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domenica 4 ottobre 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 4 ottobre.
Il 4 ottobre 1992 il piccolo Simone Allegretti, quattro anni, figlio del gestore di un distributore di benzina, scompare a Maceratola, nella campagna tra Foligno e Bevagna, in Umbria. Comincia una disperata ricerca ed un dramma, quello che vedrà come protagonista il cosidetto mostro di Foligno, destinato a concludersi soltanto nove mesi dpo con un bilancio atroce: due bambini assassinati.
Il cadavere di Simone, nudo, coperto di sangue, soffocato e poi accoltellato alla gola, viene trovato due giorni dopo in una scarpata nei boschi del folignate. Poco prima, in una cabina telefonica di Foligno, era stato trovato un biglietto: lo firma “Il mostro”, è scritto con il normografo su di un foglio bianco. Dice: “Aiuto! Aiutatemi per favore. Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentíto ora anche se non mi fermerò qui. Il corpo di Simone si trova vicino alla strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli. E’ nudo e non ha l'orologio con cinturino nero e quadrante bianco”.
Segue un post scriptum: “PS.: non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato dei guanti. Saluti, al prossimo omicidio”.
Il 7 ottobre i primi risultati dell’autopsia rilevano che Simone è morto per “asfissia da soffocamento”, non ha subito atti di violenza carnale, ma atti di libidine. Sul collo ci sono sei ferite provocate con un oggetto da punta e taglio. Il 10 ottobre arriva a Foligno il superpoliziotto Achille Serra. Sull’assassino viene messa una taglia ed è ativato un numero telefonico. Il 13 ottobre a quel numero il mostro si fa vivo. Di telefonate ne farà 12 prima di essere catturato quattro giorni dopo: è Stefano Spilotros, 22 anni, agente immobiliare di Rodano, in provincia di Milano. Il 18 ottobre, nel corso di una trionfalistica conferenza stampa a Milano, il questore Serra e i magistrati perugini annunciano che il caso è chiuso. L’assassino di Simone ha un volto ed un nome. Trascorrono appena ventiquattrore e cominciano i primi dubbi sulle accuse che si è rivolto Spilotros. Troppi i particolari inesatti e le contraddizioni. Oltretutto diverse persone, parenti ed amici del giovane, giurano che Stefano era con loro quella domenica. Ad una polizia non troppo esperta nella gestione dell’omicidio - o forse solo troppo “innamorata” di un colpevole autoconfezionato - si aggiungono due magistrati di Perugia, che nell’immediatezza dell’arresto si lasciano ad andare ad una dichiarazione perlomeno incauta: “Abbiamo raccolto indizi numerosi, pesanti e gravi a carico del fermato che è accusato di omicidio volontario, atti di libidine e sequestro di persona”. Uno dei due magistrati è il sostituto procuratore Fausto Cardella che anni dopo manderà a processo Giulio Andreotti per l’omicidio Pecorelli (assoluzione definitiva). Saranno necessari altri 12 giorni e l’esumazione del cadavere del piccolo Simone per accorgersi che Stefano Spilotros è solo un mitomane. E che gli indizi “numerosi, pesanti e gravi” in realtà non esistono. Ma occorrerà soprattutto un nuovo, beffardo, messaggio del mostro che scagiona l’arrestato e chiede nuovamente “aiuto”. Una figura investigativa davvero barbina per inquirenti e magistrati. Il 2 novembre, Cardella è costretto a chiedere al Gip del tribunale di Perugia la scarcerazione di Spilotros. Come lo stesso rivelerà, si era accusato dell’omicidio perché abbandonato dalla sua fidanzata.
Il clima di isteria creatosi attorno al delitto di Foligno spinge l’operaio Giampaolo Marsili, 31 anni, di Cingoli (Macerata), afflitto da un forte esaurimento nervoso, ad impiccarsi. Prima di farlo lascia un biglietto con scritto: “Sono io il mostro, perdonatemi”.
L’omicidio di Simone Allegretti richia di finire nell’immenso archivio italiano dei delitti insoluti, se il vero mostro di Foligno non decidesse di farsi catturare: il 7 agosto 1993, dieci mesi dopo il primo omicidio, ne commette un altro. E’ un delitto frettoloso, quello di un altro bambino, ma più grande di Simone. Lorenzo Paolucci ha infatti 13 anni. Il suo cadavere, pugnalato al collo, viene trovato in una boscaglia vicina alla villetta dove abita Luigi Chiatti, un geometra di 24 anni, figlio adottivo di un medico molto noto a Foligno.
Chiatti non vede l’ora di confessare i suoi due delitti. E' un giovane solitario, schivo, con un passato di sofferenze. Ai magistrati racconterà di provare una forte attrazione per i bambini e anche un’invidia nei loro confronti.
Il 1 dicembre 1994 comincia il processo a suo carico. Chiatti deve rispondere di diversi capi di imputazione: l'omicidio di Simone Allegretti, aggravato dall'averlo sottoposto a sevizie e dall'aver agito per motivi abietti; l’omicidio, questa volta premeditato, di Lorenzo Paolucci, con l'ulteriore aggravante di aver agito “con crudeltà e per motivi abietti”. L'imputato è inoltre accusato di aver sequestrato il piccolo Simone e di aver compiuto su di lui atti di libidine violenti; deve infine rispondere di aver occultato i due cadaveri.
Il 28 dicembre Luigi Chiatti viene condannato a due ergastoli.
Ma la vicenda non è conclusa: l’11 aprile 1996 la corte d’Assise d'’Appello di Perugia riforma la sentenza di primo grado, lo ritiene seminfermo di mente e lo condanna a 30 anni di reclusione. Determinante si rivelerà la testimonianza di un giovane che aveva trascorso diversi anni in befotrofio con Chiatti il quale racconterà di violenze sessuali subite da entrambi da parte di un prete. A pena espiata Chiatti dovrà essere ricoverato in una casa di cura in custodia per almeno 3 anni. Il 4 marzo 1997 la Cassazione confermerà la sentenza.
La pena detentiva di Luigi Chiatti, prima del ricovero in casa di cura, è terminata nel settembre 2015.
Per lui è stato disposto l'internamento per almeno altri tre anni in una Rems (tipo di struttura che dal 2015 ha sostituito i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari) in Sardegna. Nel 2018, a seguito di valutazione del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, la permanenza di Chiatti presso la Rems è stata prorogata di due anni.

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