Cerca nel web

lunedì 10 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 10 febbraio.

Il 10 febbraio 2006 si inaugurano i Giochi Olimpici Invernali di Torino.

Venerdì 10 febbraio 2006. Erano passate da poco le 20, quando, con un colpo di maglio, Yuri Chechi dava inizio alla Cerimonia d’apertura della XX edizione dei Giochi Olimpici invernali. Un momento che presto sarebbe entrato nella storia. Torino e il Piemonte si trovarono improvvisamente al centro del mondo, con un successo in termini promozionali e d’immagine che proseguì ben oltre le settimane di gare, rafforzato dai risultati delle Paralimpiadi.

Eppure la candidatura per organizzare l’Olimpiade era partita quasi per scommessa, sull’entusiasmo dei Mondiali di sci alpino 1997 di Sestriere. Tra i fautori di un progetto che all’inizio era stato considerato quasi un azzardo, il generale dei Carabinieri Franco Romano. L’idea venne incoraggiata dall’avvocato Giovanni Agnelli e il dossier olimpico prese forma fino alla vittoria finale, ottenuta durante l’assemblea plenaria del Comitato olimpico internazionale tenutasi il 19 giugno 1999 a Seul, quando il presidente Samaranch pronunciò le parole “The winner is Torino”.

Ottenere l’organizzazione dei Giochi a scapito della favorita svizzera Sion fu un successo anche della nostra diplomazia sportiva, oltre che di un dossier accattivante per i suoi contenuti innovativi e per il coinvolgimento di una metropoli e della sua corona di montagne: Torino e dieci sedi alpine di gara o di allenamento nelle valli Susa e Chisone.

Sul piano sportivo, le emozioni per l’Italia non sono state poche: le imprese di Armin Zoeggeler nello slittino, di Enrico Fabris nei 1500 metri e della squadra azzurra nell’inseguimento a squadre del pattinaggio di velocità e dei fondisti, la medaglia nella staffetta 4x10 km e l’inebriante trionfo di Giorgio Di Centa nella 50 km. Come sono indimenticabili le cerimonie di apertura e chiusura nello Stadio Olimpico di Torino: spettacoli di musiche, colori e scenografie, una bambina che canta l’inno di Mameli, l’esibizione di grandi artisti.

A Sergio Chiamparino, allora sindaco di Torino, brillano gli occhi quando si ricorda quel periodo: “Avverto ancora l’emozione di aver vissuto un’esperienza straordinaria, iniziata con il ritiro della bandiera a cinque cerchi a Salt Lake City e culminata con la sua consegna agli organizzatori di Vancouver 2010. Mi rimangono la soddisfazione e l’orgoglio per aver contribuito a realizzare un evento che ha comportato un salto di qualità nella percezione a livello internazionale di Torino e del Piemonte e che ha lasciato alla città e al territorio una cospicua eredità”.

“I vari palazzetti del capoluogo - puntualizza Chiamparino - sono stati da subito impiegati per grandi eventi, concerti, convention e manifestazioni sportive. Il villaggio olimpico è per metà adibito ad abitazione ed è sede dell’Arpa, l’altra metà dovrà essere ristrutturata e la sua vicinanza con il grattacielo della Regione e il nuovo Parco della Salute e della Scienza ne farà una collocazione ambita. Forzando l’indebitamento della Città al limite consentito si sono potuti effettuare importanti investimenti a livello culturale e costruire la linea 1 della metropolitana, che si attendeva da decenni e che senza le Olimpiadi forse non sarebbe mai stata realizzata. Mi rendo conto che la gestione degli impianti montani ha comportato invece alcuni problemi”.

Ma il presidente non dimentica quella che definisce “l’eredità immateriale: è sotto gli occhi di tutti che il turismo a Torino e in Piemonte è cresciuto proprio grazie al nuovo posizionamento internazionale dovuto alle Olimpiadi, che hanno consentito di far conoscere ed apprezzare le eccellenze storiche, culturali e paesaggistiche di tutto il territorio”.

Giovanni Malagò, attuale presidente del Coni, ritiene che i Giochi del 2006 “sono passati alla storia come un’Olimpiade riuscita, con un livello organizzativo eccellente che ci ha dato credito anche negli anni successivi e che oggi rappresenta uno dei pilastri per dimostrare che noi italiani siamo capaci di fare le cose fatte bene. Sono state Olimpiadi con tantissime luci e poche ombre, con risultati finanziari molto positivi e investimenti che oggi rimangono sul territorio e che sono oggettivamente un pilastro della vita non solo sportiva ma anche sociale ed economica della città”.

Evelina Christillin, oggi presidente di Enit e del Museo Egizio ed allora presidente esecutivo del comitato promotore di Torino 2006, la sensazione più intensa la provò a Seul: “Avevamo portato a casa un risultato che sembrava impossibile, battendo la grande favorita Sion. Eravamo una ventina a lavorare in quel comitato, ci avevamo messo l’anima per un anno e mezzo, ma sembrava talmente difficile spuntarla e pochi al di fuori di noi ci credevano davvero. Ma ce l’abbiamo fatta e sono stati Giochi apprezzati in tutto il mondo, preparati in sette anni molti intensi, che hanno evitato di fare sprofondare Torino nel declino ed hanno restituito orgoglio e senso di appartenenza ai suoi cittadini.

Prima delle Olimpiadi invernali pochi in Asia o in America sapevano davvero dov’erano Torino ed il Piemonte, ora la città e la regione sono diventate una meta turistica. Ed un altro bellissimo lascito olimpico sono stati i volontari: è stata costruita una rete sociale straordinaria che è ancora in buona parte attiva per tante manifestazioni”. Un altro motivo di orgoglio è il fatto che “il comitato organizzatore di Pechino 2022 si rivolga proprio a noi per avere indicazioni sull’allestimento dei loro Giochi: vuol dire che Torino 2006 è una best practice riconosciuta”.

Stefania Belmondo, pluricampionessa dello sci di fondo con all’attivo 10 medaglie olimpiche e 13 mondiali, ha un altro trofeo di cui va fiera: aver portato la fiaccola nell’ultimo tratto della cerimonia di apertura. “Essere l’ultima tedofora ed accendere il tripode di un’Olimpiade nella mia regione – racconta - è stata un’emozione incredibile. Era una possibilità e lo sapevo, naturalmente, ma non ero affatto certa che sarebbe toccato proprio a me. C’era la concorrenza di Alberto Tomba e di altri atleti. Perciò è stata grandissima l’emozione quando mi è stata comunicata dai responsabili la decisione”.

Belmondo ricorda poi la concentrazione degli ultimi metri una volta arrivata vicino al braciere olimpico, nonostante tutti i chilometri percorsi sulle piste da sci. “Portare una fiaccola non è un’impresa così difficile, ma con tutta quella gente a guardarti l’emozione diventa enorme, specie se ti trovi nella tua terra. Per Torino e il Piemonte le Olimpiadi sono state una vetrina eccezionale, un susseguirsi di eventi bellissimi che di sicuro hanno lasciato un segno”.

Per lo svolgimento dei Giochi vennero realizzati o ristrutturati diversi impianti: a Torino l’Oval per il pattinaggio di velocità, il Palavela per il pattinaggio artistico, il Palasport per l’hockey su ghiaccio e lo Stadio Olimpico per le cerimonie di apertura e chiusura, a Pinerolo lo Stadio del ghiaccio per il curling, a Cesana le piste per bob, slittino e skeleton, a Bardonecchia quella per lo snowboard, a Pragelato la pista per lo sci di fondo e salto con gli sci, mentre Sestriere e Sansicario ospitarono lo sci alpino. Ad essi si affiancarono i villaggi olimpici di Torino, Bardonecchia, Pragelato e Sestriere. Vennero realizzate anche diverse “opere connesse”, infrastrutture necessarie allo svolgimento dei Giochi pensate per qualificare l’offerta turistico-sportiva dei comprensori sciistici, come le seggiovie di Cesana, Claviere, Prali e Chiomonte, il centro sportivo di Giaveno, il parco urbano di Pinerolo.

Dopo le gare le maggiori criticità si registrarono in montagna, a causa dei costi di gestione elevati e dello scarso utilizzo di alcune strutture, come la pista di bob, il cui impianto di refrigerazione è stato svuotato e messo in sicurezza nell’autunno 2012, ed i trampolini per il salto con gli sci.

Proprio per amministrare il patrimonio mobiliare ed immobiliare delle Olimpiadi, Regione Piemonte, Comune e Provincia di Torino, ora Città metropolitana, e Coni costituirono la Fondazione 20 marzo 2006 (la data è quella successiva alla fine delle Paralimpiadi), nota anche come Torino 2006 Olympic Park - TOP, nella quale furono poi inseriti anche i Comuni olimpici e che è attualmente presieduta da Francesco Avato della Regione Piemonte.

Il 5 ottobre dello stesso anno venne costituita la società Parcolimpico srl, attualmente partecipata per il 90% da Set Up e per il 10% dalla Fondazione, alla quale è stata affidata la gestione dei siti olimpici mediante l’organizzazione di attività ed eventi di natura sportiva, culturale e sociale. Un esempio su tutti, i numerosi concerti di grandi artisti internazionali che si sono succeduti a Torino in questi anni.

Con l’entrata in vigore della legge n.65/2012 alla Fondazione è stato affidato il compito di utilizzare le risorse rimaste per la manutenzione straordinaria e la riqualificazione degli impianti, con particolare riguardo all’efficientamento energetico. L’esecuzione dei lavori viene invece demandata a Scr Piemonte, la società di committenza della Regione.

Il primo stralcio, ammontante a 33 milioni di euro, ha consentito di avviare il rinnovo degli impianti energetici dei Palaghiaccio di Torino, Pinerolo e Torre Pellice, dove il ricorso alle energie rinnovabili permetterà di dimezzare i costi di gestione, la costruzione di una centralina idroelettrica a Prali per favorire l’innevamento artificiale, la riqualificazione degli stadi del freestyle e del biathlon, la messa in sicurezza delle piste di Chiomonte, il ripristino della pista Orsiera a Sestriere, la sostituzione di numerosi generatori di neve con materiale di nuova generazione che ne aumentano del 30% il rendimento. 

Gli stanziamenti della legge hanno generato anche importanti investimenti dei gestori privati, come gli 11 milioni della Sestrieres spa per la riqualificazione del comprensorio della Via Lattea ed i 4 milioni della Colomion spa per il miglioramento del comprensorio di Bardonecchia. Con gli 8 milioni di disponibilità finanziaria del 2015 sono stati decisi ulteriori interventi a Bardonecchia, nella Via Lattea ed a Torino. La Fondazione ha inoltre deliberato l’avvio di uno studio di fattibilità per la riqualificazione della pista da bob di Cesana e del trampolino e della pista di fondo di Pragelato.

Per estendere la ricaduta economica e di immagine dei Giochi a tutto il territorio venne elaborato il Programma regionale delle infrastrutture sportive e turistiche Piemonte 2006, con lo scopo di realizzare interventi capaci di promuovere e strutturare turisticamente e sportivamente anche le aree non olimpiche, con particolare attenzione ai comprensori sciistici. Oltre 100 le opere finanziate: il lungo elenco comprende, tra gli altri, l’impianto polivalente di Novara, la piscina scoperta di Arona, l’approvvigionamento idrico di Orta San Giulio e Pella, seggiovie e nuovi impianti a Limone Piemonte, Entracque, Frabosa Soprana e Sottana e nelle valli del Canavese, la ristrutturazione dell’ex Enofila ad Asti, la sistemazione della viabilità intorno al Colle don Bosco, la riqualificazione del sistema escursionistico biellese e dl piazzale di accesso al Santuario di Oropa, la messa in sicurezza delle strade che portano alla stazione sciistica di Bielmonte, la riqualificazione del comprensorio Domobianca con impianti di risalita, postazioni per l’innevamento artificiale e interventi sulle piste, il recupero del monastero di Santa Chiara a Vercelli e dell’abbazia di Lucedio a Trino.

domenica 9 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

 

Buongiorno, oggi è il 9 febbraio.

Il 9 febbraio 1955 venne inaugurata a Roma la prima metropolitana italiana.

La prima metropolitana italiana venne costruita a Roma e inaugurata il 9 febbraio 1955. Il primato appartiene alla Capitale, nonostante Napoli fosse dotata già dal 1925 di un passante ferroviario denominato "metropolitana FS". Quest’ultimo però non aveva le caratteristiche necessarie, sia per il sistema di esercizio che per la costruzione, per essere considerato un vero e proprio metrò.

Il progetto iniziale, nato sotto il regime fascista, doveva collegare il centro della Capitale al quartiere dell’Eur in occasione dell’esposizione universale del 1942 (poi annullata a causa della guerra).

Nel 1955 viene previsto un vettore ogni quattro minuti per un trasporto di circa ventimila passeggeri all’ora.

Questa prima linea di metro collegava la stazione Termini a Laurentina, capolinea che, però, dovrà attendere fino al 1990 per diventare pienamente operativo. 

Alla cerimonia del taglio del nastro parteciparono il presidente della Repubblica, Luigi Einaudi  e il primo cittadino di Roma, Salvatore Rebecchini.

Molte polemiche accompagnarono la costruzione di questa prima linea. Durante la realizzazione degli scavi, infatti, intere zone archeologiche andarono distrutte

L’inaugurazione tardiva venne causata anche dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. In quegli anni, i tunnel non terminati vennero utilizzati come rifugi antiaerei. 

Il 16 febbraio 1980 venne aperta tra le stazioni di Cinecittà e di Ottaviano la linea A.

Di conseguenza, pur essendo precedente, la linea Termini-Laurentina  venne denominata linea B.

Dopo una serie di prolungamenti delle linee A e B, a metà anni Duemila sono iniziati i lavori per la realizzazione della linea C.

Come per i precedenti cantieri, le tempistiche si sono allungate enormemente a causa di inchieste e di ritrovamenti archeologici durante gli scavi. Caso, quest’ultimo, della stazione dell’Amba Aradam, tra San Giovanni e Colosseo.

Il primo tratto della linea C, Monte Compatri/Pantano-Parco di Centocelle, è dotato di vetture senza conducente ed è stato inaugurato il 9 novembre 2014.

La nuova stazione di San Giovanni, interscambio tra la linea C e la linea A, è stata inaugurata il 12 maggio 2018.

Quest’ultima è stata pensata come un vero e proprio museo, all’interno del quale sono stati esposti una parte dei reperti rinvenuti negli scavi della metropolitana.

Attualmente è in corso la costruzione della stazione della linea C in piazza Venezia.

sabato 8 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'8 febbraio.

L'8 febbraio 1848 Carlo Alberto, sull'onda della protesta popolare, promette lo Statuto Albertino, che verrà pubblicato il 4 marzo successivo.

Lo Statuto Albertino, chiamato anche Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia del 4 marzo 1848 fu proclamato dal re dei Savoia Carlo Alberto. Lo Statuto, redatto in francese, può essere anche definito come la costituzione del Regno di Sardegna. Questo importante documento è rimasto in vigore dal marzo 1848 al biennio 1944-1946, nel momento in cui l'Italia con un referendum sceglie la forma di governo repubblicana, abbandonando la forma governativa monarchica.

Lo statuto Albertino è il primo documento simile a una costituzione in Italia, che decretò a partire dal 1848 i vari diritti e doveri del popolo.

Venne redatto da una commissione nominata dal re ed entrò in vigore nel 1848.

Lo Statuto Albertino si ispirava alle costituzioni francesi e per questo motivo fu scritto in lingua francese.

Questo documento è una carta costituzionale flessibile perché può essere facilmente modificato con una legge ordinaria.

Le principali caratteristiche dello Statuto Albertino sono:

- è una carta costituzionale concessa dal re;

- è una costituzione breve perché stabilisce i principi dell'organizzazione costituzionale e le norme in materia di diritti e doveri dei cittadini;

- sancisce come forma di governo la monarchia;

- stabilisce che la carica del capo di Stato (il sovrano) è “ereditaria secondo la legge salica”;

- assegna il potere esecutivo al re;

- assegna il potere giudiziario al re;

- assegna il potere legislativo al re;

- concede il diritto di voto solo ad una ristretta cerchia di individui (cittadini di sesso maschile, dotati di una certa cultura e di un determinato patrimonio);

- si impegna a garantire l’uguaglianza formale dei sudditi;

- prevede come bandiera nazionale un vessillo con coccarda azzurra;

- garantisce la libertà di stampa, ma con alcune limitazioni;

Le prime Costituzioni in Italia risalgono alla fine del 1700 e s’ispirarono ai principi delle Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fratellanza).

Con il tramonto dell’Impero Napoleonico ebbe inizio anche in Italia la Restaurazione che riportò in vita il potere assoluto dei sovrani.

Contro di questo insorsero i patrioti del Risorgimento che portarono i sovrani a concedere la costituzione.

Al termine del periodo rivoluzionario il solo stato italiano in cui la Costituzione rimase in vita fu il Piemonte dove Carlo Alberto nel 1848 aveva concesso lo Statuto Albertino.

Nel 1861 lo Statuto Albertino fu esteso a tutta l’Italia come un dono che il re faceva ai suoi sudditi.

Lo Statuto Albertino era flessibile e di tipo monarchico: il re comandava l’esercito; era a capo del governo; nominava i ministri; creava con il parlamento le leggi; i giudici amministravano la giustizia in suo nome.

Durante il fascismo Mussolini cambiò alcune leggi dello statuto e instaurò in Italia la dittatura che mantenne fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Quando nel 1945 avvenne la liberazione dell’Italia da parte degli Alleati, i partiti antifascisti formarono un governo provvisorio presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi.

Il 2 giugno 1946 tutti i cittadini italiani furono chiamati ad eleggere con suffragio universale (votano tutti i maggiorenni e anche le donne per la prima volta), l’Assemblea Costituente cioè un gruppo di persone che avrebbe dovuto scrivere una nuova Costituzione in sostituzione dello Statuto Albertino e con referendum scegliere tra Monarchia e Repubblica. L’Assemblea Costituente elesse Enrico De Nicola capo provvisorio della Repubblica italiana appena nata.

La nuova Costituzione scritta in due anni entrò in vigore il primo gennaio 1948.

Tornando allo Statuto Albertino, lo Stato liberale si affermò dunque anche in Italia. Nel 1848 l'Europa venne travolta da rivolte e tumulti che ebbero ripercussioni anche sul territorio italiano, che all'epoca non era ancora stato riunificato. Sulla scia di questi moti popolari, il 4 marzo 1848, il Re Carlo Alberto di Savoia concesse agli abitanti del Regno di Sardegna uno «Statuto»: lo Statuto Albertino.

Nello statuto il Re concedeva:

- Diritti di libertà e di proprietà.

- L'istituzione di una camera in cui la borghesia potesse eleggere i propri rappresentanti.

In merito alla garanzia dei diritti dei singoli, lo statuto si ispirava alla Dichiarazione dei diritti emanata all'inizio della rivoluzione francese.

I diritti di natura economica erano quelli che più interessavano la borghesia, esprimevano l'esigenza che lo stato si astenesse dall'intervenire nell'economia e che quindi lasciasse fare i privati.

Lo statuto Albertino si ispirava al principio della separazione dei poteri di Montesquieu, quindi attribuiva:

-Il potere esecutivo al Re.

-Il potere legislativo al Re, al senato (eletto dal Re) e alla camera dei deputati (eletta dal popolo a suffragio maschile ristretto).

-Il potere giudiziario ai giudici.

I requisiti necessari per votare la camera dei deputati erano:

- Requisito culturale, quindi potevano votare solo gli uomini in grado di saper leggere e scrivere.

- Requisito censitario, ovvero legato al censo, quindi consisteva nel pagare una certa imposta sul reddito.

Detto ciò si può ben intuire che il diritto di voto era concesso solo alle classi più benestanti.

Il suffragio universale maschile sarà concesso nel 1912 con Giolitti.

Il suffragio universale sarà concesso solo nel 1946, per la scelta tra Monarchia e Repubblica.

Era quindi una Costituzione concessa dall'alto, senza alcuna consultazione democratica. Lo stesso termine di "Statuto" fu preferito a "Costituzione", per ribadire il fatto che era il re a limitare i propri poteri, anche se in qualche modo vi era costretto dalle pressioni popolari. Era inoltre flessibile, ossia modificabile con legge ordinaria, e relativamente breve, ossia sintetica e piuttosto generica nel regolare i rapporti fra Stato e cittadini e nel definire l'ordinamento dello Stato.

I diritti dei cittadini erano proclamati in nove articoli dello Statuto (dal 24 al 32); erano riconosciute le libertà fondamentali, ossia la libertà di stampa e di opinione, di riunione, l'inviolabilità del domicilio, la proprietà privata, il diritto di uguaglianza. Si trattava, però, di un riconoscimento formale, in uno Stato che, fondandosi sul suffragio ristretto, riconosceva il diritto di voto al 2% della popolazione. L'ampiezza dei diritti poteva inoltre essere limitata per legge o per ragioni di polizia e pubblica sicurezza. Per quanto riguarda la libertà religiosa, lo Statuto riconosceva la religione cattolica come religione di Stato, dichiarando di "tollerare" le altre religioni. Anche se con dei limiti, la "tolleranza" proclamata dallo Statuto permise il riconoscimento dei diritti civili e politici alle minoranze religiose, come gli ebrei e i valdesi.

Lo Statuto albertino pose le basi per uno Stato liberale e monarchico, prevedendo la separazione dei poteri, ma attribuendoli tutti al re, che li esercitava congiuntamente con gli altri organi costituzionali:

• il potere legislativo era esercitato dal re e dal Parlamento, formato dalla Camera dei deputati, eletta a suffragio ristretto su base censitaria, e dal Senato del Regno, composto da membri nominati a vita dal sovrano: un sistema bicamerale, quindi, in cui il re manteneva il diritto di veto sulle leggi approvate dalle Camere. L'unico forte potere di controllo che lo Statuto riservava al Parlamento era l'obbligo di sottoporre qualsiasi normativa in materia tributaria alla preventiva approvazione della Camera dei deputati;

• il potere esecutivo spettava esclusivamente al re, che poteva nominare e revocare i ministri secondo il proprio volere;

• il potere giurisdizionale competeva alla Magistratura, formata da funzionari nominati dal re, che amministravano la giustizia in suo nome.

Cerca nel blog

Archivio blog