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lunedì 3 settembre 2018

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi




Buongiorno, oggi è il 3 settembre.
Il 3 settembre 1260 avviene la battaglia di Ayn Jalut, dove i mamelucchi sconfiggono pesantemente i mongoli.
Nel 1226 alla morte di Gengis Khan, l’impero mongolo abbracciava gran parte dell’Asia e aveva distrutto i prosperi regni musulmani dell’Iran. Sotto il successore di Gengis, Ogodai (1227-1241), i Mongoli continuarono la loro espansione, senza trovare alcun esercito in grado di contrastarli. Con le campagne del 1237-1242 erano giunti fino nel cuore dell’Europa e, più a sud avevano spinto le loro incursioni fino all’Anatolia, battendo Georgiani e Selgiuchidi. In genere i sudditi cristiani patirono assai meno dei Musulmani, che videro la loro supremazia politica e religiosa, incontrastata da millenni, messa in seria discussione dai vincitori che, pur tollerando tutte le fedi, manifestavano la maggiore ostilità proprio verso l’Islam.
Nel 1251, dopo un periodo di debolezza seguito alla morte di Ogodai, un nuovo ambizioso Khan, Mongka, aveva preso il potere. Come già Gengis e Ogodai, propugnava l’impero universale dei Mongoli e aveva investito i fratelli Qubilai e Hulagu della conquista dell’impero cinese dei Song e dei restanti regni musulmani non sottomessi, a cominciare dalla setta degli Ismailiti e dal califfato di Baghdad.
Hulagu, pur essendo di religione sciamanica, aveva un’influente moglie cristiana, Dotuz Khatun che fece pendere quasi sempre le sue decisioni in favore dei Cristiani e contro i Musulmani. Molti dei suoi generali, tra cui Kitbuqa, professavano apertamente il cristianesimo nestoriano. Gli stati crociati, da secoli in lotta per mantenere i loro possedimenti in Siria, avevano trovato dei potenziali alleati.
Alcuni contatti erano avvenuti tra i Mongoli e i regni cristiani d’Europa come la Francia o gli stati cristiani in Siria. Ma se c’era un accordo di fondo sull’eliminazione dei Musulmani e la restaurazione di Gerusalemme alla cristianità, su tutto il resto c’era divergenza. I Cristiani volevano nientemeno che la conversione dei Mongoli, mentre i Mongoli pretendevano che i Cristiani riconoscessero la loro supremazia diventandone vassalli. In realtà ciascuno dei due intendeva usare l’altro per i propri scopi ma non allearsi a lui, e questo minò alla base il loro sforzo comune per debellare l’Islam. Infine solo il principe di Antiochia Boemondo e il re della Cilicia armena Hetum si allearono con i Mongoli, mentre gli stati crociati della costa siriana e palestinese non presero posizione.
Hulagu cominciò la campagna per la sottomissione dei paesi islamici nel 1256. All’inizio assoggettò le regioni dell’Iran orientale e della catena montuosa dell’Elburz dove si concentravano le fortezze degli Ismailiti. Il loro gran maestro Rukn ad-Din Khurshah fece atto di sottomissione, e venne in seguito ucciso, mentre le fortezze si arrendevano o venivano prese d’assalto.
Alla fine del 1257 la setta degli Imailiti, detta anche degli assassini per via del loro costume di inviare sicari a uccidere i Re e gli uomini politici di spicco che si opponevano a loro, era stata estirpata dall’Iran. Veniva ora il turno del Califfo.
Trentasettesimo esponente della sua linea dinastica, al-Mustasim regnava su un territorio ristretto ormai al solo Iraq, un’ombra di quello che era stato il califfato al suo apogeo, ma si sentiva ancora il capo spirituale della comunità islamica ed era di conseguenza poco disposto a sottomettersi ad un barbaro miscredente. La sua condotta mostrò alquanto a desiderare perché, senza compiacere il suo pericoloso vicino mandando truppe o tributi, non mostrò sufficiente risolutezza nel preparare la difesa e lasciò che le inconcludenti trattative andassero avanti quasi fino al momento in cui l’esercito mongolo incombette sulla città.
Le truppe califfali furono spazzate via e la città investita nel gennaio del 1258. L’assedio fu breve e già il 10 febbraio le truppe mongole avevano aperto delle brecce. Il califfo per stornare l’imminente catastrofe mandò alti dignitari e i suoi stessi figli con doni, accettando di sottomettersi. Infine si recò di persona all’accampamento mongolo e fu accolto affabilmente da Hulagu. I Mongoli gli imposero di lanciare un appello alla popolazione perché deponesse le armi e uscisse dalla cinta di mura per essere censita. Quelli che ascoltarono l’appello uscirono dalla città, furono suddivisi in vari gruppi, e fatti a pezzi scaglione dopo scaglione. Questo massacro perpetrato a sangue freddo doveva precedere il saccheggio e renderlo il più comodo possibile.
I giorni successivi furono dedicati dalle truppe mongole ad asportare tutti i beni che era possibile trasportare. Il saccheggio non risparmiò nulla: dal palazzo del califfo all’ultima casa popolare. Quelli degli abitanti che non erano riusciti a nascondersi perfettamente furono uccisi sul posto. I cristiani rifugiati nelle chiese furono risparmiati per l’influenza della Dotuz Khatun.
Alcuni Musulmani cercarono di comprare la salvezza, ma solo dopo sette giorni di saccheggio e caccia all’uomo fu concesso ai superstiti di vivere. Al- Mutassim fu indotto da Hulagu a rivelare tutti i tesori segreti, poi fu portato insieme ai suoi figli nel villaggio di Vakaf. I mongoli non usavano spargere il sangue dei nemici di sangue reale, per cui misero il califfo in un sacco e lo fecero calpestare a morte dai cavalli. I suoi figli e ogni parente abbaside furono analogamente messi a morte. Il fetore proveniente dalla montagna di morti insepolti si era fatto così pestilenziale da indurre i Mongoli a muoversi a parecchi chilometri dalla città devastata. Per assicurare una certa parvenza d’ordine e di amministrazione essa venne affidata allo stesso visir che aveva servito sotto al Mutassim e che lo aveva consigliato invano di sottomettersi ai Mongoli.
Al saccheggio di Baghdad seguì un periodo di stasi della durata di circa un anno, finché nel 1259 Hulagu intraprese la campagna di Siria. Questa era un obiettivo fin troppo ovvio dal momento che si spingeva ormai nei territori governati dai Mongoli della Mesopotamia, dell’altopiano armeno e dell’Anatolia. La situazione politica sulla costa mediterranea presentava un quadro piuttosto variegato. Fino agli anni 50 sulla costa resistevano alcune città in mano ai crociati, gli ultimi avanzi degli stati che erano stati severamente ridimensionati dopo le campagne di Saladino nel 1174-92. Saladino aveva unificato gli emirati mussulmani di Damasco e Aleppo con l’Egitto e aveva dato origine alla dinastia ayyubide che aveva regnato per circa ottanta anni prima di essere rovesciata dai Mamelucchi.
I Mamelucchi erano schiavi-soldati, soprattutto di origine turca che erano stati razziati dai territori stepposi e ancora pagani a nord dell’area islamica. Non appena arrivati nella loro nuova patria veniva loro imposto un rigoroso addestramento militare e venivano loro impartiti col massimo rigore gli insegnamenti dell’Islam, finché non erano manomessi e poi arruolati come arcieri a cavallo nell’armata del loro patrono. Separati come erano dalle loro famiglie e dalla terra d’origine, da una parte, e dalla popolazione locale, dall’altra, essi mantenevano grande lealtà sia al proprio patrono che ai compagni di schiavitù. La società mamelucca era una aristocrazia militare di una singola generazione, continuamente replicata, perché i figli dei Mamelucchi non potevano essi stessi diventare Mamelucchi. I loro ranghi erano rinfoltiti dall’afflusso di nuove giovani reclute schiave.
I sultani Ayyubidi d’Egitto avevano fatto un sempre crescente impiego di queste truppe speciali, e, paradossalmente furono proprio le invasioni mongole con la riduzione in schiavitù di vastissime popolazioni turche a permettere l’immissione sul mercato di giovani schiavi che si sarebbero rivelati eccellenti guerrieri contro gli stessi Mongoli. Il sultano ayyubide al-Salih (1240-1249) comprò un migliaio di ragazzi di etnia turco-Qipchaq, appartenenti a quei khanati spazzati via dall’orda mongola durante la campagna in Russia del 1237-1240 e venduti poi ai mercanti locali.
Il migliaio di giovani Qipchaq comprati da al-Salih costituirono un unico reggimento, detto dei Bahriyya, da cui emerse il futuro sultano Baibars, che già nella giornata di al-mansura, in cui le forze ayyubidi sconfissero i crociati guidati da Luigi IX (1250), si distinse nei combattimenti.
La dinastia ayyubide si trovò ben presto rovesciata dagli stessi Mamelucchi che l’avevano salvata dai crociati e nel periodo 1250-1260 l’Egitto assistette ad una serie di lotte per il potere tra gruppi differenti di Mamelucchi, mentre il reggimento Bahriyya, escluso dal potere dal sultano Aybeg (anche lui un mamelucco), passò al servizio dell’ ayyubide al-Nasir Yusuf signore di Damasco e Aleppo.
Al-Nasir, accarezzava l’idea di riportare l’Egitto sotto il controllo della sua famiglia, ma all’atto pratico si rivelò un sovrano irresoluto che alternava atteggiamenti di sfida e sottomissione ai Mongoli, ma che fece ben poco per preparare il regno ad affrontarli.. Alle soglie dell’invasione mongola, la Siria e l’Egitto erano così divisi in regni non ancora consolidati e incapaci apparentemente di fare fronte comune contro l’imminente minaccia.
Il 18 dicembre 1259 le truppe mongole passarono l’Eufrate e raggiunsero la città di Aleppo che cadde dopo una settimana d’assedio alla fine del gennaio 1260. La cittadella resistette un altro mese finché non capitolò sotto condizioni onorevoli. Gli Ayyubidi di Hama e Homs corsero a rifugiarsi alla corte di al-Nasir Yussuf, mentre alcuni personaggi importanti della corte siriana, come Al-Ashraf Musa defezionarono ai Mongoli. A questo punto però Hulagu, iniziò una ritirata verso est, lasciando in Siria un distaccamento di Mongoli che assommava a 10-12000 guerrieri al comando di Kitbuqa.
Proprio in quel periodo infatti gli era giunta la notizia della morte di Mongka, il capo supremo dei Mongoli. Il decesso di questo energico sovrano rappresentò una svolta nella storia dell’Oriente. I quattro khanati mongoli erano stati finora uniti dalla sua autorevole figura, ma alla sua morte scoppiò una disputa per la successione tra i due fratelli Arigh-boke e Khubilai, ciascuno dei quali si fece eleggere in una quriltai illegale, perché non rappresentativa dell’intera assemblea dei Mongoli. Nella guerra civile Hulagu sostenne Khubilai, mentre Arigh Boke godette del sostegno di Berke, khan dell’orda d’oro, e di Jiagatai. L’unità dell’impero mongolo venne spezzata da questa disputa e mai più ricostituita.
Per il momento le unità lasciate a Kitbuqa parvero all’altezza del compito. Al-Nasir Yussuf era fuggito da Damasco ancora prima della caduta della cittadella di Aleppo e si era rifugiato in Egitto. Qui era avvenuto un colpo di stato nel quale Aybeg era stato assassinato per ordine della sultana Shajar-ad Dur, già vedova del sultano precedente. La sultana non aveva però abbastanza sostenitori tra i Mamelucchi e la maggioranza di loro ne pretese la morte.
Successivamente fu elevato al trono l’infante figlio di Aybeg, ma nel dicembre del 1259 il mamelucco Qutuz, uno degli ex colleghi di suo padre, lo depose diventando sultano al suo posto. I Mamelucchi Bahriyya che avevano seguito l’ayyubide al-Nasir Yussuf a Damasco in odio ad Aybeg ma che erano disgustati dalla mancanza di coraggio del loro padrone, ritornarono al Cairo, unendosi alle forze del nuovo sultano, mentre al-Nasir parimenti timoroso dei Mongoli e Mamelucchi vagò nel deserto palestinese finché non fu catturato da una pattuglia mongola. Il suo seguito che contava truppe assortite di ogni tipo, continuò la marcia verso il Cairo per mettersi al servizio di un più risoluto padrone.
Negli stessi mesi in cui i Mongoli avevano perso l’unità politica i Mamelucchi l’avevano ritrovata e si preparavano ad affrontare la minaccia. Kitbuqa arrivò a Damasco il 14 Febbraio 1260 e la trovò già pronta a sottomettersi, per cui non ci furono i soliti massacri e saccheggi. Al seguito di Kitbuqa erano i suoi alleati, il re d’Armenia e il principe Boemondo d’Antiochia. Non accadeva da secoli che tre condottieri cristiani sfilassero per le vie di una delle capitali dell’Islam. Il 2 marzo 1260 un governatore di Hulagu stabilì una regolare amministrazione mongola della città. I Mongoli ricevettero anche la sottomissione di Hama, mentre il principe Ayyubide al-Ashraf Musa che aveva fin dall’inizio incitato i Mongoli ad invadere la Siria per poter riottenere il principato di Homs che gli era stato sottratto da al-Nasir Yussuf, venne insignito del governo, probabilmente nominale, della Siria mongola. Una forza da ricognizione mongola compì un raid a vasto raggio in Palestina, toccando Hebron, Ascalona e Gerusallemme, per sconfiggere a Nablus gli ultimi uomini fedeli ad al-Nasir.
Il principe di Damasco, catturato nel deserto della Transgiordania fu poi inviato ad Hulagu che lo tenne prigioniero per qualche mese e poi lo fece uccidere. Kitbuqa dovette stroncare una rivolta della guarnigione di Damasco che portò alla distruzione parziale della cittadella, poi, conquistò Baalbek e diverse piazzeforti nelle colline del Golan e della Transgiordania. Anche il signore ayyubide di Kerak, al-Mughit ‘Umar mandò la propria sottomissione.
Questi facili successi erano stati ottenuti per l’irresolutezza degli Ayyubidi di Siria, ma se il loro dominio era stato integrato in quello mongolo, la loro forza militare era passata pressoché intatta ai Mamelucchi d’Egitto. Baibars, ormai capo riconosciuto dei Bahriyya, incitò Qutuz a passare all’offensiva. L’Egitto poteva e doveva essere difeso in Palestina e i Mongoli non erano invincibili se attaccati con la tattica giusta. Nell’estate del 1260 Hulagu mandò un’ambasceria al Cairo con l’ingiunzione ai Mamelucchi di sottomettersi ai Mongoli a cui era stato dato dal cielo il dominio del mondo. Chi non si sottometteva subito sarebbe stato considerato un ribelle e, come tale, distrutto. Qutuz fece uccidere gli inviati mongoli. Il dado era tratto.
Subito dopo l’uccisione degli ambasciatori mongoli l’esercito mamelucco si mise in marcia. Era il 26 luglio del 1260. Le truppe di Qutuz erano piuttosto assortite: comprendevano l’armata egiziana con il corpo d’elite mamelucca, e contingenti misti di Siriani, Turcomanni, beduini del deserto e disertori dell’esercito mongolo. Reuven Amitai-Preiss parla di circa 10.000 Egiziani e un numero imprecisato, (forse altrettanti) alleati. L’esercito così raccolto e in particolare gli ufficiali non mamelucchi erano poco entusiasti all’idea di combatter i Mongoli, ma Qutuz riuscì a convincere anche i più riottosi a partire. Baibars fu elevato al comando dell’avanguardia.
Un primo contatto con i Mongoli avvenne a Gaza, dove un distaccamento mandato da Kitbuqa fu facilmente volto in fuga. Da Gaza Qutuz mosse verso Acri. Il suo itinerario prevedeva di passare per la costa Palestinese per tagliare eventualmente le comunicazioni ai Mongoli se avessero indugiato in Transgiordania. C’era però bisogno del consenso dei Franchi dei territori crociati. I Cristiani erano divisi tra loro sulla linea politica da prendere, ma alla fine scelsero i Mamelucchi, permisero loro il passaggio e li rifornirono lungo la strada. I Mongoli erano stati preceduti dalla loro cattiva fama di distruttori e nei mesi precedenti avevano compiuto un’incursione devastatrice a Sidone, in risposta ad una mal consigliata scorreria del signore della città, Giuliano, nei territori amministrati da Kitbuqa. La diffidenza dei Franchi era quindi comprensibile.
Kitbuqa non si fece cogliere impreparato dall’arrivo dei Mamelucchi. Le sue truppe erano sparse in una vasta area, anche per risolvere il problema di trovare pascoli per cavalli. Dopo un attimo di esitazione decise di muovere verso sud ed accettare la sfida. Il suo esercito non comprendeva più di 12000 uomini, inclusi contingenti della Georgia, dell’Armenia minore e di alcuni principi Ayyubidi: al-Ashraf Musa e Said Hasan. Muovendosi verso sud Kitbuqa prese posizione presso Ayn Jalut: gli “Stagni di Golia”, una sorgente che si trovava ai piedi dell’angolo nord-occidentale del monte Gelboè, teatro in epoca biblica di una famosa battaglia tra Israeliti e Filistei.
Il luogo si trova a 15 Km a nord-ovest della città di Baysan. Il posto offriva naturalmente acqua in abbondanza e pascoli per i cavalli, il terreno ideale per un esercito quasi completamente montato come quello mongolo. Il monte Gelboè e la collina di Moreh potevano inoltre offrire protezione ad un esercito ridotto come quello di Kitbuqa.
Nello stesso tempo i Mamelucchi da Acri si inoltrarono in Palestina, e l’avanguardia al comando di Baibars prese contatto con gli schermagliatori Mongoli. Baibars sconfisse alcuni distaccamenti e avvertì Qutuz che aveva preso contatto con gli avversari. Il 3 settembre del 1260 Baibars arrivò in vista del grosso dell’esercito mongolo accampato ai piedi del Gelboè. Avvistato anche lui venne immediatamente inseguito. Il Runciman riporta che la fuga di Baibars fu uno stratagemma per attirare i Mongoli contro la forza principale dei Mamelucchi al comando di Qutuz.
I Mongoli furono certamente attratti qualche miglio a nord di Ayn Jalut e incocciarono nei loro avversari che scendevano per la valle di Jezreel da nord-ovest. Fu quindi una battaglia d’incontro. I Mongoli e i Mamelucchi fondavano la loro forza sugli arcieri montati. I Mongoli che portavano con sé almeno cinque pony delle steppe, godevano certamente di maggiore mobilità e potevano tirare d’arco anche mentre erano in corsa. Tuttavia erano armati ed equipaggiati più leggermente dei Mamelucchi. Molti possedevano solo arco e frecce, più asce e mazze per il combattimento corpo a corpo. Essi avanzavano in scaglioni, avvicinandosi al nemico quanto bastava perché le frecce fossero efficaci contro le loro corazze per poi rompere il contatto dopo la prima salva e permettere al secondo scaglione di effettuare la propria azione. I Mamelucchi avevano archi e frecce di miglior qualità, nonché, spade, asce, e lance per il combattimento ravvicinato. Erano meglio addestrati ad un tiro preciso e potevano caricare e andare al corpo a corpo con i loro avversari. In pratica compensavano la loro minore mobilità con una maggiore potenza di fuoco. I Mongoli per essere efficaci contro le loro corazzature si dovevano avvicinare moltissimo ai loro avversari, esponendosi così al tiro dei loro archi e alla carica dei lancieri. Naturalmente le truppe d’elite mamelucche, le uniche perfettamente equipaggiate e addestrate, anche nei momenti migliori non erano la maggioranza dell’esercito egiziano e alcuni reparti non mostrarono la loro stessa coesione e fermezza di fronte all’avvicinarsi dei Mongoli.
La battaglia di Ayn Jalut mostrò in pieno queste caratteristiche. Nonostante l’inferiorità numerica e lo svantaggio tattico i Mongoli erano avversari temibili e la l’ala sinistra mamelucca iniziò a fuggire ancora prima di prendere contatto. Qutuz pregò Allah di dargli la vittoria, raccolse le sue truppe scelte e lanciò una carica di contrattacco che riuscì ad entrare in mischia con i Mongoli mettendoli in rotta. Un secondo attacco mongolo, o meglio un secondo scaglione ebbe parimenti successo nel mettere in fuga alcuni Mamelucchi, ma ancora una volta la carica delle sue migliori truppe permise a Qutuz di ingaggiare nel corpo a corpo i suoi sfuggenti avversari. La stessa ala sinistra mamelucca che prima era fuggita, rientrò in combattimento.
Nel frattempo la superiorità numerica dei Mamelucchi fu accresciuta dalla defezione degli uomini di al-Ashraf Musa, che abbandonarono Kitbuqa. Questi venne ucciso in battaglia o subito dopo la cattura, dopo aver predetto ai Mamelucchi che il suo signore l’avrebbe vendicato.
La sconfitta dei Mongoli fu disastrosa perché i loro avversari riuscirono a circondare gran parte del loro esercito. Alcuni fuggiaschi furono uccisi dagli abitanti dei villaggi locali, altri si rifugiarono in un canneto: i Mamelucchi diedero fuoco alla vegetazione e li sterminarono. Baibars si occupò personalmente del rastrellamento dei fuggitivi.
Alla notizia dell’esito della battaglia, i Mongoli di Damasco , insieme ai più compromessi dei collaborazionisti che, fidando nella loro invincibilità si erano uniti a loro contro i correligionari, lasciarono la città, ma vennero tormentati nella loro fuga dagli abitanti locali, desiderosi di far pagare care le vessazioni a cui erano stati sottoposti per mesi. Lo stesso capitò ai Mongoli in fuga da Hama e Homs. Baibars piombò con le sue truppe su questi contingenti mongoli e su altre truppe che Hulagu aveva mandato di rinforzo a Kitbuqa, sconfiggendole. Tutto il dominio mongolo in Siria crollò ad Ayn Jalut e i pochi scampati al disastro si rifugiarono oltre l’Eufrate o in Cilicia presso Re Hetum. Qutuz ebbe in mano anche i principi ayyubidi superstiti.
Al Mansur Muhammad, che aveva sempre combattuto con i Mongoli fu reinsediato nel principato di Hama. Al Ashraf Musa, che con la sua diserzione aveva facilitato di molto la vittoria dei Mamelucchi riottenne Homs. Entrambi però dovevano ora governare sotto la sovranità del sultano d’Egitto. Infine al Said Hasan che non aveva cambiato bandiera in tempo fu sommariamente decapitato. A Damasco ancora prima dell’arrivo dei Mamelucchi erano cominciate le purghe contro i collaborazionisti.
I cristiani in particolar modo, che avevano goduto per sette mesi della protezione dei Mongoli per ottenere uno status egualitario nei confronti dei Musulmani, furono perseguitati: i loro averi furono depredati e le loro chiese bruciate. Qutuz premiò col governatorati di Damasco e Aleppo alcuni suoi collaboratori, ma trascurò proprio Baibars, insieme a lui il grande artefice del successo di Ayn Jalut. La rappresaglia del comandante dei Bahriyya non si fece attendere.
Il 23 Ottobre del 1260 mentre Qutuz era sulla via del ritorno al Cairo dove lo attendeva il trionfo, Baibars gli affondò una spada nella schiena e si fece immediatamente riconoscere sultano al suo posto.
Sotto il suo sultanato, che sarebbe durato dal 1260 al 1277 i nemici dei Mamelucchi non ebbero tregua.
I Cristiani che si erano alleati con i Mongoli pagarono cara la loro scelta, dal momento che le truppe Egiziane devastarono sistematicamente il regno armeno e il principato d’Antiochia, finchè la stessa capitale non cadde in mani mamelucche nel 1268. Hulagu fu comprensibilmente infuriato alla notizia della disfatta e morte di Kitbuqa, ma per tutti gli anni che gli rimanevano da vivere non poté intraprendere un’altra invasione in larga scala della Siria.
Il clan dell’orda d’oro Berke, convertito all’Islam e con una disputa territoriale con Hulagu riguardo ai territori del Caucaso scatenò una guerra sanguinosa che tenne impegnate le risorse militari dei Mongoli di Persia. Hulagu si scontrò a più riprese presso il fiume Terek ed ebbe la peggio nell’ultima battaglia. Berke inoltre si alleò proprio con i Mamelucchi e tenne aperti i canali per il vitale traffico di giovani schiavi soldati dalle steppe asiatiche.
L’universalismo mongolo venne così fermato dalle dispute intestine più che dalle sconfitte militari. Hulagu e i suoi successori che si chiamarono Ilkhan continuarono a regnare sull’Iran, Iraq e sui territori del Khurasan a sud dell’Oxo. Circondati ormai da vicini ostili del loro stesso sangue, non riuscirono per molti anni a concentrare i loro sforzi contro i Mamelucchi. Tuttavia né Hulagu, né il figlio di lui Abaqa (1265-81) rinunciarono al loro sogno di conquista, e al perseguimento di una politica antimusulmana, in un regno in cui l’Islam era seguito dalla larga maggioranza dei loro sudditi.
Ayn Jalut rinfrancò lo spirito dei Musulmani più di ogni altro evento. Era stata una vittoria ottenuta contro un nemico fino ad allora creduto invincibile, e poco importava che fosse stata impegnata solo una piccola parte dell’esercito mongolo. L’Islam aveva superato una delle sue prove più ardue grazie ai suoi campioni, Baibars e Qutuz. Tuttavia la lotta contro i Mongoli, proseguì per molti anni con alterne fortune e fu solo la vittoria di Homs (1281) che liberò l’Egitto e l’Islam dall’incubo della conquista e distruzione.

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi




Buongiorno, oggi è il 3 settembre.
Il 3 settembre 1260 avviene la battaglia di Ayn Jalut, dove i mamelucchi sconfiggono pesantemente i mongoli.
Nel 1226 alla morte di Gengis Khan, l’impero mongolo abbracciava gran parte dell’Asia e aveva distrutto i prosperi regni musulmani dell’Iran. Sotto il successore di Gengis, Ogodai (1227-1241), i Mongoli continuarono la loro espansione, senza trovare alcun esercito in grado di contrastarli. Con le campagne del 1237-1242 erano giunti fino nel cuore dell’Europa e, più a sud avevano spinto le loro incursioni fino all’Anatolia, battendo Georgiani e Selgiuchidi. In genere i sudditi cristiani patirono assai meno dei Musulmani, che videro la loro supremazia politica e religiosa, incontrastata da millenni, messa in seria discussione dai vincitori che, pur tollerando tutte le fedi, manifestavano la maggiore ostilità proprio verso l’Islam.
Nel 1251, dopo un periodo di debolezza seguito alla morte di Ogodai, un nuovo ambizioso Khan, Mongka, aveva preso il potere. Come già Gengis e Ogodai, propugnava l’impero universale dei Mongoli e aveva investito i fratelli Qubilai e Hulagu della conquista dell’impero cinese dei Song e dei restanti regni musulmani non sottomessi, a cominciare dalla setta degli Ismailiti e dal califfato di Baghdad.
Hulagu, pur essendo di religione sciamanica, aveva un’influente moglie cristiana, Dotuz Khatun che fece pendere quasi sempre le sue decisioni in favore dei Cristiani e contro i Musulmani. Molti dei suoi generali, tra cui Kitbuqa, professavano apertamente il cristianesimo nestoriano. Gli stati crociati, da secoli in lotta per mantenere i loro possedimenti in Siria, avevano trovato dei potenziali alleati.
Alcuni contatti erano avvenuti tra i Mongoli e i regni cristiani d’Europa come la Francia o gli stati cristiani in Siria. Ma se c’era un accordo di fondo sull’eliminazione dei Musulmani e la restaurazione di Gerusalemme alla cristianità, su tutto il resto c’era divergenza. I Cristiani volevano nientemeno che la conversione dei Mongoli, mentre i Mongoli pretendevano che i Cristiani riconoscessero la loro supremazia diventandone vassalli. In realtà ciascuno dei due intendeva usare l’altro per i propri scopi ma non allearsi a lui, e questo minò alla base il loro sforzo comune per debellare l’Islam. Infine solo il principe di Antiochia Boemondo e il re della Cilicia armena Hetum si allearono con i Mongoli, mentre gli stati crociati della costa siriana e palestinese non presero posizione.
Hulagu cominciò la campagna per la sottomissione dei paesi islamici nel 1256. All’inizio assoggettò le regioni dell’Iran orientale e della catena montuosa dell’Elburz dove si concentravano le fortezze degli Ismailiti. Il loro gran maestro Rukn ad-Din Khurshah fece atto di sottomissione, e venne in seguito ucciso, mentre le fortezze si arrendevano o venivano prese d’assalto.
Alla fine del 1257 la setta degli Imailiti, detta anche degli assassini per via del loro costume di inviare sicari a uccidere i Re e gli uomini politici di spicco che si opponevano a loro, era stata estirpata dall’Iran. Veniva ora il turno del Califfo.
Trentasettesimo esponente della sua linea dinastica, al-Mustasim regnava su un territorio ristretto ormai al solo Iraq, un’ombra di quello che era stato il califfato al suo apogeo, ma si sentiva ancora il capo spirituale della comunità islamica ed era di conseguenza poco disposto a sottomettersi ad un barbaro miscredente. La sua condotta mostrò alquanto a desiderare perché, senza compiacere il suo pericoloso vicino mandando truppe o tributi, non mostrò sufficiente risolutezza nel preparare la difesa e lasciò che le inconcludenti trattative andassero avanti quasi fino al momento in cui l’esercito mongolo incombette sulla città.
Le truppe califfali furono spazzate via e la città investita nel gennaio del 1258. L’assedio fu breve e già il 10 febbraio le truppe mongole avevano aperto delle brecce. Il califfo per stornare l’imminente catastrofe mandò alti dignitari e i suoi stessi figli con doni, accettando di sottomettersi. Infine si recò di persona all’accampamento mongolo e fu accolto affabilmente da Hulagu. I Mongoli gli imposero di lanciare un appello alla popolazione perché deponesse le armi e uscisse dalla cinta di mura per essere censita. Quelli che ascoltarono l’appello uscirono dalla città, furono suddivisi in vari gruppi, e fatti a pezzi scaglione dopo scaglione. Questo massacro perpetrato a sangue freddo doveva precedere il saccheggio e renderlo il più comodo possibile.
I giorni successivi furono dedicati dalle truppe mongole ad asportare tutti i beni che era possibile trasportare. Il saccheggio non risparmiò nulla: dal palazzo del califfo all’ultima casa popolare. Quelli degli abitanti che non erano riusciti a nascondersi perfettamente furono uccisi sul posto. I cristiani rifugiati nelle chiese furono risparmiati per l’influenza della Dotuz Khatun.
Alcuni Musulmani cercarono di comprare la salvezza, ma solo dopo sette giorni di saccheggio e caccia all’uomo fu concesso ai superstiti di vivere. Al- Mutassim fu indotto da Hulagu a rivelare tutti i tesori segreti, poi fu portato insieme ai suoi figli nel villaggio di Vakaf. I mongoli non usavano spargere il sangue dei nemici di sangue reale, per cui misero il califfo in un sacco e lo fecero calpestare a morte dai cavalli. I suoi figli e ogni parente abbaside furono analogamente messi a morte. Il fetore proveniente dalla montagna di morti insepolti si era fatto così pestilenziale da indurre i Mongoli a muoversi a parecchi chilometri dalla città devastata. Per assicurare una certa parvenza d’ordine e di amministrazione essa venne affidata allo stesso visir che aveva servito sotto al Mutassim e che lo aveva consigliato invano di sottomettersi ai Mongoli.
Al saccheggio di Baghdad seguì un periodo di stasi della durata di circa un anno, finché nel 1259 Hulagu intraprese la campagna di Siria. Questa era un obiettivo fin troppo ovvio dal momento che si spingeva ormai nei territori governati dai Mongoli della Mesopotamia, dell’altopiano armeno e dell’Anatolia. La situazione politica sulla costa mediterranea presentava un quadro piuttosto variegato. Fino agli anni 50 sulla costa resistevano alcune città in mano ai crociati, gli ultimi avanzi degli stati che erano stati severamente ridimensionati dopo le campagne di Saladino nel 1174-92. Saladino aveva unificato gli emirati mussulmani di Damasco e Aleppo con l’Egitto e aveva dato origine alla dinastia ayyubide che aveva regnato per circa ottanta anni prima di essere rovesciata dai Mamelucchi.
I Mamelucchi erano schiavi-soldati, soprattutto di origine turca che erano stati razziati dai territori stepposi e ancora pagani a nord dell’area islamica. Non appena arrivati nella loro nuova patria veniva loro imposto un rigoroso addestramento militare e venivano loro impartiti col massimo rigore gli insegnamenti dell’Islam, finché non erano manomessi e poi arruolati come arcieri a cavallo nell’armata del loro patrono. Separati come erano dalle loro famiglie e dalla terra d’origine, da una parte, e dalla popolazione locale, dall’altra, essi mantenevano grande lealtà sia al proprio patrono che ai compagni di schiavitù. La società mamelucca era una aristocrazia militare di una singola generazione, continuamente replicata, perché i figli dei Mamelucchi non potevano essi stessi diventare Mamelucchi. I loro ranghi erano rinfoltiti dall’afflusso di nuove giovani reclute schiave.
I sultani Ayyubidi d’Egitto avevano fatto un sempre crescente impiego di queste truppe speciali, e, paradossalmente furono proprio le invasioni mongole con la riduzione in schiavitù di vastissime popolazioni turche a permettere l’immissione sul mercato di giovani schiavi che si sarebbero rivelati eccellenti guerrieri contro gli stessi Mongoli. Il sultano ayyubide al-Salih (1240-1249) comprò un migliaio di ragazzi di etnia turco-Qipchaq, appartenenti a quei khanati spazzati via dall’orda mongola durante la campagna in Russia del 1237-1240 e venduti poi ai mercanti locali.
Il migliaio di giovani Qipchaq comprati da al-Salih costituirono un unico reggimento, detto dei Bahriyya, da cui emerse il futuro sultano Baibars, che già nella giornata di al-mansura, in cui le forze ayyubidi sconfissero i crociati guidati da Luigi IX (1250), si distinse nei combattimenti.
La dinastia ayyubide si trovò ben presto rovesciata dagli stessi Mamelucchi che l’avevano salvata dai crociati e nel periodo 1250-1260 l’Egitto assistette ad una serie di lotte per il potere tra gruppi differenti di Mamelucchi, mentre il reggimento Bahriyya, escluso dal potere dal sultano Aybeg (anche lui un mamelucco), passò al servizio dell’ ayyubide al-Nasir Yusuf signore di Damasco e Aleppo.
Al-Nasir, accarezzava l’idea di riportare l’Egitto sotto il controllo della sua famiglia, ma all’atto pratico si rivelò un sovrano irresoluto che alternava atteggiamenti di sfida e sottomissione ai Mongoli, ma che fece ben poco per preparare il regno ad affrontarli.. Alle soglie dell’invasione mongola, la Siria e l’Egitto erano così divisi in regni non ancora consolidati e incapaci apparentemente di fare fronte comune contro l’imminente minaccia.
Il 18 dicembre 1259 le truppe mongole passarono l’Eufrate e raggiunsero la città di Aleppo che cadde dopo una settimana d’assedio alla fine del gennaio 1260. La cittadella resistette un altro mese finché non capitolò sotto condizioni onorevoli. Gli Ayyubidi di Hama e Homs corsero a rifugiarsi alla corte di al-Nasir Yussuf, mentre alcuni personaggi importanti della corte siriana, come Al-Ashraf Musa defezionarono ai Mongoli. A questo punto però Hulagu, iniziò una ritirata verso est, lasciando in Siria un distaccamento di Mongoli che assommava a 10-12000 guerrieri al comando di Kitbuqa.
Proprio in quel periodo infatti gli era giunta la notizia della morte di Mongka, il capo supremo dei Mongoli. Il decesso di questo energico sovrano rappresentò una svolta nella storia dell’Oriente. I quattro khanati mongoli erano stati finora uniti dalla sua autorevole figura, ma alla sua morte scoppiò una disputa per la successione tra i due fratelli Arigh-boke e Khubilai, ciascuno dei quali si fece eleggere in una quriltai illegale, perché non rappresentativa dell’intera assemblea dei Mongoli. Nella guerra civile Hulagu sostenne Khubilai, mentre Arigh Boke godette del sostegno di Berke, khan dell’orda d’oro, e di Jiagatai. L’unità dell’impero mongolo venne spezzata da questa disputa e mai più ricostituita.
Per il momento le unità lasciate a Kitbuqa parvero all’altezza del compito. Al-Nasir Yussuf era fuggito da Damasco ancora prima della caduta della cittadella di Aleppo e si era rifugiato in Egitto. Qui era avvenuto un colpo di stato nel quale Aybeg era stato assassinato per ordine della sultana Shajar-ad Dur, già vedova del sultano precedente. La sultana non aveva però abbastanza sostenitori tra i Mamelucchi e la maggioranza di loro ne pretese la morte.
Successivamente fu elevato al trono l’infante figlio di Aybeg, ma nel dicembre del 1259 il mamelucco Qutuz, uno degli ex colleghi di suo padre, lo depose diventando sultano al suo posto. I Mamelucchi Bahriyya che avevano seguito l’ayyubide al-Nasir Yussuf a Damasco in odio ad Aybeg ma che erano disgustati dalla mancanza di coraggio del loro padrone, ritornarono al Cairo, unendosi alle forze del nuovo sultano, mentre al-Nasir parimenti timoroso dei Mongoli e Mamelucchi vagò nel deserto palestinese finché non fu catturato da una pattuglia mongola. Il suo seguito che contava truppe assortite di ogni tipo, continuò la marcia verso il Cairo per mettersi al servizio di un più risoluto padrone.
Negli stessi mesi in cui i Mongoli avevano perso l’unità politica i Mamelucchi l’avevano ritrovata e si preparavano ad affrontare la minaccia. Kitbuqa arrivò a Damasco il 14 Febbraio 1260 e la trovò già pronta a sottomettersi, per cui non ci furono i soliti massacri e saccheggi. Al seguito di Kitbuqa erano i suoi alleati, il re d’Armenia e il principe Boemondo d’Antiochia. Non accadeva da secoli che tre condottieri cristiani sfilassero per le vie di una delle capitali dell’Islam. Il 2 marzo 1260 un governatore di Hulagu stabilì una regolare amministrazione mongola della città. I Mongoli ricevettero anche la sottomissione di Hama, mentre il principe Ayyubide al-Ashraf Musa che aveva fin dall’inizio incitato i Mongoli ad invadere la Siria per poter riottenere il principato di Homs che gli era stato sottratto da al-Nasir Yussuf, venne insignito del governo, probabilmente nominale, della Siria mongola. Una forza da ricognizione mongola compì un raid a vasto raggio in Palestina, toccando Hebron, Ascalona e Gerusallemme, per sconfiggere a Nablus gli ultimi uomini fedeli ad al-Nasir.
Il principe di Damasco, catturato nel deserto della Transgiordania fu poi inviato ad Hulagu che lo tenne prigioniero per qualche mese e poi lo fece uccidere. Kitbuqa dovette stroncare una rivolta della guarnigione di Damasco che portò alla distruzione parziale della cittadella, poi, conquistò Baalbek e diverse piazzeforti nelle colline del Golan e della Transgiordania. Anche il signore ayyubide di Kerak, al-Mughit ‘Umar mandò la propria sottomissione.
Questi facili successi erano stati ottenuti per l’irresolutezza degli Ayyubidi di Siria, ma se il loro dominio era stato integrato in quello mongolo, la loro forza militare era passata pressoché intatta ai Mamelucchi d’Egitto. Baibars, ormai capo riconosciuto dei Bahriyya, incitò Qutuz a passare all’offensiva. L’Egitto poteva e doveva essere difeso in Palestina e i Mongoli non erano invincibili se attaccati con la tattica giusta. Nell’estate del 1260 Hulagu mandò un’ambasceria al Cairo con l’ingiunzione ai Mamelucchi di sottomettersi ai Mongoli a cui era stato dato dal cielo il dominio del mondo. Chi non si sottometteva subito sarebbe stato considerato un ribelle e, come tale, distrutto. Qutuz fece uccidere gli inviati mongoli. Il dado era tratto.
Subito dopo l’uccisione degli ambasciatori mongoli l’esercito mamelucco si mise in marcia. Era il 26 luglio del 1260. Le truppe di Qutuz erano piuttosto assortite: comprendevano l’armata egiziana con il corpo d’elite mamelucca, e contingenti misti di Siriani, Turcomanni, beduini del deserto e disertori dell’esercito mongolo. Reuven Amitai-Preiss parla di circa 10.000 Egiziani e un numero imprecisato, (forse altrettanti) alleati. L’esercito così raccolto e in particolare gli ufficiali non mamelucchi erano poco entusiasti all’idea di combatter i Mongoli, ma Qutuz riuscì a convincere anche i più riottosi a partire. Baibars fu elevato al comando dell’avanguardia.
Un primo contatto con i Mongoli avvenne a Gaza, dove un distaccamento mandato da Kitbuqa fu facilmente volto in fuga. Da Gaza Qutuz mosse verso Acri. Il suo itinerario prevedeva di passare per la costa Palestinese per tagliare eventualmente le comunicazioni ai Mongoli se avessero indugiato in Transgiordania. C’era però bisogno del consenso dei Franchi dei territori crociati. I Cristiani erano divisi tra loro sulla linea politica da prendere, ma alla fine scelsero i Mamelucchi, permisero loro il passaggio e li rifornirono lungo la strada. I Mongoli erano stati preceduti dalla loro cattiva fama di distruttori e nei mesi precedenti avevano compiuto un’incursione devastatrice a Sidone, in risposta ad una mal consigliata scorreria del signore della città, Giuliano, nei territori amministrati da Kitbuqa. La diffidenza dei Franchi era quindi comprensibile.
Kitbuqa non si fece cogliere impreparato dall’arrivo dei Mamelucchi. Le sue truppe erano sparse in una vasta area, anche per risolvere il problema di trovare pascoli per cavalli. Dopo un attimo di esitazione decise di muovere verso sud ed accettare la sfida. Il suo esercito non comprendeva più di 12000 uomini, inclusi contingenti della Georgia, dell’Armenia minore e di alcuni principi Ayyubidi: al-Ashraf Musa e Said Hasan. Muovendosi verso sud Kitbuqa prese posizione presso Ayn Jalut: gli “Stagni di Golia”, una sorgente che si trovava ai piedi dell’angolo nord-occidentale del monte Gelboè, teatro in epoca biblica di una famosa battaglia tra Israeliti e Filistei.
Il luogo si trova a 15 Km a nord-ovest della città di Baysan. Il posto offriva naturalmente acqua in abbondanza e pascoli per i cavalli, il terreno ideale per un esercito quasi completamente montato come quello mongolo. Il monte Gelboè e la collina di Moreh potevano inoltre offrire protezione ad un esercito ridotto come quello di Kitbuqa.
Nello stesso tempo i Mamelucchi da Acri si inoltrarono in Palestina, e l’avanguardia al comando di Baibars prese contatto con gli schermagliatori Mongoli. Baibars sconfisse alcuni distaccamenti e avvertì Qutuz che aveva preso contatto con gli avversari. Il 3 settembre del 1260 Baibars arrivò in vista del grosso dell’esercito mongolo accampato ai piedi del Gelboè. Avvistato anche lui venne immediatamente inseguito. Il Runciman riporta che la fuga di Baibars fu uno stratagemma per attirare i Mongoli contro la forza principale dei Mamelucchi al comando di Qutuz.
I Mongoli furono certamente attratti qualche miglio a nord di Ayn Jalut e incocciarono nei loro avversari che scendevano per la valle di Jezreel da nord-ovest. Fu quindi una battaglia d’incontro. I Mongoli e i Mamelucchi fondavano la loro forza sugli arcieri montati. I Mongoli che portavano con sé almeno cinque pony delle steppe, godevano certamente di maggiore mobilità e potevano tirare d’arco anche mentre erano in corsa. Tuttavia erano armati ed equipaggiati più leggermente dei Mamelucchi. Molti possedevano solo arco e frecce, più asce e mazze per il combattimento corpo a corpo. Essi avanzavano in scaglioni, avvicinandosi al nemico quanto bastava perché le frecce fossero efficaci contro le loro corazze per poi rompere il contatto dopo la prima salva e permettere al secondo scaglione di effettuare la propria azione. I Mamelucchi avevano archi e frecce di miglior qualità, nonché, spade, asce, e lance per il combattimento ravvicinato. Erano meglio addestrati ad un tiro preciso e potevano caricare e andare al corpo a corpo con i loro avversari. In pratica compensavano la loro minore mobilità con una maggiore potenza di fuoco. I Mongoli per essere efficaci contro le loro corazzature si dovevano avvicinare moltissimo ai loro avversari, esponendosi così al tiro dei loro archi e alla carica dei lancieri. Naturalmente le truppe d’elite mamelucche, le uniche perfettamente equipaggiate e addestrate, anche nei momenti migliori non erano la maggioranza dell’esercito egiziano e alcuni reparti non mostrarono la loro stessa coesione e fermezza di fronte all’avvicinarsi dei Mongoli.
La battaglia di Ayn Jalut mostrò in pieno queste caratteristiche. Nonostante l’inferiorità numerica e lo svantaggio tattico i Mongoli erano avversari temibili e la l’ala sinistra mamelucca iniziò a fuggire ancora prima di prendere contatto. Qutuz pregò Allah di dargli la vittoria, raccolse le sue truppe scelte e lanciò una carica di contrattacco che riuscì ad entrare in mischia con i Mongoli mettendoli in rotta. Un secondo attacco mongolo, o meglio un secondo scaglione ebbe parimenti successo nel mettere in fuga alcuni Mamelucchi, ma ancora una volta la carica delle sue migliori truppe permise a Qutuz di ingaggiare nel corpo a corpo i suoi sfuggenti avversari. La stessa ala sinistra mamelucca che prima era fuggita, rientrò in combattimento.
Nel frattempo la superiorità numerica dei Mamelucchi fu accresciuta dalla defezione degli uomini di al-Ashraf Musa, che abbandonarono Kitbuqa. Questi venne ucciso in battaglia o subito dopo la cattura, dopo aver predetto ai Mamelucchi che il suo signore l’avrebbe vendicato.
La sconfitta dei Mongoli fu disastrosa perché i loro avversari riuscirono a circondare gran parte del loro esercito. Alcuni fuggiaschi furono uccisi dagli abitanti dei villaggi locali, altri si rifugiarono in un canneto: i Mamelucchi diedero fuoco alla vegetazione e li sterminarono. Baibars si occupò personalmente del rastrellamento dei fuggitivi.
Alla notizia dell’esito della battaglia, i Mongoli di Damasco , insieme ai più compromessi dei collaborazionisti che, fidando nella loro invincibilità si erano uniti a loro contro i correligionari, lasciarono la città, ma vennero tormentati nella loro fuga dagli abitanti locali, desiderosi di far pagare care le vessazioni a cui erano stati sottoposti per mesi. Lo stesso capitò ai Mongoli in fuga da Hama e Homs. Baibars piombò con le sue truppe su questi contingenti mongoli e su altre truppe che Hulagu aveva mandato di rinforzo a Kitbuqa, sconfiggendole. Tutto il dominio mongolo in Siria crollò ad Ayn Jalut e i pochi scampati al disastro si rifugiarono oltre l’Eufrate o in Cilicia presso Re Hetum. Qutuz ebbe in mano anche i principi ayyubidi superstiti.
Al Mansur Muhammad, che aveva sempre combattuto con i Mongoli fu reinsediato nel principato di Hama. Al Ashraf Musa, che con la sua diserzione aveva facilitato di molto la vittoria dei Mamelucchi riottenne Homs. Entrambi però dovevano ora governare sotto la sovranità del sultano d’Egitto. Infine al Said Hasan che non aveva cambiato bandiera in tempo fu sommariamente decapitato. A Damasco ancora prima dell’arrivo dei Mamelucchi erano cominciate le purghe contro i collaborazionisti.
I cristiani in particolar modo, che avevano goduto per sette mesi della protezione dei Mongoli per ottenere uno status egualitario nei confronti dei Musulmani, furono perseguitati: i loro averi furono depredati e le loro chiese bruciate. Qutuz premiò col governatorati di Damasco e Aleppo alcuni suoi collaboratori, ma trascurò proprio Baibars, insieme a lui il grande artefice del successo di Ayn Jalut. La rappresaglia del comandante dei Bahriyya non si fece attendere.
Il 23 Ottobre del 1260 mentre Qutuz era sulla via del ritorno al Cairo dove lo attendeva il trionfo, Baibars gli affondò una spada nella schiena e si fece immediatamente riconoscere sultano al suo posto.
Sotto il suo sultanato, che sarebbe durato dal 1260 al 1277 i nemici dei Mamelucchi non ebbero tregua.
I Cristiani che si erano alleati con i Mongoli pagarono cara la loro scelta, dal momento che le truppe Egiziane devastarono sistematicamente il regno armeno e il principato d’Antiochia, finchè la stessa capitale non cadde in mani mamelucche nel 1268. Hulagu fu comprensibilmente infuriato alla notizia della disfatta e morte di Kitbuqa, ma per tutti gli anni che gli rimanevano da vivere non poté intraprendere un’altra invasione in larga scala della Siria.
Il clan dell’orda d’oro Berke, convertito all’Islam e con una disputa territoriale con Hulagu riguardo ai territori del Caucaso scatenò una guerra sanguinosa che tenne impegnate le risorse militari dei Mongoli di Persia. Hulagu si scontrò a più riprese presso il fiume Terek ed ebbe la peggio nell’ultima battaglia. Berke inoltre si alleò proprio con i Mamelucchi e tenne aperti i canali per il vitale traffico di giovani schiavi soldati dalle steppe asiatiche.
L’universalismo mongolo venne così fermato dalle dispute intestine più che dalle sconfitte militari. Hulagu e i suoi successori che si chiamarono Ilkhan continuarono a regnare sull’Iran, Iraq e sui territori del Khurasan a sud dell’Oxo. Circondati ormai da vicini ostili del loro stesso sangue, non riuscirono per molti anni a concentrare i loro sforzi contro i Mamelucchi. Tuttavia né Hulagu, né il figlio di lui Abaqa (1265-81) rinunciarono al loro sogno di conquista, e al perseguimento di una politica antimusulmana, in un regno in cui l’Islam era seguito dalla larga maggioranza dei loro sudditi.
Ayn Jalut rinfrancò lo spirito dei Musulmani più di ogni altro evento. Era stata una vittoria ottenuta contro un nemico fino ad allora creduto invincibile, e poco importava che fosse stata impegnata solo una piccola parte dell’esercito mongolo. L’Islam aveva superato una delle sue prove più ardue grazie ai suoi campioni, Baibars e Qutuz. Tuttavia la lotta contro i Mongoli, proseguì per molti anni con alterne fortune e fu solo la vittoria di Homs (1281) che liberò l’Egitto e l’Islam dall’incubo della conquista e distruzione.

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