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venerdì 31 agosto 2012

#FioridiBach #REd Chestnut: Pensiero d'amore e di libertà

http://www.floriterapia.com/giardino/25.htm
nome italiano: CASTAGNO ROSSO
nome botanico: AESCULUS CARNEA

Pensiero d'amore e di libertà

 

  • Stato d'animo "bloccato":  
    La paura per la salute e l'incolumità degli altri è la fonte principale di stress. Se qualcuno ritarda il primo pensiero va verso gli incidenti. Si è sempre apprensivi per le persone care.
    Sembrerebbe il classico fiore dei genitori apprensivi, in effetti lo è, ma non solo per i genitori ma per tutte coloro che hanno paura che succeda qualcosa ai propri cari. Il minimo ritardo o il minimo starnuto pone subito in uno stato di agitazione eccessivo. Permette di rompere il cordone ombelicale che ci lega a persone o situazioni.
    Per comprendere come non sia solo un fiore per i genitori aggiungo qui una breve esperienza.
    Una bambina di 4 anni improvvisamente ha la febbre che sale fino 40 gradi, i farmaci abbassano la febbre solo momentaneamente. Poi improvvisamente in mezzo a frasi sconnesse date dalla febbre ecco che dice: Mamma che ti succede, stai bene?
    Viene somministrato subito Red Chestnut e nell'arco di 30 minuti la temperatura è di nuovo normale.
  • Stato d'animo "trasformato":  
    Si vive una vita libera e sicura, si sviluppa una grande forza di aiuto verso gli altri.
  • Stati d'animo e sintomi collegati al fiore in ordine di importanza:
    • Ansia per le persone care
    • Ansia per le difficoltà degli altri
    • Pensieri negativi sulla salute delle persone care
    • Cordone ombelicale simbiosi da sciogliere
    • Ansia per i propri cari
    • Limita la libertà altrui per le sue paure
    • Possessività negli affetti
  • Personaggio famoso collegato:
    Padre di Nemo, nel cartone "Alla ricerca di Nemo"
  • Frase chiave:  
    "Sta attento, altrimenti può succedere che..."
  • Affermazione positiva:  
    "Sono tranquillo e pieno di fiducia che ogni altra persona ha la sua guida"
fonte web:http://www.fioridibach.it/fiori_di_bach/red_chestnut.htm

giovedì 30 agosto 2012

#Modi di dire #Avere le corna

http://eco-ecoblog.blogspot.it/2012/04/massacro-di-cervi-in-cansiglio.html
Avere le corna - Questo modo di dire deriva dal mondo animale. I cervidi, durante la stagione degli amori, sviluppano grossi palchi di corna, che li rendono vistosi anche in lontananza e particolarmente appetibili dalle femmine, le quali scelgono il maschio con le corna più vistose.

fontr web: http://www.culturaesvago.com/modi-di-dire

martedì 28 agosto 2012

#Esergo di #ManlioLoPresti


L'atomizzazione della società sovietica venne ottenuta con l'abile uso di ripetute epurazioni, che invariabilmente precedevano l'effettiva liquidazione di un gruppo. Per distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte in modo da minacciare della stessa sorte l'accusato e tutta la sua cerchia, dai semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti. La conseguenza dell'ingegnoso criterio della "colpa per associazione" era che, appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpo nei suoi nemici più accaniti... In ultima analisi, fu con l'impiego radicale di questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo un'imponente solitudine quale neppure una catastrofe da sola avrebbe potuto causare.

 

ARENDT, Le origini del totalitarismo, Edizioni di comunità, 1967

 

#Modi di dire #Andare a Canossa

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Heinrich_4_g.jpg
Andare a Canossa - Questo modo di dire, che indica una grave, ma necessaria umiliazione, ha un'origine storica. Nella lotta per le investiture Enrico IV fu costretto a chiedere perdono a papa Gregorio VII, recandosi presso la contessa Matilde di Canossa, che aveva ospitato il pontefice. In quell'inverno rigido il re, scalzo e seminudo, dovette aspettare tre giorni e tre notti prima di essere ricevuto dal papa e perdonato.

fonte web: http://www.culturaesvago.com/modi-di-dire

domenica 26 agosto 2012

#Modi di dire #Acqua in bocca

http://dietaefitness.forumfree.it/?t=55000809 
 
Acqua in bocca (=fare silenzio, non riferire un segreto). L'origine di questo modo di dire deriva dal rimedio proposto da un confessore a una donna pettegola e chiacchierona, che non riusciva a mantenere i segreti: le consigliò di riempirsi d'acqua la bocca ogni volta che voleva rivelare qualcosa. 

fonte web:http://www.culturaesvago.com/modi-di-dire 

sabato 25 agosto 2012

Sapiens Sapiens, dunque naufrago - Enrico #Borla e Ennio #Foppiani, #Bricolage per un #naufragio. Alla deriva nella notte del mondo #citazione

Perduto il centro non vi è più un porto in cui rifugiarsi e neppure un unico punto di vista, privilegiato e fisso, da cui guardare lo spettacolo della vita con animo imperturbabile [Lucrezio]. Alla fine è ben più sconsiderato il comportamento che “saggiamente” evita il rischio, mentre ben più saggio è quello che accetta la scommessa, possibilmente la più alta. La certezza lascia il  posto alla possibilità, più o meno elevata, più o meno soggettivamente attendibile. D’altronde “è piacevole stare su una nave battuta dalla tempesta quando si è sicuri che non si perirà; così sono le persecuzioni che angustiano la Chiesa” (Pascal). Ciò nondimeno la Chiesa non c’è più, anzi nessuna Chiesa c’è nonostante la pia illusione coltivata dai Teocon o dalle turbe islamiche. Il brulichio impazzito sul pianeta ha infranto ogni dogmatismo, compreso quello scientifico, che è attraversato dal dubbio opprimente che la tecnica stessa stia conducendo l’umanità sull’orlo del baratro. Il lusso di un’ortodossia condivisa si è esaurito, lasciando spazio a moti demagogici che durano lo spazio di un mattino. Dio, patria, famiglia sono nomi comuni di cose.

In questa precarietà, lasciataci dalla scomparsa speranza trascendentale, non rimane che una certezza: ciò che rende umano l’uomo è il naufragio! In questo tempo non più di chierici come fu quello in cui Blaise Pascal scriveva, ma di galeotti arruolati a forza dopo la sbronza di tracotanza scientifica, l’onore di esseri umani è dato dalla disperazione affrontata con coraggio. Non più distanza aristocratica di chi sta su una spiaggia ma virile consapevolezza del valore intrinseco della coscienza del naufragio.

Una tartaruga, una lucertola, un topo o un qualunque altro animale potrebbe, alla deriva, essere trasportato lontano fra le onde fino a una costa deserta, dove, se avrà la fortuna di incontrare una compagna, fonderà una nuova stirpe che, come i fringuelli delle Galapagos, sarà di conforto a qualche eccentrico naturalista. Qualora ciò non avvenisse, il povero animaletto non avrebbe fatto naufragio, semplicemente un altro esperimento della natura avrebbe avuto esito negativo. Ma a noi sapiens sapiens non è concesso: il naufragio è una condizione perdurante nel tempo e nello spazio.

E’ negli ingorghi nebbiosi delle tangenziali metropolitane del Nord Italia, nel traffico inceppato delle downtown meridionali, nei black out sugli ascensori di New York, nelle pestilenziali darsene di Krung Thep, nelle fornaci fumanti della Saar, nella esplosiva metropolitana londinese, nel rombo solitario di motoslitta fra i ghiacci solitari delle Spitzbergen, nelle atroci carovane di Tir nelle calure australiane, nel sibilo del machete che frange l’umido afrore delle foreste pluviali, nei letti candidi delle cliniche per moribondi, nel gocciolare di fleboclisi chemioterapiche, nell’afflosciarsi del fallo nello sciabordio della vulva, che il nostro stato di naufraghi si propaga come un’onda. La nostra nave si frange continuamente, la volontà che ci conduceva su una rotta si frantuma, costringendoci a inversioni continue, a iperboli estreme, per poi scoprire che neppure questo limite esiste se non come tenebra, come un buio netto, quasi soave, ma senza speranza.
A indurre il naufragio sono i nostri partner, i nostri genitori, i nostri capi, i nostri medici, i nostri padri spirituali, la nostra stoltezza. Ciò che naufraga in definitiva è il nostro corpo. E’ la tecnica organica o meglio l’organico che tramite la coscienza è divenuto tecnica, che si è inceppata irrimediabilmente.

E’ lo strumento che tradisce: affetto, amore, automobile, autoradio, bicicletta, carotide, coltello, convinzione, cuore, cervello, elaboratore, erogatore, fallo, fede, fegato, nave, odio, paradigma, scienza, sogno, telefono, trapano, utero, zappa, tutto si rompe. Tutto ci tradisce, tutto ci abbandona.
Il naufragio, la frattura della nave è uno stato costitutivo e primigenio dell’esserci. L’uomo, in quanto separato dalla sua oggettualità, subisce continuamente lo scacco della fragilità dei suoi strumenti.
Al contrario, gli animali inconsapevoli sono per definizione strumenti essi stessi. Fra il loro corpo, il loro esserci e la loro essenza non c’è frattura. Essi, come Dio, sono ciò che sono. La coscienza ci ha invece separato definitivamente da noi stessi. Esistono geni che ci hanno costruito per riprodursi, geni egoisti, direbbe Dawkins, e noi siamo strumenti di questi geni. Probabilmente qualcosa non ha funzionato bene, o forse ha funzionato fin troppo bene. E’ sorta la coscienza di esserci, l’essere si è separato da se stesso e si è visto e vedendosi ha colto la propria fragilità d’imbarcazione proiettata nello spazio.


(Enrico Borla e Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio. Alla deriva nella notte del mondo, Bergamo, Moretti & Vitali, 2009, pp. 47-49)


(Nell’immagine sopra: Luigi Sinisgalli, I cavalieri del nulla, da http://www.ioarte.org/artisti/Luigi-Sinisgalli/opere/i-cavalieri-del-nulla/ )



venerdì 24 agosto 2012

#Italy #Monte Disgrazia

http://www.summitpost.org/monte-disgrazia-3678m/500821
Il Monte Disgrazia è una montagna delle Alpi Retiche occidentali alta 3678 m s.l.m.. Situata nella provincia di Sondrio, è una delle vette principali della Valtellina centrale. Costituisce lo spartiacque tra la Valmalenco e la Val Masino, ed è adiacente ad altri importanti massicci delle Alpi centrali quali il gruppo del Bernina ed il Masino-Bregaglia.

Storia delle prime salite

La vetta principale fu conquistata nel 1862 da una cordata inglese, formata da L. Stephen, E.S. Kennedy, M. Anderegg, T. Cox. Gli inglesi affrontarono l'ascensione dalla valle di Preda Rossa, per la bella cresta di Pioda, itinerario che costituisce ancor oggi la normale al Disgrazia. Numerose altre vie di salita vennero poi aperte nei decenni successivi: nel 1874 per la vedretta del Ventina, nel 1882 per la nord-nordest, nel 1897 per il canalone sudovest, nel 1900 per la nordest, nel 1901 per la cresta sudovest, nel 1910 per la Cresta degli Inglesi, nel 1934 per la nord. Uno degli itinerari resta però quella della "Corda Molla", lungo la cresta nord-nordest, aperto da B. De Ferrari e I. Dell'Andrino nel 1914.

fonte web: http://it.wikipedia.org/wiki/Monte_Disgrazia

#Teatro nel #mondo: Vietnam Water Puppets

twitter.com
  Luci basse, appena riverberate dallo specchio d'acqua su cui danzano marionette con sorprendente agilità in un'atmosfera musicale tipicamente orientale. Questo è quanto potrete vedere da oggi sul nostro canale web tv dedicato al cinema.
 Cosa vi sembra di quest'arte teatrale? Ce l'ha segnalata il nostro amico Ale Morpheus, commentando: "Dicono che la canzone finale delle marionette d'acqua non potesse esser eseguita davanti a donne nubili perché si sarebbero innamorate del suonatore."
 Per saperne di più:
 http://vietnamwaterpuppet.wordpress.com/


giovedì 23 agosto 2012

#Versailles: Istruzioni per l'uso

Il castello è un'esperienza da fare anche se a nostro giudizio all'interno troverete oggetti che vi lasceranno molte perplessità sulla loro autenticità.


  Ma veniamo ad alcuni accorgimenti per la visita al castello nel mese di Agosto.


Parcheggio: nel mese di agosto molti parcheggi sono gratuiti, quindi potrete lasciare la macchina nei viali circostanti e arrivare al castello a piedi in pochi minuti. Evitate il parcheggio proprio sotto il castello. Noi abbiamo lasciato la macchina nel grande parcheggio in Av. Sceaux.

Prima domenica del mese: in francia la prima domenica del mese non si paga l'ingresso a castelli e musei.

Biglietti: se state leggendo questa recensione siete perfettamente in grado di fare il biglietto on line sul sito del castello di Versailles, stamparlo e presentarvi direttamente all'ingresso A senza dover fare anche la fila per l'acquisto. In alternativa se non riuscite a fare il biglietto on line potete acquistarlo al Guidatours che si trova in Av. C. de Gaulle sotto i portici in prossimità di Mc. Donald all'uscita del treno che viene da Parigi, qui sicuramente la fila è minore che al castello.


http://www.chateauversailles.fr/homepage

  Ingresso: Il costo del biglietto per Castello e Trianon è di 18 euro ma se avete meno di 26 anni e siete della comunità europea entrate gratuitamente mostrando un documento di indentità. (Su questa ultima cosa informatevi meglio in base al periodo in cui decidete la visita) Evitate, potendo, giorni come venerdì, sabato, domenica. Il castello apre alle 9.00 se riuscite a mettervi in fila alle 8.30 alle 9.05 sarete entrati. Posso dirvi che alle 8.45 la fila già arrivava fino ai cancelli. La fila scorre velocemente però in agosto sotto il sole meglio 30 minuti prima delle 9.00 che dopo.



(la coda alle 8.45)


Il biglietto vi dà diritto all'audioguida quindi passate a ritirarla e ricordatevi di riconsegnarla.

Il vantaggio di entrare tra i primi è quello di poter girare con calma le sale e arrivare all'apertura del Trianon (ore 12.00).

Bagni: La struttura è grande quindi appena entrati guardate la cartina per memorizzare la posizione dei bagni che si trovano all'ìngresso del castello, a metà dei giardini nella fila centrale, al laghetto, all'esterno del grande Trianon, all'interno di grande e piccolo Trianon.





Trenino e Auto: Nel castello potete affittare una macchinina elettrica che ha un costo di 35 euro l'ora ed è fruibile da 4 persone.

 (le automobiline elettriche affittabili a Versailles)
 In alternativa c'è un trenino con una capienza di circa 60 posti che parte dal castello per arrivare o al Trianon o al Gran Canal. Il costo del biglietto nel 2012 è di 3,50 per corsa singola o 5,80 per andata e ritorno. Nel pomeriggio le file per il trenino e per le auto sono inimmaginabili. Il biglietto per il trenino potete farlo a qualunque fermata dove il conducente permette la salita.

(nella foto sotto ore 18.00 coda per salire sul trenino sul fondo si intravede una tenda verde è la salita.)


E' possibile girare il parco in bicicletta.

Suggerimenti: Il nostro consiglio è visitare i giardini il giorno prima (l'ingresso è gratuito) e lasciarsi il tempo per castello e trianon il giorno successivo.







In alternativa se arrivate presto considerate che il castello si visita in 2 ore circa, per arrivare al piccolo Trianon si impiega circa 20 minuti con passo rilassato (circa 2 km) percorrendo il viale che dalla fontana del Nettuno va diretto all'ingresso del Trianon. Questo significa che arriverete al Trianon sempre con un'oretta di anticipo sull'apertura quindi dovrete attendere su una panchina al fresco.


Trianon: in genere alle 12.00, per l'apertura non farete file con tempi di attesa superiori ai 5 minuti. I due Trianon sono accessibili anche tramite passaggi interni di collegamento. Questa struttura è stata riattivata di recente, purtroppo qui non si possono fare foto ma ci sono nella sala sotto il piccolo Trianon una serie di audiovisivi molto interessanti su orologi, arredi, vita di corte, giardini e Maria Antonietta.




All'uscita potete riprendere il trenino per tornare al castello e concludere il vostro giro.

Secondo noi l'apertura del Trianon alle 12.00 è pensata per chi entrando alle 9.00 visita il castello, perde due ore e più nei giardini e poi arriva al Trianon non prima delle 12.00.

Segnaliamo i tre video che vengono proiettati nelle prime tre sale del castello con dipinti alle pareti che mostrano la trasformazione dell'edificio negli anni. Qui l'audioguida parte automaticamente. Fermatevi sul divano e osservate quello che potrete apprezzare in seguito durante la visita.

mercoledì 22 agosto 2012

#AntologiadiLetteratura #Gabriel Garcia Marquez - Cent'anni di solitudine

Aureliano non poté muoversi. Non perché lo avesse paralizzato lo stupore, ma perché in quell'istante prodigioso gli si rivelarono le chiavi definitive di Melquìades, e vide l’epigrafe delle pergamene perfettamente ordinata nel tempo e nello spazio degli uomini: Il primo della stirpe è legato a un albero e l'ultimo se lo stanno mangiando le formiche.
Aureliano non era mai stato così lucido in nessun atto della sua vita come quando dimenticò i suoi morti e il dolore dei suoi morti, e tornò a sbarrare le porte e le finestre con le crociere di Fernanda per non lasciarsi turbare da alcuna tentazione del mondo, perché allora sapeva che nelle pergamene di Melquíades era scritto il suo destino. Le trovò intatte, tra le piante preistoriche e le pozze fumanti e gli insetti luminosi che avevano bandito dalla stanza ogni vestigio del  passaggio degli uomini sulla terra, e non ebbe la serenità di portarle alla luce, ma in quel luogo stesso, in piedi, senza la minima difficoltà, come se fossero state scritte in spagnolo sotto lo splendore accecante del mezzogiorno, come a decifrarle a voce alta. Era la storia della famiglia, scritta da Melquiades perfino nei suoi particolari più triviali, con cent'anni di anticipo. L'aveva redatta in sanscrito, che era la sua lingua materna, e aveva cifrato i versi pari con la chiave privata dell'imperatore Augusto, e quelli dispari con chiavi militari lacedemoni. La protezione finale, che Aureliano cominciava a intravedere quando si era lasciato confondere dall'amore di Amaranta Ursula, si basava sul fatto che Melquíades non aveva ordinato i fatti nel tempo convenzionale degli uomini, ma che aveva concentrato un secolo di episodi quotidiani, di modo che tutti coesistessero in un istante. Affascinato dalla scoperta, Aureliano lesse ad alta voce, senza salti, le encicliche cantate che lo stesso Melquíades aveva fatto ascoltare ad Arcadio, e che erano in realtà le predizioni della sua esecuzione, e trovò annunziata la nascita della donna più bella del mondo che stava salendo al cielo in corpo e anima, e conobbe l'origine di due gemelli postumi che rinunciavano a decifrare le pergamene, non soltanto per incapacità e incostanza, ma perché i loro tentativi erano prematuri. A questo punto, impaziente di conoscere la propria origine, Aureliano passò oltre. Allora cominciò il vento, tiepido, incipiente, pieno di voci del passato, di mormorii di gerani antichi, di sospiri di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci. Non se ne accorse perché in quel momento stava scoprendo i primi indizi del suo essere, in un nonno concupiscente che si lasciava trascinare dalla frivolità attraverso un altipiano allucinato, in cerca di una donna bella che non lo avrebbe fatto felice. Aureliano lo riconobbe, incalzò i sentieri occulti della sua discendenza, e trovò l'istante del suo stesso concepimento tra gli scorpioni e le farfalle gialle di un bagno crepuscolare, dove un avventizio saziava la sua lussuria con una donna che gli si dava per ribellione.
Era cosí assorto, che non sentì nemmeno il secondo assalto del vento, la cui potenza ciclonica strappò dai cardini le porte e le finestre, svelse il tetto dell'ala orientale e sradicò le fondamenta.
Soltanto allora scoprì che Amaranta Ursula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha soltanto perché loro potessero cercarsi per i labirinti più intricati del sangue, fino a generare l'animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era già un pauroso vortice di polvere e macerie, centrifugato dalla collera dell'uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo con fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l'istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano a mano che lo viveva, profetizzando sé stesso nell'atto di decifrare l'ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanze della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che "la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra

fonte web: http://www.culturaesvago.com/antologia-di-letteratura/

immagine:http://alklibri.com/img_full.php?id=172

martedì 21 agosto 2012

#MitologiaGreca #Crono




Crono: il più giovane dei Titani che con un falcetto, uscito dalle viscere di sua madre Gea, castrò il padre Urano che predisse che quel delitto sarebbe stato rifatto dal figlio di Crono.   Crono sposò la sorella Rea (Cibele la dea Madre) e, per evitare la realizzazione della profezia, inghiottì i figli appena nati.
Tuttavia la profezia si avverò quando Rea con l'inganno sottrae il figlio Zeus al destino dei suoi fratelli,  Demetra, Era, Estia, Ade e Poseidone finiti prigionieri dello stomaco del loro padre.
Crono credeva di aver divorato l'ultimo figlio, mentre Rea gli aveva dato da inghiottire una pietra avvolta nelle fasce. Sarà Zeus  cresciuto che porterà a compimento la profezia di Urano,somministrando a Crono un veleno che gli fece vomitare tutti i figli ingoiati.
Nella mitologia romana il dio Crono corrisponde al dio Saturno.

 fonte web: http://www.settemuse.it/arte/glossario_della_mitologia.htm
 immagine:http://www.settemuse.it/arte/glossario_della_mitologia.htm

#Italy #IsoladeiPescatori #LagoMaggiore

http://www.flickriver.com/photos/claudio61/popular-interesting/

L'Isola dei Pescatori, detta anche Isola Superiore per la posizione più a nord rispetto alle altre isole del golfo, è sicuramente la più pittoresca delle Isole Borromee, nonchè l'unica a essere stabilmente abitata. Il suo piccolo e antico borgo si caratterizza per gli stretti vicoli su cui spiccano le tipiche abitazioni a più piani, con lunghi balconi adibiti all'essiccamento del pesce; gli abitanti dell'isola vivono, infatti, principalmente di pesca e di turismo.
Il suo inconfondibile e suggestivo profilo è contraddistinto dall'aguzzo campanile della Chiesa di San Vittore che spunta sui tetti rossi delle case e la sua riva è sempre occupata dalle piccole barche dei suoi cinquanta residenti. La suggestione aumenta alla sera, quando l'intera isola viene avvolta da un'armoniosa illuminazione che la trasforma in un vero e proprio quadro vivente, specchiato nelle docili acque del Lago Maggiore.

http://milanotravel.org/isole_borromee.html

Sull'isola si trovano negozietti tipici e rinomati ristoranti dove è possibile gustare piatti a base di pesce appena pescato, tradizione che perdura nel tempo e che non cessa di deliziare i palati di personaggi famosi e non solo. A questo proposito vale la pena ricordare l'aneddoto che nel 1935 vide Mussolini e gli altri protagonisti della Conferenza di Stresa optare per un fuoriprogramma sull'isola, attratti dal desiderio di gustarne il piatto più celebre, il pesce persico.
Giunti sull'isola è impossibile non visitare la Chiesa di San Vittore, eletta a monumento nazionale, che conserva tuttora l'originario abside con finestre monofore risalente al sec. XI. Al suo interno è conservato un affresco cinquecentesco raffigurante Sant'Agata, oltre ad alcune tele seicentesche e ai busti in legno degli apostoli Pietro e Andrea, patroni dei pescatori.


Come arrivare

Raggiungibile in traghetto, pubblico o privato, dagli imbarcaderi di Stresa, Arona, Verbania e Baveno.

 fonte web: http://www.illagomaggiore.com/2386,Poi.html

lunedì 20 agosto 2012

Italy #Castello di Stenico #Trentino

http://www.bebtrentino.info/attrattive/Castello-Stenico.htm
IlCastello di Stenico è una sede espositiva del Museo del Castello del Buonconsiglio. Viene a tal proposito raffigurato nella più celebre delle immagini del Ciclo dei mesi di Torre Aquila, quella di dame e cavalieri che giocano a palle di neve. Documentato fin dal 1163, il castello è stato per quasi otto secoli residenza di un Capitano che esercitava il potere sulle Giudicarie in nome del Principe Vescovo di Trento.
Un luogo di potere, situato su uno sperone roccioso che domina le vie di comunicazione verso le Giudicarie. Il Castello di Stenico risale a oltre 2000 anni fa e nacque come rifugio degli Stoni, fiera popolazione alpina, da cui prende il nome il paese, sterminata dai romani. La sua storia è legata ai principi vescovi di Trento, che amministravano anche la giustizia: la leggenda narra che nella torre della fame venivano lasciati morire di stenti i prigionieri, le cui anime inquiete comparirebbero nelle notti di luna piena. Nel Settecento, con l´occupazione napoleonica, iniziò la decadenza. Nel 1829 il Demanio austriaco vi insediò gli uffici dell´Imperiale Regio Giudizio della Valle. I primi restauri iniziarono nel 1910 per proseguire nel 1973 ad opera della Provincia autonoma di Trento. 
  
http://gruppostoricocorinaldo.blogspot.it/2011/04/corinaldo-il-combusta-revixi-in.html
Al Castello si accede attraverso una ripida rampa che collega la piazza al borgo di Stenico. L´ingresso è costituito da un portale archivoltato che possedeva in origine dei torrioncini circolari. Di notevole interesse gli affreschi delle sale maggiori. Oggi il castello è un’importante sede espositiva: ospita mostre, concorsi d´arte contemporanea e fotografica, concerti e altre performance. Conserva, inoltre, una pregiata sezione archeologica dedicata alla storia locale e un’esposizione di mobili, dipinti, armi e antichi utensili, tutti provenienti dalle collezioni del Museo Castello del Buonconsiglio di Trento, di cui è sede distaccata.

fnte web: http://www.visittrentino.it/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/castello-di-stenico

#Antologiadiletteratura #Wilbur Smith "La voce del tuono"

Aiutare gli altri anche quando si ha paura per la propria incolumità.
 
Avanzare ancora nella prateria sottostante le alture era un suicidio. La risolutezza che l'aveva sostenuto fin lì si afflosciò e la paura spezzò la frusta con cui Sean l'aveva tenuta sotto controllo. Corse indietro alla cieca, gemendo, piegato in avanti, i gomiti che si muovevano al ritmo dei piedi sospinti dal terrore.
Poi, accanto a lui, Saul fu colpito al capo. L'impatto del proiettile lo gettò in avanti, mentre il fucile gli schizzava di mano. Emise un gemito di dolore e di sorpresa, quindi cadde piegandosi sul ventre. Sean continuò a correre.
"Sean!" La voce di Saul dietro di lui.
"Sean!". Una disperata invocazione di aiuto. Ma Sean chiuse la sua mente a quella e corse verso la sicurezza del fossato.
"Sean. Ti prego!"
Si fermò e rimase incerto, con i Mauser che abbaiavano sulle alture e le pallottole che falciavano l'erba intorno a lui.
"Lascialo", urlava a Sean il suo terrore. "Lascialo. Corri!Corri!"
Saul strisciava verso di lui, con la faccia coperta di sangue e gli occhi fissi sul suo volto. "Sean!"
"Lascialo!Lascialo!
Ma c'era speranza su quel pietoso viso insanguinato, e le dita di Saul artigliavano l'erba fino alle radici, mentre si trascinava in avanti.
Era al di là di ogni bragionevolezza. Ma Sean tornò indietro.
Spronato dal terrore, trovò la forza di sollevare Saul e di correre con lui.
Odiandolo come non aveva mai odiato prima, Sean trasportò barcollando il compagno verso il fosso di drenaggio. La tensione nervosa rallentava il ritmo del tempo e gli parve di correre per un'eternità. "Maledetto" disse a Saul, odiandolo...Poi il terrenpo gli mancò sotto i piedi. Caddero insieme nel fossato...
"Grazie, Sean". Improvvisamente Courteney si accorse che gli occhi del compagno erano pieni di lacrime e la cosa lo imbarazzò. Distolse lo sguardo.
"Grazie...per essere tornato a prendermi".
"Dimenticalo".
"Non lo dimenticherò mai. Finché avrò vita".
"Tu avresti fatto lo stesso".
"No, non credo. Non ne sarei stato capace. Ero così spaventato, così terrorizzato, Sean. Tu non puoi sapere. Tu non saprai mai cosa significhi avere tanta paura...Ti devo la vita".
"Chiudi il becco, maledizione!"...Sean non riuscì a trattenere la propria rabbia. "Così, io non saprei cos'è la paura! Ero talmente terrorizzato là fuori che ... ti odiavo. Mi senti?Ti odiavo".
Poi la sua voce si raddolcì. Doveva spiegarlo a Saul e a se stesso. Doveva parlarne, giustificarlo e sistemarlo saldamente nell'ordine delle cose.
A un tratto si sentì molto vecchio e saggio. Teneva nelle sue mani la chiave del grande mistero della vita. Era tutto così chiaro, per la prima volta lo capiva e poteva spiegarlo.

WILBUR SMITH - La voce del tuono, Superpocket 2010 su licenza Longanesi, Milano, pp.119-121

fonte web: http://www.culturaesvago.com/antologia-di-letteratura/
immagine: http://www.ebookvanilla.it/la-voce-del-tuono.html

Infine si è sposata con un albero #Kadd, secondo la tradizione #animista - Gianni #Celati, Passar la vita a #Diol Kadd, #Diari 2003-2006, #citazione, #Africa, #islam, #animismo, #tradizione #orale

Sul fondatore di Diol Kadd

C'è un argomento che gli anziani trattano con cautela, ed è la memoria della fondazione di Diol Kadd, che risale a circa tre secoli fa. Il fondatore è stato un certo Ibra N'Diaye, che sarebbe l'antenato di Mandiaye e della maggior parte degli abitanti attuali di Diol. Per saperne di più Mandiaye è andato a trovare un altro anziano, il signor Niang, enciclopedia vivente del passato locale. Secondo la prodigiosa memoria del signor Niang, il fondatore di Diol era un personaggio originario della regione di Kajor (Thiès), che verso la metà del Settecento ha abbandonato la famiglia per creare una piccola Daara (scuola di studio coranico). E come san Francesco ha abbandonato la famiglia per predicare un altro modo di vita, così Ibra ha deciso di entrare nel cuore del territorio serèr per predicare l'Islam in nome dello sheikh Ahanad Tidjiani (diffusore dello studio coranico con forti tendenze sufi). Quello studio si è sparso in modo nuovo nel Settecento, dal Marocco all'Algeria, per sbarcare tra le colonie fulbe (ossia peul), nell'alto Senegal. A quell'epoca la zona dove adesso sorge il villaggio di Diol Kadd era abitata da Serèr – e i Serèr erano l'unica etnia in tutto il centro del Senegal che non si fosse convertita all'Islam, mantenendo stretti legami con l'animismo.

Sviluppo d'una nuova cultura

Secondo il signor Niang, il suddetto Ibra N'Diaye doveva essere un capo spirituale islamico, ma doveva essere allo stesso tempo anche un capo spirituale animista che aveva legami di stregoneria con il Djaraaf (rappresentante del governo) dei Serèr. Pare che il suo compito fosse quello di salvaguardare il potere del Djaraaf, proteggendolo dai malefici. Per questo gli fu concesso uno spazio dove abitare e coltivare la terra e fondare le prime scuole coraniche della zona che poi si chiamerà Diol Kadd. Queste scuole debbono essere state il corrispettivo di quell'apertura mentale che nella stessa epoca in Europa si è chiamata Illuminismo.
Invece dell'enciclopedia e del pensiero di Rousseau qui c'era il Corano da studiare, con influenze sufi: ma si trattava di un'educazione che portava circa allo stesso risultato. Portava alla nascita d'una nuova cultura, dove la tolleranza e la fratellanza tra gli uomini diventano criteri fondamentali d'un modo di vivere, sganciato dalle culture arcaiche o tribali. Mandiaye dice che gli abitanti di Diol sono Serèr convertiti alle nuove tendenze, gente che ha dimenticato la propria origine e imparato a leggere il Corano, abbandonando rituali ancora praticati a cinque chilometri da qui (come il rito iniziatico ancora praticato dai Serèr). Altra cosa: l'educazione nelle scuole coraniche nella nuova cultura andava assieme a un'iniziazione all'agricoltura, con le colture del miglio e dell'arachide, che restano ancora i due generi di coltivazioni praticati a Diol Kadd. Sulla trasmissione del potere. In un'altra visita al signor Niang, Mandiaye ha appreso che Ibra N'Diaye doveva essere un meticcio peul-mauritano, come si capisce dai suoi legami con i Mauri di St-Louis (luogo di arrivo delle nuove dottrine di origine sufi e di fioritura delle scuole coraniche). Dal suo cognome si sente l'origine di Daara Djolof dei Fulbe del Nord. La sua prima moglie era una Serèr, che gli era stata concessa dal governatore serèr quando Ibra aveva quarant'anni. Da questa moglie serèr discende la linea dei cosiddetti tradizionalisti di cui fa parte anche Mandiaye. All'età di cinquant'anni Ibra ha sposato una seconda moglie, questa proveniente dalle sue zone d'origine, nell'area di Kadjor; e da lei discendono tutti i cosiddetti progressisti del villaggio, che ereditano il potere del capo. Il potere va nelle mani del capo del villaggio, come quello attuale, lievemente panciuto. In conclusione, gli abitanti di Diol hanno lo stesso antenato ma sono divisi in due gruppi, uno di discendenza paterna e uno di discendenza materna: gruppi che hanno convissuto pacificamente. E se il potere è del capo progressista, le decisioni sono prese dai due gruppi insieme. Per tradizione il villaggio appartiene a tutti i suoi abitanti. Studiare il Corano e imparare la coltivazione. Nelle scuole coraniche, insieme alla lettura che si faceva e si fa adesso, gli alunni erano avviati a imparare la coltivazione, con i loro prodotti classici (miglio e arachidi) tutt'ora i prodotti classici degli abitanti di Diol Kadd. Ma nel corso del tempo, quelle due coltivazioni hanno largamente contribuito a un impoverimento del terreno nelle zone savanicole, disseccando parte delle zone coltivate, con il risultato che nel giro di tre decenni tutto il panorama dei dintorni si è trasformato e spesso inaridito vertiginosamente. Sentieri sabbiosi, arbustivi. Di qui sono nate queste colture della savana, in parte zone di riserva, altre come punti che gli abitanti curano con una accanita dedizione per gran parte dell'anno.

[…]

Mandiaye mi scrive una lettera di notte

Tutto questo andrebbe riscritto meglio, perché sembra un eden pre-coloniale. Ma la bellezza delle storie di Mandiaye sta nel suo modo di raccontarle: e se togli di mezzo quel parlare che va verso uno sfondo lontano, tutto diventa una ridicola fantasia. Nell'aprile 2002 avevo scritto a Mandiaye di raccontarmi tutte le storie che ricordava sulla sua famiglia, sul suo villaggio, sulla sua infanzia a Diol Kadd, e sulla sua vita da ragazzo a Dakar. Mandiaye dice che dopo aver letto la mia lettera ha passato il resto della notte con la testa piena di visioni. E ha sognato a lungo, poi si è alzato dal letto per descrivermi le visioni avute. Nella lettera che mi ha mandato dice: "Davanti agli occhi mi passavano moltissime immagini del villaggio, e ho visto le capanne, e gli animali, gli anziani, e tanti bambini che correvano di qua e di là. Ho visto i campi di arachidi e i campi di miglio, ho visto i giganteschi baobab della savana, e gli alberi del tamarindo. Poi ho visto me stesso nella mia infanzia, come se facessi una discesa verso i miei antenati. Ho visto tante facce che conoscevo e altre che non conoscevo, in particolare mi sono incantato su una faccia che conoscevo ma non ho mai visto – cioè la faccia di mio nonno Seleman, padre di mio padre, che non ho mai conosciuto di persona...". Nella lettera rievoca la sua scomparsa, secondo i racconti di sua nonna Nogaye, moglie di Seleman. Questa gli raccontava che Seleman era scomparso volando in aria, e che un giorno o l'altro sarebbe tornato. Comunque, sono passati gli anni e s'è visto che Seleman non tornava. Parenti e anziani sollecitavano Nogaye a prendersi un altro marito, ma lei non voleva saperne. Così infine s'è sposata con un albero kadd, secondo la tradizione animista.



(Gianni Celati, Passar la vita a Diol Kadd, Diari 2003-2006, Milano, Feltrinelli, 2011, pp. 82-86)





domenica 19 agosto 2012

#Sorridereallavita #Citazione

http://gruppi.chatta.it/sincerita-e-tanto-amore/forum/principale/1148665/donne/tutti.aspx
E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi qualche segreto magico che smentisce ogni male e ogni mia tristezza... Credo che il segreto non è altro che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è cosi bella e soffice, come un velluto, purché la si guardi cooem si deve...

Rosa Luxemburg, Lettere dal carcere, dicembre 1917
Tratto da: Le donne hanno detot - un libro di citazioni pag.278 - Laura Bolgeri - Rizzoli

#Frutti #Melagrana #Foto Di Bernardo Braccini

http://www.accademiadeisensi.com/fiori/489%20MELAGRANA.jpg
Il frutto dell'albero della vita

Il melograno è sempre stato per i mistici di ogni tempo soggetto prediletto di simbolismo recondito che evidenzia la profonda considerazione asssegnata a questa pianta in epoche diverse. Troviamo il melograno esaltato nei papiri egizi, citato nell'antico testamento, presente nella mitologia greca, nella storia romana e nel Corano. La pianta ha probabilmente avuto origine in Persia per poi diffondersi gradualmente in India, Africa del nord, Europa, Cina e Americhe, naturalizzandosi tanto da diventare spontaneo. Si tratta di uno dei primi frutti coltivati, almeno dal 3.000 a.c., nelle vallate formate dai fiumi Nilo, Indo e dalla coppia Tigri-Eufrate.
Il frutto è citato in varie culture e religioni. Si dice che sia fiorito nel Giardino dell'eden ed è probabilmente il celebre "pomo" della vicenda di Adamo ed Eva prodotto dal misterioso Albero della Vita. Il melograno ha sempre simboleggiato numerose virtù: amore, fertilità, salute ed abbondanza.
Il nome botanico è Punica granatum. "Punica" deriva dall'antica città Fenicia nell'africa settentrionale in cui i soldati romani, mentre erano diretti a combattere la prima Guerra Punica del terzo secolo a.C., si imbatterono per la prima volta nell'albero del melograno; "granatum" significa granulato in quanto il frutto assomiglia ad una mela e presenta numerosi semi al suo interno.
L'albero del melograno è assai adattabile a terreni diversi e tollera codizioni dure in termini di calore, aridità ed abbandono. Non sorprende quindi che nell'antichità ci fossero ovunque boschetti di melograno. La pianta vive molto a lungo e come il frutto non soffre di quasi alcuna malattia o danno da parassiti.

  I frutti sono da tempo utilizzati nell'alimentazione umana. Il succo del melograno è ricco di sali minerali, vitamine e preziosi fitofenoli antiossidanti. Vi è un accresciuto interesse per l'olio di melograno come potente fitoestrogeno e per le sue potenziali proprietà di prevenzione dei tumori (in particolare del cancro al seno). Il melograno è una delle principali fonti note di acido ellagico, un potente antiossidante ed anticancro descritto in oltre 500 studi pubblicati negli ultimi 40 anni. Le proprietà antiossidanti sono efficaci anche contro la aterosclerosi, infiammazioni del miocardio ed arteriose, ipertensione. La corteccia è un potente tenifugo, è velenosa e da usare con cautela; i fiori si usano in infuso contro la dissenteria. Il tegumento dei semi è astringente e diuretico.

In cucina
Il succo di melograno era utilizzato come condimento di pesci e carni in alternativa al limone. La granatina era un tempo la spremuta dei granuli di melograno aggiunta di zucchero ed allungata di acqua fredda.
La melagrana viene usata in pasticceria per la preparazione o guarnizione di dolci di ispirazione orientale, ma anche per gelatine, gelati, sorbetti, granatine, salse (ne ricordiamo una specifica per i pesci, insalate, bevande fermentate, aceto, acquavite, macedonie di frutta (sia in grani, che insaporita dal succo), assieme ai fomaggi, in vari piatti dolci.
Per lo sciroppo si bolle il succo ottenuto dai grani e zucchero; una volta ottenuto il giusto raddensamento si immette nei vasi-bottiglie; viene destinato a bevande dissetanti con acqua minerale, ghiaccio, unitamente a succhi di agrumi piuttosto dolci.
Il melograno si presta per deliziose insalate con mela a fettine, il cuore di una verza sottilmente affettato, scagliette di parmigiano, ovviamente olio extravergine di oliva, succo di limone, e se si vuole peperoncino.

 fonte web; http://coopdulcamara.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=110

#Antologiadiletteratura #Honoré de Balzac: Eugénie Grandet


Nella vita pura e monotona delle ragazze v’è un’ora deliziosa in cui il sole effonde nell’anima loro i suoi raggi, in cui il fiore esprime pensieri, in cui i palpiti del cuore comunicano al cervello una calda fecondità e fondono le idee in un vago desiderio; v’è un giorno d’innocente melanconia e di gioie soavi. Quando i bimbi cominciano a vedere, sorridono, e, quando una fanciulla intravede il sentimento nella natura, essa ritrova il suo sorriso di bambina. Se la luce è il primo amore della vita, l’amore non è forse la luce del cuore? E per Eugenia giungeva oramai il momento di scorger chiaro nelle cose di questa terra.
Mattiniera come tutte le ragazze di provincia, ella si levò di buon’ora, recitò la sua preghiera e prese a vestirsi, cosa che cominciava ad avere importanza per lei. Si pettinò i capelli castagni, ne avvolse le grosse trecce al disopra della nuca con minutissima cura, cercando che nessun capello sfuggisse dalla massa, e diede risalto in tal modo al timido candore del viso con una giusta armonia fra la semplicità degli accessorii e la purezza delle linee. Mentre si lavava piú volte le mani nell’acqua fresca che le induriva la pelle arrossendola, si guardò le belle braccia rotonde, volle cercar la causa per cui il cugino aveva le mani cosí morbide e bianche, le unghie tanto bene affilate. Si mise calze nuove, le scarpe piú eleganti e, pungendola per la prima volta il desiderio di comparir graziosa, comprese d’un tratto quanta gioia possa aspettarsi da un abito ben fatto, che renda piú attraente. Terminata la toletta, udí suonare l’orologio della parrocchia, e si stupí di contare soltanto le sette. Per timore di non avere il tempo necessario per vestirsi bene, s’era levata troppo presto, ma, ignorando l’arte di accomodare dieci volte un ricciolo e di studiarne l’effetto, Eugenia incrociò semplicemente le braccia, sedette alla finestra, e si mise a contemplare il cortile, il giardino stretto e le alte terrazze che lo dominavano; una triste veduta nell’insieme, ma non priva delle misteriose bellezze proprie dei luoghi solitari o della natura incolta.
Accanto alla cucina era un pozzo con parapetto di pietra e con la carrucola sostenuta da un braccio di ferro curvato, intorno a cui si attorcigliava una vite appassita, rossa, bruciata dalla siccità. Dal ferro passava sul muro, vi si attaccava, correva lungo la casa, e andava a finire nella legnaia, dove la legna era disposta con la stessa cura con cui son disposti i libri d’un bibliofilo. Il pavimento del cortile aveva tinte nerastre, prodotte col tempo dai muschi e dalle erbe, e le mura erano rivestite come d’una camicia verde, listata da lunghe strisce brune. Gli otto gradini, che in fondo al cortile menavano all’uscio del giardino, erano disgiunti e quasi sepolti sotto le piante, come la tomba di un cavaliere delle Crociate sepolto dalla sua vedova; sopra una fila di pietre mezzo consunte poggiava un cancello di legno marcio, cadente per antichità e tutto avvinto da piante rampicanti. Ai lati del cancello si protendevano i rami storti di due meli tisici. Tre viali paralleli, sparsi di sabbia e separati da aiuole con bordo di bosso, formavano il cosí detto giardino, che finiva sotto la terrazza in un gruppo di tigli. In un angolo vi erano alcune piante di fragola, in un altro un noce immenso spingeva i rami fin sopra il gabinetto del vecchio bottaio.
Una giornata limpida e il lieto sole d’autunno in riva alla Loira venivano man mano dissipando quella specie di velatura che la notte aveva distesa sopra gli oggetti pittoreschi, sui muri, sulle piante del giardino e del cortile. Eugenia sentí un fascino tutto nuovo in quelle cose che fino allora le erano rimaste indifferenti. Mille pensieri confusi le sorsero nell’anima, e crescevano a misura che i raggi del sole diventavano piú vividi; fìnché un moto di piacere la scosse, vago, inesplicabile, un piacere che ne avvolgeva l’essere morale, come una nuvola avvolgerebbe l’essere fisico.
I suoi pensieri erano in perfetto accordo con i particolari dello splendido paesaggio, e le armonie del cuore finirono con l’unirsi a quelle della natura. Quando il sole raggiunse un angolo del muro, di dove si protendevano le piante di capelvenere dalle larghe foglie a colori cangianti, simili a petti di colomba, parve ad Eugenia che celesti raggi di speranza le illuminassero l’avvenire, e provò diletto a contemplare quel pezzo di muraglia, i suoi fiori pallidi, le campanelle azzurre e le erbe appassite, cui si fuse un ricordo soave come quelli dell’infanzia. Il fruscio di ogni foglia che cadeva dal suo ramo nel cortile sonoro, sembrava una risposta alle mute domande della fanciulla, che restava intanto là inconscia del fuggir del tempo. Poi dentro quell’anima si agitò qualche scrupolo ed, alzandosi, ella veniva innanzi allo specchio e vi guardava la sua persona, come un autore ingenuo contempla l’opera sua per scoprirne i difetti e dirsi male di se stesso.
– Io non sono abbastanza bella per lui! – pensava Eugenia, umile e dolente.
Certo la povera ragazza non era giusta verso se stessa; ma la modestia, o meglio la timidezza, è una delle prime virtú dell’amore. Ell’era una fanciulla di forte costituzione, come ve ne sono tante nella media borghesia, e la sua bellezza poteva anche sembrare volgare; ma, pur non somigliando alla Venere di Milo, aveva nelle forme l’impronta nobile e soave del sentimento cristiano, che purifica la donna e la circonda d’un’aria speciale, ignota agli scultori dell’antichità. Aveva la testa grande, la fronte maschia, ma delicata del Giove di Fidia: erano grigi i suoi occhi, nella cui pallida luce parea riflettersi intera la castità della sua vita. Le linee del viso rotondo già fresco e roseo, avevano un po’ sofferto pel vaiuolo, abbastanza benigno da non lasciarvi traccia, ma tale da distruggere il velluto della pelle, sebbene questa si conservasse tuttavia cosí dolce e fine, che il puro bacio della madre v’imprimeva per un istante un segno rosso. Il naso era un po’ troppo pronunziato, ma armonizzava con una bocca del piú bel carminio, spirante dalle labbra affetto e bontà, mentre di squisita modellatura appariva il collo. Il seno ricolmo e accuratamente nascosto attirava lo sguardo svegliando i sogni, e la stessa rigidezza dell’alta statura, benché priva della grazia dell’abbigliamento, doveva avere un fascino speciale per i conoscitori. Eugenia, grande e robusta, non aveva quella leggiadria che piace alle folle, ma era bella di quella bellezza che ha potenza solo sugli artisti. Se un pittore fosse venuto quaggiú alla ricerca del tipo personificante la celeste purità di Maria, e avesse chiesto a tutta la natura femminea gli occhi modestamente fieri divinati da Raffaello, le linee verginali, spesso fiorenti dall’impeto improvviso della concezione, ma frutto in realtà di una vita cristiana e pudica; quel pittore, acceso da un raro modello, avrebbe trovato d’un tratto nel volto di Eugenia la nobiltà innata e incosciente di sé, avrebbe intravveduto sotto la fronte tranquilla un mondo di affetto, e nello sguardo, nel moto delle pupille, un non so che di divino. I suoi lineamenti mai alterati né stancati dall’espressione del piacere, somigliavano alle linee d’orizzonte che sfumano dolcemente nella lontananza dei placidi laghi. Quella fisonomia calma, colorita, circonfusa di luce come un bel fiore aperto, dava all’anima un senso di pace, comunicava quasi il fascino della coscienza che v’era rispecchiata, e avvinceva gli sguardi. Eugenia era ancora sulla riva del fiume della vita, ove fioriscono le illusioni infantili, ove si colgono margherite con un sentimento di delizia che diverrà ignoto in seguito, e, mirandosi nello specchio, ignara ancora dell’amore, ella ripeteva a se stessa: – Son troppo brutta, io; non può badare a me.
 
Fonte web: http://www.culturaesvago.com/nuova-antologia-di-letteratura/

Immagine: http://bachecaebookgratis.blogspot.it/2010/10/honore-de-balzac-eugenie-grandet-ebook.html

sabato 18 agosto 2012

#Letteradi #Karol Wojtyla #Grazie a te, donna

http://ilmioblog-annamaria.blogspot.it/2011/01/sei-lamore-di-air.html

Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia
e nel travaglio di un' esperienza unica,
che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce,
ti fa guida dei suoi primi passi,
sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino
a quello di un uomo,
in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi
nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità,
della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale,
economica, culturale, artistica, politica,
per l' indispensabile contributo che dai all' elaborazione di una cultura
capace di coniugare ragione e sentimento,
ad una concezione della vita sempre aperta al senso del «mistero»,
alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne,
la Madre di Cristo, Verbo incarnato,
ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa
e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta «sponsale»,
che esprime meravigliosamente la comunione
che Egli vuole stabilire con la sua creatura. 


(Lettera di Giovanni Paolo II alle donne del 1995)

Come una goccia di sangue in un organismo più grande, Merete #Pryds Helle, L’ #amore ai tempi della pietra, #preistoria, #neolitico, #archeologia #antropologia #estasi #Göbekli Tepe #citazione


www.marieclaire.it
Edith è seduta sulla roccia scaldata dal sole fra due stranieri quasi nudi e si gode il calore che si attenua. Il cielo si arrossa, come se fosse percorso da una gazzella sanguinante che scivola sul fango del crepuscolo. Edith ha nel palmo della mano alcuni granelli e li guarda.

"Sono solo semi", dice.

"Non sono come quelli che conosci", dice uno degli stranieri. È un uomo alto e dinoccolato, quando cammina sembra spinto avanti dal vento. Ha due code di leopardo annodate alla vita e una collana di denti di squalo. Fra i capelli ricci sono infilate delle lunghe piume d'aquila, ha braccia e gambe coperti di tatuaggi geometrici. Si è presentato come Aquila, il suo compagno come Verde, e così è chiaro che tipo di gente sono, per chi non lo ha già indovinato dalle numerose borse di pelle che portano alla cintura e sulle spalle. Gente che va in giro senza famiglia né clan, gente che pratica il baratto per tirare avanti e conosce il valore delle cose. Gente al cui arrivo gli abitanti del villaggio sono contenti, ma sono anche contenti quando se ne vanno e li salutano con la mano mentre accarezzano i nuovi gioielli o le armi. Uomini che conoscono sempre le novità, pieni di storie sulle vicende nel vasto mondo.

"Piantarli", ripete Edith. "Che cosa hanno di speciale?"

"Danno un raccolto maggiore", spiega Verde. È più piccolo di Aquila e porta delle lunghe collane di turchesi che gli pendono dal collo. Ha due topi bianchi nei capelli e sui lombi un pezzo di lino verde intessuto.

"La spiga non si apre durante la mietitura. Questo rende più facile mietere e più facile battere. E ha un sapore migliore".

Edith fa scivolare di nuovo i semi nel sacchetto di pelle di Verde, uno dopo l'altro.

"Come posso essere sicura che ciò che dite è vero?" chiede abbassando lo sguardo sul villaggio rotondo coricato su una piana sotto la rupe dove sono seduti. in 3.

(Pre Pottery Neolithic A/B, abbreviato in PPN A/B. Si trovano stoviglie, contenitori e figure di argilla cotte nel fuoco, ma poca ceramica. Il periodo è caratterizzato dal cosiddetto addomesticamento, ovvero il processo con cui vengono rese domestiche specie vegetali e animali e costruite abitazioni.)


Edith vede i bambini del villaggio, sette in tutto, che saltellano lungo il corso d'acqua, in fila come rane, finché uno cade. Le donne sul piazzale davanti alle abitazioni tengono d'occhio la carne di gazzella sul fuoco mentre, accovacciate, fanno dei fori nelle piccole pietre verdi che scambieranno con Verde e Aquila. Gli uomini sono seduti in circolo e parlano in modo concitato, apparentemente di un uomo anziano sdraiato su una stuoia fuori dal circolo. Edith ha partorito due figli e così il peggio è passato.

 [...]

"Cosa volete allora per i vostri semi?" dice lei.

Ora le cose si fanno più complicate.

Verde e Aquila potrebbero chiedere collane di perle verdi, da barattare sulla costa per un buon prezzo. Potrebbero chiedere corna di gazzella o carne, oppure ossa affilate dei grandi uri o aghi d'osso e abiti di pelle. Potrebbero chiedere asce di selce o punte, che sono apprezzate più all'interno del deserto, dove la qualità della selce è peggiore. Potrebbero chiedere i raffinati gioielli di madreperla di Stane o i bracciali di pietra di Ishi. Avrebbero potuto anche chiedere del tempo con una delle donne o un bambino come assistente e compagnia, magari un bambino che aveva difficoltà con la stretta convivenza del villaggio. Dio li fa e poi li accoppia. Ma i due mercanti sono persone moderne, ciò che desiderano è partecipare alla più alta esperienza collettiva che la civiltà possa offrire, nella quale il singolo si sente come una goccia di sangue in un organismo più grande. Verde e Aquila non hanno un clan, quello in cui sono nati lo hanno abbandonato e nella stessa occasione hanno assunto i loro nomi da vagabondi. E senza un legame di appartenenza a un clan non possono partecipare al grande incontro del solstizio, a cinquecento chilometri a nordovest, che ogni dieci estati raccoglie il mondo e sospende il tempo, risucchia la gente nell'ombelico del tempo, in modo che sanno cosa c'è dall'altra parte, dentro il corpo del tempo. È questo che Verde e Aquila desiderano. Non è ciò che vogliamo tutti?

Edith ascolta il desiderio dei due uomini. Se li immagina camminare da soli fra i bassi pistacchi e i mandorli, vede i branchi di gazzelle, sente il rumore di passi sulla terra pietrosa, nel silenzio assordante che si alza sulle rupi e sul deserto. Anche lei cammina, ha due vite che cambiano con le stagioni. Nella parte più calda dell'anno è ogni giorno in un posto nuovo. In quella più fresca dorme ogni notte nella sua casa rotonda, rotonda come le case di giunchi erette in fretta, che costruiscono d'estate quando camminano. La forma delle case è innanzitutto pratica, ma diventa anche un rapporto fra corpo, pensiero e ambiente, e a poco a poco tutto il mondo sembra rotondo. La casa è solo una versione più piccola della casa del cielo.

Dice che parlerà con gli altri. Poi vedranno.

Quella notte Verde e Aquila dormono nella casa di Edith. Srotolano le loro stuoie intrecciate sul pavimento bianco appena spazzato, mentre Edith e i bambini dormono da Tas, l'uomo che lei chiama suo. Prima di dormire lei e Tas parlano a lungo del desiderio dei due uomini in cambio delle sementi che hanno appassionato i pensieri di Edith. Lei vuole quei chicchi, immagina già le spighe che si muovono al vento, grandi e grasse, senza che l'aria porti via i chicchi. Gli steli sono alti come la casa, nella sua mente, ogni spiga è grande come la sua testa, può allungare la mano e coglierla come una noce e mangiarla, grande e tonda. Sì, non il pane, perché quel concetto non esiste nella coscienza di Edith, e le pagnotte che mangerà quando sarà una donna anziana e onorata saranno piatte e sapranno di fumo, ma immagina la spiga come una gigantesca mandorla. Tas vede il suo entusiasmo e si chiede se alla richiesta dei due uomini sia possibile dare una risposta positiva.

Edith, Tas e i loro clan appartengono ai gruppi che hanno accesso ai centri rituali che diffondono energia e raccolgono tutto il mondo conosciuto. Il mondo conosciuto è un'area di circa 180.000 chilometri quadrati. Il più grande centro rituale, quello verso il quale tutti i clan fra pochi mesi si muoveranno, si trova nell'attuale Turchia, nel Kurdistan, in un luogo che ancora oggi significa se non l'ombelico del mondo, almeno l'ombelico della collina, ovvero Göbekli Tepe.


(Merete Pryds Helle, L’amore ai tempi della pietra,  Asti, Scritturapura, 2012, pp. 18 ss.) 

(Nell’immagine sopra: oggetti vudu da collezione privata,  esposti alla mostra “Cartier e l’arte primitiva, Parigi, aprile-settembre, 2011”)



La moneta del regno dei folli, #Luther #Blissett, #Q, #Riforma #protestante, vendita delle #indulgenze, #Alberto di #Hohenzollern, Johann #Tetzel


Fuori dall'Europa, 1555

Sulla prima pagina è scritto: Nell'affresco sono una delle figure di sfondo.
La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi. Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi. La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi l'eterna oscillazione delle fortune umane.
Il libro, forse l'unica copia scampata, non è piú stato aperto. I nomi sono nomi di morti. I miei, e quelli di coloro che hanno percorso i tortuosi sentieri. Gli anni che abbiamo vissuto hanno seppellito per sempre l'innocenza del mondo.
Vi ho promesso di non dimenticare.
Vi ho portati in salvo nella memoria.
Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offuschi lo sguardo che si volge indietro, attutendo il frastuono delle voci, delle armi, degli eserciti, il riso, le grida. Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio.
1514, Alberto di Hohenzollern diventa arcivescovo di Magdeburgo. A ventitre anni. Altro oro nelle casse del Papa: compra anche il vescovado di Halbertstadt. 1517, Magonza. Il piú vasto principato ecclesiastico di Germania attende la nomina di un nuovo vescovo. Se ottiene la nomina, Alberto mette le mani su un terzo dell'intero territorio tedesco. Fa la sua offerta: 14000 ducati per l'arcivescovado, piú 10000 per la dispensa papale che gli permetta di tenere tutte le cariche. L'affare viene trattato attraverso la banca Fugger di Augusta, che anticipa la somma. A operazione conclusa Alberto deve ai Fugger 30000 ducati.
Sono i banchieri a indicare le modalità di pagamento. Alberto deve promuovere nelle sue terre la predicazione delle indulgenze di Papa Leone X. I fedeli verseranno un contributo per la costruzione della basilica di San Pietro, in cambio otterranno un certificato: il Papa li assolve dai peccati.
Solo metà dell'incasso finanzierà i cantieri di Roma. Alberto userà il resto per pagare i Fugger.
L'incarico è affidato a Johann Tetzel, il piú esperto predicatore sulla piazza. Tetzel batte i villaggi per tutta l'estate del '17. Si ferma al confine con la Turingia, che appartiene a Federico il Savio, duca di Sassonia. Non può mettervi piede. Federico riscuote in proprio le indulgenze, attraverso la vendita delle reliquie. Non tollera concorrenti nei suoi territori. Ma Tetzel è un figlio di puttana: sa che i sudditi di Federico faranno volentieri poche miglia oltre frontiera. Un nulla osta per il paradiso vale il tragitto. L'andirivieni di anime in cerca di rassicurazione indigna a morte un giovane frate agostiniano, dottore all'università di Wittenberg. Non può tollerare l'osceno mercato messo in piedi da Tetzel, con stemma e bolla papale in bella vista.
31 ottobre 1517, il frate affigge alla porta settentrionale della chiesa di Wittenberg novantacinque tesi contro il traffico delle indulgenze, scritte di suo pugno.
Si chiama Martin Lutero. Con quel gesto ha inizio la Riforma.
Un punto d'origine. Memorie che ricompongono i frammenti di un'epoca. La mia. E quella del mio nemico: Q.


(Luther Blissett, Q,  Einaudi, Torino, 1999, pubblicato come e-book per www.liber-liber, progetto Manuzio)

(nell’immagine sopra: Albrecht Dürer, Ritratto di Jacob Fugger il Ricco,

venerdì 17 agosto 2012

#FioridiBach #Olive #La forza di vivere

ww.chedonna.it/che-forma/2011/04/05/fiori-di-bach-olive-per-la-stanchezza-fisica-e-mentale/
nome italiano: OLIVO
nome botanico: OLEA EUROPEA


La forza di vivere

  • Stato d'animo "bloccato":  
    Stanchezza, spossatezza profonda, si dormirebbe sempre. La causa potrebbe essere dovuta ad una situazione a cui si è dedicata tanta energia per tanto tempo con abnegazione, ad esempio una malattia o un periodo particolarmente stressante.
    Olive è utile quando la stanchezza è fisica più che mentale. Si ha bisogno di molto riposo per riprendersi e generalmente lo stato Olive si presenta dopo un lungo periodo di sforzo per se stessi o nel prendersi cura degli altri.
    Olive ridona energia in modo incredibile ma consiglio di prendere in esame anche lo stato Oak perchè se non si riconverte il proprio stato Oak, ecco che Olive è inutile.
  • Stato d'animo "trasformato":  
    Si ritrovano forza e vitalità. L'energia viene ravvivata.
  • Stati d'animo e sintomi collegati al fiore in ordine di importanza:
    • Stanchezza fisica
    • Bisogno di sonno
    • Spossatezza
    • Profonda astenia
    • Esaurimento fisico
    • Mancanza di energia
    • Nausea con stanchezza eccessiva
    • Sfinimento
  • Frase chiave:  
    "Sono sfinito."
  • Affermazione positiva:  
    "Sento scorrere in me un potenziale energetico"

    fonte web: http://www.fioridibach.it/fiori_di_bach/olive.htm

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