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lunedì 18 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 18 marzo.
Il 18 marzo 1871 nasce la Comune di Parigi.
La Comune di Parigi, è il governo rivoluzionario popolare e operaio istituito dal popolo parigino nella capitale francese a seguito della rivoluzione scoppiata il 18 marzo 1871 dopo la sconfitta francese a Sédan, si colloca in una situazione di ampi mutamenti nella storia d'Europa, era la cosiddetta "svolta dell'anno '70", caratterizzata in particolare dalla guerra franco/prussiana, con il crollo dell'impero di Napoleone III e la costituzione di quello tedesco, dall'annessione di Roma al regno d'Italia e dalla trasformazione del principio di nazionalità in nazionalismo.
Il 2 settembre 1870 l'imperatore Napoleone III, sconfitto nella battaglia di Sedan si arrese ai prussiani; due giorni dopo i repubblicani di Parigi con una rivoluzione incruenta proclamarono la nascita della Terza Repubblica, resistendo al nemico sino al gennaio del 1871, quando la capitale fu costretta a capitolare dopo un assedio di quattro mesi.
Entro l'assemblea nazionale, la maggioranza dei delegati (per lo più monarchici) era disposta ad accettare i termini del trattato di pace imposti dal primo ministro prussiano Otto von Bismarck, considerati invece umilianti da repubblicani e socialisti radicali, decisi a riprendere le armi.
Il timore della restaurazione della monarchia dopo la sconfitta favorì pertanto la costituzione a Parigi di un governo rivoluzionario: il 17 e il 18 marzo il popolo parigino organizzò un'insurrezione contro il governo nazionale, instaurando un governo del popolo, presieduto da un Comitato centrale della guardia nazionale, che inizialmente non ebbe, o perlomeno non ebbe prevalentemente, un carattere Socialista, e fissando per il 26 marzo le elezioni di un Consiglio municipale, noto con il nome di "Comune di Parigi" (i membri del Consiglio furono chiamati "comunardi").
I settanta membri della Comune appartenevano a diverse correnti politiche: la maggioranza era costituita da giacobini, altri erano seguaci del rivoluzionario Louis-Auguste Blanqui, altri ancora erano rivoluzionari indipendenti, o radicali. La minoranza era invece composta da seguaci di Pierre-Joseph Proudhon, membri della sezione francese dell'Associazione internazionale dei lavoratori.
Il 26 marzo 1871 la componente Socialista del Comitato centrale della guardia nazionale ebbe però il sopravvento su quella borghese conservatrice-repubblicana, favorevole a un'intesa col Thiers (capo delle forze "repubblicane" conservatrici attestate a Versailles), e così, per la prima volta nella storia, si verificò e realizzò una concreta presa di potere da parte del proletariato con l'instaurazione di un regime proletario.
Tuttavia, stretta nella morsa della guerra civile, assediata sempre più da vicino dall'esercito del Thiers, la Comune non poté attuare il suo programma socialista se non in misura minima, e alla fine, l'esperimento proletario fu soffocato nel sangue.
Nei suoi pochi giorni di vita la Comune propose misure a beneficio dei lavoratori e votò provvedimenti quali la separazione della Chiesa dallo Stato e la socializzazione delle fabbriche abbandonate dagli imprenditori. Tali misure però non entrarono in realtà mai in vigore, in parte per le frizioni che ben presto emersero tra le varie componenti della Comune, ma anzitutto per l'intervento dell'esercito regolare ordinato dall'assemblea nazionale. Per sei settimane a partire dal 2 aprile, Parigi fu bombardata dalle forze governative; le sue difese furono piegate all'inizio di maggio.
Dopo circa un mese di assedio, il 21 maggio 1871 le truppe guidate dal Thiers entrarono in Parigi, dando inizio alla tristemente famosa "settimana di sangue" che con grande crudeltà la reazione borghese portò a compimento, culminando l'azione di cruenta repressione (21-28 maggio) con l'esecuzione di 20.000 Patrioti Comunardi e l'arresto di altri 38.000, di cui migliaia furono poi deportati nella Nuova Caledonia.

domenica 17 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 17 marzo.
Il 17 marzo 45 a.C. Giulio Cesare vince la sua ultima battaglia, nei pressi di Munda.
Nel 46 a.C., mentre Rola festeggiava la vittoria di Cesare in terra d'Africa, a Tapso, i seguaci di Pompeo, sconfitti, si erano raccolti nella Spagna meridionale e avevano organizzato un esercito. Questo fu possibile perché il governatore cesariano Quinto Cassio Longino amministrava il territorio con tirannia, provocando così l'indignazione dei comuni spagnoli.
In questo modo i figli di Pompeo, Gneo e Sesto, che erano fuggiti dal nord-Africa con Labieno e Attio Varo, trovarono in Spagna un campo d'azione ben preparato. In breve tempo i Pompeiani riuscirono a mettere insieme una forza di ben tredici legioni, reclutate prevalentemente fra la popolazione locale. Un esercito potente, tanto da indurre i due legati inviati da Cesare a rifiutare lo scontro, avendo a loro disposizione truppe più deboli.
All'inizio di novembre del 46 a.C., Cesare decise di recarsi in Spagna con due legioni. In diciassette giorni, con una marcia di 90 chilometri al giorno, raggiunse Saguntum, a nord di Valencia, e dieci giorni dopo era nell'accampamento di Obulco, a est della città di Cordova occupata dai nemici.
Cesare aveva a disposizione un valoroso esercito composto da quattro legioni di veterani, quattro legioni di nuova formazione e ottomila cavalieri. Gli avversari, però, con truppe di poco inferiori, occupavano, a sud e a sud-ovest di Cordova, le città più importanti; un vantaggio che rese enormemente più difficile la campagna invernale di Cesare.
La città di Ulia, a sud di Cordova, fedele a Cesare, era da mesi assediata da Gneo Pompeo e prossima alla capitolazione. La situazione poté essere sbloccata con un abile manovra. Cesare si diresse contro Cordova e costrinse gli assediati ad abbandonare Ulia e ad accorrere in aiuto della capitale. L'iniziativa, tuttavia, non provocò una svolta decisiva, anche perché i Pompeiani si sottrassero costantemente allo scontro aperto.
Nella metà di gennaio del 45 a.C., Cesare pose l'assedio alla città di Ategua, utilizzata dal nemico come deposito di scorte. Gneo Pompeo giunse con il suo esercito nelle vicinanze, senza però tentare nessun attacco per alleggerire la pressione sulla città. Il 19 febbraio, dopo diverse settimane d'assedio, abbandonata al suo destino dalle stesse legioni pompeiane, la città di Ategua capitolò.
Dopo questo fatto i comuni spagnoli cominciarono a diffidare della disponibilità a combattere dei loro protettori pompeiani. Questi si spostarono verso sud e immediatamente Cesare si mise alle loro spalle. A Gneo Pompeo e Labieno non lasciò il tempo di rafforzare le loro truppe. I Pompeiani, per evitare lo sfaldamento della loro forza, si videro costretti ad affrontare una battaglia decisiva.
Il mattino del 17 marzo 45 a.C., presso Munda, l'odierna Montilla, i due eserciti si scontrarono in battaglia.
Contro le ottanta coorti e gli ottomila cavalieri di cesare, i Pompeiani opponevano una forza di combattimento numericamente superiore, ed occupavano anche una posizione favorevole, sui pendii di una catena di colline, in attesa dell'attacco dei Cesariani dalla pianura.
Si trattò di una delle più dure battaglie affrontate da Cesare. I Pompeiani assaltarono venendo giù dai pendii e riuscirono ad aprirsi un varco nella falange nemica. Cesare, vedendo lo sbandamento delle sue formazioni, si lanciò di persona nel combattimento in prima linea.
Il suo esempio ebbe l'effetto di fermare le barcollanti legioni. Decisivo fu però l'attacco di uno squadrone di cavalleria al fianco destro e alle spalle dei Pompeiani. Per mettersi sulla difensiva, Labieno fece arretrare in tutta fretta cinque coorti, e questo fu scambiato dai combattenti pompeiani per l'inizio della ritirata.
Nella confusione, Cesare approfittò per l'attacco decisivo e di colpo le sorti della battaglia si rovesciarono. Alla sera la vittoria di Cesare era assicurata, suggellando l'ultima terribile sconfitta dei Pompeiani. Questi ultimi lasciarono sul terreno trentamila morti, fra cui anche Tito Labieno e Attio Varo. Gneo Pompeo venne bloccato durante la fuga e ucciso in combattimento.
Cesare rimase nelle province spagnole fino al giugno del 45 a.C.

sabato 16 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 16 marzo.
Il 16 marzo 1190 ha inizio la Terza Crociata.
La Terza Crociata venne bandita dal papa Gregorio VIII che, salito al soglio pontificio alla morte di Urbano III, rimase papa per soli 2 mesi. Alla sua morte gli succedette Clemente III. La motivazione di questa nuova spedizione, fu la caduta di Gerusalemme avvenuta per opera del condottiero turco Saladino, che con una serie di grandi vittorie aveva esteso il proprio dominio sull’Egitto e su una parte dell’Arabia. A differenza dei suoi avversari crociati, Saladino non massacrava le popolazioni delle città vinte, anzi, concedeva ai superstiti, dietro pagamento di un modesto riscatto di poter tornare in patria; solo chi non era in grado di pagare quanto richiesto veniva trattenuto come schiavo. Ma in seguito egli abolì anche questa richiesta, permettendo a chiunque aveva determinate capacità o disponeva di una propria attività di sostentamento, di rimanere come uomo libero ad esercitare la sua professione.
Sebbene a questa crociata parteciparono in prima persona il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone, il re di Francia Filippo II e l’Imperatore di Germania Federico I Barbarossa, non vi furono risultati rilevanti. Troppi erano infatti i motivi di attrito tra le varie componenti nazionali, che giunsero a combattersi tra loro per il possesso di alcuni dei territori conquistati. Il rapporto più ambiguo fu quello che intercorse tra Riccardo Cuor di Leone e Filippo II, che ebbe come conseguenza finale l’abbandono della crociata da parte del re di Francia.
Alla luce di questi eventi, Gerusalemme rimase in mano turca, anche se ai cristiani residenti veniva concesso libero accesso alla Città Santa. Per la prepotenza e la violenza dimostrata dalle truppe cristiane L’imperatore Bizantino Isacco Angelo si vide costretto ad allearsi in più occasioni con i Turchi, poiché si era reso conto che la presenza degli occidentali comportava più danni che vantaggi, convincendosi inoltre che anziché aiutarli, i crociati era meglio combatterli.
Dopo il ritiro dalla scena di Filippo II di Francia, Riccardo Cuor di Leone raggiunse un accordo di pace con Saladino. Ma sulla via del ritorno, la sua flotta venne dispersa da una burrasca ed egli, scampato al naufragio, venne catturato e consegnato a Enrico VI che lo imprigionò. Più tragica fu la fine dell’Imperatore Federico I, che annegò durante l’attraversamento di un fiume, e lasciò quindi il proprio esercito allo sbando. Egli era partito da Ratisbona nel maggio del 1190 e alla testa di un numeroso esercito iniziò una marcia di trasferimento in territorio balcanico tra mille difficoltà. Le voci allarmistiche messe in giro dagli agenti dell’Imperatore bizantino Isacco Angelo, fecero si che l’esercito tedesco trovasse sul suo cammino solo città e villaggi abbandonati e privi di ogni genere di sussistenza, riducendo così l’armata imperiale di Federico I ad un branco di iene affamate. Ma Isacco non aveva tenuto conto delle conseguenze che questa sua iniziativa avrebbe potuto causare. L’imperatore germanico inviò alcuni ambasciatori presso l’imperatore bizantino affinché egli provvedesse a far pervenire gli aiuti necessari al sostentamento delle proprie forze e a fargliene trovare altri lungo il percorso che ancora rimaneva da fare. Isacco Angelo, anziché ascoltare la missione diplomatica, la fece imprigionare. Federico I, intuito il doppio gioco che l’imperatore bizantino stava esercitando nei confronti degli eserciti occidentali, scrisse al figlio in Italia di procurarsi una flotta e raggiungere la Grecia.
La notizia che l’esercito tedesco stava dirigendo via mare su Costantinopoli, allarmò Isacco, che preso dal panico inviò propri ambasciatori presso il Barbarossa con gli aiuti richiesti, e acconsentendo a fargli trovare altri approvvigionamenti lungo il percorso. Si disse anche disponibile a trasportare via mare l’armata in Asia Minore. Qui sbarcato, Federico I si trovò a dover affrontare nuovamente dei problemi di approvvigionamento, causati dal mancato mantenimento dei patti da parte dei governatori locali, che si rifiutavano di consegnare i viveri pattuiti all’esercito tedesco. Di fronte all’ennesimo tradimento egli diede l’ordine di saccheggiare il paese, rifocillando in tal modo le sue truppe e proseguendo quindi la marcia fino a raggiungere le rive del fiume Salef, in Cilicia. Il 10 giugno del 1190 volle rinfrescarsi nelle acque di un piccolo corso d’acqua, ma mentre si trovava in acqua, colpito forse da una crisi cardiaca, Federico I Barbarossa scomparve nelle acque del torrente, ricomparendo ormai privo di vita qualche decina di metri più a valle. Il suo esercito, privo di altri condottieri in grado di proseguire la spedizione, fece a più riprese ritorno in patria, decimato dalle diserzioni.
La morte di Federico I diede un po' di respiro a Saladino, che si ritrovava con un forte avversario in meno da affrontare. La sua posizione rimaneva comunque molto critica: in aprile il re di Francia Filippo II era sbarcato con il suo esercito nei pressi di Acri, mentre agli inizi di giugno, ad aumentare le sue preoccupazioni ci pensò il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone che giunse via mare con la sua armata. In Terra Santa, Guido di Lusignano riuscì ad organizzare l’assedio di Acri, senza tuttavia ottenere risultati apprezzabili, conseguenza dell’ottima organizzazione dei difensori. Anche con l’arrivo dei crociati francesi di Filippo II, le cose non cambiarono e la città continuava a resistere con fierezza. A risolvere la situazione, il 10 giugno del 1191, giunse il grosso dell’esercito crociato costituito dalle truppe inglesi guidate dal loro re Riccardo Cuor di Leone. Volendo risolvere in fretta la questione di Acri, egli cercò di trovare un accordo per una soluzione pacifica con Saladino, che però, a causa di vari motivi non fu raggiunto. Il 12 luglio, il re inglese diede inizio all’attacco, riuscendo a superare le difese musulmane e riconquistando la città. I 2.700 difensori di Acri presi prigionieri con circa 300 loro familiari, vennero trucidati senza pietà dai cavalieri cristiani. Ciò era in aperto contrasto con il trattamento più umano riservato da Saladino ai cristiani di Gerusalemme, nessuno dei quali venne assassinato dopo la caduta della città.
In agosto Riccardo Cuor di Leone iniziò la sua marcia verso Gerusalemme e il 7 settembre sconfisse le forze di Saladino presso Arsuf; occupò quindi la città di Jaffa e verso novembre si trovava con il proprio esercito a pochi chilometri da Gerusalemme. La città era molto ben difesa dai saraceni e quindi molto meno facile di Acri da conquistare. Anche in questo caso il re tentò di intavolare delle trattative per una soluzione pacifica del conflitto, ma senza risultato. Ma i veri problemi erano all’interno della coalizione cristiana: nello schieramento crociato erano infatti riesplosi gli antichi odi tra genovesi, pisani, e veneziani, tra francesi ed inglesi, tra le forze di Guido di Lusignano e Corrado di Monferrato. Il primo ad abbandonare la crociata fu il re di Francia Filippo II, che con una scusa, lasciò il campo tornando in patria. Altri gruppi componenti l’esercito cristiano fecero ritorno ad Acri dove diedero il via ad una serie di scontri per il possesso della città, che quando ricadde in mani musulmane risultava dominata da 16 diverse famiglie feudali. Rimasto solo davanti a Gerusalemme, Riccardo Cuor di Leone, continuò le sue trattative con Saladino, addivenendo ad un accordo che faceva di Gerusalemme una città aperta ad ogni popolo e ad ogni religione. Quindi intraprese il viaggio del ritorno in patria, nel corso del quale, fece naufragio sulle coste dell’Istria. Catturato ed accusato di aver fatto accordi con gli infedeli, anziché riconquistare Gerusalemme, venne imprigionato in Austria dall’Imperatore Enrico VI. Con questo atto ebbe termine la Terza Crociata.

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