La visita presso lo studio del Maestro Possenti è sempre un momento di
grande gioia. Da fuori suono il campanello sul quale appaiono i nomi di
grandi artisti del passato, quasi ad indicare una continuità ma anche un
momento ludico verso l’ignaro visitatore; poco sopra, a penna e scritto
con grafia piccola piccola, anche il cognome di Possenti.
Si accede da un corridoio quasi scavato nella pietra, stretto e buio, e si attende di vedere il maestro comparire sulla soglia come chi si trovi a consultare un saggio in un viaggio iniziatico. Del luogo in cui lavora − ah come vorrei avere le parole per descriverlo! − forse l’unica cosa che posso dire è che si tratta sicuramente di uno spazio magico. Tra le antiche mura gli occhi non potrebbero mai dirsi soddisfatti di esplorare: ci sarebbe sempre un angolo, un libro o un oggetto che meriterebbe di essere osservato ancora e ancora. Ogni cosa qui sembra godere di completa libertà e autonomia e così è possibile trovare una cravatta su una sedia, senza una gamba, o una pila di libri su oggetti rotondi ad indicare un equilibrio precario, anzi meglio, dinamico.
Si accede da un corridoio quasi scavato nella pietra, stretto e buio, e si attende di vedere il maestro comparire sulla soglia come chi si trovi a consultare un saggio in un viaggio iniziatico. Del luogo in cui lavora − ah come vorrei avere le parole per descriverlo! − forse l’unica cosa che posso dire è che si tratta sicuramente di uno spazio magico. Tra le antiche mura gli occhi non potrebbero mai dirsi soddisfatti di esplorare: ci sarebbe sempre un angolo, un libro o un oggetto che meriterebbe di essere osservato ancora e ancora. Ogni cosa qui sembra godere di completa libertà e autonomia e così è possibile trovare una cravatta su una sedia, senza una gamba, o una pila di libri su oggetti rotondi ad indicare un equilibrio precario, anzi meglio, dinamico.
da Il Pickwick