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Il 16 febbraio 1989 ha inizio a Gerusalemme il processo a Ivan Demjanjuk, detto Ivan il Terribile, per i crimini commessi durante la seconda guerra mondiale nei campi di concentramento e sterminio nazisti.
Nato in Ucraina, John (Iwan) Demjanjuk fu accusato di crimini commessi come collaboratore dei Nazisti. Per questi crimini, Demjanjuk è stato processato quattro volte.
Le indagini sul passato di Demjanjuk durante il periodo dell’Olocausto cominciarono nel 1975. In seguito ai processi svoltisi negli Stati Uniti, nel corso degli anni Demjamjuk perse due volte la cittadinanza americana, subì una volta l’ordine di deportazione ed fu poi estradato dagli Stati Uniti per ben due volte per poter essere processato, prima in Israele e poi in Germania. Il recente processo in Germania, terminato nel maggio del 2011, potrebbe essere stato l’ultimo a vedere imputato un criminale di guerra del periodo nazista. In questo caso, esso rappresenterebbe la fine di 65 anni di procedimenti cominciati con il Tribunale Militare Internazionale e i processi di Norimberga del 1945.
Alcuni avvenimenti del passato di Demjanjuk non sono mai stati messi in discussione: nato nel marzo del 1920 a Dobovi Maharyntsi - un paesino nella regione di Vinnitsa Oblast in quella che era allora l’Ucraina sovietica - e successivamente arruolato nell’armata rossa, Demjanjuk venne catturato dalle truppe tedesche durante la battaglia di Kerch, nel maggio del 1942. Dopo la guerra, nel 1952, Demjanjuk emigrò negli Stati Uniti dove ottenne la cittadinanza nel 1958. Dopo essersi stabilito a Seven Hills, Ohio, nei sobborghi di Cleveland, lavorò per molti anni in un impianto della Ford.
Il Dipartimento di Giustizia americano cominciò le indagini su Demjanjuk nel 1975 e decise di avviare le pratiche per la de-naturalizzazione nel 1977, sostenendo egli avesse falsificato alcuni documenti per l’immigrazione e per la richiesta di cittadinanza con l’intento di nascondere gli anni in cui aveva lavorato nel centro di sterminio di Treblinka, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il caso contro Demjanjuk cominciò alla fine degli anni quaranta con le indagini condotte sul campo di sterminio di Sobibor dove si presumeva Demjanjuk avesse lavorato, supposizione avvalorata dalla testimonianza del russo Ignat’ Danil’chenko. Danil’chenko affermò infatti di conoscere Demjanjuk in quanto entrambi avevano prestato sevizio a Sobibor e nel campo di concentramento di Flossenbürg, fino al 1945. Tuttavia, dopo che, in alcune fotografie, diversi Ebrei sopravvissuti identificarono Demjanjuk come uno degli impiegati che a Treblinka lavoravano vicino alle camere a gas, i funzionari del governo americano decisero di perseguirlo per quei reati. Nel 1979, il neo-istituito Ufficio per le Indagini Speciali (OSI) del Dipartimento di Giustizia rilevò l’inchiesta.
Dopo una lunga indagine e il successivo processo nel 1981, la Corte Federale di Cleveland tolse a Demjanjuk la cittadinanza statunitense. Mentre le autorità americane si accingevano a deportare Demjanjuk, il governo israeliano ne richiese l’estradizione. Dopo l’udienza di rito, le autorità americane accordarono l’estradizione in Israele, dove Demjanjuk sarebbe stato processato per crimini contro il popolo ebraico e contro l’umanità. Demjanjuk fu la seconda persona ad essere giudicata in Israele per quel tipo di crimini dopo la condanna di Adolf Eichmann nel 1961, il quale fu poi giustiziato nel 1962.
Il processo a Demjanjuk si aprì a Gerusalemme il 16 febbraio 1987. L’accusa sostenne che quando Demjanjuk era stato fatto prigioniero dai Tedeschi, egli si era offerto volontario per far parte dell’unità speciale delle SS (le Squadre di Protezione, Schutzstaffel) di stanza nel campo di addestramento di Trawniki (vicino a Lublino, in Polonia) dove aveva poi lavorato come istruttore nel corpo di polizia ausiliario che doveva venire assegnato all’Operazione Reinhard, il piano cioè che prevedeva l’eliminazione di tutti gli Ebrei che risiedevano nella parte di Polonia occupata dai Tedeschi. L’accusa sostenne che Demjanjuk fosse la guardia del centro di sterminio di Treblinka conosciuto dai prigionieri come “Ivan il Terribile” e che egli fosse incaricato del funzionamento e della manutenzione dei motori diesel usati per pompare monossido di carbonio nelle camere a gas del campo. Diversi sopravvissuti ebrei che erano stati a Treblinka identificarono Demjanjuk come “Ivan il Terribile”, una prova fondamentale della sua presenza nel centro di sterminio.
Un’altra prova sostanziale contro Demjanjuk fu il documento di identificazione di Trawniki ritrovato negli archivi sovietici. Le autorità di Trawniki rilasciavano quel documenti agli impiegati assegnati alla sorveglianza dei distaccamenti situati fuori dal campo. La difesa sostenne che il documento era un falso ad opera dei Sovietici contro Demjanjuk, nonostante i numerosi test scientifici ne provassero l’autenticità. Demjanjuk, che allora aveva 67 anni, testimoniò in propria difesa sostenendo di aver trascorso la maggior parte della guerra prigioniero dei Tedeschi nel vicino campo di Chelmo, in Polonia.
Pur essendo un elemento chiave dell’impianto accusatorio, sia del governo americano che della procura israeliana, quella tessera di identità non provava la presenza di Demjanjuk a Treblinka, ma solo il suo essere stato, prima, una delle guardie di una tenuta occupata dalle SS a Okzów, vicino a Chelmo, nel settembre 1942, e poi, a partire dal marzo 1943, un sorvegliante nel centro di sterminio di Sobibor. Nonostante il fatto che la tessera contenesse alcune informazioni che contraddicevano la testimonianza dei sopravvissuti di Treblinka, essa costituiva l’unico documento a situare Demjanjuk a Trawniki come agente della polizia ausiliaria (cioè del gruppo di ausiliari tra cui venivano scelti i sorveglianti di Treblinka). Nessuna prova fu mai trovata, risalente al tempo di guerra, che collocasse senza ombra di dubbio Demjanjuk a Treblinka.
Un’altra prova per l’accusa era rappresentata dai segni presenti nella parte inferiore dell’avambraccio sinistro di Demjanjuk, cioè ciò che rimaneva di un tatuaggio riportante il suo gruppo sanguigno. Le SS avevano introdotto la pratica di tatuare il gruppo sanguigno alle Waffen SS (le SS dell’esercito) nel 1942. Alcuni membri delle unità delle SS chiamate Teste di Morto operanti nei campi di concentramento tedeschi avevano lo stesso tatuaggio, in quanto dopo il 1941 erano stati considerati amministrativamente come parte delle Waffen SS. Tuttavia, il sistema dei tatuaggi non fu mai messo in pratica in modo sistematico e quindi quella prova fisica suggeriva soltanto, ma non dimostrava, che Demjanjuk potesse essere stato una guardia del campo di concentramento.
L’esistenza dei segni lasciati dal “tatuaggio da SS” portò gli avvocati dell’accusa, sia negli Stati Uniti che in Israele, a dare eccessiva importanza a questa prova; in particolare ciò fu dovuto alla confusione esistente nella pubblica opinione tra quel tipo di tatuaggio (che era obbligatorio) e quello costituito da caratteri runici diffuso tra le SS e che era invece solo volontario. In effetti, non esiste alcuna prova che i prigionieri di guerra addestrati come sorveglianti a Trawniki venissero tatuati.
Grazie soprattutto all’identificazione operata dai sopravvissuti, la corte israeliana riconobbe Demjanjuk colpevole dei crimini ascrittigli e, il 25 aprile 1988, lo condannò a morte; si trattava della seconda volta in tutta la sua storia che un tribunale di Israele infliggeva la pena capitale a un imputato riconosciuto colpevole (il primo era stato Eichmann).
Mentre l’inevitabile appello presentato da Demjanjuk seguiva il proprio iter – appello che l’avrebbe portato di fronte alla Corte Suprema d’Israele – quella che era stata fino ad allora l’Unione Sovietica si disintegrò, nel 1991, e di conseguenza centinaia di migliaia di pagine di documenti precedentemente sconosciuti divennero disponibili, sia all’accusa che alla difesa. Nei dati del KGB di Kiev, in Ucraina, i difensori di Demjanjuk trovarono dozzine di dichiarazioni di sorveglianti di Treblinka che i Sovietici avevano processato all’inizio degli anni ’60.
Nessuna di quelle testimonianze indicava che Demjanjuk fosse stato impiegato a Treblinka. Tuttavia, esse si riferivano più volte a un certo Ivan Marchenko il quale, dall’estate del 1942 fino alla rivolta dei prigionieri del 1943, era stato incaricato di far funzionare i motori che producevano il gas a Treblinka e che si era distinto tra gli agenti ausiliari per la particolare crudeltà, compiendo azioni che erano coerenti con i precedenti racconti degli Ebrei sopravvissuti. Dopo essere ritornato a Trawniki nell’agosto del 1943, Marchenko si era trasferito a Trieste, in Italia, ed era poi scomparso verso la fine della guerra. Cosa ne accadde dopo rimane un mistero.
L’esistenza di queste dichiarazioni creò il ragionevole dubbio che Demjanjuk non avesse mai lavorato a Treblinka, portando la Corte Suprema israeliana ad annullare la condanna il 29 luglio 1993, senza pregiudizio, lasciando cioè aperta la possibilità al sistema giudiziario israeliano di processare Demjanjuk per altri crimini.
Tale nuovo processo fu possibile grazie alla scoperta della corrispondenza interna del personale del campo di addestramento di Trawniki, rinvenuta negli Archivi del Servizio di Sicurezza della Federazione Russa, a Mosca. Questi documenti collocavano infatti Demjanjuk nel centro di sterminio di Sobibor almeno a partire dal marzo 1943 e nel campo di Flossenbürg dal 1° ottobre 1943. Inoltre, le prove che dimostravano la sua presenza a Sobibor concordavano con le informazioni sulla tessera identificativa di Trawniki e con la testimonianza di Danil’chenko.
In aggiunta a queste prove, dopo l’estradizione di Demjanjuk in Israele, gli investigatori dell’OSI, esaminando i dati originali riguardanti l’amministrazione e il personale di Flossenbürg, trovarono riferimenti al numero militare identificativo di Demjanjuk a Trawniki (1393) che corroborava così in modo indipendente la testimonianza di Danil’chenko che Demjanjuk avesse lavorato a Flossenbürg.
Nell’estate del 1991, un investigatore dell’OSI che stava esaminando gli Archivi Nazionali della Lituania a Vilnius, alla ricerca di documenti sulla polizia lituana, trovò per caso un documento che identificava Demjanjuk come membro di un distaccamento di sorveglianti addestrati a Trawniki e poi assegnati al campo di concentramento di Majdanek, tra il novembre 1942 e l’inizio di marzo 1943.
Dopo l’estradizione in Israele, la famiglia di Demjanjuk, utilizzando la Legge sul Libero Accesso alle Informazioni, aveva presentato al dipartimento di Giustizia americano la richiesta di poter visionare tutti i documenti investigativi posseduti dall’OSI e relativi a Demjanjuk, a Trawniki e a Treblinka. Dopo aver ricevuto i documenti e dopo anni di udienze, il collegio di avvocati americani di Demjanjuk presentò una denuncia contro il governo americano per costringerlo ad annullare la revoca della cittadinanza, accusando allo stesso tempo l’OSI di inadempienza processuale.
Nel frattempo, Israele si rifiutò di perseguire ulteriormente Demjanjuk per le sue azioni a Sobibor (nonostante legalmente avesse a disposizione quell’opzione) e si preparò a rilasciarlo. Sulla base della scoperta, avvenuta nel giugno del 1993, che un funzionario americano dell’OSI nel 1981 aveva per sbaglio trattenuto documenti che avrebbero potuto essere utili alla difesa di Demjanjuk, una sentenza della Corte d’Appello di Cincinnati vietò al Procuratore Generale americano, Janet Reno, di impedire il ritorno di Demjanjuk negli Stati Uniti. Dopo altri cinque anni di battaglie legali, la Corte Distrettuale di Cleveland restituì la cittadinanza americana a Demjanjuk, il 20 febbraio 1998, ma nuovamente senza pregiudizio, lasciando così aperta l’opzione per l’OSI di procedere con un nuovo processo nel caso fossero emerse nuove prove.
Dopo un’attenta revisione, durata cinque anni, di migliaia di documenti su Trawniki non disponibili prima del 1991, gli investigatori dell’OSI furono in grado di ricostruire, attraverso documenti del tempo di guerra, l’intera carriera di Demjanjuk dal 1942 al 1945, prima come guardia addestrata a Trawniki e poi come sorvegliante in diversi campi di concentramento. Con queste nuove prove, la squadra dell’OSI fu tra l’altro in grado di effettuare anche una ricostruzione più completa e documentata dell’importanza del campo di Trawniki durante l’Olocausto e del processo attraverso il quale le autorità dei campi decidevano l’assegnazione del personale.
Nel 1999, l’OSI inoltrò una nuova richiesta per la revoca della cittadinanza a Demjanjuk, sostenendo che egli avesse fatto parte della polizia ausiliaria addestrata a Trawniki, servendo poi a Trawniki stesso, a Sobibor e a Majdanek e, più tardi, avesse fatto parte del battaglione delle SS Testa di Morto di stanza a Flossenbürg. In seguito a queste nuove prove, Demjanjuk perse nuovamente la cittadinanza americana nel 2002, questa volta in modo definitivo. Dopo che una Corte d’Appello federale confermò la decisione, nel dicembre del 2004 l’OSI inoltrò la richiesta di deportazione. Un anno più tardi, nel dicembre 2005, una Corte d’Immigrazione americana ordinò che Demjanjuk venisse deportato in Ucraina, suo paese natale.
Demjanjuk presentò appello contro la deportazione adducendo diversi argomenti tra i quali il fatto che tale atto, considerata la sua età e la sua salute cagionevole, violava la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura. Il 19 maggio 2008 la Corte Suprema americana negò validità all’appello. Lo stesso anno, le autorità tedesche espressero il proprio interesse a perseguire a loro volta Demjanjuk per il reato di complicità in omicidio commesso durante gli anni di servizio a Sobibor.
Demjanjuk venne quindi deportato dagli Stati Uniti in Germania, nel maggio del 2009. Al suo arrivo, le autorità tedesche lo arrestarono e lo trasferirono nel carcere di Stadelheim a Monaco.
Nel luglio 2009, la procura tedesca rinviò a giudizio Demjanjuk con ben 28.060 capi d’accusa di complicità in altrettanti omicidi avvenuti a Sobibor. L’autorità giurisdizionale della Germania si basava sul fatto che le vittime erano state portate a Sobibor su 15 convogli ferroviari provenienti dal campo di Westernbork (Olanda) tra l’aprile e il luglio del 1943 e che tra di esse vi fossero anche cittadini tedeschi fuggiti in Olanda negli anni Trenta.
All’età di 89 anni Demjanjuk sostenne di essere troppo debole per sostenere un processo, ma la corte decise che il procedimento potesse svolgersi ugualmente, con due sessioni al giorno di 90 minuti l’una. Nel novembre del 2009, Demjanjuk sedeva di nuovo sul banco degli imputati. Durante quest’ultimo, recente processo, l’impianto accusatorio si basò non tanto sulle testimonianze dei sopravvissuti, ma su documenti del tempo di guerra che dimostrano come egli avesse lavorato a Sobibor. Inoltre, visto che i testimoni dei processi precedenti erano ormai deceduti, la corte di Monaco permise che quelle testimonianze fossero lette durante il processo, per stabilire l’avvenuto sterminio e determinare l’identità e la cittadinanza di molte delle vittime.
Dopo 16 mesi di udienze, a metà marzo del 2011, il processo si è concluso e il 12 maggio Demjanjuk è stato riconosciuto colpevole e condannato a cinque anni di prigione. In attesa del processo d'appello, Demjanjuk è stato liberato ed è poi morto in una clinica tedesca il 17 marzo 2012.
I processi a John Demjanjuk hanno attirato l’attenzione dei media internazionali per ben tre decenni. Inoltre, queste lunghe battaglie legali hanno confermato come la possibilità di ottenere finalmente giustizia per le vittime dei crimini contro l’umanità sia strettamente legata alla possibilità di disporre della relativa documentazione storica.