Buongiorno, oggi è il 12 settembre.
Il 12 settembre 1942 affonda il Transatlantico Laconia.
L’RMS Laconia era uno splendido transatlantico dalle linee sinuose, rapido a solcare gli oceani e a infrangere le onde. Di proprietà della società Cunard Line, venne varato nel 1921, ma con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, venne requisito dalla Royal Navy, la marina britannica, e trasformato in cargo incrociatore, armato con otto cannoni da 152,4 mm e due obici da 762 mm, e, successivamente ad altre modifiche, quale trasporto truppe e nave per prigionieri di guerra. Iniziò a effettuare le sue traversate dalla Gran Bretagna fino al continente africano, trasportando le truppe inglesi che combattevano in Nord Africa contro l’Afrika Korps di Rommel e, in seguito alle vittorie nel teatro africano, ebbe la delicata missione di trasferire circa 1800 prigionieri italiani nei campi di concentramento alleati negli Stati Uniti.
Salpato nel luglio 1942 dal porto di Suez, sul Laconia vennero imbarcati 463 uomini dell’equipaggio, 268 soldati britannici, ottanta passeggeri (per lo più donne e bambini, membri delle famiglie dei soldati britannici o dei membri dell’equipaggio) e 103 soldati polacchi destinati al servizio di guardia degli oltre 1800 prigionieri italiani. Nella notte del 12 settembre 1942, il Laconia, ormai lontano dalle coste dell’Africa, in pieno Oceano Atlantico, mentre faceva rotta verso gli Stati Uniti, venne avvistato dal periscopio del sommergibile tedesco U156, comandato dal Capitano di Vascello Werner Hartenstein: alle ore 20.10, al largo dell’Isola di Ascensione, il transatlantico venne raggiunto da un siluro del sommergibile, sul lato di dritta; pochi istanti dopo, la nave venne raggiunta da un secondo siluro e, alle 21.11, innalzando la sua prua al cielo stellato della notte atlantica, affondò di poppa.
Durante le fasi dell’affondamento, però, le guardie polacche chiusero tutti i boccaporti delle stive dove erano tenuti prigionieri gli Italiani: molti di loro morirono affogati nel ventre d’acciaio della nave. Alcuni dei sopravvissuti, inoltre, diranno che i Polacchi di guardia, pur di non fare fuggire i prigionieri, fecero uso delle loro armi in dotazione e aprirono il fuoco. Una volta che la nave affondò negli abissi, Werner Hartenstein ordinò di fare rotta sul luogo dell’affondamento, per recuperare gli eventuali naufraghi: la sorpresa dell’equipaggio del sommergibile tedesco fu enorme quando udirono grida di aiuto in italiano tra i rottami affioranti. Recuperati i naufraghi, l’U156 trasmise al comando degli U-Boot la notizia e l’Ammiraglio Karl Doentiz ordinò ad altri due sottomarini tedeschi di raggiungere Hartenstein e recuperare i naufraghi; fu, inoltre, inviato il Sommergibile Cappellini, della Regia Marina italiana, comandato dal Tenente di Vascello Marco Revedin in supporto ai Tedeschi.
Il 16 settembre 1942, l’U156, con le scialuppe dei naufraghi a rimorchio, venne avvistato da un velivolo alleato mentre navigava in superficie: nonostante l’invio di messaggi radio “in chiaro” sulle frequenze inglesi di non attaccare il sommergibile poiché impegnato in una missione di soccorso (tra i naufraghi, vi erano anche soldati e marinai inglesi, donne e bambini), l’aereo sganciò due bombe che, cadendo nelle vicinanze dell’U-boot, solo fortunosamente non causarono danni. Il giorno seguente, avvistati due cargo francesi, i naufraghi furono trasbordati sulle due navi mercantili, così da lasciare liberi i sommergibili tedeschi impegnati, fino ad allora, nella missione di salvataggio; il 18 settembre, infine, le navi francesi, a loro volta, trasferirono i sopravvissuti sul Sommergibile Cappellini, che era ormai sopraggiunto. Alla fine di tutto, si contarono tra le 1600 e le 1700 vittime, per la stragrande maggioranza prigionieri di guerra italiani. Per quanto riguarda il destino dell’eroico comandante Hartenstein, il 12 marzo 1943 venne affondato da un aereo statunitense, mentre si trovava in navigazione nell’Oceano Atlantico.
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giovedì 12 settembre 2024
mercoledì 11 settembre 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è l'11 settembre.
L'11 settembre 831 Palermo viene conquistata dal mondo islamico.
Palermo non si chiamerebbe cosi se la città non fosse appartenuta al mondo arabo, come lo fu per due secoli.
Il nome, infatti "Panormus" (dal greco, "tutto porto") che la città portava sin da tempi antichi, dagli Arabi non fu inteso e perciò fu storpiato in "Balarmuh".
I Musulmani conquistarono la Sicilia sottraendola al dominio del loro grande rivale dell'epoca: l'impero di Bisanzio. Lontana dalla capitale Costantinopoli, l'isola mediterranea era una provincia sfruttata, come nei tempi romani, dal sistema latifondista e dalla monocoltura del grano.
Nel nono secolo la tendenza autonomista dell'ultimo governatore bizantino della Sicilia provocò e facilitò l'invasione musulmana. Le navi musulmane partirono da Suso (Tunisia) l'odierna Sousse per approdare a Mazara nell'827.
La conquista si protrae per molti anni prima che tutti i centri Siciliani fra cui la città capitale, Siracusa, e la roccaforte logistica nel centro dell'isola, Enna, passino in mano musulmana. La Sicilia viene quindi coinvolta dall'onda espansionistica dell'Islam che ad est ha già raggiunto l'Asia centrale e ad ovest la Spagna; politicamente farà parte di questo mondo fino a quando, nel 1061, vi giungono i cavalieri normanni alla ricerca di terre da conquistare.
I Musulmani, cioè "i fedeli in Dio", non si contraddistinguono per la unicità della razza oppure per una comune storia e cultura e tutto ciò che concorre a formare una nazionalità: sono bensì uniti da un unico concetto religioso - politico, l'Islam per l'appunto.
Sono quindi vari ceppi (Arabi, Berberi, Persiani) uniti dall'Islam che si sovrappongono alla popolazione siciliana già composita (i discendenti delle popolazioni più antiche quali Sicani, Siculi, Morgeti, mescolati con le popolazioni sopraggiunte in seguito quali Fenici, Greci, Elimi, Romani, Bizantini). Questi vivono sotto la dominazione musulmana che vede il susseguirsi di varie dinastie, le quali governano il territorio siciliano con diverse forme giuridiche di assoggettamento che vanno dall'autonomia alla schiavitù.
Alla popolazione pre-musulmana cristianizzata, almeno in larga misura, è concesso di conservare la propria fede, purché non venga manifestata in pubblico e soprattutto non davanti agli occhi dei Musulmani: tale tolleranza è frutto di una tassa che i cristiani devono versare nelle casse musulmane.
Mentre la Sicilia appartiene al mondo islamico, i Musulmani economicamente la risollevano dalla sua stasi tardo antica. Essi introducono un nuovo sistema di agricoltura, sostituendo la monocoltura del grano con la varietà delle coltivazioni da loro importate: riso, agrumi, cotone, canna da zucchero, palma dattilifera, grano duro, sorgo, carrubo, pistacchio, gelso, ortaggi (melanzane, spinaci, meloni), ecc.
Tecniche innovative contribuiscono al successo delle nuove colture. Maestri nello sfruttamento delle risorse idriche, gli Arabi sostengono le coltivazioni con efficientissimi sistemi di irrigazione.
La Sicilia, reinserita nella rete marittima di scambi commerciali, diviene il perno delle attività nel Mediterraneo e assurge ad un ruolo dominante che si protrae per gran parte del Medioevo. Come nell'antichità, l'agricoltura rimane la principale attività dei siciliani, certo con le nuove tecniche meglio supportata ed economicamente resa in maniera più redditizia grazie all'eccellente amministrazione ed a un nuovo tipo di fiscalismo.
Sostituendosi a Siracusa, la capitale siciliana bizantina, Palermo diventa la città principale del dominio musulmano nell'isola. A causa del carattere urbano della civiltà islamica Palermo precorre di vari secoli lo sviluppo urbanistico che in altre città europee avviene più tardi. La città islamica è il centro del potere ed ospita la corte dell'emiro e la casta militare e, oltre gli artigiani e i commercianti, vi svolgono un ruolo importante gli insegnanti, i religiosi, i letterati e i giuristi.
L'antica città, fondata nell' VIII secolo a.C. dai Fenici, era, al tempo della conquista musulmana, chiusa entro un perimetro di mura e torri. Nella parte più elevata della città, ad occidente, in prossimità delle mura i Musulmani costruiscono, probabilmente sul posto di precedenti fortificazioni, un palazzo poi chiamato "dei Normanni". Il palazzo diviene la prima sede governativa e tale rimane fino ai nostri giorni (attualmente è sede del Parlamento Regionale Siciliano). La città si arricchisce di nuove edificazioni e si espande al di là delle mura dell'antico nucleo.
Palermo raggiunge dimensioni davvero cospicue per un centro medievale. Si possono calcolare almeno 100.000 abitanti. Notevole è il numero delle istituzioni e delle infrastrutture: moschee (sia pubbliche che private), bagni (anch'essi pubblici e privati), il porto, l'arsenale, le mura e le porte, le fortificazioni, i mulini, i fondachi e i mercati. Verso il mare i Musulmani costruiscono, in alternativa al palazzo superiore, una seconda fortificazione allorquando, nel X secolo, per la travagliata successione dinastica, il governo fatimide si deve proteggere dalle ostilità della popolazione palermitana e da eventuali attacchi dal mare. La nuova cittadella, un vero centro militare e amministrativo, accoglieva il palazzo dell' emiro, il diwan (centro di amministrazione fiscale), l'arsenale, bagni e moschee.
Il carattere metropolitano che Palermo assume nel medioevo è esplicitato dall'organizzazione evoluta con cui viene gestita l'accresciuta dimensione della città nella quale, per esempio, i nuovi quartieri vengono affidati ai gruppi etnici, corporazioni o gruppi militari che vi abitano. L'amministrazione si occupava, oltre che delle istituzioni pubbliche (cui appartenevano anche gli edifici religiosi e politici), della ripartizione dei mestieri e dei commerci, del rifornimento idrico per i bagni (pubblici e privati), della pulizia delle strade.
L'immagine di Palermo nel periodo islamico splende nelle descrizioni fatte da viaggiatori che, in pellegrinaggio per la Mecca o in viaggio per motivi commerciali, in gran numero passavano per la capitale siciliana.
Oggi a Palermo non è rimasto alcun edificio islamico, un fatto molto sorprendente data l'importanza e la dimensione della città in quell'epoca. Chi abbia distrutto tutti i grandi o piccoli edifici e quando ciò sia avvenuto è difficile da chiarire. Certamente le prime distruzioni risalgono all' XI secolo, allorché i Normanni conquistarono la Sicilia. Ma poiché durante la reggenza normanna i Musulmani non furono repressi, anzi largamente coinvolti negli affari della monarchia cristiana, dall'artigiano all'amministratore di uffici pubblici, è difficile pensare che i Normanni abbiano sistematicamente distrutto ogni traccia della cultura architettonica dei loro concittadini; e lo è ancora di più considerando il fatto che proprio dal periodo normanno ci sono pervenute numerose testimonianze dell'abilita artistica dei Musulmani.
E' in seguito, nel periodo in cui la Sicilia fece parte del regno cattolico della Spagna, regno che fondava il proprio prestigio nella vittoria sui Musulmani della penisola iberica, che è possibile ipotizzare un clima iconoclasta che imponeva la distruzione di tutto ciò che rappresenta l'Islam e la sua gloria, prime fra tutto le moschee. Se, quindi, vogliamo andare alla ricerca della Palermo araba, dobbiamo munirci di spirito di esploratore e raccogliere tante piccole tessere per poi unirle in un quadro complessivo.
L'11 settembre 831 Palermo viene conquistata dal mondo islamico.
Palermo non si chiamerebbe cosi se la città non fosse appartenuta al mondo arabo, come lo fu per due secoli.
Il nome, infatti "Panormus" (dal greco, "tutto porto") che la città portava sin da tempi antichi, dagli Arabi non fu inteso e perciò fu storpiato in "Balarmuh".
I Musulmani conquistarono la Sicilia sottraendola al dominio del loro grande rivale dell'epoca: l'impero di Bisanzio. Lontana dalla capitale Costantinopoli, l'isola mediterranea era una provincia sfruttata, come nei tempi romani, dal sistema latifondista e dalla monocoltura del grano.
Nel nono secolo la tendenza autonomista dell'ultimo governatore bizantino della Sicilia provocò e facilitò l'invasione musulmana. Le navi musulmane partirono da Suso (Tunisia) l'odierna Sousse per approdare a Mazara nell'827.
La conquista si protrae per molti anni prima che tutti i centri Siciliani fra cui la città capitale, Siracusa, e la roccaforte logistica nel centro dell'isola, Enna, passino in mano musulmana. La Sicilia viene quindi coinvolta dall'onda espansionistica dell'Islam che ad est ha già raggiunto l'Asia centrale e ad ovest la Spagna; politicamente farà parte di questo mondo fino a quando, nel 1061, vi giungono i cavalieri normanni alla ricerca di terre da conquistare.
I Musulmani, cioè "i fedeli in Dio", non si contraddistinguono per la unicità della razza oppure per una comune storia e cultura e tutto ciò che concorre a formare una nazionalità: sono bensì uniti da un unico concetto religioso - politico, l'Islam per l'appunto.
Sono quindi vari ceppi (Arabi, Berberi, Persiani) uniti dall'Islam che si sovrappongono alla popolazione siciliana già composita (i discendenti delle popolazioni più antiche quali Sicani, Siculi, Morgeti, mescolati con le popolazioni sopraggiunte in seguito quali Fenici, Greci, Elimi, Romani, Bizantini). Questi vivono sotto la dominazione musulmana che vede il susseguirsi di varie dinastie, le quali governano il territorio siciliano con diverse forme giuridiche di assoggettamento che vanno dall'autonomia alla schiavitù.
Alla popolazione pre-musulmana cristianizzata, almeno in larga misura, è concesso di conservare la propria fede, purché non venga manifestata in pubblico e soprattutto non davanti agli occhi dei Musulmani: tale tolleranza è frutto di una tassa che i cristiani devono versare nelle casse musulmane.
Mentre la Sicilia appartiene al mondo islamico, i Musulmani economicamente la risollevano dalla sua stasi tardo antica. Essi introducono un nuovo sistema di agricoltura, sostituendo la monocoltura del grano con la varietà delle coltivazioni da loro importate: riso, agrumi, cotone, canna da zucchero, palma dattilifera, grano duro, sorgo, carrubo, pistacchio, gelso, ortaggi (melanzane, spinaci, meloni), ecc.
Tecniche innovative contribuiscono al successo delle nuove colture. Maestri nello sfruttamento delle risorse idriche, gli Arabi sostengono le coltivazioni con efficientissimi sistemi di irrigazione.
La Sicilia, reinserita nella rete marittima di scambi commerciali, diviene il perno delle attività nel Mediterraneo e assurge ad un ruolo dominante che si protrae per gran parte del Medioevo. Come nell'antichità, l'agricoltura rimane la principale attività dei siciliani, certo con le nuove tecniche meglio supportata ed economicamente resa in maniera più redditizia grazie all'eccellente amministrazione ed a un nuovo tipo di fiscalismo.
Sostituendosi a Siracusa, la capitale siciliana bizantina, Palermo diventa la città principale del dominio musulmano nell'isola. A causa del carattere urbano della civiltà islamica Palermo precorre di vari secoli lo sviluppo urbanistico che in altre città europee avviene più tardi. La città islamica è il centro del potere ed ospita la corte dell'emiro e la casta militare e, oltre gli artigiani e i commercianti, vi svolgono un ruolo importante gli insegnanti, i religiosi, i letterati e i giuristi.
L'antica città, fondata nell' VIII secolo a.C. dai Fenici, era, al tempo della conquista musulmana, chiusa entro un perimetro di mura e torri. Nella parte più elevata della città, ad occidente, in prossimità delle mura i Musulmani costruiscono, probabilmente sul posto di precedenti fortificazioni, un palazzo poi chiamato "dei Normanni". Il palazzo diviene la prima sede governativa e tale rimane fino ai nostri giorni (attualmente è sede del Parlamento Regionale Siciliano). La città si arricchisce di nuove edificazioni e si espande al di là delle mura dell'antico nucleo.
Palermo raggiunge dimensioni davvero cospicue per un centro medievale. Si possono calcolare almeno 100.000 abitanti. Notevole è il numero delle istituzioni e delle infrastrutture: moschee (sia pubbliche che private), bagni (anch'essi pubblici e privati), il porto, l'arsenale, le mura e le porte, le fortificazioni, i mulini, i fondachi e i mercati. Verso il mare i Musulmani costruiscono, in alternativa al palazzo superiore, una seconda fortificazione allorquando, nel X secolo, per la travagliata successione dinastica, il governo fatimide si deve proteggere dalle ostilità della popolazione palermitana e da eventuali attacchi dal mare. La nuova cittadella, un vero centro militare e amministrativo, accoglieva il palazzo dell' emiro, il diwan (centro di amministrazione fiscale), l'arsenale, bagni e moschee.
Il carattere metropolitano che Palermo assume nel medioevo è esplicitato dall'organizzazione evoluta con cui viene gestita l'accresciuta dimensione della città nella quale, per esempio, i nuovi quartieri vengono affidati ai gruppi etnici, corporazioni o gruppi militari che vi abitano. L'amministrazione si occupava, oltre che delle istituzioni pubbliche (cui appartenevano anche gli edifici religiosi e politici), della ripartizione dei mestieri e dei commerci, del rifornimento idrico per i bagni (pubblici e privati), della pulizia delle strade.
L'immagine di Palermo nel periodo islamico splende nelle descrizioni fatte da viaggiatori che, in pellegrinaggio per la Mecca o in viaggio per motivi commerciali, in gran numero passavano per la capitale siciliana.
Oggi a Palermo non è rimasto alcun edificio islamico, un fatto molto sorprendente data l'importanza e la dimensione della città in quell'epoca. Chi abbia distrutto tutti i grandi o piccoli edifici e quando ciò sia avvenuto è difficile da chiarire. Certamente le prime distruzioni risalgono all' XI secolo, allorché i Normanni conquistarono la Sicilia. Ma poiché durante la reggenza normanna i Musulmani non furono repressi, anzi largamente coinvolti negli affari della monarchia cristiana, dall'artigiano all'amministratore di uffici pubblici, è difficile pensare che i Normanni abbiano sistematicamente distrutto ogni traccia della cultura architettonica dei loro concittadini; e lo è ancora di più considerando il fatto che proprio dal periodo normanno ci sono pervenute numerose testimonianze dell'abilita artistica dei Musulmani.
E' in seguito, nel periodo in cui la Sicilia fece parte del regno cattolico della Spagna, regno che fondava il proprio prestigio nella vittoria sui Musulmani della penisola iberica, che è possibile ipotizzare un clima iconoclasta che imponeva la distruzione di tutto ciò che rappresenta l'Islam e la sua gloria, prime fra tutto le moschee. Se, quindi, vogliamo andare alla ricerca della Palermo araba, dobbiamo munirci di spirito di esploratore e raccogliere tante piccole tessere per poi unirle in un quadro complessivo.
martedì 10 settembre 2024
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 10 settembre.
Il 10 settembre la religione romana celebrava la nascita di Esculapio, Dio della Medicina.
Asclepio, che i Romani conobbero col nome di Esculapio, nell’antica Grecia era il dio della medicina. Figlio di Apollo e di Coronide, fu affidato dal padre al centauro Chirone che gli insegnò l’arte medica. Avendo poi osato richiamare in vita i morti, fu fulminato da Zeus.
Gli attributi di Asclepio erano il bastone, il rotolo di libro, il fascio di papaveri, ma soprattutto il serpente; secondo una leggenda un serpente gli avrebbe portato l’erba miracolosa che servì per risuscitare Ippolito, il figlio di Teseo, e dopo la sua morte Asclepio e il serpente furono posti in cielo, raffigurati nelle costellazione di Ofiuco o Serpentario e del Serpente. La moglie di Asclepio era Salute e la sua sacerdotessa era Panacea, “colei che tutto guarisce”.
Asclepio in Grecia, Esculapio a Roma, dio patrono della medicina, non appartiene alla schiera degli dei prettamente olimpici. Non è chiaro se in origine fosse una divinità sotterranea (ossia demoniaca) della Tracia oppure, analogamente a quanto successo con Imhotep in Egitto, un uomo realmente vissuto che per le benemerenze acquisite nel guarire le malattie sia stato in seguito divinizzato.
Secondo Pindaro, Asclepio era stato generato da Apollo nel grembo di Coronide, figlia di Flegia, re dei Tessali, allorché Coronide, prima di aver partorito, s’innamorò di un comune mortale di nome Ischi. Apollo, furioso per il tradimento, fece trafiggere l’infedele da Artemide con una delle sue frecce infallibili. Quando però la salma di Coronide si stava già consumando nelle fiamme del rogo, Apollo le strappò dal grembo il frutto del loro amore, Asclepio.
Secondo Esiodo, invece, la madre sarebbe stata Arsinoe, una delle figlie di Leucippo.
Salvato il figlio, Apollo lo affida al centauro Chirone, che lo alleverà e lo istruirà nella medicina.
Si racconta che, a ricordo della sua nascita fra le fiamme, un alone di luce avrebbe circondato il corpo del ragazzo, suscitando lo sgomento dei rozzi pastori vaganti sul monte Pelio, regno di Chirone.
Fattosi adulto, Asclepio, a differenza di tanti altri eroi educati da Chirone, non sceglie il mestiere delle armi, ma mette a profitto le lezioni di Chirone per alleviare le sofferenze del genere umano.
La leggenda narra che Asclepio avrebbe guarito dalla pazzia le Pretidi, dalla cecità i Fineidi, dalle ferite Ercole.
Ma poi cresce la sua ambizione: vuole sconfiggere la morte che sovrasta la vita. Si mette a risuscitare i morti: Orione, Capaneo, Ippolito, Tindareo ed altri. Con ciò, però, sorpassa la misura imposta da Zeus ai mortali, crea uno squilibrio, e Zeus lo fulmina.
La fine del figlio suscitò però la collera di Apollo: in un impeto di rabbia uccise i Ciclopi, che avevano forgiato le folgori di Zeus, e poi abbandonò per molto tempo l’Olimpo.
Il primo luogo di culto di Asclepio era una grotta presso Tricca, dove sotto il simbolo del suo attributo principale, il serpente, dava oracoli.
Poi il culto si estese ad Epidauro, che ne doveva diventare il centro principale, a Coo, ad Atene e a tutto il mondo ellenico. A lui furono dedicate le feste Asclepiee o Asclepiadee; a lui fece risalire la propria origine la gente degli Asclepiadi, che esercitarono tutti l’arte medica, fra i quali lo stesso Ippocrate, il più famoso medico dell’antichità.
I santuari dedicati ad Asclepio, i cosiddetti Asclepiei, erano costituiti da una fonte o un pozzo, circondati da un bosco sacro, e dalla clinica, chiamata adyton. Sappiamo poco sulla prassi medica seguita in quei luoghi, anche a causa dei misteri che la circondavano. I malati passavano una notte nell’adyton; dopo un sogno, ottenuto probabilmente con mezzi artificiali, seguiva la guarigione. Essa però sicuramente non era effetto della potenza taumaturgica del luogo sacro o soltanto frutto della suggestione, ma anche di interventi chirurgici e di medicine propinate. Dalla moglie Lampezia – secondo altri, da Epiona – Asclepio avrebbe avuto quattro figlie (Igea, cui furono dedicati altari, quale personificazione della salute; Panacea, che guariva tutte le malattie; Iaso, la quale, invece, le provocava; Egle, che fu ritenuta madre delle Grazie) e due figli (Macaone, che fu ucciso da Euripilo all’assedio di Troia, e Podalirio che, per la sua singolare perizia medica, fu fatto signore del Chersoneso e ascritto nel novero degli dei).
All’inizio, Asclepio venne raffigurato giovane e imberbe, ma poi si passò a rappresentarlo come un uomo nel pieno vigore, il viso circondato da una folta barba e soffuso di un’espressione di mitezza e bontà. I suoi attributi sono lo scettro, la verga e il rotolo di libro. Gli erano sacri il serpente che lambisce le ferite e, per lo stesso motivo, il cane e le oche. Sacro gli era anche il gallo, simbolo del giorno e della vita che rinascono.
Con una sublime identificazione della morte con la guarigione dal male della vita, Socrate morente, come ci riferisce Platone nel Fedone, pregò gli amici che si sacrificasse un gallo ad Asclepio: “E già la parte inferiore del ventre veniva ormai raffreddandosi, quando si scoperse il volto che già era stato coperto e disse ancora queste parole (le ultime da lui pronunciate): 0 Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio; dateglielo, e cercate di non dimenticarvene”. In Roma il culto di Asclepio-Esculapio fu introdotto ufficialmente dopo la pestilenza del 293 a. C. Allora si consultarono i libri sibillini, i quali diedero come responso che la peste sarebbe scomparsa soltanto se fosse venuto Asclepio da Epidauro. Il Senato mandò dunque una legazione, ma quelli di Epidauro erano incerti sulla decisione da prendere. Nella notte, però, Asclepio apparve al capo della legazione romana, assicurandolo che il giorno dopo sarebbe partito con lui. E difatti, quando i legati si furono raccolti nel tempio del dio, un serpente uscì da un sotterraneo e li seguì fin sulla nave per venire in Italia. Quando, al termine del viaggio, la nave, risalendo il Tevere, giunse all’altezza dell’isola Tiberina, il serpente abbandonò la nave e si rifugiò su quell’isoletta. Interpretando il fenomeno come desiderio di Asclepio che colà dovesse sorgere il suo santuario romano, il Senato romano lo fece costruire nel punto dell’isola Tiberina dove oggi si trova la chiesa di S. Bartolomeo.
Affermatosi il culto di Asclepio anche a Roma (si sa, i medici stranieri sono sempre reputati migliori!!), furono trascurate le quattro divinità indigene che prima presiedevano alla salute: Strenua, Cardea, Febris e Salus; quest’ultima finiva per essere identificata con Igea, figlia di Asclepio.
Il 10 settembre la religione romana celebrava la nascita di Esculapio, Dio della Medicina.
Asclepio, che i Romani conobbero col nome di Esculapio, nell’antica Grecia era il dio della medicina. Figlio di Apollo e di Coronide, fu affidato dal padre al centauro Chirone che gli insegnò l’arte medica. Avendo poi osato richiamare in vita i morti, fu fulminato da Zeus.
Gli attributi di Asclepio erano il bastone, il rotolo di libro, il fascio di papaveri, ma soprattutto il serpente; secondo una leggenda un serpente gli avrebbe portato l’erba miracolosa che servì per risuscitare Ippolito, il figlio di Teseo, e dopo la sua morte Asclepio e il serpente furono posti in cielo, raffigurati nelle costellazione di Ofiuco o Serpentario e del Serpente. La moglie di Asclepio era Salute e la sua sacerdotessa era Panacea, “colei che tutto guarisce”.
Asclepio in Grecia, Esculapio a Roma, dio patrono della medicina, non appartiene alla schiera degli dei prettamente olimpici. Non è chiaro se in origine fosse una divinità sotterranea (ossia demoniaca) della Tracia oppure, analogamente a quanto successo con Imhotep in Egitto, un uomo realmente vissuto che per le benemerenze acquisite nel guarire le malattie sia stato in seguito divinizzato.
Secondo Pindaro, Asclepio era stato generato da Apollo nel grembo di Coronide, figlia di Flegia, re dei Tessali, allorché Coronide, prima di aver partorito, s’innamorò di un comune mortale di nome Ischi. Apollo, furioso per il tradimento, fece trafiggere l’infedele da Artemide con una delle sue frecce infallibili. Quando però la salma di Coronide si stava già consumando nelle fiamme del rogo, Apollo le strappò dal grembo il frutto del loro amore, Asclepio.
Secondo Esiodo, invece, la madre sarebbe stata Arsinoe, una delle figlie di Leucippo.
Salvato il figlio, Apollo lo affida al centauro Chirone, che lo alleverà e lo istruirà nella medicina.
Si racconta che, a ricordo della sua nascita fra le fiamme, un alone di luce avrebbe circondato il corpo del ragazzo, suscitando lo sgomento dei rozzi pastori vaganti sul monte Pelio, regno di Chirone.
Fattosi adulto, Asclepio, a differenza di tanti altri eroi educati da Chirone, non sceglie il mestiere delle armi, ma mette a profitto le lezioni di Chirone per alleviare le sofferenze del genere umano.
La leggenda narra che Asclepio avrebbe guarito dalla pazzia le Pretidi, dalla cecità i Fineidi, dalle ferite Ercole.
Ma poi cresce la sua ambizione: vuole sconfiggere la morte che sovrasta la vita. Si mette a risuscitare i morti: Orione, Capaneo, Ippolito, Tindareo ed altri. Con ciò, però, sorpassa la misura imposta da Zeus ai mortali, crea uno squilibrio, e Zeus lo fulmina.
La fine del figlio suscitò però la collera di Apollo: in un impeto di rabbia uccise i Ciclopi, che avevano forgiato le folgori di Zeus, e poi abbandonò per molto tempo l’Olimpo.
Il primo luogo di culto di Asclepio era una grotta presso Tricca, dove sotto il simbolo del suo attributo principale, il serpente, dava oracoli.
Poi il culto si estese ad Epidauro, che ne doveva diventare il centro principale, a Coo, ad Atene e a tutto il mondo ellenico. A lui furono dedicate le feste Asclepiee o Asclepiadee; a lui fece risalire la propria origine la gente degli Asclepiadi, che esercitarono tutti l’arte medica, fra i quali lo stesso Ippocrate, il più famoso medico dell’antichità.
I santuari dedicati ad Asclepio, i cosiddetti Asclepiei, erano costituiti da una fonte o un pozzo, circondati da un bosco sacro, e dalla clinica, chiamata adyton. Sappiamo poco sulla prassi medica seguita in quei luoghi, anche a causa dei misteri che la circondavano. I malati passavano una notte nell’adyton; dopo un sogno, ottenuto probabilmente con mezzi artificiali, seguiva la guarigione. Essa però sicuramente non era effetto della potenza taumaturgica del luogo sacro o soltanto frutto della suggestione, ma anche di interventi chirurgici e di medicine propinate. Dalla moglie Lampezia – secondo altri, da Epiona – Asclepio avrebbe avuto quattro figlie (Igea, cui furono dedicati altari, quale personificazione della salute; Panacea, che guariva tutte le malattie; Iaso, la quale, invece, le provocava; Egle, che fu ritenuta madre delle Grazie) e due figli (Macaone, che fu ucciso da Euripilo all’assedio di Troia, e Podalirio che, per la sua singolare perizia medica, fu fatto signore del Chersoneso e ascritto nel novero degli dei).
All’inizio, Asclepio venne raffigurato giovane e imberbe, ma poi si passò a rappresentarlo come un uomo nel pieno vigore, il viso circondato da una folta barba e soffuso di un’espressione di mitezza e bontà. I suoi attributi sono lo scettro, la verga e il rotolo di libro. Gli erano sacri il serpente che lambisce le ferite e, per lo stesso motivo, il cane e le oche. Sacro gli era anche il gallo, simbolo del giorno e della vita che rinascono.
Con una sublime identificazione della morte con la guarigione dal male della vita, Socrate morente, come ci riferisce Platone nel Fedone, pregò gli amici che si sacrificasse un gallo ad Asclepio: “E già la parte inferiore del ventre veniva ormai raffreddandosi, quando si scoperse il volto che già era stato coperto e disse ancora queste parole (le ultime da lui pronunciate): 0 Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio; dateglielo, e cercate di non dimenticarvene”. In Roma il culto di Asclepio-Esculapio fu introdotto ufficialmente dopo la pestilenza del 293 a. C. Allora si consultarono i libri sibillini, i quali diedero come responso che la peste sarebbe scomparsa soltanto se fosse venuto Asclepio da Epidauro. Il Senato mandò dunque una legazione, ma quelli di Epidauro erano incerti sulla decisione da prendere. Nella notte, però, Asclepio apparve al capo della legazione romana, assicurandolo che il giorno dopo sarebbe partito con lui. E difatti, quando i legati si furono raccolti nel tempio del dio, un serpente uscì da un sotterraneo e li seguì fin sulla nave per venire in Italia. Quando, al termine del viaggio, la nave, risalendo il Tevere, giunse all’altezza dell’isola Tiberina, il serpente abbandonò la nave e si rifugiò su quell’isoletta. Interpretando il fenomeno come desiderio di Asclepio che colà dovesse sorgere il suo santuario romano, il Senato romano lo fece costruire nel punto dell’isola Tiberina dove oggi si trova la chiesa di S. Bartolomeo.
Affermatosi il culto di Asclepio anche a Roma (si sa, i medici stranieri sono sempre reputati migliori!!), furono trascurate le quattro divinità indigene che prima presiedevano alla salute: Strenua, Cardea, Febris e Salus; quest’ultima finiva per essere identificata con Igea, figlia di Asclepio.
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