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lunedì 12 maggio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 maggio.

Il 12 maggio 1957 durante la Mille Miglia, muoiono il pilota Alfonso De Portago, il copilota e 9 spettatori.

 Che tragedia, alla Mille Miglia quell'anno: in quel di Guidizzolo, la Ferrari 335 S guidata da Alfonso De Portago si abbatté sugli alberi e falciò gli spettatori, uccidendone nove. Morti sul colpo anche il pilota e il copilota Edmund Nelson. Un costo umano spaventosamente alto e fine di una competizione leggendaria che dal 1927 si era interrotta solo negli anni della Guerra. Un macigno anche sulla pur granitica corazza di Enzo Ferrari che, già prostrato dalla morte di Eugenio Castellotti appena due mesi prima, divenne inoltre obiettivo di strali assai velenosi da parte di stampa, politici e opinione pubblica, oltre a dover sopportare una indagine giudiziaria dalla quale uscirà assolto ben quattro anni dopo. Ma cosa successe, quella drammatica mattina?

La Ferrari stava letteralmente dominando. In testa Collins seguito da Taruffi, Von Trips, De Portago e Gendebien. Al rifornimento di Bologna non c’era più l’americano, ritiratosi. C’era invece il Drake in persona che dispose il mantenimento di tali posizioni e un’andatura di conserva. L’intento era quello di “consentire” la vittoria del grande Taruffi ormai a fine carriera. Nel mantovano, all’altezza di Mormirolo, la vettura di De Portago affrontò ad alta velocità una curva strisciando con gli pneumatici sugli occhi di gatto che fungevano da linea di mezzeria. Fu la miccia dell’incidente: pochi chilometri più avanti uno pneumatico Englebert esplose rendendo ingovernabile l’auto che, finita nel fossato a destra, ne fuoriuscì saltando l'intera carreggiata e schiantandosi sul ciglio sinistro ove erano assiepati molti spettatori. L'incidente provocò la morte degli occupanti la vettura e di nove spettatori, tra cui cinque bambini, oltre a numerosi feriti. Sul luogo della strage fu successivamente eretto un monumento commemorativo sulla SS236. Enzo Ferrari, in una sua nota successiva, adombrerà l’ipotesi secondo la quale De Portago, a seguito di una informativa sbagliata fornitagli da un giornalista, avesse continuato a tenere un’andatura sostenuta per guadagnare almeno una posizione.

In seguito a quella tragedia le corse motoristiche di velocità furono pesantemente limitate sull'intero territorio nazionale. La XII Milano-Taranto, che si sarebbe dovuta svolgere dieci giorni dopo, fu annullata.

Alfonso Cabeza de Vaca, marchese di Portago, conte di Mejorada (madre irlandese) aveva appena 29 anni: bello, ricco e nobile era un pilota play boy. Ma attenzione: era molto bravo e veloce nonché  sportivo a tutto tondo: oltre alle auto si era dedicato con successo al nuoto, all’ippica e al bob (fu olimpionico a Cortina). Le foto del tempo lo ritraggono spesso con una sigaretta tra le labbra. Uno Steve Mc Queen degli anni ’50. Le Ferrari lo affascinavano, tanto da competere e vincere nel 1954 a Nassau e a Metz con una Rossa Sport di proprietà. Nel 1955 divenne pilota pagante del Cavallino facendosi rispettare: finì davanti a  Phil Hill a Nassau e si classificò secondo dietro Fangio al GP del Venezuela. Nel 1956 il debutto in F1 al GP di Francia dove colse i primi punti (secondo) condividendo l’auto con Collins al GP di Gran Bretagna; stessa cosa nel fatidico 1957 al GP di Argentina, quinto con Gonzales sempre su Ferrari-Lancia D50. Era il 13 gennaio, era in ascesa. Vinse ancora il Tour de France e il GP del Portogallo a Oporto, poi la Mille Miglia del destino. 

Oggi De Portago riposa nel Cimitero di Arcangues, nell'Aquitania.


 

domenica 11 maggio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'11 maggio.

L'11 maggio 2016 il Parlamento Italiano approva la legge Cirinnà, Le Unioni Civili diventano una realtà anche in Italia.

Tanto discussa quanto attesa, la Legge Cirinnà - che prende il nome dalla senatrice del Pd Monica Cirinnà, prima firmataria dell'iniziativa parlamentare in questione - è stata approvata nel 2016 ed è entrata in vigore dal mese di giugno dello stesso anno. L'istituto riconosce dal punto di vista giuridico la coppia di fatto formata da persone dello stesso sesso, estendendo anche alle coppie omosessuali gran parte dei diritti e dei doveri previsti per il matrimonio e modificando lo stato civile dei componenti della coppia stessa.

Tuttavia questa legge affonda le sue radici nel 1986, quando in Italia fu proposto un istituto giuridico simile per iniziativa delle parlamentari comuniste e dell'Arcigay: furono, infatti, la senatrice Ersilia Salvato e le deputate Romana Bianchi e Angela Bottari ad aprire, per la prima volta, la discussione sulle unioni civili nelle rispettive Camere di appartenenza.

La prima vera proposta, però, arrivò soltanto due anni dopo, nel 1988, quando Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista, presentò la cosiddetta Disciplina sulla famiglia di fatto, che non fu mai calendarizzata per la discussione perché adombrava in una certa misura il riconoscimento delle coppie omosessuali. Ma non solo: la proposta presentata dalla Cappiello fu ribattezzata sulla stampa come "matrimonio di serie B".

Negli anni Novanta il numero di proposte di legge presentate alla Camera e al Senato si moltiplicò, così come il numero di inviti da parte del Parlamento Europeo a parificare le coppie gay ed eterosessuali, nonché le coppie conviventi e sposate. Tutti questi tentativi, però, si arenarono anche a causa del veto posto dalla Chiesa cattolica, che nel corso degli anni ha continuato a influenzare inevitabilmente le forze politiche in gioco. La storia, purtroppo, si ripete anche alle porte del nuovo millennio.

Siamo nel 2003, precisamente a settembre, quando il Parlamento Europeo approva una risoluzione sui diritti umani in Europa in cui viene ribadita la richiesta agli Stati membri "di abolire qualsiasi forma di discriminazione - legislativa o de facto - di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all'adozione". Tuttavia bisognerà aspettare altri tredici anni per poter parlare ufficialmente di diritti e doveri delle coppie di fatto.

Arriviamo a giugno 2014 quando, con la XVII legislatura, viene depositata una prima proposta di legge sulle unioni civili da parte dell'onorevole Monica Cirinnà (Pd), nominata relatrice. Il Governo Renzi, a questo punto, interviene con forza nel dibattito e decide di accelerare i tempi cercando l'accordo politico all'interno della maggioranza. Pertanto il 23 febbraio 2016 viene presentato un maxi emendamento che raccoglie, quasi integralmente, il disegno di legge Cirinnà per l'istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Il nuovo testo prevede, dunque, diritti e doveri sostanzialmente identici a quelli previsti per il matrimonio, ad eccezione della cosiddetta stepchild adoption: sulla possibilità di adottare il figlio naturale del partner, infatti, viene posto un veto da parte dell'ala cattolica e conservatrice della maggioranza, cruciale dopo il voltafaccia del Movimento 5 Stelle. Il testo modificato viene quindi approvato in prima lettura dal Senato nella seduta del 25 febbraio 2016 e il disegno di legge passa all'esame della Camera il 9 maggio dello stesso anno. Infine, la legge sulle unioni civili viene approvata in via definitiva l'11 maggio 2016.

La Legge Cirinnà stabilisce che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni, scegliendo se vogliono di assumere un cognome comune per la durata stessa dell'unione. L'atto di costituzione di quest'ultima viene registrato nell'archivio dello stato civile del Comune e porta con sé diritti e doveri specifici, come l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, e alla coabitazione.

Inoltre entrambe le parti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, sono tenute a contribuire ai bisogni comuni e a concordare l'indirizzo della vita familiare. Infine, se le parti non optano per la separazione dei beni, il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è quello della comunione dei beni.

I decreti attuativi della legge 76/2016 sono stati approvati dal Governo Renzi nel novembre 2016 e, dopo aver ottenuto il parere favorevole da parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio di Camera e Senato, sono stati confermati in via definitiva da parte del Governo Gentiloni.

Nei tempi successivi all'approvazione della legge sono stati raccolti numeri significativi, che parlano da sé: come testimoniato dalla stessa Monica Cirinnà, infatti, a soli due anni dall'entrata in vigore della 76/2016 sono state celebrate ben 1.514 unioni civili in Lombardia, di cui 799 solo a Milano. Al secondo posto troviamo il Lazio, con 915 unioni, di cui 845 a Roma.

sabato 10 maggio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 10 maggio.

Il 10 maggio 2007 Tony Blair, primo capo di un governo laburista in Regno Unito, annuncia le sue dimissioni.

Il 27 giugno del 2007 Tony Blair si dimise da tutti gli incarichi politici che ricopriva: leader del Partito Laburista, primo ministro del Regno Unito e deputato. Da dieci anni guidava il governo britannico e da tredici il Partito Laburista. Nella sua carriera era riuscito a cambiare radicalmente la sinistra britannica e influenzare quella di tutto il resto d’Europa. Aveva ottenuto alcune delle vittorie elettorali più sonanti della storia del Regno Unito, nonostante il suo partito venisse da decenni di umilianti sconfitte, lasciandosi alle spalle un’eredità politica ancora oggi molto discussa. A farlo cadere furono soprattutto la scelta di affiancare il presidente americano George W. Bush nella guerra in Iraq e un patto vecchio di 13 anni sottoscritto con Gordon Brown, il suo più grande alleato e rivale insieme, che lo avrebbe sostituito alla guida del Regno Unito.

Blair e Brown, all’epoca i due politici emergenti più forti del Partito Laburista, si erano incontrati nel 1994 nel ristorante Granita di Islington, un quartiere a nord di Londra. Pochi giorni prima era morto il leader del partito John Smith e i due stavano discutendo di come organizzare la sua successione. Dall’incontro uscì un accordo per evitare di farsi la guerra e spartirsi il potere all’interno del partito. Blair sarebbe diventato il nuovo leader e quindi il candidato primo ministro, perché giudicato quello che aveva più possibilità di vincere. In caso di vittoria Brown sarebbe divenuto cancelliere dello Scacchiere, cioè ministro dell’Economia, e avrebbe avuto ampi poteri sulla politica interna. I dettagli dell’accordo non vennero mai resi pubblici, ma a quanto sembra Blair accettò di cedere la leadership a Brown in qualche momento del futuro.

Le cose però andarono diversamente. Alle elezioni del 1997 Blair stravinse, ottenendo 13,5 milioni di voti, il 43 per cento del totale. Per la prima volta dopo 18 anni, i Laburisti tornarono al potere e lo fecero con una delle maggioranza più ampie che si fossero mai viste. Durante la campagna elettorale, Blair si era rivelato un leader estremamente abile e popolare. Approfittò delle divisioni nel Partito Conservatore per portare avanti un programma centrista (disse che i Laburisti erano un partito di “centro radicale”). Cercò di recuperare voti dai conservatori delusi e ci riuscì benissimo. Terminati i conteggi, il Partito conservatore si ritrovò con meno di metà dei seggi che aveva fino al giorno prima.

Negli anni successivi, Blair continuò a diventare sempre più popolare. Mantenne la promessa di spostare il partito verso il centro, soprattutto sui temi economici. Criticò i sindacati, che in certi momenti storici erano arrivati a dominare il partito, e mantenne in vigore la riforma del settore di Margaret Thatcher, che molti volevano abolire. Introdusse le “tuition fee”, le rette universitarie piuttosto care che sono in vigore ancora oggi, ma cercò comunque di non scontentare l’elettorato tradizionale del partito e investire molto nella sanità e nella scuola pubblica. Introdusse per la prima volta il salario minimo e portò avanti numerose politiche ambientaliste. Con una serie di successi alle spalle e una popolarità che nessun politico aveva dai tempi di Margaret Thatcher, Blair si candidò nuovamente alle elezioni del 2001 e vinse ancora una volta.

Non è chiaro quando, ma sembra evidente che a un certo punto di questa serie di successi Brown abbia ritenuto che il suo patto con Blair – il “Granita Pact”, nel gergo della politica britannica – fosse stato tradito. Blair non sembrava avere intenzione di lasciare il suo incarico e di rispettare il misterioso accordo di Islington. Le riunioni dei ministri iniziarono a diventare uno scontro continuo tra i sostenitori di Brown e quelli di Blair. Diversi politici che parteciparono a quelle riunioni hanno raccontato che era come se ci fosse una «frattura» dentro il governo laburista e che per i ministri del partito «era come essere figli di due genitori che litigano». Raramente però l’opinione pubblica assistette a manifestazioni plateali di questo dissenso: Brown e Blair si mostravano sempre vicini e solidali, anche se “dietro le quinte” lo scontro diventava sempre più profondo.

Nel 2004, all’epoca del decimo anniversario del patto che Brown riteneva essere stato tradito, Blair commise quello che molti hanno ritenuto il suo più grave errore politico, almeno sul piano del consenso personale. All’epoca era sotto pesanti pressioni politiche per aver coinvolto il Regno Unito nella guerra in Iraq voluta da George W. Bush, sulla base di prove che apparivano inconsistenti sulla presenza di armi di distruzione di massa e sulla volontà del regime di Saddam Hussein di utilizzarle ancora come in passato. Molti elettori erano scontenti anche delle difficoltà che stavano incontrando le truppe di occupazione, dei soldati morti e feriti e del disordine che continuava a perdurare in Iraq.

In calo di popolarità e sotto la pressione dei sostenitori di Brown, Blair annunciò che avrebbe partecipato alle successive elezioni del 2005, che in caso di vittoria avrebbe governato per un intero mandato e che poi avrebbe ceduto il posto al suo successore. Come scrisse l’allora giornalista politico di BBC Nick Assinder, la mossa gli permise di prendere tempo – molti immaginavano che Blair si sarebbe ritirato prima delle elezioni del 2005 – ma lo rese anche politicamente più debole: un leader che promette di ritirarsi in cinque anni, infatti, perde potere contrattuale e politico ogni giorno che passa e può essere spinto a ritirarsi anche prima. Blair riuscì a ottenere una terza storica vittoria, nel 2005, ma perse più di 60 deputati rispetto al 2001; i sostenitori di Brown iniziarono da subito a chiedergli di accelerare le sue dimissioni.

Blair cercò di resistere, ma non ci riuscì a lungo. Al ritorno dalle ferie estive del 2006 durante un’intervista fece intendere che sarebbe rimasto primo ministro per almeno un altro paio d’anni, forse di più. I sostenitori di Brown nel governo si dimisero, Blair ricevette una lettera di critiche firmata da numerosi parlamentari ed ebbe un burrascoso incontro con Brown. Non si dimise subito ma a settembre disse che avrebbe lasciato il suo incarico entro un anno. Otto mesi dopo si dimise, tra le polemiche sempre più forti per la sua decisione di combattere in Iraq e sotto la pressione di Brown e dei suoi sostenitori, impazienti di prendere la guida del partito.

Il 10 maggio del 2007 Blair annunciò che il mese successivo si sarebbe dimesso. Nel suo discorso finale, tenuto al sede del partito di Trimdon, Blair parlò per 17 minuti. Chiese scusa per le sue mancanze da leader e per le speranze e le promesse suscitate e non mantenute. Disse che il popolo britannico era speciale e che il Regno Unito è il più grande paese del mondo. Alla fine del discorso disse: «Con la mano sul cuore, vi dico che ho sempre fatto quello che pensavo fosse giusto. Posso aver sbagliato, sarete voi a giudicarmi. Ma ho sempre fatto quello che ho ritenuto fosse il meglio per il nostro paese».

Brown fu tra i primi a congratularsi con lui: «Penso di parlare per milioni di persone quando dico che ciò che ha ottenuto Tony Blair è senza precedenti, unico e che durerà a lungo», disse. Come previsto, il giorno stesso, il 27 giugno, divenne leader del partito e quindi primo ministro: nel sistema britannico il primo ministro è il leader del partito di maggioranza parlamentare. Brown rimase in carica poco meno di tre anni; alle elezioni del 2010, infatti, i laburisti persero la maggioranza a vantaggio dei Conservatori. Cercarono di allearsi con i Libdem per formare una maggioranza, ma senza successo perché questi si allearono con i Conservatori di Cameron. Il giorno stesso Brown diede le sue dimissioni da tutti i suoi incarichi. Alla guida del partito gli successe Ed Miliband. Da allora, i laburisti sono riusciti a vincere le elezioni solo nel 2024, con Keir Starmer; Brown, come Blair, si è ritirato dalla vita politica britannica.

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