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venerdì 26 luglio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 luglio.
Il 26 luglio 1983 fu un'altra torrida giornata di quell'estate terribile, la più rovente registrata nell'Europa meridionale.
L'estate di quest'anno si sta rivelando finora molto dinamica e a tratti estrema per le ondate di caldo dal Sahara, che a tratti puntano l'Italia senza eccessi. Siamo però appena a metà del cammino dell'estate e per un bilancio definitivo bisognerà attendere il resto di luglio e tutto agosto.
Negli ultimi anni è aumentata la frequenza di ondate di calore dal Sahara che si susseguono in serie. A proposito di singole ondate di calore di forza estrema, quella del luglio 1983 fu di proporzioni davvero bibliche ed è forse la più intensa che abbia mai colpito l'Italia e parte dell'Europa Centrale e meridionale nel periodo coperto dalle misurazioni meteoclimatiche.
L'evento si verifico dopo un forte El Niño. Ci trovavamo all'incirca in questi stessi giorni di 41 anni fa ed era la fine della seconda decade del mese di luglio del 1983 quando una massa d'aria terribilmente calda, schiacciata dall'alta pressione di matrice nord-africana, investì l'Italia ad iniziare dalla Sardegna.
A quest'epoca le ondate di calore non erano frequenti come avviene ora, ma potevano tuttavia essere d'intensità estrema. Il caldo assunse connotati di assoluta eccezionalità in Sardegna, dove si raggiunsero valori termici davvero da capogiro.
A Capo San Lorenzo, sulla costa est, la temperatura subì un'impennata da +30°C del primissimo pomeriggio a +47°C in un paio d'ore. Nel Campidano (Sardara) si ebbero picchi di +47°C, così nelle zone più calde del sassarese (Chilivani) e nuorese (Ottana) fino a +48°C.
Il 22 luglio ad Alghero Fertilia furono misurati +41,8°C, a Cagliari Elmas +43,7°C e su Carloforte +39,2°C, tutti record assoluti. Sempre in Sardegna, nella stessa giornata le stazioni idrologiche di Sanluri e di Perdasdefogu raggiungevano ben +47,0 °C.
La calura durò due settimane, anche se si smorzò da inizio agosto: una persistenza davvero straordinaria con temperature mediamente sui +43/45°C nelle zone interne per le massime, e spesso non sotto i +30°C per le minime.
Nell'Isola vi furono i più disastrosi incendi con numerose vittime: proprio i +49°C di Tempio Pausania non furono omologati per la notevole vicinanza di un rogo. Oltre alla Sardegna, i maggiori effetti dell'ondata di calore si verificarono sulle regioni centro-settentrionali d'Italia, meno invece per quanto riguarda il Sud.
La calura afflisse molte regioni d'Italia, uno dei giorni più roventi fu il 26 luglio quando vennero misurati i seguenti record di temperatura massima assoluta: Firenze Peretola +42,6 °C, l'Osservatorio Ximeniano di Firenze +41,6°C, Arezzo San Fabiano +41,5 °C e Paganella +25,0°C.
Sarzana Luni con +36,4°C e Passo della Cisa con +31,8°C stabilivano invece i propri record mensili di luglio. A Roma Urbe si toccarono 40°C, così come a Pescara ed Ancona Falconara +40,5°C. Bologna il termometro si fermò a +39,6°C il 29 luglio.
Tra gli altri picchi, una citazione d'obbligo per gli oltre +38°C ad Udine, +37°C a Tarvisio, +32,4°C a Dobbiaco. A Bergamo Orio al Serio +39°C, a Milano Malpensa +37,0°C (neppure tanti, considerati i record del 2003), a Genova +35°C e a Torino Caselle +36.2°C.

giovedì 25 luglio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 luglio.
Il 25 luglio 2000 il Concorde appena decollato da Parigi si schianta contro la facciata di un hotel.
Sono le 14:40 circa del 25 luglio del 2000 quando il volo 4590 dell'Air France, diretto a New York, imbocca la pista dell'aeroporto Charles de Gaulle. A bordo ci sono cento passeggeri, in gran parte turisti tedeschi, tre piloti e sei assistenti di volo, che sarebbero «arrivati prima di partire» nella Grande Mela. Così recitava la pubblicità di quel volo, il Concorde. E così era sempre successo, fino ad allora.
Non quel giorno, però. I testimoni, diversi dei quali muniti di videocamera, videro una fiammata provenire da due dei quattro motori dell'aereo. Lo videro alzarsi in volo, più lento e pesante del solito. E poi lo videro schiantarsi, in una nuvola di fumo nero, sulla facciata dell'albergo Hotellissimo di Gonesse, mentre cercava di dirigersi verso l'aeroporto di Le Burget, a nord di Parigi, per un atterraggio d'emergenza. Morirono in 113, comprese quattro persone a terra. Non fu l'ultimo volo del Concorde, ma quell'incidente - il primo e unico in trentun anni - fu l'inizio della fine. Il Concorde fu ritirato nel 2003 e non volò mai più.
Un fulmine a ciel sereno? No, in realtà. Da tempo il sogno di cambiare volto al trasporto aereo con voli supersonici aveva imboccato un binario morto. Negli anni ’50, però, ci credevano tutti: gli Stati Uniti, la Russia, la Francia e la Gran Bretagna. La Russia, soprattutto, che arrivò per prima con il Tupolev Tu-144. Concordski, lo chiamavano i media occidentali, quasi a voler rimarcare il fatto che furono i russi a copiare l'aereo supersonico europeo. Tuttavia, il Tu-144 fece il suo primo volo il 31 dicembre del 1968, tre mesi prima del Concorde.
Entrambi, peraltro, presero la forma da un altro aereo russo, il Sukhoi T-4 - Sotka, per gli amici - un prototipo di bombardiere militare sviluppato dall'Unione Sovietica nel 1961 e rimasto tale. Sotka era un aereo con un'ala a delta ogivale, un grande triangolo con la base vicina alla coda del velivolo, che si protendeva fin quasi a lambire la cabina dell’equipaggio, come una specie di grande aereo di carta.  Altra caratteristica iconica di questo tipo di aerei, il lungo muso a punta, in grado di inclinarsi verso il basso per consentire sufficiente visibilità ai piloti durante i decolli e gli atterraggi, per poi riallinearsi con la fusoliera durante la fase di crociera.
Si chiamava Concorde, il modello europeo, perché sviluppato assieme da Gran Bretagna e Francia. O meglio, da Bristol Aviation Company e Sud Aviation. Furono i francesi a imporre la "e" alla fine del nome, rendendolo francofono. Alla faccia della concordia, l'allora primo ministro britannico Harold MacMillan si impuntò per cambiare il nome dell'aereo in Concord, all'inglese. Fu tuttavia il suo ministro della tecnologia Tony Benn a cambiare di nuovo il nome. La “e” finale, disse, era sinonimo di eccellenza ed eleganza.
Erano solo due le compagnie che usavano il Concorde, la Air France e la British Airways. Iniziarono nel 1976 e volavano sulle rotte tra Londra e il Bahrein e tra Parigi e Rio de Janeiro. La tratte più note nell'immaginario collettivo rimangono tuttavia quelle dalle due capitali europee a New York. In realtà, all'inizio, la città americana proibì, causa rumore, il volo dei Concorde sopra i suoi cieli. Il superamento del muro del suono produceva infatti quello che viene definito un “sonic boom”, un rumore simile a un’esplosione. Il divieto venne tuttavia abolito l'anno dopo e cominciò la leggenda dell'aereo che "arriva prima di partire"
Era vero. Se oggi servono circa sette ore per andare da Londra a New York, con il Concorde ce ne volevano solo tre e mezza (il record, due ore e cinquantotto minuti, fu stabilito il 1 gennaio del 1983). Partendo alle otto del mattino dalla capitale inglese, poniamo, si poteva arrivare attorno alle sei e mezza. Non era solo una questione di velocità, peraltro. Certo, il Concorde, al pari di un'automobile sportiva, non era un aereo comodo: i sedili erano molto stretti, l'altezza del corridoio di soli un metro e ottanta, non c'erano prima e seconda classe. E se biasimate Ryanair per le cappelliere troppo piccole, non avete idea di quanto lo fossero quelle dell'aereo super veloce.
 Detto questo, chi l'ha vissuta racconta l'esperienza di volare con il Concorde come meritevole di essere vissuta e non solo per lo champagne servito a bordo. Niente turbolenze o quasi, ad esempio, perché il Concorde volava a una quota di crociera pari a 17mila metri, circa il doppio di quella di un normale volo. A quella quota, inoltre, era possibile, guardando l'orizzonte dal finestrino, vedere chiaramente la curvatura terrestre, un panorama da viaggio nello spazio. Per i piloti stessi, il Concorde era un bel giocattolo, molto più semplice da portare rispetto a un Boeing 747.
Lussi costosi, tuttavia. Il programma dello sviluppo del velivolo arrivò a costare circa 1,3 miliardi di sterline e le cose non migliorarono granché quando cominciano i voli commerciali del Concorde. La British Airways dovette alzare di molto i prezzi per portare in attivo il servizio. La manutenzione, soprattutto, era molto costosa e per farlo volare serviva molto più carburante che per un normale jet. Volare col Concorde, insomma, era e rimaneva un lusso, sia per i passeggeri, sia per le compagnie aeree. Le strategie di queste ultime, inoltre, erano orientate a competere sul servizio e sulla capienza degli aerei, non sulla velocità. Particolare non irrilevante, la guerra fredda e la competizione tecnologico-politica con i Tupolev dell'Aeroflot era finita da un pezzo.
L'incidente di Parigi, insomma, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Inizialmente si pensò che l'incidente fosse stato causato da una striscia metallica in titanio persa da un aereo della Continental Airlines decollato dalla medesima pista pochi istanti prima. Da lì, la reazione a catena. La placca fora la gomma, i frammenti della ruota rompono i cavi elettrici del carrello e impattano col serbatoio, l'aereo perde combustibile e il secondo motore prende fuoco. I piloti spengono il secondo motore e non riescono a rialzare il carrello, compromettendo il decollo. L'aereo si schianta.
In base a questa ricostruzione, la Continental Airlines, il 6 dicembre 2010, fu condannata a pagare un milione di euro di risarcimento ad Air France, in quanto ritenuta parte in causa del disastro e un suo dipendente condannato a 15 anni di reclusione per avere fabbricato e installato male la placca di titanio. Tale versione, tuttavia, ha lasciato spazio a numerosi dubbi: secondo l'ex pilota Kevin Smith, sul suo blog Ask The Pilot (”Chiedi al pilota”) il volo 4590 si è schiantato perché volava troppo piano, perché era sovrappeso di diverse tonnellate e perché due motori su quattro sono stati erroneamente spenti, rendendo impossibile il decollo del velivolo. In appello, nel 2012, la Continental Airlines fu assolta sulla base di queste motivazioni.
Mentre si spengono le luci sulla tragedia di Parigi, tuttavia, si riaccende il sogno del Concorde e del volo supersonico. Nel 2014, la francese Airbus e l'americana Aerion hanno presentato il prototipo di un nuovo Concorde, l'Aerion AS2. Più lento del suo predecessore, sarà prodotto a Reno, in Nevada e sarà composto interamente con un materiale composito in fibra di carbonio. Secondo il presidente della Aerion Robert Bass il primo volo commerciale avverrà nel 2021. Collegherà Londra, New York, Tokyo e Los Angeles, ma ogni volo potrà ospitare solamente 12 passeggeri. Nel ventesimo secolo, arrivare prima di partire non era un privilegio per tutti. Nel ventunesimo, lo è ancora meno.

mercoledì 24 luglio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 24 luglio.
Il 24 luglio 1882 muore Carlo Mayr.
Nacque a Ferrara il 3 ott. 1810 da Giuseppe e da Maddalena Beltramini. Il padre discendeva da una famiglia originaria della Baviera e di condizione piuttosto agiata giunta in Italia all’inizio del XVIII secolo.
Studente molto brillante, Mayr frequentò l’Archiginnasio di Ferrara per poi laurearsi in giurisprudenza con il massimo dei voti e intraprendere, dal 1831, la professione legale con grande successo. Quand’ancora frequentava le scuole superiori, entrò in contatto con alcuni esponenti della carboneria e non molto tempo dopo si affiliò alla Giovine Italia. Sempre nel 1831 partecipò ai moti scoppiati nei Ducati di Parma e Modena e poi estesisi alle limitrofe Legazioni pontificie. Fu proprio in quel periodo che comprese quanto fosse importante l’instaurazione di un regime rispettoso della libertà e dei diritti degli individui. Perciò, da avvocato, fu sempre pronto a difendere in tutti i tribunali dello Stato patrioti e liberali e anche per questo fu presto sottoposto ad attiva sorveglianza da parte della polizia cittadina.
Nel 1848, allo scoppio dei moti, era maggiore della guardia civica, corpo per il cui mantenimento insieme con il cugino Francesco Mayr si era battuto contro il legato pontificio, il cardinale G. Ugolini. In particolare aveva fatto parte di una commissione che aveva trattato con gli Austriaci e condotto in porto la resa delle fortezze di Ferrara e Comacchio.
Non prese parte attiva ai combattimenti, segnalandosi piuttosto come preside della sua città, veste nella quale promosse l’emancipazione degli ebrei dal ghetto; successivamente fu membro della giunta provvisoria costituitasi dopo l’uccisione di Pellegrino Rossi. Inoltre, verso la fine del giugno 1848 aveva assunto la direzione provvisoria della Gazzetta di Ferrara, «foglio politico, scientifico e letterario», di orientamento liberale, fondato qualche settimana prima da F. Mayr, allora a Roma quale membro del Consiglio dei deputati. Tramite la fittissima corrispondenza intrattenuta con lui, Carlo era sempre al corrente di quanto avveniva nella capitale.
Ben lungi dall’apprezzare la svolta moderata di Pio IX, il Mayr mantenne viva l’agitazione a Ferrara come vicepresidente del Circolo nazionale chiedendo tra l’altro nel novembre 1848 un rafforzamento della guarnigione cittadina contro probabili ritorni austriaci. Nel gennaio del 1849 a Ferrara si insediò una commissione di governo formata da tre membri, tra cui il Mayr. Nelle elezioni del 21 gennaio, con una votazione plebiscitaria – in cui risultò il primo eletto – entrò come deputato nell’Assemblea costituente di quella che di lì a poco sarebbe divenuta la Repubblica Romana, nel cui governo, per volere di G. Mazzini, ricoprì la carica di ministro dell’Interno. Quando le truppe francesi invasero il territorio della Repubblica, non esitò a imbracciare le armi e, per il suo valore, venne dichiarato dall’Assemblea romana «benemerito della Patria» e fu insignito di una medaglia d’oro.
Al ritorno del papa Mayr fu costretto all’esilio: dopo essere stato in Grecia, Turchia, Inghilterra, Francia e Toscana, si stabilì in Piemonte, dove – ormai abbandonate le idee repubblicane – fu nominato presidente del Comitato generale di emigrazione. Nel 1859, allo scoppio della guerra con l’Austria, tornò nella sua città e fu nominato intendente di Forlì, dove era necessario contenere le spinte repubblicane. Venne poi chiamato come ministro dell’Interno da L.C. Farini, capo di un governo provvisorio che resse l’Emilia prima che fosse annessa al Regno sabaudo.
Deputato all’Assemblea delle Romagne, il M. fu relatore della proposta di annessione al Piemonte e, ottimo organizzatore, fu il regista della prima visita ufficiale di Vittorio Emanuele II a Napoli, tanto che il re ne lodò pubblicamente l’operato. Alle elezioni per la VII legislatura (1860) – l’ultima del Regno di Sardegna – risultò eletto deputato per il collegio di Ferrara, ma l’elezione fu annullata, essendo egli allora intendente generale di Bologna, posto dove lo aveva voluto C. Cavour. La legislatura, però, durò solo pochi mesi; nella successiva (1861) fu rieletto nello stesso collegio al ballottaggio, con 300 voti su 387 votanti.
La sua attività di parlamentare lo portò a occuparsi in prevalenza di problemi giuridici: per esempio intervenne con decisione nei dibattiti sull’abolizione di quanto ancora restava del sistema feudale. Su tale argomento parlò una prima volta il 14 febbr. 1861, sostenendo l’urgenza dell’approvazione di una legge sulla possibilità di affrancare l’enfiteusi in sostituzione di quella sarda allora applicata nel Regno, che riteneva «improvvida, […] cattiva per giudizio universale». Il 10 maggio 1861, nel dibattito sull’abolizione dei vincoli feudali in Lombardia, sollecitò la rapida approvazione di un’unica disciplina di riforma per tutto il territorio nazionale. Nella seduta del 30 apr. 1861 presentò un’interpellanza al ministro guardasigilli, G.B. Cassinis, riguardo la necessaria riforma dei codici. Secondo il M., infatti, erano molteplici i problemi che accompagnavano l’estensione dei codici sardi a tutto il territorio nazionale: le «mutate condizioni politiche», infatti, non li rendevano più adatti a soddisfare le esigenze della popolazione, che «sopportava questo stato anormale ed ibrido della legislazione con impazienza, […] credendolo provvisorio, e desiderava di sortirne il più presto possibile». Occorreva, a suo dire, una riforma radicale, non essendo più possibile procedere all’approvazione di leggi speciali per le singole province; e, a evitare un lavoro di scarsa qualità, la Camera, dettati i principî fondamentali, avrebbe dovuto nominare commissioni di esperti con il compito di redigere un testo di legge da sottoporre poi all’approvazione del Parlamento. Il M. era anche convinto che fosse urgente abolire qualsiasi vincolo che limitasse la libera circolazione della proprietà.
Nel 1863 motivi di salute lo costrinsero a rassegnare le dimissioni, che la Camera accettò nella seduta del 29 gennaio. In verità era ormai assorbito dalla carica di prefetto (di provenienza politica) che ricoprì ininterrottamente dal 1859 al 1877 e che lo vide destinato a varie sedi. Cominciò come intendente a Forlì nel 1859 e come intendente generale a Bologna (1860-61) nella delicata fase delle annessioni. Come prefetto fu poi destinato a Caserta (1861-64), Alessandria (1864-67), Genova (1867-72), Venezia (1872-76) e infine, su designazione della Sinistra da poco giunta al potere, a Napoli (1876-77). Delle esperienze fatte come suddito pontificio gli era rimasta una fortissima avversione verso il ceto ecclesiastico; tale sentimento, una volta a capo della suddette province, indirizzò molti dei suoi atti amministrativi, inducendolo a curare in particolare il ricambio di funzionari e impiegati pubblici (a Caserta mise uomini di provata fede liberale nei posti chiave della prefettura) e intervenendo – anche attraverso la manipolazione delle liste degli iscritti al voto – nel voto municipale. Non sempre questa azione ebbe successo: a Venezia, per esempio, i clericali vinsero sia nel 1873 sia nel 1874; ma questo non fece che aumentare la sua fedeltà alle istituzioni e il bisogno di difenderle dagli attacchi della reazione.
Meno accanimento sembra ponesse nel contrastare i fenomeni eversivi. Come prefetto di Genova, nel 1870, evitò l’arresto di Mazzini, arrivando anche a domandare all’allora presidente del Consiglio, G. Lanza, quale fosse il titolo giuridico che giustificasse tale provvedimento. Lanza rispose in modo sprezzante, definendo Mazzini il responsabile di tutte le sommosse repubblicane, e ordinò di indagare sul comportamento negligente del Mayr. Quando Mazzini fu poi arrestato e condotto alla fortezza di Gaeta, Mayr continuò, comunque, a interessarsi al suo caso.
Due anni più tardi, al momento della morte di Mazzini, il Mayr, che era ancora prefetto della città ligure, gestì con grande efficienza la non facile emergenza dei funerali. Tuttavia, come osservato da A. Grilli, con gli anni era cambiato: in una lettera al figlio Scipione del 17 marzo 1872 parla della morte di Mazzini limitandosi a deprecarne l’uso strumentale fattone dai partiti estremisti, senza alcuna partecipazione emotiva e lamentando, anzi, i fastidi che aveva dovuto subire.
Commendatore e membro dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro fin dal 1861, il 6 dic. 1868 era stato nominato senatore per la 5ª e la 17ª categoria. La sua attività all’interno della Camera alta fu, però, piuttosto modesta: le sole energie che vi spese furono volte allo snellimento degli impedimenti burocratici che non poco complicavano l’attività del Senato. Quando cessò dall’incarico di prefetto (30 ott. 1877) fu nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato.
Carlo Mayr morì a Roma, il 24 luglio 1882.
Sposato con una Bertelli, fu padre di tre figlie e di Scipione, militare di carriera che, dopo aver preso parte alle guerre del Risorgimento, fu anche scudiero onorario di Umberto I.

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