibia in Africa e Papua Nuova Guinea, le isole Bismarck, le isole Salomone, Nauru e le Marshall nell’ Oceano Pacifico.
Guglielmo I fu detto Il Grande per la politica attuata durante il suo regno di unificazione federale della Germania sotto la guida dello stato più forte, la Prussia, grazie anche al suo primo ministro Otto von Bismarck; la Prussia usciva dalla situazione di Stato sottomesso alla direzione dell’Impero Asburgico e oltre a ciò riusciva nell’ intento di costruire le basi per la creazione di uno Stato forte ed unitario che poi diverrà la Germania.
Suo figlio Federico III morirà di cancro alla laringe il 15 giugno del 1888, e fu incoronato come successore il nipote, Guglielmo II, che porterà la Germania nella terribile atrocità della Prima Guerra Mondiale e alla eliminazione della monarchia tedesca.
Il 18 gennaio 1871 Guglielmo I viene proclamato imperatore di Germania, nella reggia di Versailles. Nasce il Primo Reich.
Guglielmo Federico Ludovico, nacque a Berlino in Germania il 22 marzo del 1797, suo padre era il Re di Prussia Federico Guglielmo I e sua madre era Luisa di Maclemburgo-Strelitz.
Secondogenito della famiglia reale prussiana, fu estraniato dalla politica dello stato, in quanto il trono era già designato per il primogenito che prenderà poi il nome di Federico Guglielmo IV perciò iniziò la carriera militare e nel 1814 si distinse come ottimo soldato contro Napoleone, nelle battaglie di Ligny e di Waterloo.
In seguito alla disabilità del fratello Re che durerà per il resto della sua vita, Guglielmo divenne il Principe reggente, non avendo avuto Federico Guglielmo IV, eredi, fino al 2 gennaio del 1861, quando la sopraggiunta morte del fratello, permise l’incoronazione di Guglielmo a Re di Prussia con il nome di Guglielmo I.
Durante il suo regno, avvennero fatti molto importanti, sia politici e territoriali, non solo per la Prussia e dopo per la Germania ma anche per l’Europa, in quanto l’elezione di Otto von Bismarck a primo ministro del regno, portò ad una serie di guerre, perpetrate da quest’ultimo, contro l’Austria, la Danimarca, la Francia, per l’indipendenza, il rafforzamento dello stato prussiano ed il consolidamento di potenza nell’Europa di fine Ottocento, della Germania.
Ci fu una lunga discussione sul carattere federale da dare al nuovo Impero e sul titolo da attribuire al nuovo Imperatore in quanto quest’ultimo voleva attribuirsi il nome di Imperatore di Germania; ma in tal caso, si sarebbe creata una situazione analoga a quella accaduta secoli prima con Carlo V, e gli altri monarchi tedeschi ancora regnanti sui loro stati come Guglielmo sulla Prussia non avrebbero mai accettato.
L’elezione ad Imperatore della confederazione germanica non riuscì a calmare il malcontento che dilagava tra la popolazione; ci furono due tentativi di assassinare il sovrano tedesco, non andati a segno, che diedero tuttavia un’occasione per la proclamazione di leggi anti-socialiste e la chiusura di alcuni giornali dello stesso stampo. Queste leggi vennero tuttavia abolite il primo ottobre 1890.
Durante il suo regno, il colonialismo tedesco fu portato avanti con grande sforzo, conquistando diversi territori, come il Togo, il Camerun, la Tanzania e Namibia in Africa e Papua Nuova Guinea, le isole Bismarck, le isole Salomone, Nauru e le Marshall nell’ Oceano Pacifico.
Guglielmo I fu detto Il Grande per la politica attuata durante il suo regno di unificazione federale della Germania sotto la guida dello stato più forte, la Prussia, grazie anche al suo primo ministro Otto von Bismarck; la Prussia usciva dalla situazione di Stato sottomesso alla direzione dell’Impero Asburgico e oltre a ciò riusciva nell’ intento di costruire le basi per la creazione di uno Stato forte ed unitario che poi diverrà la Germania.
Suo figlio Federico III morirà di cancro alla laringe il 15 giugno del 1888, e fu incoronato come successore il nipote, Guglielmo II, che porterà la Germania nella terribile atrocità della Prima Guerra Mondiale e alla eliminazione della monarchia tedesca.
mercoledì 17 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 17 gennaio.
Il 17 gennaio 1562 l'editto di Saint Germain concede alcuni diritti agli ugonotti di Francia.
Fu soprattutto in Francia dove si giocò una partita senza esclusione di colpi tra calvinisti e cattolicesimo. Benché l'inizio della diffusione della Riforma in Francia avesse prevalentemente un indirizzo luterano, in seguito fu il calvinismo a prendere il sopravvento finché, intorno al 1560, i regnanti francesi incominciarono a preoccuparsi della diffusione del nuovo credo: alla fine del 1561 vi erano più di 670 chiese calviniste in Francia. I protestanti francesi, oramai un quarto della popolazione, si denominavano ugonotti (dal tedesco eidgenosse = confederato) e avevano posto le basi per un vero e proprio partito ugonotto, che, raccogliendo le richieste borghesi, faceva opposizione alla politica del re.
Già nel 1534 l'affissione di manifesti (placards) protestanti contro la Messa, posti perfino sulla porta della stanza da letto del re Francesco I (1515-1547), aveva provocato una violenta campagna anti-protestante. In quel periodo la reazione cattolica aveva portato sul rogo diversi protestanti, tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e lo stesso Calvino, di passaggio nella capitale francese in quel momento, riuscì, un po' avventurosamente, a scappare dalla Francia per recarsi nel gennaio 1535 a Basilea. Nel 1559 morì il re Enrico II (1547-1559), persecutore degli ugonotti, e nel 1561 la vedova Caterina de Medici cercò di organizzare una riunione, senza risultato utile, a Poissy tra i teologi cattolici e quelli protestanti, cui partecipò il noto teologo di Ginevra Théodore de Béze.
Nonostante i protestanti fossero finalmente riusciti ad ottenere un primo riconoscimento dei loro diritti nell'Editto di Saint-Germain del 1562, proprio da quell'anno scoppiò una guerra civile senza quartiere tra le fazioni ugonotte, guidate da Luigi di Navarra, principe di Condé (catturato e ucciso nel 1569), e i cattolici, guidati dai Duchi di Guisa. Il pretesto fu uno scontro tra le opposte fazioni il 1 marzo 1562 a Vassy, nella Champagne, dove la scorta armata dei Guisa attaccò un gruppo di protestanti riuniti per una funzione religiosa, uccidendone 48. Dopo otto anni di dura lotta, contraddistinta da atrocità da una parte e dall'altra, nel 1570 i cattolici giunsero ad una fragile pace a Saint-Germain con i protestanti guidati dall'ammiraglio Gaspard de Coligny (1519-1572), calvinista dal 1560, il cui prestigio e influenza a corte era tale da convincere la Francia ad aiutare gli olandesi nella loro lotta per la libertà contro gli spagnoli.
I cattolici tentarono diverse volte di eliminare Coligny, ma l'occasione d'oro per Caterina e i Guisa per organizzare un regolamento di conti con gli ugonotti si presentò in coincidenza del matrimonio tra Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX (1560-1574), ed il protestante Enrico di Borbone e Navarra (il fratello del principe di Condé). Tutta la nobiltà protestante venne a Parigi per le nozze, cadendo nell'atroce trappola, che scattò nella notte del 23 agosto 1572 (la notte di San Bartolomeo), dove i cattolici scatenarono una vera e propria caccia all'uomo, uccidendo de Coligny, massacrando più di tremila protestanti a Parigi, tra cui l'umanista Pierre de la Ramée (Petrus Ramus), autore di riferimento per il Puritanesimo inglese, e quasi trentamila (secondo alcuni autori, anche oltre quarantamila) ugonotti in tutta la Francia. La guerra civile riprese, più violenta che mai, e durò fino al 1576.
Il nuovo re Enrico III (1574-1589), pressato da più parti per favorire ora i cattolici ora i protestanti, alla morte prematura nel 1584 dell'erede al trono, il fratello Duca d'Angiò, nominò suo successore il cognato protestante Enrico di Borbone, ma i cattolici, organizzati dai Guisa nella Santa Unione, o Lega, obbligarono il re a fuggire da Parigi nel maggio 1588 e lo forzarono a nominare un nuovo erede nel cardinale di Borbone. Il re si vendicò dell'umiliazione, facendo assassinare i due fratelli Duchi di Guisa nel dicembre 1588, ma fu, a sua volta, ucciso dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589.
Gli successe allora proprio Enrico di Borbone, con il titolo di Enrico IV (1589-1610), ma la lega cattolica non lo riconobbe come sovrano, facendo incoronare il cardinale Carlo di Borbone con il titolo di Carlo X (1523-1590, re: 1589-1590). Enrico IV, abile politico e militare, riuscì comunque a riunificare la Francia in pochi anni. Resisteva solo la città di Parigi, roccaforte cattolica: per poter entrare nella capitale e farsi incoronare, Enrico dovette abiurare dalla propria fede riformatrice nel 1593 per convertirsi al cattolicesimo. Fu in quell'occasione che avrebbe pronunciato (ma la cosa non è storicamente accertata) la famosa frase "Parigi vale bene una messa!".
Tuttavia nell'Editto di Nantes del 1598, il re proclamò una tolleranza abbastanza ampia per i suoi ex compagni di fede, che potevano ricoprire cariche pubbliche, aprire scuole, avere un esercito e delle roccaforti di difesa e perfino godere di un contributo statale per il mantenimento dei pastori. L'editto rimase valido fino al 1685, anno in cui il re Luigi XIV (1654-1715) lo abolì, scatenando una campagna repressiva contro gli ugonotti talmente crudele che lo stesso Papa Innocenzo XI (1676-1689) criticò i metodi addottati.
Il 17 gennaio 1562 l'editto di Saint Germain concede alcuni diritti agli ugonotti di Francia.
Fu soprattutto in Francia dove si giocò una partita senza esclusione di colpi tra calvinisti e cattolicesimo. Benché l'inizio della diffusione della Riforma in Francia avesse prevalentemente un indirizzo luterano, in seguito fu il calvinismo a prendere il sopravvento finché, intorno al 1560, i regnanti francesi incominciarono a preoccuparsi della diffusione del nuovo credo: alla fine del 1561 vi erano più di 670 chiese calviniste in Francia. I protestanti francesi, oramai un quarto della popolazione, si denominavano ugonotti (dal tedesco eidgenosse = confederato) e avevano posto le basi per un vero e proprio partito ugonotto, che, raccogliendo le richieste borghesi, faceva opposizione alla politica del re.
Già nel 1534 l'affissione di manifesti (placards) protestanti contro la Messa, posti perfino sulla porta della stanza da letto del re Francesco I (1515-1547), aveva provocato una violenta campagna anti-protestante. In quel periodo la reazione cattolica aveva portato sul rogo diversi protestanti, tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e lo stesso Calvino, di passaggio nella capitale francese in quel momento, riuscì, un po' avventurosamente, a scappare dalla Francia per recarsi nel gennaio 1535 a Basilea. Nel 1559 morì il re Enrico II (1547-1559), persecutore degli ugonotti, e nel 1561 la vedova Caterina de Medici cercò di organizzare una riunione, senza risultato utile, a Poissy tra i teologi cattolici e quelli protestanti, cui partecipò il noto teologo di Ginevra Théodore de Béze.
Nonostante i protestanti fossero finalmente riusciti ad ottenere un primo riconoscimento dei loro diritti nell'Editto di Saint-Germain del 1562, proprio da quell'anno scoppiò una guerra civile senza quartiere tra le fazioni ugonotte, guidate da Luigi di Navarra, principe di Condé (catturato e ucciso nel 1569), e i cattolici, guidati dai Duchi di Guisa. Il pretesto fu uno scontro tra le opposte fazioni il 1 marzo 1562 a Vassy, nella Champagne, dove la scorta armata dei Guisa attaccò un gruppo di protestanti riuniti per una funzione religiosa, uccidendone 48. Dopo otto anni di dura lotta, contraddistinta da atrocità da una parte e dall'altra, nel 1570 i cattolici giunsero ad una fragile pace a Saint-Germain con i protestanti guidati dall'ammiraglio Gaspard de Coligny (1519-1572), calvinista dal 1560, il cui prestigio e influenza a corte era tale da convincere la Francia ad aiutare gli olandesi nella loro lotta per la libertà contro gli spagnoli.
I cattolici tentarono diverse volte di eliminare Coligny, ma l'occasione d'oro per Caterina e i Guisa per organizzare un regolamento di conti con gli ugonotti si presentò in coincidenza del matrimonio tra Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX (1560-1574), ed il protestante Enrico di Borbone e Navarra (il fratello del principe di Condé). Tutta la nobiltà protestante venne a Parigi per le nozze, cadendo nell'atroce trappola, che scattò nella notte del 23 agosto 1572 (la notte di San Bartolomeo), dove i cattolici scatenarono una vera e propria caccia all'uomo, uccidendo de Coligny, massacrando più di tremila protestanti a Parigi, tra cui l'umanista Pierre de la Ramée (Petrus Ramus), autore di riferimento per il Puritanesimo inglese, e quasi trentamila (secondo alcuni autori, anche oltre quarantamila) ugonotti in tutta la Francia. La guerra civile riprese, più violenta che mai, e durò fino al 1576.
Il nuovo re Enrico III (1574-1589), pressato da più parti per favorire ora i cattolici ora i protestanti, alla morte prematura nel 1584 dell'erede al trono, il fratello Duca d'Angiò, nominò suo successore il cognato protestante Enrico di Borbone, ma i cattolici, organizzati dai Guisa nella Santa Unione, o Lega, obbligarono il re a fuggire da Parigi nel maggio 1588 e lo forzarono a nominare un nuovo erede nel cardinale di Borbone. Il re si vendicò dell'umiliazione, facendo assassinare i due fratelli Duchi di Guisa nel dicembre 1588, ma fu, a sua volta, ucciso dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589.
Gli successe allora proprio Enrico di Borbone, con il titolo di Enrico IV (1589-1610), ma la lega cattolica non lo riconobbe come sovrano, facendo incoronare il cardinale Carlo di Borbone con il titolo di Carlo X (1523-1590, re: 1589-1590). Enrico IV, abile politico e militare, riuscì comunque a riunificare la Francia in pochi anni. Resisteva solo la città di Parigi, roccaforte cattolica: per poter entrare nella capitale e farsi incoronare, Enrico dovette abiurare dalla propria fede riformatrice nel 1593 per convertirsi al cattolicesimo. Fu in quell'occasione che avrebbe pronunciato (ma la cosa non è storicamente accertata) la famosa frase "Parigi vale bene una messa!".
Tuttavia nell'Editto di Nantes del 1598, il re proclamò una tolleranza abbastanza ampia per i suoi ex compagni di fede, che potevano ricoprire cariche pubbliche, aprire scuole, avere un esercito e delle roccaforti di difesa e perfino godere di un contributo statale per il mantenimento dei pastori. L'editto rimase valido fino al 1685, anno in cui il re Luigi XIV (1654-1715) lo abolì, scatenando una campagna repressiva contro gli ugonotti talmente crudele che lo stesso Papa Innocenzo XI (1676-1689) criticò i metodi addottati.
martedì 16 gennaio 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 16 gennaio.
Il 16 gennaio 1909 Ernest Shackleton trova il polo sud magnetico.
Nato nel 1874 in un paesino a 50 chilometri da Dublino, Shackleton non fu mai uno studente particolarmente brillante, nonostante avesse sviluppato un grande interesse per la lettura da viaggio fin da piccolo. A 16 anni era già sulle navi inglesi che attraversavano gli specchi d'acqua più remoti del pianeta e a 24 aveva ottenuto il titolo di mastro marinaio, che gli consentiva di comandare qualsiasi nave britannica. Il 1901 fu l'anno che segnò la nascita di quella che sarebbe diventata la sua ossessione fino alla morte: il colossale e quasi del tutto inesplorato continente antartico. Shackleton prese parte come terzo ufficiale alla «Discovery», la prima spedizione britannica verso il Polo Sud, guidata dal capitano Robert Falcon Scott.
Rispedito a casa per motivi di salute, dopo diversi tentativi fallimentari di diventare un businessman di successo si ripresentò nel 1908 a capo della spedizione Nimrod, con lo scopo dichiarato di raggiungere il Polo Sud magnetico. Ma riuscì solo a sfiorarlo, arrivando a 88 gradi e 23 primi latitudine sud, a 180 chilometri dalla meta, prima di tornare indietro.
L'impresa della Nimrod gli bastò per diventare, una volta rientrato in patria, un eroe a tutti gli effetti. La gloria fu però presto oscurata dall'impresa, avvenuta poco dopo, del norvegese Roald Amundsen, il primo esploratore a raggiungere il Polo Sud. Ma Shackleton, ormai ossessionato, non si lasciò demoralizzare, e riuscì a trovare l'ennesima scusa per salutare la moglie e far di nuovo rotta verso l'estremo sud: la «spedizione imperiale trans-antartica», nome altisonante per portare a compimento la folle idea di attraversare il continente via mare.
Fu un vero disastro, con la nave che affondò tra i ghiacci e l'intera spedizione costretta ad una snervante attesa nel campo base prima di tornare a casa. Rientrato in patria sconfitto al termine della Prima Guerra Mondiale, Shackleton era ormai l'ombra dell'eroe che qualche anno prima aveva portato la Gran Bretagna così vicina al punto più remoto del Polo Sud. Le cronache parlano di un cardiopatico con il vizietto di bere e ormai un unico pensiero fisso in mente: la circumnavigazione del continente ghiacciato, l’impresa che l'aveva reso immortale, ma che lui sentiva forse di non aver mai davvero portata a termine.
Il cuore lo abbandonò dalle parti della Georgia del Sud, alle 2.50 di notte del 5 gennaio 1922, pochi minuti dopo una discussione con il suo medico, che insisteva perché non bevesse troppo. Di lui resta la fama di uomo che non mollava mai. A ricordarlo fu anche l'esploratore inglese Apsley Cherry-Garrard con una celebre citazione: «Se fossi intrappolato in un dannato buco e volessi uscire a tutti i costi, accanto a me vorrei sempre uno Shackleton».
Il 16 gennaio 1909 Ernest Shackleton trova il polo sud magnetico.
Nato nel 1874 in un paesino a 50 chilometri da Dublino, Shackleton non fu mai uno studente particolarmente brillante, nonostante avesse sviluppato un grande interesse per la lettura da viaggio fin da piccolo. A 16 anni era già sulle navi inglesi che attraversavano gli specchi d'acqua più remoti del pianeta e a 24 aveva ottenuto il titolo di mastro marinaio, che gli consentiva di comandare qualsiasi nave britannica. Il 1901 fu l'anno che segnò la nascita di quella che sarebbe diventata la sua ossessione fino alla morte: il colossale e quasi del tutto inesplorato continente antartico. Shackleton prese parte come terzo ufficiale alla «Discovery», la prima spedizione britannica verso il Polo Sud, guidata dal capitano Robert Falcon Scott.
Rispedito a casa per motivi di salute, dopo diversi tentativi fallimentari di diventare un businessman di successo si ripresentò nel 1908 a capo della spedizione Nimrod, con lo scopo dichiarato di raggiungere il Polo Sud magnetico. Ma riuscì solo a sfiorarlo, arrivando a 88 gradi e 23 primi latitudine sud, a 180 chilometri dalla meta, prima di tornare indietro.
L'impresa della Nimrod gli bastò per diventare, una volta rientrato in patria, un eroe a tutti gli effetti. La gloria fu però presto oscurata dall'impresa, avvenuta poco dopo, del norvegese Roald Amundsen, il primo esploratore a raggiungere il Polo Sud. Ma Shackleton, ormai ossessionato, non si lasciò demoralizzare, e riuscì a trovare l'ennesima scusa per salutare la moglie e far di nuovo rotta verso l'estremo sud: la «spedizione imperiale trans-antartica», nome altisonante per portare a compimento la folle idea di attraversare il continente via mare.
Fu un vero disastro, con la nave che affondò tra i ghiacci e l'intera spedizione costretta ad una snervante attesa nel campo base prima di tornare a casa. Rientrato in patria sconfitto al termine della Prima Guerra Mondiale, Shackleton era ormai l'ombra dell'eroe che qualche anno prima aveva portato la Gran Bretagna così vicina al punto più remoto del Polo Sud. Le cronache parlano di un cardiopatico con il vizietto di bere e ormai un unico pensiero fisso in mente: la circumnavigazione del continente ghiacciato, l’impresa che l'aveva reso immortale, ma che lui sentiva forse di non aver mai davvero portata a termine.
Il cuore lo abbandonò dalle parti della Georgia del Sud, alle 2.50 di notte del 5 gennaio 1922, pochi minuti dopo una discussione con il suo medico, che insisteva perché non bevesse troppo. Di lui resta la fama di uomo che non mollava mai. A ricordarlo fu anche l'esploratore inglese Apsley Cherry-Garrard con una celebre citazione: «Se fossi intrappolato in un dannato buco e volessi uscire a tutti i costi, accanto a me vorrei sempre uno Shackleton».
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