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lunedì 21 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 21 aprile.

Il 21 aprile 272 d.C., secondo alcune agiografie, è la data in cui nacque San Gennaro.

Fra i santi dell’antichità è certamente uno dei più venerati dai fedeli e se poi consideriamo che questi fedeli, sono primariamente napoletani, si può comprendere per la nota estemporaneità e focosa fede che li distingue, perché il suo culto, travalicando i secoli, sia giunto intatto fino a noi, accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della liquefazione del suo sangue, che tanto attira i napoletani.

Prima di tutto il suo nome diffuso in Campania e anche nel Sud Italia, risale al latino ‘Ianuarius’ derivato da ‘Ianus’ (Giano) il dio bifronte delle chiavi del cielo, dell’inizio dell’anno e del passaggio delle porte e delle case.

Il nome era in genere attribuito ai bambini nati nel mese di gennaio “Ianuarius”, undicesimo mese dell’anno secondo il calendario romano, ma il primo dopo la riforma del II secolo d.C.

Gennaro appartenne alla gens Ianuaria, perché Ianuarius che significa “consacrato al dio Ianus” non era il suo nome, che non ci è pervenuto, ma il gentilizio corrispondente al nostro cognome.

Vi sono ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, che parlano di Gennaro, fra i più celebri gli “Atti Bolognesi” e gli “Atti Vaticani”. Da questi documenti si apprende che Gennaro nato a Napoli (?) nella seconda metà del III secolo, fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani per la cura, che impiegava nelle opere di carità a tutti indistintamente; si era nel primo periodo dell’impero di Diocleziano (243-313), il quale permise ai cristiani di occupare anche posti di prestigio e una certa libertà di culto.

Nella sua vecchiaia però, sotto la pressione del suo cesare Galerio (293), firmò ben tre editti contro i cristiani, provocando una delle più feroci persecuzioni, colpendo la Chiesa nei suoi membri e nei suoi averi per impedirle di soccorrere i poveri e spezzare così il favore popolare.

E in questo contesto s’inserisce la storia del martirio di Gennaro; egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo; Sosso fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, per le funzioni religiose che quotidianamente venivano celebrate nonostante i divieti.

In quel periodo il vescovo di Benevento Gennaro, accompagnato dal diacono Festo e dal lettore Desiderio, si trovava a Pozzuoli in incognito, visto il gran numero di pagani che si recavano nella vicinissima Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana e aveva ricevuto di nascosto anche qualche visita del diacono di Miseno (località tutte vicinissime tra loro).

Gennaro, saputo dell’arresto di Sosso, volle recarsi insieme ai suoi due compagni Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere e anche con alcuni scritti, per esortarlo insieme agli altri cristiani prigionieri a resistere nella fede.

Il giudice Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.

Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi, in un pubblico spettacolo. Ma durante i preparativi, il proconsole Dragonio si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri cristiani nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.

Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione; era usanza dei cristiani dell’epoca di cercare di raccogliere corpi o parte di corpi, abiti, ecc. per poter poi venerarli come reliquie dei loro martiri.

I cristiani di Pozzuoli nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse sui 35 anni, come pure giovani erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di S. Gennaro”, per volontà del vescovo di Napoli, s. Giovanni I e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo.

Le reliquie degli altri sei martiri hanno una storia a parte per le loro traslazioni, ma in maggioranza ebbero culto e spostamento nelle loro zone di origine.

Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: S. Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano.

Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini.

Va notato che già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne, come già detto, meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per s. Gennaro, diminuiva man mano quello per s. Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli; dal 472 s. Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città.

Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, s. Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di S. Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.

Questa provvidenziale decisione preservò le suddette reliquie dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.

Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli; addirittura se ne persero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480 furono ritrovate casualmente sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.

Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.

Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta realizzare da Roberto d’Angiò, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343).

La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo: racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.

Le altre reliquie poste in un’antica anfora sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale. San Gennaro è conosciuto in tutto il mondo, grazie anche al culto esportato insieme ai tantissimi emigranti napoletani, suoi fedeli, non solo per i suoi prodigiosi interventi nel bloccare le calamità naturali, purtroppo ricorrenti che colpivano Napoli, come pestilenze, terremoti e le numerose eruzioni del vulcano Vesuvio, croce e vanto di tutto il Golfo di Napoli; ma anche per il famoso prodigio della liquefazione del sangue contenuto nelle antiche ampolle, completamente sigillate e custodite in una nicchia chiusa con porte d’argento, situata dietro l’altare principale, della già menzionata Cappella del Tesoro.

Il Tesoro è oggi custodito in un caveau di una banca, essendo ingente e preziosissimo, quale testimonianza dei doni fatti al santo patrono da sovrani, nobili e quanti altri abbiano ricevuto grazie per sua intercessione, o alla loro persona e famiglia o alla città stessa.

Le chiavi della nicchia sono conservate dalla Deputazione del Tesoro di S. Gennaro, da secoli composta da nobili e illustri personaggi napoletani con a capo il sindaco della città. Il miracolo della liquefazione del sangue, che è opportuno dire non è un’esclusiva del santo vescovo, ma anche di altri santi e in altre città, ma che a Napoli ha assunto una valenza incredibile, secondo un antico documento è avvenuto per la prima volta nel lontano 17 agosto 1389; non è escluso, perché non documentato, che sia avvenuto anche in precedenza.

Detto prodigio avviene da allora tre volte l’anno; nel primo sabato di maggio, in cui il busto ornato di preziosissimi paramenti vescovili e il reliquiario con la teca e le ampolle viene portato in processione, insieme ai busti d’argento dei numerosi santi compatroni di Napoli, anch’essi esposti nella suddetta Cappella del Tesoro, dal Duomo alla Basilica di S. Chiara, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli, e qui dopo le rituali preghiere, avviene la liquefazione del sangue raggrumito; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione; una volta avveniva nella Cappella del Tesoro, ma per il gran numero di fedeli il busto e le reliquie sono oggi esposte sull’altare maggiore del Duomo, dove anche qui dopo ripetute preghiere, con la presenza del cardinale arcivescovo, autorità civili e fedeli, avviene il prodigio tra il tripudio generale.

Avvenuta la liquefazione, la teca sorretta dall’arcivescovo viene mostrata quasi capovolgendola ai fedeli e al bacio dei più vicini; il sangue rimane sciolto per tutta l’ottava successiva e i fedeli sono ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la liquidità, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave.

Una terza liquefazione avviene il 16 dicembre “festa del patrocinio di s. Gennaro”, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo. Il prodigio così puntuale non è sempre avvenuto, esiste un diario dei Canonici del Duomo che riporta nei secoli anche le volte che il sangue non si è sciolto, oppure con ore e giorni di ritardo, oppure a volte è stato trovato già liquefatto quando sono state aperte le porte argentee per prelevare le ampolle; il miracolo a volte è avvenuto al di fuori delle date solite, per eventi straordinari.

Il popolo napoletano nei secoli ha voluto vedere nella velocità del prodigio un auspicio positivo per il futuro della città, mentre una sua assenza o un prolungato ritardo è visto come fatto negativo per possibili calamità da venire. La catechesi costante degli ultimi arcivescovi di Napoli ha convinto la maggioranza dei fedeli che anche la mancanza del prodigio o il ritardo vanno vissuti con serenità e intensificazione semmai di una vita più cristiana.

Del resto questo “miracolo ballerino”, imprevedibile, è stato oggetto di profondi studi scientifici, l’ultimo nel 1988, con i quali usando l’esame spettroscopico, non potendosi aprire le ampolline sigillate da tanti secoli, si è potuto stabilire la presenza nel liquido di emoglobina, dunque sangue.

La liquefazione del sangue è innegabile e spiegazioni scientifiche finora non se ne sono trovate, come tutte le ipotesi contrarie formulate nei secoli, non sono mai state provate. È singolare il fatto che a Pozzuoli, contemporaneamente al miracolo che avviene a Napoli, la pietra conservata nella chiesa di S. Gennaro vicino alla Solfatara e che si crede sia il ceppo su cui il martire poggiò la testa per essere decapitato, diventa più rossa.

Pur essendo venuti tanti papi a Napoli in devoto omaggio, baciando personalmente la teca e lasciando doni, la Chiesa, è bene ricordarlo, non si è mai pronunciata ufficialmente sul miracolo di s. Gennaro.

Papa Paolo VI nel 1966, in un discorso ad un gruppo di pellegrini partenopei, richiamò chiaramente il prodigio: “…come questo sangue che ribolle ad ogni festa, così la fede del popolo di Napoli possa ribollire, rifiorire ed affermarsi”.


domenica 20 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 20 aprile.

Il 20 aprile 1992 allo stadio di Wembley si riuniscono moltissime star della musica mondiale per il celeberrimo concerto tributo alla memoria di Freddie Mercury.

Sono trascorsi 33 anni dal più grande tributo della storia della musica rock: The Freddie Mercury Tribute Concert For Aids Awareness.

Quel lungo sogno musicale si svolse al Wembley Stadium dal primo pomeriggio fino a tarda sera del 20 aprile 1992.

Mai così tante star della musica mondiale si sono riunite per celebrare la vita, la carriera e la musica di un solo artista: Freddie Mercury.

Nel febbraio del 1992, alla cerimonia annuale dei Brit Awards, Brian May e Roger Taylor, annunciarono il desiderio di organizzare un grande evento per rendere omaggio al frontman dei Queen, scomparso il 24 novembre del 1991 in seguito a una broncopolmonite dovuta alla deficienza immunitaria.

Il giorno seguente vennero messi in vendita i biglietti per il concerto e tutti i 72.000 tagliandi andarono esauriti in sole due ore, nonostante ancora non fosse stato diffusa la minima informazione su chi avrebbe suonato oltre ai componenti restanti della band.

Si comincia con Lady Diana Spencer e il Principe Carlo sugli spalti, mentre Brian, Roger e John aprono lo spettacolo con un breve discorso.

A fine concerto, la marea umana assetata di musica “sarà sorda, cieca e con la voglia di tornare il giorno dopo” (Brian May).

Aprono i Metallica con un trittico da far paura (Enter Sandman, Sad but True e Nothing Else Matter e poi gli Extreme (“Loro sono dei veri amici ed è il gruppo che più di tutti al mondo ha compreso la musica dei Queen” parole di Brian May) con un medley che comprende tra le altre Mustapha, Another One Bites The Dust, Fat Bottomed Girls, Bycycle Race e Love of My life.

Def Leppard (che duetteranno con Brian May su Now I’m Here), Bob Geldof , Spinal Tap e i Guns ‘n’ Roses con Paradise City e Knockin’ on Heaven’s Door.

Oltre alla musica ci sarà spazio anche per l’impegno sociale perché i proventi dell’incasso del Freddie Mercury Tribute Concert for Aids Awareness serviranno per dare vita all’associazione benefica The Mercury Phoenix Trust: il tema dell’Aids è stato ripreso in più occasioni durante il concerto con l’intervento di un giovane Ian Mackellen da Parliament Hill e il discorso di Elizabeth Taylor.

Durante la prima parte del Freddie Mercury Tribute vennero proiettati diversi video dei Queen mentre i tecnici eseguivano i cambi palco.

Quando il concerto venne trasmesso su MTV, gli U2 dedicarono a Freddie una performance via satellite dalla California dal vivo di Until The End Of The World.

Ma il bello doveva ancora venire perché una volta calata la sera, il palco del Wembley Stadium si sarebbe riempito di stelle.

La scaletta

Queen e Joe Elliott/Slash – Tie Your Mother Down

Queen e Roger Daltrey (con Tony Iommi) – Heaven And Hell (intro), Pinball Wizard (intro), I Want It All

Queen e Zucchero – Las Palabras de Amor

Queen e Gary Cherone (con Tony Iommi) – Hammer to Fall

Queen e James Hetfield (con Tony Iommi) – Stone Cold Crazy

Queen e Robert Plant – Innuendo (con estratti da Kashmir), Thank You (intro), Crazy Little Thing Called Love

Queen (Brian May con Spike Edney) – Too Much Love Will Kill You

Queen e Paul Young – Radio Ga Ga

Queen e Seal – Who Wants to Live Forever

Queen e Lisa Stansfield – I Want to Break Free

Queen e David Bowie/Annie Lennox – Under Pressure

Queen e Ian Hunter/David Bowie/Mick Ronson/Joe Elliott/Phil Collen – All the Young Dudes

Queen e David Bowie/Mick Ronson – Heroes/The Lord’s Prayer

Queen e George Michael – 39

Queen e George Michael/Lisa Stansfield – These Are the Days of Our Lives

Queen e George Michael – Somebody to Love

Queen e Elton John/Axl Rose – Bohemian Rhapsody

Queen e Elton John (con Tony Iommi) – The Show Must Go On

Queen e Axl Rose – We Will Rock You

Queen e Liza Minnelli/Cast – We Are the Champions

sabato 19 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 19 aprile.

Il 19 aprile 1937, in Italia e nelle colonie diventava legge il Regio Decreto Legislativo numero 880, la prima legge “di tutela della razza” promulgata dal regime fascista, riferito in particolar modo a tutti gli italiani che vivevano nelle allora colonie italiane in Africa, Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia. Le leggi razziali erano diventate realtà.

Cosa si intende per “leggi razziali”? Sono tutte quelle leggi basate sul principio di discriminazione razziale: discriminare degli esseri umani solo perché di etnie diverse dalla nostra, fondamentalmente, e farlo anche a livello legale e istituzionale. Per chi non è di corta memoria storica, sicuramente questa definizione fa venire in mente le leggi razziali fasciste, promulgate dal regime di Benito Mussolini in Italia dal 1938, e da molti storici considerati il vero e proprio prologo della Seconda Guerra Mondiale.

Quello che molti ignorano, però, è che le leggi razziali contro gli ebrei non furono le prime promulgate nel nostro paese: no, il triste primato di prima legge razziale lo detiene proprio il Regio Decreto Legislativo del 19 aprile 1937, denominato Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi. Con questo decreto lo stato italiano vietava definitivamente il matrimonio misto e la pratica del madamismo, cioè il concubinaggio con donne africane. Il decreto 880 non rappresentò nient’altro che l’apice della campagna razzista del regime nei confronti degli abitanti delle colonie.

Fu un apice tanto orrendo quanto predetto, perché la retorica del regime da anni aveva speso fiumi di parole nell’esaltare la “superiore purezza delle razza italiana”, esasperatamente messa a confronto con tutte le altre razze ritenute inferiori. L’atteggiamento del regime fascista nei confronti dei matrimoni misti – e soprattutto dei figli nati da questi matrimoni – si basava fondamentalmente su due elementi: l’assoluta necessità di una «politica demografica» che salvaguardasse la razza bianca da una parte, e il problema della denatalità dall’altra, secondo Mussolini una delle piaghe principali del paese. In un’escalation di misure sempre più restrittive e razziste nei confronti non solo dei figli di matrimoni misti, ma anche contro le popolazioni locali, si arrivò al decreto 880: gli italiani che si “macchiavano” della colpa di concubinaggio con una donna africana o, peggio ancora, di matrimonio rischiavano da 1 a 5 anni di reclusione, in quanto commettevano due delitti, uno biologico e uno morale. Il primo consisteva nell’accusa di «inquinare la razza», mentre per quello morale la colpa era di «elevare» l’indigena al proprio livello, perdendo così il prestigio che derivava dall’appartenenza alla «razza superiore».

Fu questo il decreto che aprì le porte alle leggi razziali prevalentemente contro gli ebrei, promulgate per la prima volta nel 1938: le stesse motivazioni pseudo scientifiche che vennero date per il decreto 880/37 vennero riutilizzate per motivare le leggi razziali emanate dal regime negli anni successivi.

Quella delle leggi razziali, e della segregazione che ne consegue, diretta conseguenza,  è una storia nota e tristemente diffusa in tutto il mondo e nella storia: da quella, secolare, nei confronti degli Ebrei, costretti a riunirsi nei ghetti, a quella dei neri; dall‘apartheid in Sudafrica (durato formalmente fino al 1994) a quello negli Stati Uniti, abolito con le grandi rivolte per i diritti civili di fine anni Sessanta a forza di I have a dream e a ritmo di We shall overcome.

Eppure sarebbe un errore considerare queste leggi come un qualcosa del passato, perché queste in alcuni paesi sono ancora una realtà contemporanea e viva: basta guardare a paesi come Malesia, India, Mauritania o Yemen.

E anche adesso,  nella democratica e moderna Europa si stanno affermando in diversi paesi partiti xenofobi che in maniera più o meno manifesta propugnano la non contaminazione con gli immigrati, i profughi, i disperati. In Ungheria, oltre al muro di filo spinato lungo il confine con la Serbia, si applica la detenzione sistematica di tutti i profughi che arrivano nel Paese, collocandoli in container lungo la frontiera con Croazia e Serbia. Al coro si uniscono anche Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, in nome della difesa dell’omogeneità culturale e religiosa della regione, riconquistata solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica. A questo si sommano anche vari tentativi di revisionismo storico e rilettura di fatti conclamati, con Marine Le Pen che nega la collaborazione del Regime di Vichy nello sterminio degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e l’affermarsi in diversi paesi del nord Europa di partiti che fanno dell’omogeneità culturale e etnica il loro grido di battaglia.

Ecco, è questo il monito e l’attenzione che dobbiamo porre verso fatti che ci appaiono lontani: lo scoprire che il demone dell’intolleranza e dell’odio e i germi del suprematismo razziale sono ancora vivi e vegeti: il nostro impegno deve essere quello di prosciugare l’acqua di coltura nella quale questi germi di intolleranza rischiano di moltiplicarsi, e crescere.

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