Cerca nel web

mercoledì 16 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 16 luglio.

Il 16 luglio 1950 contro ogni pronostico, l'Uruguay batte il Brasile e vince la sua seconda Coppa del Mondo di Calcio.

Alle volte bastano veramente pochi istanti per cambiare la storia di una nazione, e il Brasile che si affacciava agli Anni Cinquanta era veramente un paese in grande cambiamento, dal punto di vista politico e soprattutto sociale. Il dittatore Getúlio Vargas vuole mettere finalmente il Brasile sulla mappa mondiale, l’obiettivo è quello di dimostrare che il paese carioca non è tanto arretrato quanto si pensa in tutto il mondo. Vargas, come fatto da Mussolini nel 1934 e come farà Videla nel 1978, propone il Brasile come paese ospitante della quarta edizione del Campionato Mondiale e decide di fare le cose in grande: assembla una squadra di grandi campioni e costruisce lo stadio più grande della storia, il mitico Maracanã, capace di ospitare fino a 200.000 spettatori. La storia è fatta però di attimi, ed è proprio un istante fulmineo di quel caldo pomeriggio di luglio del 1950 ad aver cambiato per sempre la storia brasiliana.

Come facilmente prevedibile il Brasile arriva all’appuntamento finale di quella rassegna iridata da assoluto favorito. L’avversario è una delle squadre più vincenti all’epoca, i rivali continentali dell’Uruguay, vincitori fino a quel momento di un titolo mondiale, due olimpici e di ben otto edizioni della Copa America. Ma, vista la strana formula di quel Mondiale, la partita non è una tipica finale, in quanto il Brasile può disporre persino di un pareggio per issarsi a campione del mondo per la prima volta, visto il punto di vantaggio mantenuto sulla Celeste.

Il 16 luglio 1950, alle ore 16:00 locali, davanti a poco meno di 200.000 spettatori, va in scena quella che è una delle più famose partite della storia del calcio, che passerà alla storia come “Maracanazo“. I padroni di casa del Brasile scendono in campo con la classica tenuta bianca adornata di contorni blu, l’Uruguay veste la consueta maglia celeste. Il ct brasiliano Flávio Costa schiera la seguente formazione: Barbosa; il capitano Augusto, Juvenal, Bigode; Bauer, Zizinho, Jair, Danilo; Friaça, Ademir e Chico. L’allenatore uruguayo Juancito Lopez risponde mandando in campo: Máspoli; González, Tejera, Gambetta, Andrade; capitan Varela, Pérez, Schiaffino; Ghiggia, Míguez e l’esordiente Moran.

Lo stadio attende solo il fischio dell’inglese Reader, in tutto il paese sono già iniziati i caroselli celebrativi, diverse testate giornalistiche hanno peccato di superbia non ponendo alcun dubbio sulla vittoria carioca. Eppure il calcio sa sempre stupire, soprattutto quando meno ce lo si aspetta. Il primo tempo scivola via abbastanza liscio, il Brasile sembra essere legato dalla paura di sbagliare, o forse solamente di strafare, ma nonostante questo riesce ad impegnare diverse volte il portiere avversario Roque Máspoli.

Dopo soli due minuti dall’inizio del secondo tempo avviene quello che tutti stavano trepidamente aspettando: il gol dei padroni di casa, il primo realizzato con la Seleçao da Friaça. Lo stadio può finalmente esplodere di gioia, ancora inconsapevole che si tratterà di una gioia passeggera ed effimera. Infatti il leader uruguayo, non solo in campo ma anche dal punto di vista motivazionale, Obdulio Varela, sta per dare ai suoi la scossa necessaria per l’incredibile rimonta. Se poco prima dell’inizio del match il nero jefe era infatti andato quasi contro al suo allenatore, affermando che i suoi non dovessero affrontare una partita improntata su una strenua difesa e al contenimento della fantasia brasiliana, adesso decide di prendersi tutto il tempo necessario per far rinsavire i suoi. Prima protesta timidamente, per di più nonostante la differenza di lingua, con il guardalinee per un presunto fuorigioco, poi compie il suo destino ed assolve totalmente al proprio dovere di capitano, riportando lentamente la palla verso il centro del campo. Obdulio sa benissimo che se il gioco riprendesse così in fretta i suoi subirebbero certamente il contraccolpo psicologico, con il rischio di essere mangiati dai quasi 200.000 del Maracanã.

E la strategia di Varela porta gli effetti sperati: la Celeste intensifica gli sforzi, rendendosi più volte pericolosa dalle parti del portiere Barbosa. Il bomber del Peñarol Oscar Míguez colpisce addirittura un palo da poco fuori dall’area di rigore. Al 66° cambia totalmente l’inerzia della partita. Ghiggia scappa sulla fascia a Bigode e crossa in direzione di Schiaffino, che di prima insacca sotto l’incrocio del primo palo. Diversi anni dopo Pepe rivelerà di aver colpito male il pallone, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto andare ad incrociare. Ma il pallone sta bene lì dov’è, dentro la porta brasiliana.

Il Brasile a questo punto perde completamente la ragione. L’ansia da prestazione e la galoppante paura diffusasi sugli spalti inghiotte letteralmente gli 11 allenati da Costa, che iniziano a soffrire maledettamente le avanzate dell’Uruguay. E al minuto 79 la finale si decide: Ghiggia scappa ancora una volta ad un ubriacato Bigode, entra in area di rigore, e con un rasoterra sul primo palo supera un disattento Barbosa. Lo stadio adesso è in un silenzio tombale, le confuse ed insensate avanzate brasiliane condotte negli ultimi minuti sono del tutto velleitarie.

Alla fine, su un calcio d’angolo per il Brasile, l’arbitro Reader – coi suoi 53 anni, il più vecchio ad aver mai arbitrato una finale mondiale – fischia la fine. El mono Gambetta blocca il pallone con le mani, i giocatori brasiliani crollano a terra, diversi uruguaiani tra cui Schiaffino e Pérez scoppiano in lacrime, Ghiggia viene sollevato di peso e portato in trionfo da Varela. La partita che doveva essere quella della gioia brasiliana, si trasforma definitivamente nel Maracanazo. Lo stadio è attonito, Jules Rimet consegna molto imbarazzato la coppa a Varela, nonostante l’opposizione dello stesso Getúlio Vargas. Rimet era infatti andato a preparare il discorso quando il punteggio era ancora sull’1-1, certo della vittoria brasiliana, trovandosi così spiazzato dalla vittoria della Celeste.

Finisce in questo modo il Maracanazo, una delle partite più pazze della storia del calcio, ma purtroppo per i giocatori brasiliani l’onta non passerà così velocemente. Saranno considerati non più come degli eroi, bensì come dei falliti e dei traditori, in particolare il portiere Barbosa, ritenuto colpevole della sconfitta per l’errore in occasione del secondo gol. Sarà per più di 40 anni odiato da tutta la popolazione, “nonostante la pena massima per un crimine nel paese sia di 30 anni”, come dirà successivamente. Tutti i giocatori uruguaiani diventeranno invece delle vere e proprie leggende in patria, ma la maggior parte di essi morirà in povertà. Contemporaneamente in tutto il Brasile moriranno circa 90 persone, tra suicidi e arresti cardiaci, provocando così tre giorni di lutto nazionale.

Altri strascichi del Maracanazo si avranno nella scelta di non utilizzare più la maglia bianca, ma soprattutto avverranno in campo politico. Fallirono infatti tutti i governi che avevano puntato sullo sport per ottenere enorme popolarità, permettendo il ritorno al potere di Getúlio Vargas, nel frattempo destituito dalla stessa giunta militare che lo aveva inizialmente eletto. Cambierà in questo modo l’intera storia futura di un paese, influenzata da soli pochi attimi di una semplice partita di pallone.

martedì 15 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 15 luglio.

Il 15 luglio 2006 nasceva Twitter.

Twitter è il più particolare dei social network.

All’inizio non fu progettato per essere un social network.

Il suo ideatore Jack Dorsey lo pensò per farlo funzionare come piattaforma di comunicazione per dispositivi mobili.

Col passare del tempo, però, la sua sopravvivenza dipese sempre più dagli adattamenti informatici dei suoi programmatori, che per farlo diventare più competitivo tra i vari sistemi di comunicazione, lo fecero diventare un vero e proprio social network.

Più precisamente è un servizio di microblogging, cioè un network basato sullo scambio di messaggi brevissimi, più corti di un Sms (Short Message Service). Questa è la caratteristica di tutti i servizi di microblogging e di Twitter in particolare.

Nacque nel 2006 dall’idea di J. Dorsey e altri due colleghi (Evan Williams e Biz Stone), che avevano già realizzato insieme una piattaforma di comunicazione per blog. Cominciarono a sviluppare un software per pubblicare messaggi più brevi di un sms.

L’iniziativa fu progettata per essere completata in poco tempo. Il gruppo di programmatori si dedicò intensamente allo sviluppo del servizio con l’intento di adattarlo all’uso del cellulare.

Nei primi mesi dalla sua pubblicazione non ebbe un grande successo, poiché veniva utilizzato solo da una nicchia di appassionati  intorno all’area di S. Francisco.

Ma nel 2007 diventò più simile a un social network e si diffuse in tutto il mondo.

Lo scambio delle informazioni su questo social network avviene tramite i “tweet” (cinguettii), dei messaggi molto brevi (massimo 140 caratteri), come cinguettii di uccelli appunto, che sono la caratteristica principale del network.

Gli utenti inventarono il “Retweet” (ri-messaggio), un modo di segnalare e riproporre i messaggi scritti da altri utenti, premettendo al testo le lettere “RT” seguite dal nome dell’autore.

In seguito il Retweet è diventata una funzionalità supportata dal social network facendo aumentare notevolmente l’interazione tra i suoi utenti.

Successivamente la diffusione di Twitter fu vertiginosa: passò da 105 milioni di utenti dell’aprile 2011 ai 200 milioni alla fine dello stesso anno.

Una particolarità unica di Twitter, rispetto agli altri social network, è che non ci sono cerchie o gruppi di amici, ma esistono due categorie di utenti a cui riferirsi:

i “Follower” e i “Following”.

Per spiegare meglio come funzionano dobbiamo fare un esempio.

Poniamo il caso che un personaggio famoso venga seguito dai suoi fan.

I follower (seguaci) sono i suoi fans e riceveranno tutti i tweet che scrive.

I following (letteralmente seguiti), invece, sono altri utenti che un utente segue (colleghi, amici, personaggi famosi, Vip, aziende, gruppi musicali ecc.) e di cui, a sua volta è diventato un follower, ricevendo tutti i messaggi che inviano gli utenti seguiti (following).

Se si usa la funzione “Retweet”, si può riproporre i tweet ricevuti ai propri follower, che leggeranno il messaggio come se lo avesse scritto lui, anche se viene specificato l’autore originale del tweet.

Poi ci sono le “Liste” che permettono di selezionare e raggruppare, secondo categorie personali, i follower/following.

Altre funzionalità del network sono le sezioni “#Scopri”, “Notifiche“ e “Messaggi”.

La funzione “#Scopri” permette di scoprire le attività quotidiane dei following e aiuta a trovare nuovi utenti.

La sezione “Notifiche” elenca tutte le “interazioni”: dalle conversazioni con altri utenti, ai tweet in cui il proprio account è stato menzionato, compresi i Retweet e i nuovi follower.

I “Messaggi” o “Direct Messages (D.M.)” sono una specie di posta elettronica privata del social network.

Le conversazioni con i DM non vengono visualizzate nello stream del network; sono visibili solo agli utenti direttamente interessati alla comunicazione. Con i DM si possono inviare anche link.

Anche per i Messaggi vale la rigorosa regola dei 140 caratteri.

Gli Hashtag vengono usati in molti social network (Instagram, Facebook ecc.).

Ma Twitter gli riserva una particolare importanza. Infatti in questo social vengono usati molto più frequentemente che in altri e soprattutto assumono un efficace “ruolo comunicativo”, che in altri network è più marginale.

Possiamo definire l’ Hashtag la “combinazione di un simbolo (# – il cancelletto) con una sigla”, che può essere: una parola, un gruppo di lettere (#pdf), un numero (#246), un insieme di lettere e numeri (#7formazione) ecc.

Insomma qualunque espressione alfanumerica preceduta dal simbolo # che forma un tutt’uno con esso.

Non può contenere spazi, segni di punteggiatura, segni speciali, trattini ecc.

Per esempio se si usa l’hashtag #Wi-fi  il social renderà hashtag solo #Wi senza fi, perché abbiamo inserito il trattino. Per usare correttamente l’hashtag Wi-fi dobbiamo scrivere #Wifi senza trattino e senza spazio.

Per scrivere correttamente un hashtag, inoltre, dobbiamo staccarlo dalla parola precedente e da quella successiva con uno spazio.

Utilizzando l’hashtag, con Twitter, possiamo anche interagire in tempo reale con i programmi Tv che sono trasmessi in diretta (tecnica molto usata dai canali Tv negli utimi anni, soprattutto in questo momento), se prevedono l’uso dell’ hashtag per far interagire i telespettatori con la conduzione del programma e magari anche con gli ospiti.

Lo stesso vale per i “Web in air” (trasmissioni/lezioni via web che riguardano un argomento specifico) di formazione, che usano Twitter per tenersi in contatto diretto e in tempo reale con il proprio pubblico; per le videoconferenze, per lo streaming in generale ecc.

Insomma è un vero e proprio “strumento di comunicazione” del social network.

Funziona come “punto d’incontro in cui ritrovarsi” per chi twitta e per chi cerca i tweet con lo stesso hashtag.

Con Twitter, ricorrendo all’uso dell’hashtag nella “Barra di Ricerca” (in alto a destra), possiamo ricercare tutti i tweet che riguardano un particolare argomento (o professione, categoria, evento, ecc.).

Possiamo ricercare i tweet riguardanti argomenti specifici sia con l’ hashtag, sia senza.

Nel primo caso (con hashtag – p.es. #BigData) il motore di ricerca del social network trova tutti i tweet che contengono quello specifico hashtag.

Nel secondo caso (senza hashtag – p.es. Big Data, anche con lo spazio) il motore di ricerca troverà tutti i tweet che contengono quel termine oltre a quelli che contengono quell’ hashtag.

La sezione “Ricerca” di Twitter è ormai molto ben articolata.

La ricerca dei tweet può essere effettuata in vari modi e per sezioni distinte.

Possiamo cercare per “Persone” che trattano un argomento in particolare: che hanno il nome account che si riferisce alla categoria, professione o argomento cercato; o che hanno usato un hashtag specifico nella descrizione della loro biografia.

Con lo stesso criterio possiamo ricercare specifici tweet che contengono foto, video o notizie che riguardano quell’ argomento; ogni categoria in una sezione separata.

Di recente è stata aggiunta anche la ricerca dei tweet per “data” nella sezione di “Ricerca avanzata”, in cui si possono cercare i tweet pubblicati in una determinata data o in un periodo di tempo preciso che va da un giorno ad un altro (dal…, al…).

La “Ricerca avanzata” ci consente di effettuare una ricerca più mirata.

Per esempio possiamo cercare i tweet che contengono una frase esatta; cercare tweet in una lingua dalla nostra (tra quelle disponibili) o i tweet di un determinato utente ecc.

Possiamo anche geolocalizzare la ricerca, cioè cercare i tweet inviati da una specifica località.

Insomma la “Ricerca avanzata” ci permette di cercare i tweet con molta più precisione rispetto alla “ricerca generica”, in cui bisogna spulciare tra migliaia e migliaia di tweet che vengono inviati contemporaneamente.

In generale questo è il funzionamento principale del social network.

Twitter è stato il primo social network a dare agli utenti  la possibilità di inviare messaggi di testo (che non sono sms) con i telefoni cellulari. Negli Stati Uniti si trasformò in un vero termometro sociale che consentiva di controllare in tempo reale il gradimento dei prodotti commerciali o degli eventi più importanti, semplicemente contando il numero dei tweet a favore o contro.

Se nel 2006 solo Twitter consentiva di accedere e utilizzare un social network mediante telefono cellulare, oggi questo è possibile con tutti i principali networks.

Nel 2022 l'imprenditore sudafricano Elon Musk ha comprato Twitter per una cifra complessiva intorno ai 46 miliardi di dollari, e l'ha rinominata X.


lunedì 14 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 14 luglio.

Il 14 luglio 1933  in Germania viene promulgata la "legge per la protezione dei caratteri ereditari al fine di migliorare la razza ariana tedesca" . 

Legge per la quale chiunque è affetto da malattie ereditarie può essere sterilizzato chirurgicamente se a giudizio della scienza medica "sia prevedibile che la sua progenie possa presentare gravi difetti fisici o mentali" quali: Frenastenia congenita, Schizofrenia, Depressione maniacale, Epilessia congenita, Ballo di San Vito ereditario (Corea di Huntington), Cecità ereditaria, Sordità ereditaria, Gravi malformazioni ereditarie. A queste patologie viene associato anche chi è affetto da alcolismo cronico.

Secondo la legge chiunque può richiedere di essere sterilizzato. Qualora il richiedente è incapace o sotto tutela per problemi di salute mentale oppure perché non ha ancora compiuto il 18° anno di età, la richiesta può essere presentata dal proprio tutore o dal rappresentante legale.

La richiesta di sterilizzazione deve essere accompagnata da un certificato redatto da un cittadino autorizzato dal Reich Tedesco attestante che la persona da sterilizzare è stata informata della natura e delle conseguenze della sterilizzazione.

La sterilizzazione può anche essere prescritta da un ufficiale medico o da un funzionario che presta servizio in un ospedale, in un sanatorio o in una prigione.

La richiesta di sterilizzazione deve essere presentata per iscritto all'Ufficio della Corte per la Sanità Ereditaria oppure redatta da un funzionario dell'Ufficio stesso, le cui procedure "sono segrete". 

Esattamente cinque anni più tardi, il 14 luglio 1938, nelle pagine del Giornale d'Italia, viene pubblicato il Manifesto della Razza, con il titolo "il fascismo e i problemi della razza".

Il Manifesto della Razza contiene i risultati di uno studio condotto da un gruppo di scienziati e docenti universitari fascisti, secondo cui “le razze umane esistono” e che “esiste ormai una pura razza italiana” e che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana”.

Con questa pubblicazione di fatto nasce l’antisemitismo dello Stato italiano, che portò alla promulgazione delle leggi razziali, lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, in occasione della sua visita in città.

Per l’Italia di allora si trattava di posizione nuove, nonostante al proprio interno non mancassero correnti e idee permeate di razzismo. Il documento va contestualizzato nell’alleanza che si faceva via via sempre più stretta con la Germania, che esattamente cinque anni prima, come detto, aveva promulgato la Legge per la protezione dei caratteri ereditari, che faceva seguito alla Legge per il rinnovo dell’amministrazione pubblica del 7 aprile 1933, le prime due leggi razziali naziste.

Il 14 luglio è una delle date nere della storia del popolo ebraico. In Germania e in Italia diventa tangibile e manifesto l’odio verso gli ebrei, che culminerà nelle deportazioni e nelle uccisioni di milioni di persone nei campi di sterminio.


domenica 13 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 13 luglio.

Il 13 luglio 1709, a Colonia, viene fondata la prima fabbrica moderna di profumo del mondo.

Dalla notte dei tempi il profumo svolge numerose funzioni, che qui possiamo raggruppare in sette classi:

- la funzione sacra (mette in rapporto la persona con gli dei attraverso gli aromi impiegati nei riti sacri, nelle imbalsamazioni o durante le offerte);

- la funzione seduzione (arma invisibile per piacere);

- la funzione aristocratica (è stato per lungo tempo prerogativa di pochi);

- la funzione piacere (dona un carattere particolare a chi lo indossa);

- la funzione vitalità (nell'antica Grecia dava forza e fiducia agli atleti);

- la funzione identità (evoca una persona anche quando non c'è, oppure aiuta a ricordare eventi passati);

- la funzione benessere e medica (attraverso l'aromaterapia).

Il termine "profumo" proviene dal latino per fumum, che significa letteralmente "attraverso il fumo". L'origine etimologica, quindi, va ricercata nell'utilizzo di alcuni oli e aromi essenziali, come l'incenso, che venivano bruciati in offerta a dei e antenati.

Presso le civiltà antiche le fumigazioni erano praticate a fini sacri, per inviare messaggi al cielo, come vettori delle orazioni rivolte agli dei o alle persone care scomparse. Ancora oggi costituiscono un supporto per la preghiera, per la meditazione e come pratica purificatrice in tutti i maggiori culti religiosi. L'esecuzione della fumigazione è tutt'oggi alla base della moderna aromaterapia.

Non si può datare con certezza la nascita del profumo, anche se l'archeologia ci fa sapere che accanto all'utilizzo del profumo come intermediario fra l'uomo e gli dei, quasi subito esso fu usato come strumento di seduzione e per la cura del corpo.

Alcune ricerche condotte a Pyrgos, nell'isola di Cipro, hanno scoperto quella che si crede la più antica fabbrica di profumi del Mediterraneo. Durante gli scavi, iniziati nel 1997 e durati otto anni, sono stati rinvenuti reperti risalenti al XX secolo a.C. di una fabbrica adibita alla produzione d'olio d'oliva e al suo impiego nei settori cosmetico, medico-farmaceutico e tessile. La varietà delle essenze messe sul mercato dalla "preistorica ditta" era davvero ampia per quei tempi: mirto, lavanda, cinnamomo, rosmarino, origano, alloro, coriandolo, prezzemolo, mandorla amara, camomilla e anice.

E' l'antico Egitto, però, a fornirci la prima vera testimonianza dell'utilizzo del profumo. Qui il profumo è sempre presente nei templi e nei rituali religiosi: purifica il corpo e la mente della persona in vita ed è parte integrante del rito dell'imbalsamazione dei defunti. Per gli egizi i profumi sono soprattutto l'emanazione del "sudore divino", ciò che unisce il popolo alle divinità.

Al significato magico-sacrale se ne somma poi uno più profano, legato all'arte del sedurre. Le donne egizie si spalmavano sul corpo balsami e oli profumati, distribuivano sui capelli pomate aromatiche. La regina Cleopatra esaltava il proprio fascino e la propria bellezza con unguenti e oli profumati. Fu lei ad accogliere Marco Antonio, al loro primo incontro d'amore, in una stanza cosparsa di petali di rosa dove bruciavano incensi ed erbe aromatiche.

Il profumo più utilizzato dai faraoni e dalle loro consorti è il Kyphi, un composto formato anche da più di cinquanta essenze. Plutarco scrisse che il Kyphi aveva il potere di «favorire il sonno, aiutare a fare dei bei sogni, rilassare, spazzare via le preoccupazioni quotidiane, dare un senso di pace».

Tra i numerosi ingredienti utilizzati in questa antica fragranza, erano presenti il pistacchio, la menta, la cannella, il ginepro, l'incenso e la mirra. L'incenso (Boswellia sacra) e la mirra (che si ricava dalla Commiphora burseraceae) erano le due resine più note nell'antichità.

Accanto al valore religioso e sociale, i profumi nell'antico Egitto assunsero anche un rilievo diplomatico: le essenze profumate erano molto preziose e i faraoni ne facevano dono ai sovrani alleati.

Più tardi i profumi entrarono nell'uso quotidiano anche di nobili, funzionari e cortigiani. Fu così che gli schiavi ebrei vennero a conoscenza di alcune formule, dedicandosi, una volta liberi, alla produzione e al commercio di questi prodotti aromatici. Tuttavia, presso il popolo ebraico l'utilizzo delle essenze profumate era già diffuso. Anzi, nella mistica ebraica l'odorato è descritto come l'unico senso che dà piacere all'anima, mentre tutti gli altri sensi danno il piacere al corpo: quindi il profumo avvicina a Dio, ma è anche segno di onore e di riconoscenza.

Il ruolo sacro dei profumi è definito nelle Sacre Scritture, in particolare nel Libro dell'Esodo. Dio aveva ordinato di costruire un altare sul quale offrirgli profumi. «Il Signore dice a Mosè: "Procurati balsami: storace, onice, galbano come balsami e incenso puro: il tutto in parti uguali. Farai con essi un profumo da bruciare, una composizione aromatica secondo l'arte del profumiere. Ne ridurrai una parte in minutissima polvere, e ne porrai davanti alla Testimonianza nella tenda di convegno, dove io m'incontrerò con te. Cosa santissima sarà da voi ritenuta» (Es. 30, 34-36).

Nel Tempio di Gerusalemme l'offerta dei profumi aveva un ruolo predominante. Allo Yom Kippùr (la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell'espiazione), il Sommo Sacerdote entrava nel Santo dei Santi (il luogo dove si trova la Torah, il rotolo della Legge) con il turibolo dei profumi da bruciare, i timiati, composti da una mistura a base d'incenso.

Presso gli Ebrei il profumo è utilizzato sotto forma di preparati unguentarii (detti puk), di oli profumati, di polveri e di sacchetti di erbe aromatiche portati addosso o messi fra i vestiti.

Un'altra testimonianza la troviamo nel Vangelo: «Poiché era nato Gesù a Betlemme di Giudea, ai tempi del re Erode, ecco che dei Magi venuti dall'Oriente arrivarono a Gerusalemme. Entrando nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre, e, prostrati, lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt. 2, 11). Tre dunque sono i doni che gli astrologi babilonesi offrirono al Cristo: l'oro che si dona ai re, l'incenso un omaggio a Dio, la mirra - aroma funerario - un riferimento alle sue qualità umane.

L'arte di miscelare gli aromi si diffuse anche in Occidente, in Grecia e a Roma. Fin dall'epoca Cretomicenea (1500 a.C.), i Greci credevano nell'esistenza di esseri divini rivelati dagli aromi e dai profumi.

Malgrado il veto morale di Socrate, i profumi erano talmente apprezzati da essere considerati creazione degli stessi dei. Per questo, presso questo popolo, accanto all'importanza delle essenze profumante nelle celebrazioni del culto, il profumo era legato a tutti i passaggi della vita: la nascita, il matrimonio, la morte erano tutte accompagnate da fumigazioni e unzioni profumate dalle virtù purificatrici e sacre.

I Greci sono passati alla storia anche per il culto della bellezza plastica e della conseguente cura per l'igiene del corpo. L'importanza attribuita al profumo è confermata dal famoso Trattato degli odori di Teofrasto (discepolo prediletto di Aristotele), testo base della profumeria antica. Già in quest'epoca si scoprono le virtù terapeutiche degli euodia, gli odori buoni. Per esempio, i Greci credevano che cingere il capo con coroncine di rose o di mirto mitigasse le emicranie, in particolare quelle provocate da eccessive libagioni. Ippocrate esaltò dei rimedi a base di salvia, di malva e di cumino somministrati sotto forma di suffumigi, frizioni e bagni.

Tra le preparazioni profumate degli antichi Greci ricordiamo il kipros, a base di menta e bergamotto, e il susinon a base di giglio.

Anche i Romani, da principio avversi a queste frivolezze, furono contagiati dall'amore per i profumi e gli unguenti. Inizialmente legati al culto religioso, le essenze profumate passarono all'uso personale o d'ambiente: i Romani preparavano unguenti, acque aromatiche, profumi, pastiglie e polveri odorose. Dalla Repubblica all'Impero, i profumi conobbero un successo formidabile, a tal punto che, come racconta Petronio nel Satyricon, i banchetti erano vere e proprie "orge olfattive".

Caduto l'Impero Romano, in Europa l'arte della profumeria conobbe un periodo di decadenza. Questo si deve anche al Cristianesimo che, con i suoi austeri costumi, riservò la pratica dell'uso delle essenze profumate al solo culto religioso. Sarà solo nel XIII secolo, alla fine delle Crociate, che il profumo farà ritorno stabilmente in Europa.

Ma fu in Oriente che il commercio di aromi e spezie conobbe un grande sviluppo. La scoperta dell'arte della distillazione dà un enorme impulso al mercato dei profumi. Gli Arabi non sono gli inventori di questa tecnica ma l'hanno raffinata e diffusa.

Nel X secolo, il celebre medico arabo Avicenna scoprì come distillare l'Acqua di rose dai petali della rosa centifolia. Non solo, nelle sue opere citò spesso nuove lozioni aromatiche e oli profumati. Tuttavia non si trattava ancora di soluzioni alcoliche, in quanto l'alcol era proibito dal Corano. Fu l'Istituto Superiore delle Scienze di Salerno, intorno all'anno Mille, a sostituire l'olio con l'alcol come eccipiente del profumo.

I Greci distillavano utilizzando l'àmbix (il vaso o la coppa forniti di un piccolo canale), gli arabi aggiunsero l'articolo e lo strumento divenne al-ambicco (al-ibniq).

I monaci benedettini al seguito delle armate cristiane in Terra Santa, carpirono dai manoscritti arabi i segreti della distillazione. I testi trafugati furono tradotti in latino presso le scuole di Salerno e Santiago di Compostela e da queste scuole uscirono i primi mastri distillatori (di essenze, ma anche di bevande). Grazie alle Crociate si importano dall'Oriente anche aromi ed essenze nuove.

Il primo profumo moderno in soluzione alcolica fu preparato in Ungheria nel 1370 da un monaco esperto di chimica. Il profumo, noto come Eau de Hongrie ("Acqua Ungherese"), era un estratto di rosmarino, timo e lavanda. La regina Elisabetta d'Ungheria si vantava, grazie ai poteri di questo profumo, di essere riuscita a sedurre a settant'anni il re di Polonia.

Nel Rinascimento l'arte della profumeria si sviluppò ulteriormente: la chimica sostituì definitivamente l'alchimia migliorando la distillazione e la qualità delle essenze.

I grandi profumieri del Rinascimento erano spagnoli e italiani. I primi avevano ereditato la loro scienza dagli arabi, i secondi avevano approfittato della ricchezza della penisola e del gusto dell'aristocrazia per i profumi per arricchirsi attraverso il commercio delle essenze e per esportare all'estero la tecnica dei profumieri.

Quando Caterina de' Medici giunse in Francia per sposare il Duca d'Orléans, il futuro re Enrico II, portò con se dall'Italia il suo profumiere Renato Bianco (poi francesizzato in René Le Florentin). Egli aprì una bottega a Parigi diventando famosissimo tra l'aristocrazia parigina.

Anche la pratica di non lavarsi (l'acqua era ritenuta un veicolo di contagio per le malattie), amplificò l'uso dei profumi. L'apparenza inizia a giocare un ruolo più importante della pulizia. Le essenze profumate prendono il posto dell'igiene personale per vincere i cattivi odori e nascondere la sporcizia.

Molto in voga, in questo periodo, anche la profumeria secca per usi diversi: polveri per sacchetti da mettere sotto le gonne, per il viso, per la parrucca, commercializzata alla rinfusa in grandi scatole dai decori raffinati.

Nel 1600 nasce l'Acqua di Colonia. Secondo alcuni, suo "inventore" fu Gian Paolo Feminis, originario di Santa Maria Maggiore, cittadina della Val Vigezzo (nell'attuale provincia del Verbano Cusio Ossola). Originariamente venditore ambulante, Feminis inventa e produce una sostanza che, a suo dire, guarisce tutti i mali. Si chiama Aqua Mirabilis. Trasferitosi a Colonia, in Germania, questo liquido diventa Acqua di Colonia. Secondo altri, a "inventare" questa essenza fu un altro italiano, Giovanni Maria Farina, anche lui della Val Vigezzo. La formula messa a punto dal Farina comprende una trentina di essenza, tra cui limone, cedro, arancia, pompelmo, lavanda, timo e rosmarino.

Una vera rivoluzione nel campo della pulizia personale avvenne verso la fine dell'Ottocento quando Louis Pasteur (1822-1895), padre della microbiologia, scoprì l'esistenza dei batteri. Ne derivò una forte spinta all'igiene personale e venne meno l'esigenza di ricorrere a fragranze grevi. Si passò quindi dalla necessità di occultare i cattivi odori al desiderio di profumi più dolci e meno aggressivi.

La Rivoluzione Francese arrecherà un colpo terribile alla profumeria. Nonostante la creazione di fragranze dai nomi evocativi, come "Profumo alla ghigliottina" e "Alla Nazione", le essenze profumate sono sinonimo di aristocrazia.

Nel 1778 nasce a Milano la Casa di Profumo, Saponi e articoli per toletta Angelo Migone & C., che produce beni profumati e per la cura della persona. Cesserà di esistere solo negli anni Cinquanta del XX secolo, vittima di una politica aziendale troppo ancorata a vecchie produzioni.

Nel XIX secolo l'abolizione degli editti corporativi e la liberalizzazione del commercio permettono di segnare una tappa decisiva nella produzione del profumo. In questo periodo entra in scena il famoso marchio Guerlain. Nel 1828 Pierre Francois Pascal Guerlain apre la sua prima maison di profumeria a Parigi, che offre eau de toilette, saponi, preparazioni termali, aceti aromatici, creme e pomate di ogni tipo.

Nell'Ottocento una scoperta rivoluziona il mondo dei profumi: la sintesi dell'urea, ottenuta da Friedrich Wöhler nel 1828. Questa scoperta dà l'avvio alla chimica organica, contribuendo all'evoluzione della profumeria attraverso l'utilizzo degli aldeidi. Quest'ultimi sono degli elementi sintetici che aumentano all'infinito la possibilità di disporre di diverse profumazioni. Componenti naturali e prodotti di sintesi sono poi uniti a sostanze chiamate fissatori, che hanno il compito di "ancorare" il profumo alla pelle. I fissatori hanno caratteristiche particolari, tra cui quelle di essere poco volatili, incolori, solubili nell'alcol e negli oli essenziali.

Nasce così la profumeria moderna. Poco a poco compaiono prodotti di sintesi di alta qualità, con prezzi accessibili e con note inedite nelle composizioni. Il primo profumo famoso che utilizza prodotti di sintesi è Flomary, commercializzato agli inizi del 1900. Ma la vera affermazione arriverà nel 1921 con la creazione, da parte di Ernest Beaux, del famosissimo profumo Chanel N.5.

Sempre nell'Ottocento, precisamente nel 1865, il profumiere londinese Eugene Rimmel (colui che ideò un sistema per rendere ancora più affascinanti gli occhi delle donne con uno spazzolino per le ciglia intinto nel carboncino), divide gli aromi in diciotto gruppi allo scopo di facilitare la classificazione degli odori. Nasce così il concetto di sottofamiglia, dividendo i profumi in base alla loro persistenza e alla nota dominante (quest'ultima permette di classificare la fragranza all'interno di una famiglia).

L'intuizione di Rimmel sarà ripresa negli anni Venti del Novecento da un altro profumiere, René Cerbelaud, che elaborò uno schema con quarantacinque gruppi, individuando anche collegamenti tra un gruppo e l'altro. Più recentemente, nel 1960, Steffen Arctander realizzò una classificazione comprendente ottantotto gruppi, dividendo le materie aromatiche naturali secondo l'odore, il tipo e il possibile uso.

L'euforia per la moda dei profumi subì una breve interruzione con crac del '29 e poi con lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Negli anni Cinquanta il profumo ritorna ad essere arma di seduzione. Il mercato è inondato da migliaia di nuove fragranze profumate. Nelle profumerie compare anche l'eau de toilette per uomini, anche se il profumo maschile resta legato al rito della rasatura.

La profumeria contemporanea offre oggi lo spettacolo di una vera e propria arte, con la sua profusione d'innovazioni, facendosi interprete delle culture, delle tradizioni e delle mode olfattive di ogni parte del mondo.

Non sempre si conoscono i segreti per scegliere una fragranza o per utilizzare al meglio il profumo come arma di seduzione. Nella scelta di una fragranza sono molto importanti alcune caratteristiche: bisogna considerare il metabolismo di chi lo porta, l'ora del giorno in cui si utilizza e per le donne, il periodo del mese, in quanto a seconda dell'acidità della pelle, lo stesso profumo su persone diverse può cambiare fino a diventare irriconoscibile.

Per accentuare una fragranza, importante è soprattutto il calore: ecco perché si consiglia di applicarla sulla parte interna del polso, ai lobi delle orecchie, sulla nuca, alle tempie, fra i seni, nell'incavo del braccio e delle ginocchia, zone in cui il sangue arriva più in superficie e quindi più calde.

Occorre sapere anche che i profumi svolgono un'influenza positiva sul nostro umore e possono avere una funzione terapeutica in quanto alcune essenze esplicano effetti antidepressivi e stimolanti (tra queste il bergamotto, il limone, il pino, la lavanda, la menta, il basilico, the verde) o sedativi (tra cui la camomilla, la rosa, il geranio, aloe).

E' stato dimostrato, inoltre, che i due sessi subiscono l'attrazione più col naso che con gli occhi. Lo stimolo visivo è un impulso possente, ma solo nella fase iniziale. Infatti, poi, è messo alla prova dalle narici: quello che prima attirava la vista, può divenire oggetto di repulsione attraverso l'odore. L'attrazione sembrerebbe infatti essere conferita da alcuni geni che si trovano sul braccio corto del cromosoma 6 e che sono responsabili dell'odore personale. L'odore corporeo tuttavia si modifica nel corso degli anni, raggiunge il massimo della particolarità nell'età della pubertà.

Un odore esercita attrazione per alcune persone e repulsione per altre; gli odori influenzano le nostre relazioni, ci scoraggiano o al contrario ci lanciano verso una direzione piuttosto che un'altra. Basta pensare a quanto gli odori sgradevoli ci fanno cambiare idea su una persona, a quanto la nostra tensione erotica si affievolisce o peggio svanisce in presenza di olezzi non graditi. È proprio su questo che le case di cosmetici e profumi fanno leva: non producono tanto ciò che è piacevole quanto ciò che eccita, attrae e aiuta.

Partendo da queste considerazioni, nel 2003, un team scientifico statunitense, diretto dal ricercatore Adam Anderson, utilizzando la risonanza magnetica, ha scoperto che c'è una diversità tra il piacere determinato da un profumo e la sua intensità: si è appurato che la corteccia orbitofrontale, la meta finale dove i segnali olfattivi diventano consapevoli, presiede al fatto che un'essenza sia di proprio gusto o meno, mentre l'amigdala (il piccolo nucleo del cervello umano deputato all'elaborazioni delle esperienze emotive trascorse) avverte l'intensità dello stimolo e si attiva indipendentemente dalla sua gradevolezza.

In più, una fragranza piace a dispetto di altre, perché la risposta olfattiva è quasi sempre filtrata dalla memoria delle esperienze precedenti. Dipende, quindi, da quali esperienze ricordano e dal tipo di associazione che in passato ha legato quel particolare suggerimento olfattivo ad un episodio significativo. Un abbandono affettivo può dar luogo ad un profondo malessere se nell'aria si avverte il profumo preferito dall'ex partner

sabato 12 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 luglio.

Il 12 luglio 2010 a Venezia entra in funzione la centrale elettrica funzionante ad idrogeno.

Tanti bei discorsi e buone intenzioni, sfavillanti inaugurazioni con tutte le autorità possibili e milioni di euro di investimenti finiti nel nulla. La centrale elettrica a idrogeno da 16 Mw costata ad Enel niente di meno che 50 milioni di euro e inaugurata in pompa magna nel luglio 2010 – accanto alla centrale termoelettrica Palladio – ha funzionato meno di due anni ed è stata definitivamente fermata all’indomani della chiusura del ciclo produttivo del cloro che la alimentava con i suoi scarti di produzione di idrogeno.

Si trattava di un impianto “sperimentale” finalizzato, nelle intenzioni di Enel, a verificare la fattibilità tecnica dell’impiego dell’idrogeno puro in turbine a gas per impianti di grossa taglia. La sperimentazione è riuscita ma la centrale è stata fermata e nessuno si è interessato a utilizzare la tecnologica adottata per costruire altre centrali del genere nel mondo.

«Seppure l’idrogeno destinato all’impianto sperimentale di Fusina provenisse direttamente dall’industria petrolchimica presente nell’area limitrofa alla centrale» spiega la stessa Enel in una nota «lo scenario di riferimento in cui si inquadrava la sperimentazione era quello di impianti di generazione elettrica a carbone basati su tecnologia di gassificazione con cattura della CO2 capaci di generare grosse quantità di idrogeno puro per produzione diretta di energia. La sperimentazione si è conclusa alla fine del 2012 e ha permesso di coprire tutti gli obiettivi tecnici del progetto. Il progetto di ricerca si e quindi concluso e le autorizzazioni per il funzionamento sono scadute».

«La causa della chiusura» come spiega Enel «è che «allo stato attuale il mutato scenario energetico, rende oggi l’idrogeno poco appetibile sotto il profilo economico per la generazione diretta di energia elettrica su grossa taglia. Alla luce di ciò e della strategia di Enel focalizzata a contrastare le emissioni di CO2 investendo sulla crescita della generazione da fonti rinnovabili, ulteriori sviluppi di questa tecnologia sono fermi in attesa che si evidenzi una convenienza economica ad utilizzi commerciali ad oggi non esistenti».

Stessa sorte sembra essere toccata all’idrogeno che doveva essere utilizzato sia per alimentare i motori di vaporetti e autobus, sia da parte di Enel per produrre energia elettrica utilizzando quello di scarto che esce dall’impianto del cracking del Petrolchimico, tutt’ora attivo, oppure come combustibile a zero emissioni inquinanti che doveva far funzionare vaporetti e autobus dell’Actv.

Ma erano solo dei miraggi, e oggi il bilancio tra soldi spesi in ricerche e sperimentazioni e benefici di utilizzo il saldo è tutto in rosso.

L’Hydrogen Park, un consorzio pubblico-privato costituito in laguna nel 2003 con grandi prospettive, oggi è ancora in attesa della realizzazione del promesso distributore di idrogeno a Marghera ed è anche in attesa ormai da tempo della certificazione del vaporetto “Hepic” di Alilaguna – e ribattezzato “Scossa” dal Comune – con un motore ibrido a idrogeno e gas.

Resta una promessa non mantenuta anche quanto previsto dalla delibera approvata in Giunta comunale, su proposta del sindaco, nell’agosto del 2017 che ratificava il protocollo d’intesa tra il Comune di Venezia e la “Fuel Cells and Hydrogen 2 Joint Undertaking” (FCH 2 JU) finalizzato allo sviluppo di applicazioni dell’idrogeno e delle celle a combustibile per la mobilità urbana sostenibile. Resta il fatto che il servizio di “car sharing” con auto a idrogeno non è mai decollato, come pure non si vedono in circolazione bus o vaporetti a idrogeno.

Tanto meno infine si è visto realizzato il progetto sulla “mobilità sostenibile” dell’industria automobilistica giapponese Toyota che, stando a quanto affermato dal sindaco nella primavera del 2016, doveva essere presentato entro 90 giorni.

 

venerdì 11 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'11 luglio.

L'11 luglio 1975 gli archeologi cinesi portano finalmente alla luce l'esercito di terracotta" rinvenuto casualmente l'anno precedente.

Il 29 marzo del 1974, un gruppo di contadini cinesi della provincia dello Shaanxi fece una delle più sensazionali scoperte archeologiche del secolo. Mentre scavavano un pozzo alla ricerca di acqua si imbatterono nei resti di quello che da allora è chiamato “l’esercito di terracotta”, un’armata di più di seimila sculture di soldati, acrobati e cortigiani messa a guardia della tomba di Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina, che la fece costruire più di due secoli prima della nascita di Cristo.

L’inverno del 1974 era stato particolarmente secco e la provincia dello Shaanxi, come gran parte del nord della Cina, erano colpiti da una grave siccità. Un gruppo di contadini che vivevano poco lontano dalla città di Xi’an si misero a scavare alla ricerca di acqua. Il luogo che avevano scelto non era molto lontano da una zona ricca di scavi archeologici. Bastava smuovere un po’ di terra per trovare cocci, mattoni e frammenti di terracotta.

Questi ritrovamenti era molto utili ai contadini, che erano felici di riutilizzare quello che trovavano come materiali da costruzione o recipienti. Per farlo, però, dovevano superare le barriere della superstizione. Gli anziani dei villaggi, in particolare, ritenevano che rimuovere quegli oggetti dalla terra infastidisse gli spiriti e fosse di malaugurio.

La spedizione non trovò acqua. Al suo posto, dopo alcuni metri di scavi, trovarono una quantità sorprendente di cocci, come mai era capitato prima. Era una mezza vittoria e i contadini riempirono un intero carretto con gli oggetti ritrovati. Quando ritornarono al villaggio ci fu una certa animazione: come era accaduto in passato, uno degli anziani del villaggio disse che con il loro scavo i contadini avevano svegliato gli spiriti della terra. Per giorni i contadini ritornarono sul luogo dello scavo, celebrando riti e accendendo bastoncini di incenso nel tentativo di placare la rabbia degli dei.

Uno di loro, però, la pensava diversamente. Si chiamava Yang Zhifa – almeno secondo uno dei resoconti della storia più diffusi – e aveva partecipato al primo scavo, il 23 marzo. Yang aveva notato che il ritrovamento era diverso dal solito. I cocci che avevano trovato non somigliavano a pezzi di vasi o di mattoni: avevano qualcosa di umano. Inoltre, in mezzo ai rottami spuntati, Yang aveva anche visto oggetti di metallo luccicante che sembravano spade o coltelli. Il 29 marzo avvertì le autorità cinesi, che inviarono sul posto un gruppo di ricercatori. Fu sufficiente allargare un poco lo scavo praticato dai contadini perché i ricercatori del governo si accorgessero di essere davanti ad un ritrovamento storico.

Gli scavi andarono avanti per anni con grande prudenza. Si scoprì che i precedenti lavori di scavo alle tombe circostanti, che si trovavano a volte a pochissima distanza dall’esercito di terracotta, avevano danneggiato numerosi soldati. Alla fine dei lavori vennero individuati quattro “pozzi” principali nei quali era sepolta un’armata composta da più di seimila figure. Il pozzo principale è il numero uno, dove è radunato il grosso dell’esercito. È composto da undici corridoi, ognuno largo circa tre metri. I guerrieri di terracotta sono incolonnati in questi corridoi, immobili come durante una rivista militare.

Nel pozzo numero due è schierata la cavalleria. Ci sono circa 130 carri da guerra e più di 520 cavalli. Il pozzo numero tre è riservato agli ufficiali e ai generali, più alti dei soldati normali e scolpiti con uniformi elaborate. Il quarto pozzo è vuoto e secondo gli archeologi potrebbe essere stato lasciato incompiuto durante i lavori. Intorno ai quattro pozzi principali e a una certa distanza ce ne sono numerosi altri, più piccoli, dove erano custodite le sculture di acrobati, danzatori e cortigiani.

L’enorme esercito e la corte sono disposti a circa un chilometro e mezzo di distanza dalla tomba che avrebbero dovuto vigilare per sempre, l’enorme tumulo funerario dell’imperatore Qin Shi Huang, che regnò tra il 260 e il 210 avanti Cristo. La tomba di Qin è ancora in gran parte misteriosa, visto che nessuno scavo è stato ancora compiuto – ufficialmente per il timore di rovinare gli oggetti all’interno.

Nelle cronache cinesi dell’epoca, tutte successive alla morte di Qin, si fanno numerosi riferimenti alle meraviglie contenute nella tomba, ma non c’è nessun accenno alla grande armata che sorveglia l’accesso orientale al tumulo. Gli archeologi sono comunque riusciti a ricostruire una parte notevole della storia dell’esercito di terracotta.

L’impero di Qin era altamente centralizzato e per gli storici non è difficile immaginare che numerosi laboratori siano stati incaricati di realizzare l’esercito, sulla base di un disegno preordinato dai funzionari della corte. Le statue di terracotta sono composte da varie parti incollate insieme, il che fa supporre una sorta di produzione “a catena di montaggio”, con laboratori che producevano in serie le braccia, altri i busti, le gambe e i volti. Altri operai, probabilmente sul posto, montavano le statue e le mettevano in posizione, come ha spiegato lo Smithsonian Magazine.

Gli archeologi hanno osservato che, per dare varietà ai volti dei seimila soldati, siano state utilizzate otto forme diverse per realizzarli. Un procedimento simile venne usato probabilmente anche per le gambe e per le braccia. I soldati erano quasi tutti armati e si calcola che all’inizio nella tomba fossero sepolte circa 40 mila armi di bronzo: da allora molte sono state rubate o sono state completamente corrose dalla ruggine. Gli storici cinesi dell’epoca parlano di 250 mila o addirittura 700 mila operai non pagati per realizzare il tumulo e – sappiamo noi – l’esercito di terracotta. Storici moderni ritengono queste stime improbabili. Secondo alcuni calcoli, 16 mila persone impegnate per due anni sarebbero state sufficienti a realizzare tutto il complesso.

Dagli anni Settanta a oggi l’esercito di terracotta è diventato una delle principali mete turistiche della Cina. Intorno al sito è sorta una vera e propria città turistica, con alberghi, ristoranti e musei. Repliche o addirittura pezzi originali dell’esercito sono stati portati in tutto il mondo per una serie di mostre, ottenendo un enorme successo. Quella al British Museum del 2007-2008 fu l’evento più di successo dai tempi dal tesoro di Tutankhamen, oggetto di una mostra nel 1972.

A gran parte dei contadini, tra cui anche alcuni degli autori della scoperta, l’esercito di terracotta non portò fortuna. Il governo acquistò la loro terra e li lasciò nelle condizioni di estrema povertà che toccarono a gran parte dei cinesi durante la rivoluzione culturale di Mao Tse Tung. Per Yang Zhifa le cose andarono diversamente. Come principale autore della scoperta, Yang venne ricompensato dal governo cinese con una somma equivalente a quanto guadagnava in un anno. Quando poi l’esercito divenne una gigantesca attrazione turistica, venne chiamato dal direttore del museo per firmare autografi a pagamento, un’attività che Yang ha continuato a fare fino alla pensione. Sapere che fine ha fatto non è semplice. Oggi, a Xi’an, la città più vicina al sito archeologico, ci sono parecchie persone che sostengono di essere gli autori della scoperta e si fanno pagare per firmare autografi. Diversi di loro sostengono di essere proprio Yang Zhifa.

giovedì 10 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 10 luglio.

Il 10 luglio 2002 Sotheby's vende il dipinto °Il massacro degli innocenti" di Rubens (la sua prima versione) per 49,5 milioni di sterline.

Pieter Paul Rubens nasce il 28 giugno del 1577 a Siegen, in Westfalia, figlio di Maria Pupelynckx e di Jan, un avvocato calvinista fiammingo. Cresciuto a Colonia, dove il padre si era rifugiato per evitare la persecuzione spagnola nei confronti dei protestanti, a dodici anni si trasferisce ad Anversa, dove studia il latino, riceve un'educazione umanista e diventa cattolico; due anni dopo, inizia un apprendistato artistico presso Tobias Verhaeght.

Nel 1596 realizza con Otto van Veen e Jan Brueghel il Vecchio il "Parnaso"; nello stesso periodo, porta a termine anche la "Battaglia delle amazzoni" e il "Peccato originale". Nel 1598 Rubens viene iscritto alla corporazione dei pittori della gilda locale come maestro, mentre due anni più tardi si reca in Italia: vi rimarrà fino al 1608.

Dapprima fa tappa a Venezia, dove entra in contatto con le opere di Tintoretto, di Veronese e di Tiziano; poi, conosciuto il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, viene nominato pittore di corte. Nel 1601 viene spedito a Roma allo scopo di copiare alcuni dipinti: in questa occasione scopre le opere di Raffaello e di Michelangelo, ma anche di Federico Barocci, di Caravaggio e del Carraggi.

Successivamente realizza l'"Innalzamento della croce", l'"Incoronazione di spine" e il "Trionfo di Sant'Elena" per la cappella di Sant'Elena nella Basilica di Santa Croce Gerusalemme, oltre al "Martirio di San Sebastiano" e al "Compianto sul corpo di Cristo". Nel 1603, sempre in missione per Vincenzo I Gonzaga, si sposta in Spagna; tornato a Mantova, soggiorna a Genova, dove realizza il "Ritratto di Brigida Spinola Doria", per poi ritrovare Roma: qui vive con suo fratello Philipp e viene incaricato di decorare l'abside di Santa Maria in Vallicella.

Una volta completato il dipinto, si accorge che la sua posizione sull'altare riceve una luce eccessiva che ne compromette la fruizione: per questo sceglie di ritirarlo e di creare in sua vece la "Madonna della Vallicella", i "Santi Domitilla, Nereo e Achilleo" e i "Santi Gregorio, Papia e Mauro": tre dipinti su ardesia.

Nel 1608, come detto, Rubens torna in patria, dove trova il sostegno di Nicolas Rockx, scabino e borgomastro, e di un altro potente protettore, l'arciduca Alberto, al tempo governatore dei Paesi Bassi meridionali. Sul fronte artistico, in questo frangente il suo stile si indirizza verso contrasti luministici evidenti e figure michelangiolesche in gruppi: lo si nota, per esempio, nel "Sansone e Dalila" portato a termine nel 1610, ma anche nell'"Erezione della croce" destinata alla Cattedrale di Anversa conclusa l'anno successivo.

Dal 1612 in poi, tuttavia, il suo modo di dipingere si evolve, forse anche per effetto delle istanze della Controriforma Cattolica, con opere che diventano più chiare e con colori più freddi, ma anche una distribuzione più armoniosa dei personaggi: accade in "Discesa della croce", realizzata sempre per la Cattedrale di Anversa e conclusa nel 1614, che per il corpo del Cristo è ispirata direttamente al "Laocoonte".

Mentre si occupa dell'"Incredulità di San Tommaso", Rubens organizza una bottega in cui tenta di applicare i metodi industriali al lavoro artistico: per esempio, scegliendo i suoi collaboratori a seconda delle particolari specializzazioni, sulla base di parametri razionali. Accogliendo un gran numero di commissioni, è coinvolto nei progetti finalizzati alla realizzazione di sette arazzi dedicati alla "Storia di Decio Mure", richiestigli da alcuni nobili genovesi.

Nel 1620 si occupa della decorazione dei soffitti della Chiesa di San Carlo Borromeo di Anversa, con quaranta dipinti di grandi dimensioni che raffigurano scene tratte dalle vite dei santi, dall'Antico Testamento e dal Nuovo Testamento.

Nel 1621 Rubens riceve l'incarico di realizzare alcuni dipinti monumentali che andranno ad arricchire la galleria del Palazzo del Luxembourg: ad assegnargli il compito è la madre del re Luigi XIII, Maria de' Medici. Il ciclo, di carattere allegorico ed encomiastico, viene completato nel 1625, e illustra - secondo i canoni della pittura del Seicento, con l'unione di ritratti e allegorie - la vita e il pensiero politico di Maria, mostrando i suoi sette anni di reggenza e il suo tentativo di favorire la pace con l'impero asburgico. Tra i dipinti più celebri di questo periodo ricordiamo l'"Arrivo della regina a Marsiglia".

Nella seconda metà degli anni Venti del XVII secolo, Rubens è impegnato nella preparazione dei bozzetti relativi a quindici arazzi di grandi dimensioni commissionatigli dall'arciduchessa Isabella, che dovranno essere collocati nel convento delle Carmelitane scalze di Madrid; nel frattempo, riceve un altro incarico da Maria de' Medici, cioè la decorazione della Galleria di Enrico IV. Tale progetto, tuttavia, viene abbandonato nel 1631.

Dopo avere comprato una casa di campagna ad Ekeren, il pittore fiammingo si reca in Spagna in missione diplomatica, alla corte del re Filippo IV, per poi visitare la corte di Carlo I d'Inghilterra: proprio su commissione di quest'ultimo lavora, all'inizio degli anni Trenta, a nove opere con la "Glorificazione di Giacomo I" per la Banqueting House di Whitehall a Londra.

Dopo avere completato otto arazzi con la "Storia di Achille", Rubens acquista nel 1635 la tenuta dello Steen a Elewyt e si dedica alla creazione degli apparati per l'entrata trionfale dell'arciduca Ferdinando d'Austria, nuovo governatore generale dei Paesi Bassi, ad Anversa.

Dopo essere stato chiamato a decorare venticinque stanze del padiglione di caccia di Filippo IV, re di Spagna, Rubens muore ad Anversa il 30 maggio del 1640, poco prima di compiere sessantaquattro anni.


 

mercoledì 9 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 9 luglio.

Il 9 luglio 2004 la Commissione Americana al Senato sui servizi di Intelligence assolve la Casa Bianca, poiché la decisione di attaccare l'Iraq sulla base delle (false) notizie sulla presenza nel Paese di armi di distruzione di massa era basata su rapporti falsati.

Dopo che Saddam Hussein era stato praticamente solleticato a prendersi il Kuwait, e dopo che l'Iraq si era svenato per dieci anni in una guerra contro l'Iran, la mossa gli scatenò contro la più grande coalizione militare della storia ai tempi di Bush senior nel 1991.

Poi, nel 2003, c'era da finire il lavoro e il segretario di stato Powell si presentò all'Onu con la storia delle armi di distruzione di massa. E il lavoro fu finito. Però, sul campo tali armi non vennero mai trovate e solo nel 2010 si insinuò che forse non c'erano mai state. Ma ormai le cose erano fatte. Peccato che non siano mai finite, da quelle parti. Senza la dittatura di Saddam l'Iraq è finito nel caos, così come la Libia senza la dittatura di Gheddafi. Stesso servizio doveva essere fatto con la Siria, ma qui le cose si sono rivelate più complicate.

Comunque, un fatto poco noto riguarda l'Inghilterra di Tony Blair, nel 2003 alleato di ferro degli Usa di Bush jr. In quell'anno una traduttrice inglese, Katharine Gun, lavorava all'ente governativo di comunicazioni per i servizi segreti GCHQ (Government Communications HeadQuarters, con sede a Cheltenham). La giovane donna intercettò un messaggio di tal Frank Koza, dell'NSA (National Security Agency) americano. In esso si raccomandava, ovviamente in via top secret, di far pressioni sui membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu perché autorizzassero l'intervento anglo-americano in Iraq. Il fatto era che il governo inglese aveva qualche difficoltà a far digerire la guerra sia al popolo che allo stesso apparato.

Infatti, il procuratore generale, lord Goldsmith, aveva dato parere negativo: senza mandato Onu, la Gran Bretagna non aveva alcun diritto di attaccare l'Iraq. Goldsmith, però, viaggiò a Washington e al ritorno aveva cambiato misteriosamente idea. Ora, la traduttrice Katharine Gun era sposata con un curdo. Così, pensò bene di far pervenire quel che aveva scoperto alla redazione dell'Observer, quotidiano fin lì favorevole alla guerra. 

La Gun fu scoperta e processata per tradimento. Ma poi, a ridosso delle elezioni, le accuse a suo carico vennero ritirate per non dare ulteriore pubblicità alla faccenda. Sulla vicenda è stato scritto un libro, The Spy who tried to stop a War, di Marcia e Thomas Mitchell e infine tratto un film. 

Intervistata sul perché avesse deciso di tradire il suo Paese rivelando quel che sapeva alla stampa (e rischiando, oltre al carcere, l'espulsione del marito), disse che non aveva tradito il Paese, bensì i suoi governanti del momento che quella guerra non era solo a Saddam ma anche a 30 milioni di irakeni.

In effetti, di questi ne morirono circa un milione, pare. Più, 4600 inglesi e americani. Il film non risparmia nemmeno i particolari grotteschi che la vicenda a un certo punto assunse. Per esempio, la stampa filogovernativa, per sostenere che si trattava di un falso, puntò i riflettori su certe parole del messaggio trafugato, parole che gli americani scrivono in modo leggermente diverso dagli inglesi, come recognise anziché recognize. Ebbene, venne fuori che la redattrice dell'Observer, nel batterle al computer, aveva fatto ricorso, meccanicamente, al correttore automatico.

Furono l’intelligence americana e quella tedesca – che gestì le sue informazioni – a dare a Rafid Ahmed Alwan al-Janabi, l'ingegnere iracheno il cui racconto fu usato dagli USA,  il nome in codice di “Curveball” (palla a effetto). Janabi era stato un ingegnere chimico in Iraq, ma era scappato nel 1995 per poi ottenere asilo nel 2000 in Germania. Tre settimane dopo, a quanto ha raccontato Janabi in una confessione durata due giorni con i giornalisti del Guardian, un responsabile dei servizi segreti tedeschi lo andò a cercare dopo aver saputo della sua professione in Iraq. Janabi allora gli raccontò molte cose sulla produzione di armi chimiche in Iraq, e quelle cose furono così interessanti e articolate da diventare, nel giro di tre anni, la fonte principale del famoso discorso di Colin Powell all’ONU, quello con cui gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di essere in possesso di armi di distruzione di massa e costruirono le ragioni della guerra contro Saddam Hussein.

Ma della fondatezza di quell’accusa è stata ormai  acclarata la falsità, e le nuove confessioni di Janabi al Guardian le danno un durissimo colpo: l’uomo ha ammesso di essersi inventato gran parte di ciò che raccontò allora, a quanto si legge negli articoli sul quotidiano inglese.

«Forse era vero, forse no. Mi dettero questa opportunità, di costruire qualcosa per abbattere il regime. Io e i miei figli siamo fieri di averlo fatto e di essere stati la ragione per dare all’Iraq la possibilità di una democrazia»

«Avevo un problema col regime di Saddam: volevo liberarmene e ne ebbi la chance»

Janabi – che vive ancora in Germania, a Karlsruhe – ha raccontato di avere dato all’agente tedesco informazioni inventate su camion di armi biologiche con cui aveva lavorato a Baghdad. Raccontò di ruoli e dettagli inventati, che vennero messi in dubbio da altre testimonianze, in particolare da quella del suo ex capo interpellato a Dubai. Quei racconti arrivarono all’intelligence americana, e nel 2003 Colin Powell parlò di “descrizioni di prima mano su fabbriche mobili di armi biologiche” e disse che “la fonte è un testimone diretto, un ingegnere chimico iracheno che ci ha lavorato. Era presente durante la produzione di agenti biologici e anche quando nel 1998 un incidente uccise dodici tecnici”. Janabi aveva avuto successivi incontri con l’intelligence tedesca che aveva girato le sue informazioni agli Stati Uniti.

Ma la storia delle armi di distruzione di massa è diventata via via più fragile negli anni successivi all’inizio della guerra, e il racconto di Jalabi era già stato molto contestato. Poi ha confessato.

“Quando penso che qualcuno viene ucciso – non solo in Iraq ma in qualunque guerra – sono molto triste. Ma ditemi un’altra soluzione. Sapete dirmela? Credetemi, non c’era altro modo di portare la libertà in Iraq. Non c’era nessuna altra possibilità»

martedì 8 luglio 2025

#AlmanaccoQUotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'8 luglio.

L'8 luglio 1497 Vasco da Gama salpa da Lisbona alla volta dell'India.

L'esploratore Vasco da Gama nacque a Sines, in Portogallo, intorno al 1460. Nel 1497, fu incaricato dal re portoghese di trovare una rotta marittima verso est. Il suo successo nel farlo si è rivelato uno dei momenti più importanti nella storia della navigazione. Successivamente fece altri due viaggi in India e fu nominato viceré portoghese in India nel 1524.

L'esploratore Vasco da Gama nacque in una nobile famiglia intorno al 1460 a Sines, in Portogallo. Poco si sa della sua educazione, tranne che era il terzo figlio di Estêvão da Gama, che era comandante della fortezza di Sines nella parte sud-occidentale del Portogallo. Una volta adulto, il giovane Vasco da Gama si unì alla marina, dove gli fu insegnato come navigare.

Conosciuto come un navigatore duro e senza paura, da Gama consolidò la sua reputazione di rispettabile marinaio quando, nel 1492, il re Giovanni II di Portogallo lo spedì a sud di Lisbona e poi nella regione dell'Algarve, per impadronirsi delle navi francesi come atto di vendetta contro il governo francese per l'interruzione del trasporto marittimo portoghese.

Nel 1495 re Manuele prese il trono e riportò in auge l'intenzione di trovare una rotta commerciale diretta verso l'India. In quel tempo, il Portogallo si era affermato come uno dei più potenti paesi marittimi in Europa.

Gran parte di ciò era dovuto a Enrico il navigatore, che nella regione meridionale del paese aveva riunito una squadra di esperti mappatori, geografi e navigatori. Aveva inviato navi per esplorare la costa occidentale dell'Africa per espandere l'influenza commerciale del Portogallo. Credeva anche di poter formare un'alleanza con Prester John, che governava un impero cristiano da qualche parte in Africa. Enrico non trovò mai Prester John, ma il suo impatto sul commercio portoghese con la costa occidentale dell'Africa durante i suoi 40 anni di lavoro esplorativo fu comunque impareggiabile. Tuttavia, nonostante tutto il suo lavoro, la parte meridionale dell'Africa e ciò che si trovava ad est rimase avvolta nel mistero.

Nel 1487, una svolta importante fu fatta quando Bartolomeu Dias scoprì la punta meridionale dell'Africa e doppiò il Capo di Buona Speranza. Questo viaggio fu molto significativo: dimostrò, per la prima volta, che gli oceani Atlantico e Indiano erano collegati. Il viaggio, inoltre, rinverdì l'interesse nel cercare una rotta commerciale verso l'India.

Alla fine del 1490, tuttavia, re Manuele non stava solo pensando alle opportunità commerciali mentre puntava verso l'Oriente. In effetti, il suo slancio per trovare una rotta era guidato più che dal desiderio di ottenere basi commerciali più redditizie per il suo paese, dal desiderio di conquistare l'Islam e affermarsi come re di Gerusalemme.

Gli storici sanno poco sul perché esattamente Vasco da Gama, ancora un esploratore inesperto, fu scelto per condurre la spedizione in India nel 1497. L'8 luglio di quell'anno, salpò al comando di una squadra di quattro navi, tra cui la sua nave ammiraglia, la San Gabriele, per trovare una rotta per l'India e l'Oriente.

Per intraprendere il viaggio, da Gama puntò le sue navi verso sud, approfittando dei venti dominanti lungo la costa africana. La sua scelta di direzione fu anche un rimprovero per Cristoforo Colombo, che aveva creduto di trovare una rotta per l'India navigando verso ovest.

Dopo diversi mesi di navigazione, girò attorno al Capo di Buona Speranza e iniziò a risalire la costa orientale dell'Africa, verso le acque inesplorate dell'Oceano Indiano. A gennaio, mentre la flotta si avvicinava all'odierno Mozambico, molti membri dell'equipaggio si erano ammalati di scorbuto, costringendo la spedizione ad ancorare per riposare e rimettersi in forze per quasi un mese.

All'inizio di marzo del 1498, da Gama e il suo equipaggio calarono le loro ancore nel porto del Mozambico, una città-stato musulmana che si trovava nella periferia della costa orientale dell'Africa ed era governata da commercianti musulmani. Qui, da Gama fu respinto dal sultano dominante, che si sentì offeso dai regali modesti dell'esploratore.

All'inizio di aprile, la flotta raggiunse quella che oggi è il Kenya, prima di salpare per un viaggio di altri 23 giorni per attraversare l'Oceano Indiano. Raggiunsero Calcutta, in India, il 20 maggio. Ma la ignoranza dell'esploratore della regione, così come la sua presunzione che i residenti fossero cristiani, crearono confusione. I residenti di Calcutta erano in realtà indù, religione di cui i portoghesi non avevano mai sentito parlare.

Tuttavia, il sovrano indù locale accolse inizialmente da Gama e i suoi uomini e l'equipaggio finì per rimanere a Calcutta per tre mesi. Non tutti erano amichevoli con loro, in particolare i commercianti musulmani che chiaramente non avevano intenzione di rinunciare ai loro vantaggi commerciali in favore dei visitatori cristiani. Alla fine, da Gama e il suo equipaggio furono costretti al baratto per ottenere il lasciapassare per il ritorno a casa. Nell'agosto del 1498, da Gama e i suoi uomini tornarono in mare, iniziando il loro viaggio di ritorno in Portogallo.

Ma la tempistica del ritorno non avrebbe potuto essere peggiore: la sua partenza coincise con l'inizio di un monsone. All'inizio del 1499, diversi membri dell'equipaggio erano morti di scorbuto e, non avendo sufficienti marinai per governare la sua flotta, da Gama ordinò di bruciare una delle navi. Riuscirono a raggiungere il Portogallo solo il 10 luglio, quasi un anno intero dopo aver lasciato l'India.

In tutto, nel primo viaggio Vasco da gama percorse quasi 24.000 miglia in circa due anni e solo 54 membri dell'equipaggio sui 170 originali  sono sopravvissuti.

Quando da Gama tornò a Lisbona, fu accolto come un eroe. Nel tentativo di assicurare la rotta commerciale con l'India e usurpare i commercianti musulmani, il Portogallo inviò un'altra squadra di navi, guidata da Pedro Álvares Cabral. L'equipaggio raggiunse l'India in soli sei mesi e durante il viaggio si ebbe uno scontro a fuoco con mercanti musulmani, nel quale l'equipaggio uccise 600 uomini su navi mercantili musulmane. Cosa ancora più importante per il suo paese d'origine, Cabral istituì la prima sede commerciale portoghese in India.

Nel 1502, Vasco da Gama guidò un altro viaggio in India che includeva 20 navi. Dieci delle navi erano direttamente al suo comando, con suo zio e suo nipote a comandare le altre. Sulla scia del successo di Cabral, il re incaricò da Gama di proteggere ulteriormente il dominio portoghese nella regione.

Per fare ciò, da Gama compì uno dei massacri più raccapriccianti dell'era dell'esplorazione. Lui e il suo equipaggio terrorizzarono i porti musulmani su e giù per la costa orientale africana e, ad un certo punto, incendiarono una nave musulmana di ritorno dalla Mecca, uccidendo le diverse centinaia di persone (tra cui donne e bambini) che erano a bordo. Successivamente, l'equipaggio giunse a Calcutta, dove distrussero il porto commerciale e uccisero 38 ostaggi. Da lì, si trasferirono nella città di Cochin, una città a sud di Calcutta, dove da Gama formò un'alleanza con il sovrano locale.

Alla fine, il 20 febbraio 1503, da Gama e il suo equipaggio iniziarono a tornare a casa. Raggiunsero il Portogallo l'11 ottobre di quell'anno.

Da Gama si sposò ed ebbe sei figli, ritirandosi in pensione. Mantenne comunque un  contatto con re Manuele, al quale dava consigli su questioni indiane, e infine fu nominato conte di Vidigueira nel 1519. In età avanzata, dopo la morte del re, gli fu chiesto di tornare in India, nel tentativo di contrastare la crescente corruzione da parte di funzionari portoghesi nel paese. Nel 1524, re Giovanni III lo nominò viceré portoghese in India.

Nello stesso anno da Gama morì a Cochin di malaria; il suo corpo fu riportato in Portogallo e lì sepolto, nel 1538.

lunedì 7 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 7 luglio.

Il 7 luglio 1974 a Monaco di Baviera la Germania Ovest vince il suo secondo mondiale di calcio.

Nel 1974 la Germania ospita la decima edizione dei mondiali: è una Germania ancora scossa dagli eventi terroristici avvenuti durante i giochi olimpici di Monaco del 1972 quando un commando palestinese irrompe nel villaggio Olimpico uccidendo due israeliani e prendendone altri in ostaggio.

Alla fine di quella drammatica giornata si contarono undici morti israeliani oltre al commando palestinese.

Sarà quindi il mondiale dei tanti controlli: la sicurezza dei tifosi e di tutti gli appassionati del mondo viene messa al primo posto. È un mondiale che profuma subito d’Italia: sarà infatti Silvio Cazzaniga a disegnare e a scolpire la nuova Coppa del Mondo con il volto della Vittoria e le mani levate al cielo a sostenere il globo, che sostituisce la Coppa Rimet rimasta appannaggio del Brasile per aver vinto 3 volte la competizione. Tra le partecipanti si segnalano tre esordi: Australia, Haiti e Zaire. Tornano dopo parecchie edizioni Olanda e Polonia ed entrambe lasceranno un segno forte. E l’Italia? Dopo il bel mondiale messicano e un’eliminazione ai quarti agli Europei 1972, le vittorie con Brasile ed Inghilterra in casa ma soprattutto la storica vittoria a Wembley portano gli azzurri a partecipare alla spedizione tedesca con un ruolo tra i favoriti: con loro il Brasile, orfano di Pelè che nel 1971 tra le lacrime ha salutato la nazionale e la Germania Ovest padrona di casa.

I gironi iniziali non portano grosse sorprese eccetto purtroppo l’eliminazione dell’Italia che dopo una vittoria abbastanza sofferta con Haiti per 3-1, pareggia con l’Argentina e viene sconfitta dalla bella e forte Polonia di Deyna e Lato.

Passano il turno senza particolari problemi Brasile, Jugoslavia, Svezia, Olanda e nel gruppo uno Germania Ovest e Germania Est. Il derby tra Germania Ovest e Germania Est è forse l’evento più atteso di questa prima fase per gli ovvi connotati storici e politici: ad Amburgo la Germania Est con Sparwasser sconfigge i cugini più quotati e forse apre la strada a un girone successivo più facile per la Germania Ovest. Il mondiale tedesco presenta una novità del regolamento che porta ad un aumento del numero di partite, voluto anche dagli Sponsor che per la prima volta campeggiano nelle magliette. La seconda fase è composta da due gironi e le due vincitrici si contenderanno il titolo nella finalissima. Le prime due giornate del primo raggruppamento vedono le vittorie di Germania e Polonia su Svezia e Jugoslavia. Sarà quindi l’ultima giornata a decretare la finalista. La Germania viene dall’oro europeo del 1972 e il blocco è quello nato durante i mondiali messicani con Sepp Maier in porta e tra gli altri Vogts, Beckenbauer, Breitner, Overath, Grabowski e Gerd Muller; la Polonia è invece campione olimpica in carica e nelle qualificazioni ha eliminato l’Inghilterra facendo piangere Wembley. È la Polonia più forte della sua storia quella che ha in mano Gorski: in porta Tomaszewski, al centro della difesa Zmuda e gli attaccanti Szarmach e Grzegorz Lato (che sarà capocannoniere del mondiale) sono i fiori all’occhiello di una squadra che fa sognare Varsavia. 

La partita con la Germania Ovest è bella e intensa: la Polonia deve vincere e attacca, ma alla fine vincono i tedeschi con gol di Gerd Muller. Nel secondo raggruppamento invece le due squadre dominanti sono Olanda e Brasile ed anche qui l’ultima giornata è decisiva. L’Olanda viene da un 4-0 con l’Argentina e un 2-0 con la Germania Est. Il calcio totale olandese sta conquistando il mondo ed anche il Brasile deve cedere: il 2-0 siglato Neeskens e Crujff regala all’Olanda la prima finale della sua storia. È un’Olanda meravigliosamente bella quella che sfida la Germania per la conquista dell’alloro mondiale.

È l’emblema di quel calcio totale in cui tutti attaccano e tutti difendono.

In Europa Feyenoord e Ajax stanno dominando la Coppa Campioni da 4 anni e la conquista del titolo mondiale sarebbe la degna conclusione di un quadriennio d’oro.

Ruud Krol, Johan Neeskeens, Johnny Rep, Rob Rensembrink e sua maestà Johan Crujff sono i nomi legati al mito di questa nazionale orange.

Ma torniamo a Monaco di Baviera a quel 07 luglio 1974. L’inizio è da fantascienza: i tedeschi non la toccano mai per quasi un minuto, Crujff entra in aerea, Hoeness lo abbatte. Rigore e 1-0. Quando i tedeschi toccano il primo pallone, sono già sotto. Un inizio che ricorda un’altra finale, quella di Berna, quella della grande Ungheria ed anche allora c’era la Germania. E i tedeschi non mollano: e mentre l’Olanda fa melina convinta della propria superiorità, al minuto 25 il rigore viene dato alla Germania e il maoista Breitner non sbaglia, 1-1. La partita cambia, la Germania ci crede e Gerd Muller fa 2-1. Nel secondo tempo l’Olanda le prova tutte, ma non trova il gol.

E come venti anni prima a Berna, la grande favorita ed una delle squadre più forti che la storia ricordi, perde e perde sempre con la Germania, quella squadra solida, tosta, mai doma che dal 1966 in poi ha deciso che sarà sempre una protagonista della rassegna iridata.

E per l’Olanda rimane l’idea della grande incompiuta: l’occasione si ripeterà 4 anni dopo, a Buenos Aires, sempre in finale, sempre con i padroni di casa. E anche lì saranno lacrime orange.


domenica 6 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 6 luglio.

Il 6 luglio 1785 negli Stati Uniti viene scelto all'unanimità il Dollaro come valuta del Paese. Per la prima volta una nazione adotta un sistema decimale per la sua valuta.

Prima dell'indipendenza delle 13 colonie del Nord America, benché la valuta legale restasse la sterlina inglese, divisa in 20 scellini, a sua volta divisi in 12 pence, il suo valore in America era diverso da Stato a Stato: la moneta più diffusa, il dollaro spagnolo (o pezzo da 8) valeva 5 scellini in Georgia, ma molti di più passato il confine con la South Carolina, e 6 scellini nel New Hampshire, mentre il cambio ufficiale a Londra era di 4 scellini e mezzo. A rendere le cose ancora più complesse c'era il fatto che era diviso in 8 sotto unità in Pennsylvania (gli 8 reales) e in dieci in Virginia. Oltre al dollaro e ai dobloni spagnoli erano in circolazione anche i Luigi d'oro e gli scudi francesi, i moidore, le pistole e gli half-Joe portoghesi (così chiamati perché portavano una immagine di Giovanni V), i fiorini olandesi, i riksdaler svedesi nonché ovviamente le monete britanniche tipo ghinee, scellini e penny.

L'uso quotidiano aveva insegnato alla maggior parte della gente a passare indifferentemente da una valuta all'altra e lo stesso George Washington, da adolescente, riceveva la propria paga in pistole e dobloni. Thomas Jefferson annotava una vendita di terreni registrando il prezzo con la frase "200 sterline di cui 20 half-Joe sono stati pagati" ovvero rispettivamente 950 e 160 dollari.

Quando George Washington rispose al generale Rufus Putnam nell'aprile 1784, la sua lettera illustrava il grande problema valutario che la nuova repubblica si trovava ad affrontare. Sottolineando come il Congresso fosse ancora in situazione di stallo sulla questione fondiaria: proponeva di concedere in affitto i suoi 30mila acri nella valle dell'Ohio agli impazienti veterani del Massachusetts e spiegando che l'affitto sarebbe stato di circa 36 dollari per 100 acri e il costo delle migliorie da lui realizzata ammontava a £ 1568 della Virginia pari a £ 1961/3/3 del Maryland, della Pennsylvania o del Jersey. Se Rufus avesse avuto dubbi su cosa ciò significava nel Massachusetts, Washington aggiunse che "un dollaro spagnolo sarà scambiato con sei scellini". Questo problema era lo stesso che, in quel periodo, assillava ogni transazione commerciale negli Stati Uniti.

Il Congresso riteneva però che fosse necessaria un'unica divisa per contribuire alla coesione della nuova nazione. La prima proposta giunse dal sovraintendente alle Finanze del Congresso, Robert Morris: era basata su una unità tanto piccola da non essere realistica, una frazione di penny e Jefferson rispose in un documento di inizio 1784 in cui consigliava invece l'adozione del dollaro spagnolo come base più comoda per la nuova valuta. Nell'interesse della semplicità suggeriva, anziché dividerlo in 8 sotto unità che fosse frazionato in base al sistema decimale. "Tutti ricordano che quando si studiava l'aritmetica delle valute si trovava scomodo sommare un penny, togliere le dozzine e riportarle e poi sommare gli scellini, togliere le ventine e riportarle. Quando invece si giungeva alle sterline dove c'erano solo decine da riportare il calcolo era veloce ed esente da errori". Il dollaro avrebbe quindi dovuto essere diviso in decimi (disme), centesimi (cent) e millesimi (mill).

Era un'argomentazione che tutti potevano comprendere e meno di diciotto mesi dopo, il 6 luglio 1785, il Congresso decise che "l'unità monetaria degli Stati Uniti d'America è il dollaro e le sotto unità saranno calcolate su base decimale." Per Jefferson non fu solo una vittoria intellettuale ma impedì di fatto a Morris di raggiungere il proprio obiettivo ovvero dirigere la Zecca degli Stati Uniti, una fonte di profitti potenzialmente enormi.

Quale moneta era quel "dollaro" ? Le colonie inglesi del Nord America commerciavano molto col Messico e ricevevano in cambio delle loro merci, molte monete spagnole: esse circolavano più delle monete inglesi e la maggior parte era rappresentata dai pezzi da 8 reales, chiamati anche "dollaro". La parola "daaler" era la deformazione olandese di tallero e fu loro attribuita dagli anglosassoni proprio perché assomigliavano ai talleri per grandezza e peso. Furono ribattezzati dai locali "pillar dollar" (talleri delle colonne). Non è quindi per nulla strano che quando i neonati Stati Uniti dovettero scegliere il nome della loro nuova moneta e non volendo nulla che ricordasse l'Inghilterra, scelsero come nome proprio "dollaro". Era il 1792.

Il simbolo del pezzo da otto nei libri contabili inglesi dell'epoca era la S di Spagna barrata da due righe verticali (due colonne )… ricorda nulla ?

Anche il Tallero di Maria Teresa, una delle prime monete usate negli Stati Uniti ha probabilmente contribuito (accanto all'8 Reales spagnolo) alla scelta degli Stati Uniti di usare il dollaro come unità monetaria. Adeguatamente contromarcata, ha continuato a circolare anche nel secolo successivo.

Il dollaro nacque con una parità metallica fissata in grammi 1,5 d'oro oppure grammi 22,6 d'argento, parità mantenuta praticamente sino alla svalutazione di Roosvelt del 1933/34 e fu coniato praticamente sempre in metallo argenteo.

sabato 5 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 luglio.

Il 5 luglio 1947 Ennio Flaiano vince il premio Strega con il romanzo "Tempo di uccidere".

Scrittore, sceneggiatore e giornalista, Ennio Flaiano nasce a Pescara il 5 marzo 1910.

Giornalista specializzato in apprezzati elzeviri (articoli di approfondimento solitamente non legati alla cronaca), Flaiano è ricordato anche come brillante umorista, critico teatrale e cinematografico.

La sua infanzia è caratterizzata da continui spostamenti che lo vedono trasferirsi tra scuole e collegi di Pescara, Camerino, Senigallia, Fermo e Chieti. Giunge a Roma a cavallo tra il 1921 e il 1922: nella capitale termina gli studi e si iscrive alla facoltà di architettura. Non porterà a termine tuttavia il corso universitario.

All'inizio degli anni '30 Flaiano conosce Mario Pannunzio, così come altre grandi firme del giornalismo italiano: inizia così a collaborare per le riviste "Oggi", "Il Mondo" e "Quadrivio".

Si unisce in matrimonio nel 1940 con Rosetta Rota, sorella del musicista Nino Rota. Due anni più tardi nasce la figlia Lelè, che dopo solo pochi mesi inizia a manifestare i primi segni di una gravissima forma di encefalopatia. La malattia comprometterà tragicamente la vita della figlia, la quale morirà nel 1992, a 40 anni: splendide pagine di Flaiano che raccontano di questa drammatica vicenda, si possono trovare nel suo lavoro "La Valigia delle Indie".

Nel 1943 inizia a lavorare per il cinema assieme a registi del calibro di Federico Fellini, Alessandro Blasetti, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni e altri. Il rapporto di Flaiano con il mondo del cinema sarà sempre un rapporto di amore-odio. Tra i numerosi film cui partecipa sono da ricordare "Roma città libera" (1948), "Guardie e ladri" (1951), "La romana" (1954), "Peccato che sia una canaglia" (1955), "La notte" (1961), "Fantasmi a Roma" (1961), "La decima vittima" (1965), "La cagna" (1972). Con Federico Fellini collabora alla sceneggiatura dei film "I vitelloni" (1953), "La strada" (1954), "Le notti di Cabiria" (1957), "La dolce vita" (1960) e "8 e mezzo" (1963).

Scrive e pubblica "Tempo di uccidere" nel 1947; questo suo appassionato romanzo sulla sua esperienza in Etiopia gli fa ottenere il primo Premio Strega. Da qui e per i successivi 25 anni Ennio Flaiano scriverà alcune tra le più belle sceneggiature del cinema del dopoguerra.

Il nome di Flaiano si lega a doppio filo alla città di Roma, amata ma anche odiata. Lo scrittore è di fatto un testimone delle evoluzioni e degli stravolgimenti urbanistici, dei vizi e delle virtù dei cittadini romani; Flaiano saprà vivere la Capitale in tutti i suoi aspetti, tra i suoi cantieri, i locali della "Dolce Vita" e le trafficate strade.

La sua produzione narrativa è percorsa da un'originale vena satirica ed un vivo senso del grottesco, elementi attraverso cui stigmatizza gli aspetti paradossali della realtà contemporanea. Acre, diretto e tragico, il suo stile è soprattutto quello di un ironico moralista. A lui si deve l'introduzione nella lingua italiana del detto "saltare sul carro del vincitore".

Dopo essere stato colpito nel 1971 da un primo infarto, Ennio Flaiano inizia a rimettere ordine tra le sue carte: il suo intento è quello di pubblicare una raccolta organica di tutti quegli appunti sparsi che rappresentano la sua instancabile vena creativa. Gran parte di questa catalogazione sarà pubblicata postuma.

Dal 1972 pubblica sul Corriere della Sera alcuni brani autobiografici. Il 20 novembre dello stesso anno si trova in clinica per alcuni semplici accertamenti, quando viene colpito da un secondo infarto che stronca la sua vita.

Dopo la morte della moglie Rosetta, spentasi alla fine del 2003, le salme della famiglia vengono riunite nel cimitero di Maccarese, vicino Roma.

Ad Ennio Flaiano sono stati dedicati un monumento all'ingresso del centro storico di Pescara, e un premio alla sua memoria: il più importante concorso (che dal 1974 si svolge a Pescara) per soggettisti e sceneggiatori del cinema.

venerdì 4 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 4 luglio

Il 4 luglio 1910 si incontrano a Reno, in Nevada, il pugile afroamericano Jack Johnson, detentore del titolo dei pesi massimi, e il bianco Jim Jeffries.

Jim non era un razzista, ma dovette recitare la parte della Grande Speranza Bianca per far ritornare il massimo titolo della boxe alla “razza superiore”. L’incontro del secolo fu chiamato, vi era anche quale corrispondente il giovane Jack London a bordo ring quando la speranza bianca Jim Jeffries salì sul ring a Reno nel Nevada il 4 luglio 1910 per tentare di strappare il titolo dei Massimi al “negro” Jack Johnson. Troppo Forte, Troppo Irrispettoso, Troppo Ciarliero e soprattutto troppo nero per tenere la corona dei Massimi che fu di Sullivan, Corbett e di Jeffries. Il californiano ritornò controvoglia e costretto sulle 4 corde dopo sei anni di assenza, imbattuto e ritenuto imbattibile. Fu il primo match del secolo, si organizzarono treni speciali e vi fu tanto tanto pubblico pagante. Era dato per favorito il bianco invitto campione e prima che il gong suonasse Jeffries dichiarò: "Sto affrontando questo incontro con il solo proposito di provare che un uomo bianco è meglio di un Negro." Prima dell’incontro ci fu un’esplosione di entusiasmo, quando una banda a bordo ring suonò un pezzo che si intitolava: "All coons look alike to me" (che tradotto significa: "tutti i procioni per me sono uguali", dove per procioni si alludeva chiaramente al nomignolo spregiativo con cui venivano indicati i neri). Johnson vinse, anzi stravinse; il vecchio campione era troppo ingrassato e troppo lento per controbattere l’atletico nero, dalla grande velocità e tecnica sopraffina. Il massacro di Reno terminò al 15° round, quando dall’angolo di Jeffries fu gettata la spugna. Jeffries finita la parte del vendicatore della razza bianca non accampò scuse, riconoscendo che non sarebbe riuscito a sconfiggere Johnson nemmeno nei suoi momenti migliori. Questo non potremmo mai saperlo, di certo James Jeffries arrivò per caso alla boxe e anche in ritardo spinto dalla madre e dal padre; di certo amava di più la caccia, ma poi diventò uno dei migliori massimi di tutti i tempi. Forte, erculeo ed atleta completo: alto 183 cm, pesava 101 kg e, a dispetto della propria mole, era uno sprinter che poteva correre i 100 m in poco più di 10 secondi e saltare in alto oltre alla propria altezza.

Ed era un tecnico, fu tra gli innovatori della boxe: usava una tecnica insegnatagli dal suo allenatore ed ex straordinario campione dei pesi welter e medi Tommy Ryan; Jeffries combatteva con il braccio sinistro disteso in avanti. Mancino naturale, aveva una potenza da KO con un solo pugno nel proprio gancio sinistro. Jeffries ruppe le costole di tre avversari in incontri validi per il titolo: Jim Corbett, Gus Ruhlin e Tom Sharkey. L’allenamento quotidiano di Jeffries comprendeva 8 km di corsa, 2 ore di salto alla fune, allenamenti con la palla della salute, 20 minuti di allenamento con il sacco pesante, e come minimo 12 round di allenamento sul ring. L’allenamento comprendeva anche la lotta. Eccezionale colpitore ma anche grande incassatore: una vera roccia umana quando incontrò nella rivincita mondiale a San Francisco, il 25 luglio 1902, l’inglese di Australia Bob Fitzsimmons; per quasi otto round subì le mazzate di Fitz, un pestaggio violentissimo. Jeffries subì una frattura al naso, su tutti e due gli zigomi la pelle era aperta fino all’osso, e le sopracciglia di entrambi gli occhi erano tagliate profondamente. Sembrava che l’incontro dovesse essere arrestato, perché il sangue scorreva negli occhi di Jeffries. Poi, nell’8° round, Jeffries fece partire un terrificante destro allo stomaco, seguito da un gancio sinistro alla mandibola, che lasciarono a terra Fitzsimmons privo di sensi. Il grande mediomassimo e massimo Sam Langford, uno dei maggiori di tutti i tempi e che non aveva paura nemmeno di Belfagor pubblicizzò sui quotidiani il proprio desiderio di sfidare chiunque al mondo, eccetto Jim Jeffries. Il suo record fu di 18 vittore (15 ko) due pari e una sola sconfitta contro l’immenso Jack Johnson. Jeffries è osannato dagli uomini della boxe e fu un vero idolo delle folle, anche dopo tanti anni dal suo ritiro. Jeffries si dedicò all’agricoltura e all’allevamento, inoltre dedicava molto tempo alla propria comunità specie per i giovani.

Alla sua morte, avvenuta nel 1953, James Jackson Jeffries fu sepolto nell’Inglewood Park Cemetery di Inglewood, in California.

Cerca nel blog

Archivio blog