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venerdì 4 novembre 2016

Rivoli - Cristina Seravalli

 RIVOLI
 di Cristina Seravalli

  Angela passa lo straccio sul pavimento, la testa altrove.
Turi non sta andando bene, ha sempre l'asma; è la terza volta che lo porta al pronto soccorso.
Quel bambino è troppo magro, non mangia abbastanza, è fisso su quei giornalini.
Angela raccoglie il secchio da terra insieme allo straccio e allo spazzolone, esce dimenticandosi di
spolverare e si dirige al telefono nel corridoio.
A lavoro non dovrebbe, solo per le emergenze, come dice il direttore, ma vuole avere notizie di
Turi, sapere come sta oggi e se è andato a scuola.
Certo sua madre non la smette di parlare! Con la cornetta all'orecchio, Angela lucida
distrattamente il piano della libreria accanto a lei, mentre ascolta la madre lamentarsi perché Turi
non è andato a scuola, non ha mangiato e sta sempre su quei cosi a leggere seduto in terra.
Angela pensa ai suoi giochi all'aperto di tanto tempo fa, al sud, a casa. Ma dove può giocare qui
Turi, se piove da giorni?
L'entusiasmo del viaggio con questo uomo affascinante, quasi sconosciuto e quindi
intrigante, si spegne appena Margaret entra nella stanza d'albergo, spoglia e umida, ma sopratutto
sporca, con le coperte malamente sistemate sul letto e la polvere sul comodino. Il sorriso di David
non le riaccende il buonumore anche perché fuori ricomincia a piovere. Forse non ha mai
smesso, solo che prima, cinque, dieci minuti fa, la pioggia di novembre le sembrava bella e
addirittura romantica.
David solleva la valigia e la getta con gesto virile sul letto, sorride a Margaret, l'abbraccia e
cerca di baciarla. Ma Margaret trova ingiusto quel bacio, vorrebbe altro ora; non potrebbe David far
smettere tutta quella pioggia?
Saranno costretti in albergo, in quella camera sporca e triste almeno finché non rallentano quelle
sbarre d'acqua gelida che la tengono prigioniera.
Il suo bel vestito finto chanel è sgualcito, umido e appiccicoso: ma in Italia non doveva non
piovere mai? Abbassa lo sguardo: la valigia di David gronda acqua nera sul copriletto. Pensa che
è da veri idioti mettere una valigia sporca di aereo, treni e stazioni su un letto, per quanto
disgustoso.
Mangeranno in camera, è deciso; si faranno portare una cena calda, almeno quello sarà possibile?
Secondo Mario fare il portiere d'albergo è un'ottima cosa, soprattutto la notte: non c'è molto
da fare e si può leggere a sazietà, a volte fino all'alba indisturbati. Ha con sé anche il manuale di
storia. Guarda il volume sbertucciato e subito avverte il solito senso di colpa e la tentazione di
desistere. L'esame è davvero vicino, conta i giorni e si smarrisce. Rimane quell'esame e poi è
fatta, poi potrà dedicarsi alla tesi, solo a quella.
Mario afferra il librone e leggiucchia qua e là e in un attimo, senza accorgersene, si immerge nella
lettura, catturato da quell'ammasso di eventi e date ordinati in una lucida connessione causale.
Anche la pioggia acquista un senso nel ritmo cadenzato e costante.
Angela finalmente è a casa. Si libera della spesa pesante sul tavolo di cucina. Turi è ancora chino,
concentrato e perso nel mondo fantastico dei supereroi. Magari averne uno qui, vero, enorme e
potente. potrebbe afferrarla alla vita e farla volteggiare e forse potrebbe anche preparare la cena.
Ad Angela scappa da ridere all'idea di superman con il suo grembiule a fiori. È buio fuori, fa buio
presto di questa stagione, ma lei ora è nella luce di casa, al riparo dalla pioggia e Turi di là in
cameretta sembra tranquillo e respira bene.
David al bancone del ricevimento, pretende attenzione dal portiere. Che leggerà mai? Ha
freddo, l'umido gli è penetrato nelle ossa e il gelo nell'anima. Forse è per questo che anche
Margaret gli sembra così fredda e distante. Forse basterebbe un pasto caldo per rimettere a posto
le cose. Vorrebbe una cenetta calda e intima in camera. Margaret sarà di nuovo contenta.
Mario si sforza a pensare a tutte le trattorie dei dintorni, ma alle dieci di sera dove lo trova
qualcuno disposto a cucinare e consegnare la cena e poi con questa pioggia? Certo gli stranieri
sono davvero strani. Gli dispiace, ma non è possibile. No way, no possible. Glielo spiega nel suo
inglese fluente, sentendosi molto giusto e internazionale. Comunque per la coperta, no problem, si
può fare, due minuti e avranno una coperta pulita e calda.
Angela mette a letto Turi, domani è festa, ma domani l'altro niente storie: succeda quel che
succeda andrà a scuola. Afferra risoluta i fumetti e li piazza là in alto sull'armadio grande. Se ci
fosse suo padre, se ci fosse un padre, non si comporterebbe così e nemmeno lei l'avrebbe viziato
tanto. Ma anche lei non è da meno, è forte abbastanza per farsi rispettare. Accende il ferro e
comincia a stirare la montura che deve essere fresca e ordinata per domani, le ricorda un po' il
grembiulino di quando andava a scuola e i giorni da bambina e di sole. Sembra un secolo! Anche
la pioggia, sembra un secolo che piove.
Margaret e David sono esausti, fradici e avviliti. Sono fermi in strada da un'eternità, senza sapere
cosa fare nella città deserta e buia, i lampioni offuscati dalla pioggia fitta e continua e le valigie a
terra, informi e zuppe d'acqua, sono prive di importanza ormai. Forse lasciare l'albergo è stato
avventato e imprudente. Non si guardano, non parlano. La rabbia si è trasformata in sconforto e la
stanchezza impedisce loro di incolparsi a vicenda. La pioggia insiste e sembra che insista solo su
di loro.
Mario è immobile alla finestra. Guarda le trasparenze delle gocce d'acqua, dei rivoli che
scorrono e si rincorrono sulla superficie liscia dei vetri. Non ha voglia di pensare. Meglio lasciare la
mente ferma sulla monotonia della pioggia, senza preoccuparsi degli inglesi, del direttore che si
farà sentire di sicuro, dello studio, e di suo padre che non ce la farà a sopravvivere fino alla sua
laurea. Il cielo piange abbastanza anche per lui. Ancora quattro ore del turno di otto e poi sarà a
casa senza possibilità di evadere, di chiudere gli occhi sulla ineluttabile realtà.
Sono le quattro, Angela lo sa perché è quando suona la sveglia, quella sveglia che non
vorrebbe mai sentire, che la spinge via dall'abbraccio caldo delle coperte. Non c'è acqua in casa, si
infila i vestiti e in un attimo è pronta e sulla porta, poi in strada. Piove, ma con un nuovo,
inquietante rumore. Un suono, un rombo che non ha mai udito. Ancora prima di capire Angela già
corre di nuovo verso casa, verso Turi. No, Turi non andrà a scuola domani l'altro.
La massa d'acqua oltrepassa gli argini e in un attimo è ovunque. Con potenza, con
violenza, si impadronisce delle strade, dei giardini, delle piazze, delle case, penetra fra le
saracinesche dei negozi e invade luoghi e spazi, cose e vite.
Il 4 novembre del 1966 alle 4 di mattina, l'Arno esonda e travolge Firenze.

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