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mercoledì 30 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 30 giugno.
Il 30 giugno 1972 si è avuto per la prima volta il cosiddetto "secondo intercalare"; l'ultimo è avvenuto il 31 dicembre 2016.
Il “secondo intercalare” è un aggiustamento temporale che viene fatto periodicamente per permettere ai vari errori degli orologi atomici mondiali di seguire il giusto flusso che altrimenti porrebbe uno sfasamento di 1 secondo ogni due anni. Questa pratica viene fatta dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni fin dal 1972, data in cui è stato introdotto il TUC (Tempo Universale Coordinato), metodo di controllo temporale che tramite appunto gli orologi atomici, regola la sincronia mondiale per i nostri timer. Dal '72 ad oggi sono stati aggiunti 28 secondi e ciò avviene facendo sì che l'ultimo minuto del 30 giugno o del 31 dicembre durino 61 secondi.
Il motivo di tanta accortezza è dovuto alle forze gravitazionali che sottopongono il nostro Pianeta a lievi sbalzi, motivo per cui la Terra viene “frenata” così da provocare un rallentamento. Anche i terremoti sono una causa di questo effetto ritardante che costringe il TUC ad una modifica periodica. Il motivo per cui questo allungamento del minuto viene fatto il 30 giugno (a volte il 31 dicembre), è perchè in questo giorni non viene fatto alcun lancio di razzi e quindi gli errori di calcolo sono ridotti al minimo. L'abolizione del sistema è stata già richiesta in passato, ma il TUC ormai è una questione di principio e i 15 secondi in più che produrrebbero la discrepanza nel giro di un secolo, sono una prospettiva intollerabile per gli scienziati. Intanto però, per i sistemi informatici, questo cambiamento risulta essere particolarmente oneroso e oltretutto il cambiamento manuale degli orologi, ha un margine, seppur infinitesimale, d'errore. Tuttavia, la decisione di eventualmente abolire il secondo intercalare è stata rimandata al 2023. In ogni caso la domanda sorge spontanea: quanti secondi mancano all'appello, considerato che questa operazione viene condotta solo dal 1972?

martedì 29 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 giugno.
Il 29 giugno 1620 nasce a Napoli Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio noto come Masaniello.
Nei primi decenni del Seicento la Spagna è ancora una grande potenza militare, ma è talmente invischiata in conflitti bellici che le sue finanze vacillano pericolosamente. In realtà è iniziata una fase di decadenza economica che presto si rivelerà irreversibile.
Il re Filippo IV della dinastia degli Asburgo, che è anche sovrano del Portogallo, delle Due Sicilie e di Sardegna, per fronteggiare tali difficoltà inasprisce fino all'esasperazione la fiscalità nei suoi domini. L'inevitabile malumore del popolo, frammisto a tendenze indipendentiste, sfocia ben presto in sollevazioni un po' dovunque.
A Napoli, dove il commercio al minuto è controllato e sistematicamente taglieggiato dalle gabelle, la scintilla scocca con l'istituzione di un nuovo balzello su frutta e verdura. Il 7 luglio 1647 la protesta della gente provoca una colluttazione che rapidamente si estende ai rioni più prossimi. Fra gli agitatori risalta un giovane particolarmente focoso, Tommaso Aniello detto Masaniello, nato a Napoli 27 anni prima, il 29 giugno 1620, pescatore e pescivendolo ad Amalfi.
Masaniello insieme ad altri capipopolo, all'urlo "viva il re di Spagna e mora il malgoverno", guida i rivoltosi "lazzaroni" all'assalto degli uffici daziari e della stessa reggia del vicerè, forzando le carceri e liberandone i reclusi.
In realtà la sommossa è stata accuratamente organizzata dall'ottantenne Giulio Genoino, giurista e presbitero, che ha dedicato l'intera vita alla lotta all'oppressione fiscale del popolo e che, tramite un suo stretto collaboratore e seguace, aveva conosciuto Masaniello e deciso di farne il braccio operativo del suo piano rivoluzionario.
Dopo queste azioni Masaniello si ritrova unico capo della rivolta, e procede a dare un'organizzazione alla milizia popolare. Un fallito attentato subìto il 10 luglio ne accresce l'autorevolezza al punto che il vicerè, don Rodrigo Ponce de Leon, duca d'Arcos, per tenerlo dalla sua parte, lo nomina "capitan generale del fedelissimo popolo napoletano".
Nel frattempo Genoino, con un'azione diplomatica ma forte degli eventi in corso, ottiene dallo stesso vicerè una sorta di costituzione. L'umile pescatore di Amalfi, intanto, che da un giorno all'altro si è visto - dopo aver giurato fedeltà al re di Spagna - proiettato sostanzialmente verso il governo della città, perde in qualche modo il senso della realtà avviando una serie di epurazioni dei suoi avversari ed assumendo in generale comportamenti illiberali, stravaganti ed arroganti.
Lo stesso Genoino si accorge di non aver più alcun ascendente sul giovane, il quale non ascolta più nessuno e comincia addirittura a manifestare segni di squilibrio mentale.
Non è chiaro se è per mano dei sicari del vicerè, di quelli di Genoino o degli stessi rivoluzionari che il 16 luglio 1647 - a soli 27 anni di età - Masaniello viene assassinato nel monastero del Carmine di Napoli, dove aveva tentato di rifugiarsi.
La sua testa tagliata è consegnata da un popolo esultante e con toni trionfali al vicerè. Il giorno seguente un nuovo aumento del pane determina una presa di coscienza da parte della gente che va a recuperarne il corpo, lo riveste con la divisa di capitano e gli dà sepoltura solenne.
Così ne parla il barone Giuseppe Donzelli, studioso, storico e combattente nella rivolta napoletana, nella sua cronaca degli eventi intitolata "Partenope liberata ovvero racconto dell'heroica risoluzione fatta dal popolo di Napoli per sottrarsi con tutto il Regno dall'insopportabile giogo degli Spagnoli", dopo aver descritto l'invito a corte che Masaniello riceve insieme a sua moglie ed il trattamento di massimo riguardo che viene loro riservato dal vicerè e dalla viceregina, oltre a lussuosissimi doni:
"Dopo questo convito, fu osservato, che Tomaso Anello non operò più con sano giudizio, perché cominciò a fare molte azioni da frenetico: o fosse, perché gli havesse alterato il sentimento il vedersi pari al Vicerè; ovvero che per il soverchio discorrere, che di continuo non meno la notte che il giorno faceva col Popolo, e il più delle volte senza poco, o niente cibarsi, havesse dato in tale svanimento, sì come anche ne haveva perduto la voce".
Ma più verosimilmente Donzelli conclude insinuando il sospetto che gli spagnoli si siano vendicati facendogli ingerire qualcosa che lo ha portato alla follia.
La Repubblica Napoletana, nata il 22 ottobre 1647 come effetto della rivolta che, dopo Masaniello, è rinfocolata da Gennaro Annese, viene soppressa il 5 aprile 1648. Genoino verrà arrestato e morirà di lì a poco.
La figura di Masaniello, ribelle e martire la cui storia è tutta raccolta in appena nove giorni, è assurta nei secoli a vessillo della lotta dei deboli contro i potenti e, nello specifico, la si è voluta a simboleggiare la lotta italiana contro le dominazioni straniere. La forza evocativa del suo nome è tale da essere divenuta un modo di dire: l'espressione "fare il Masaniello", infatti, è utilizzata per indicare un comportamento audace, ribelle, ma anche un po' demagogico.
La sua storia ha attratto i più grandi storici (alcuni dei quali, in verità, non ne hanno tracciato un quadro edificante), ed ha ispirato pittori, scultori, letterati ed autori musicali e teatrali. In particolare "La muta di Portici", opera lirica in cinque atti musicata da Daniel Auber, su libretto di Eugène Scribe, in scena nel teatro di Bruxelles il 25 agosto 1830, costituisce la scintilla dei moti che porteranno alla dichiarazione di indipendenza del Belgio dall'Olanda.

lunedì 28 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 giugno.
Il 28 giugno 1846 Adolphe Sax brevetta il sassofono.
L'inventore del sassofono, che poi avrebbe anche presentato alla celeberrima Esposizione di Parigi nel 1844, è nato il 6 novembre 1814 a Dinant, nel Belgio.
Il padre possedeva una fabbrica per la costruzione di strumenti a fiato in legno e ottone. È qui che Adolphe inizia la sua formazione.
Studia in seguito flauto e clarinetto al Conservatorio di Bruxelles ed è lì che elabora la sua idea di perfezionare questi strumenti. Mentre rielabora un clarinetto basso comincia a disegnare gli schemi di un nuovo strumento. Sarebbe stato come un "incrocio" tra un legno e un ottone, ed era necessario che potesse integrarsi agli strumenti a corda. Sax si basò sugli ottoni per inventare il suo strumento, ma utilizzò un'imboccatura e una forma simili al clarinetto. È così che, dal nome del suo ideatore, nacque il sassofono. Sax produsse il suo primo strumento nel 1841 e, nel 1842, si recò a Parigi per suonare in pubblico.
In Francia Hector Berlioz, uno dei suoi amici intimi, parla dello strumento in una rivista della capitale il 12 giugno 1842. Nello stesso tempo Sax avvia la commercializzazione del suo strumento e ottiene un brevetto di quindici anni nel 1846, che copre ben tredici modelli (quasi tutti i tipi di sax esistenti, anche se in seguito ne furono inventati altri).
Inizialmente venne adottato nelle bande militari e, se consideriamo che nel periodo storico in oggetto queste rappresentavano il più efficiente e diffuso mezzo di divulgazione della musica, è facile immaginare come rapidamente si pose all'attenzione del mondo musicale accademico tanto che, man mano che cominciarono a formarsi i primi virtuosi dello strumento, dapprima autori poco conosciuti come Jean Baptiste Singelée e George Castner e, in seguito, autori di un certo peso quali lo stesso Berlioz, Bizèt, Saint Saens, Massenet iniziarono ad inserire il saxofono nelle loro opere (ma si possono citare anche Jacques Ibert, Eugène Bozzae Georges Tourneur).
Dai primi del Novecento si interessano progressivamente a questo strumento compositori del calibro di C. Debussy, H. Villa Lobos, Maurice Ravel, D. Milhaud, A. Glazunov, i quali comporranno finalmente concerti appositamente per saxofono, donandogli finalmente dignità al pari degli strumenti storicamente utilizzati nella musica classica.
Lo stesso Adolphe Sax dal 1847 divenne insegnante di saxofono al conservatorio di Parigi; ebbe inoltre occasione, in quel primo periodo pionieristico, di eseguire trascrizioni per saxofono di opere di compositori a lui contemporanei: uno tra tutti, il già citato e grandissimo Hector Berlioz.
Nel 1845 il Governo francese cerca un modo di migliorare la qualità della sua musica di fanteria. Adolphe prende la palla al balzo e suggerisce al ministro della difesa l'idea di un concorso tra una formazione di sassofoni e un'altra composta da strumenti tradizionali.
Come la maggior parte delle novità, il sassofono incontrò molte resistenze ai suoi esordi. Sax continuò a lavorare nel suo piccolo laboratorio parigino e non guadagnò mai molti soldi. Non costruì una grande fabbrica e non fece una produzione in serie. Allo scopo di fare decadere i suoi brevetti, altri fabbricanti avviarono delle azioni giudiziarie contro di lui. Fu dichiarato in fallimento in due occasioni, nel 1856 e nel 1873.
Il suo laboratorio venne svaligiato e incendiato e dovette lottare per degli anni contro gente senza scrupoli. All'età di 80 anni, tre compositori, Emmanuel Chabrier, Jules Massenet e Camille Saint-Saëns, chiesero al ministro francese della cultura di venirgli in aiuto.
Mentre continua a battersi, Sax muore il 7 febbraio 1894.
Attualmente esistono numerosi fabbricanti di sassofoni famosi come Selmer, Conn, King, Kielworth, Büscher, Yanigasawa e Buffet.
Negli USA, il sax conobbe rapidamente un vero successo presso i musicisti di origine africana come Coleman Hawkins il cui virtuosismo e il senso dell'improvvisazione hanno fatto sì che oggi i sassofoni siano probabilmente gli strumenti più apprezzati dai musicisti di jazz. Negli anni '10 e '20 il sassofono guadagnò i suoi "titoli nobiliari" nel jazz. Il suono di big bands come quelle di Fletcher Henderson, Glenn Miller, Benny Goodman e Duke Ellington, per citarne solo alcuni, non sarebbe quello che è senza lo swing apportato dalle sezioni di sax. I due contralti, i due tenori e il baritono sistemati davanti al resto dell'orchestra diventarono e restano ancora la presentazione standard di una big band.
Con il passare degli anni, e in seguito a tutti gli sconvolgimenti politici, sociali ed economici, le big bands hanno aperto la strada a formazioni più piccole. Inoltre la musica americana di origine africana, il jazz, è caratterizzata da una serie di improvvisazioni che provengono da solisti che si esprimono per mezzo del sassofono: Coleman Hawkins (padre del sax tenore), Lester "Prez" Young (tenore), Benny Carter (contralto), Johnny Hodges (contralto), Ben Webster (tenore), Charlie "Bird" Parker (contralto), Sonny Rollins (tenore), John Coltrane (tenore), Gerry Mulligan (baritono), Lee Konitz (contralto), Paul Desmond (contralto), Ornette Coleman (contralto), Julian "Cannonball" Adderley e Dexter Gordon (tenore).
E per ciò che riguarda la musica cosiddetta "colta"? Come é avvenuto in genere nella musica delle avanguardie, vi é stata una esplorazione delle possibilitá sonore dello strumento, entrate poi stabilmente nel bagaglio linguistico dei compositori: ció ha portato ad una nuova forma di virtuosismo esecutivo, non piú (o non solo) visto come abilità nel realizzare passaggi velocissimi, ma come capacità di ottenere le più diverse "forme di suono".
In tempi recenti si é moltiplicato il ricorso al mezzo elettronico, soprattutto nella esecuzione dal vivo, grazie alla possibilità di intervenire sul suono anche in tempo reale mediante elaboratori. Tra i pezzi piú significativi del XX secolo ricordiamo la "Sequenza IX" per sassofono contralto solo (1980-83) di Luciano Berio, "Episode quatrieme" per sassofono tenore solo (1983) di Betsy Jolas, "Interrogation" (1983) per sassofono tenore e basso, elettronica in tempo reale e nastro magnetico di "Gyorgy Kurtag", "Quartz" per tre sassofoni (1983) di Frangois Rossè, "Aksax" per sassofono basso solo (1983) di Costin Mierenau, "Astray opus 50", per sassofoni, piano preparato e nastro magnetico (1984) di Horatio Radulescu, "Goutte d'or blues" per sassofono sopranino, soprano e nastro magnetico (1985) di Bernard Cavanna, "Thema" per sassofono basso amplificato e nastro (1985) di Horacio Vaggione, "Narration II" per sassofoni sopranino, contralto, baritono e orchestra (1985) di Anatole Vieru e molti altri ancora.

domenica 27 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 27 giugno.
Il 27 giugno 1894 Karl Benz brevetta il suo “motore a combustione interna”.
Figlio di un ingegnere, Karl Benz è nato il 25 novembre 1844 a Karlsruhe. Suo padre morì quando Karl aveva appena due anni. Pur essendo relativamente povero, sua madre gli assicurò una buona educazione e Karl Benz frequentò il liceo prima di andare in una scuola tecnica a Karlsruhe, sotto la guida di Ferdinando Redtenbacher. A questo percorso di studi seguì un tirocinio di due anni presso una società di ingegneria meccanica a Karlsruhe. Mentre era lì, Benz fece esperienza in vari settori lavorativi. La sua prima occupazione che seguì, fu come disegnatore e progettista in una fabbrica di produzione di scale a Mannheim. Quando nel 1868 perse il suo lavoro, si trasferì alla “Gebrüder Benckiser Eisenwerke und Maschinenfabrik”, società che si occupava principalmente della costruzione di ponti. Il suo interesse per i veicoli a motore era nato, come spesso è successo, dalla bicicletta. Dopo la sua occupazione alla Benckiser seguì un breve periodo di lavoro a Vienna, per una società di costruzioni in ferro.
Nel 1871, Benz fondò la sua prima azienda a Mannheim con un meccanico di nome Agust Ritter. L’officina aveva un tipico indirizzo di Mannheim: T 6, 11. Tuttavia, ben presto fu chiaro che Ritter non era un partner molto affidabile. Sarà solo con l'aiuto della sua fidanzata, Bertha Ringer, che Benz riuscirà a superare questo ostacolo, pagando le quote di Ritter per abbandonare l'attività. Nel 1872 Bertha Ringer e Karl Benz convolarono a giuste nozze. Bertha Benz ebbe un ruolo fondamentale per il successo futuro della neonata società e addirittura, realizzò il primo viaggio in automobile sulla lunga distanza. Karl e Bertha Benz ebbero cinque figli: Eugen (1873), Richard (1874), Clara (1877), Thilde (1882) e Ellen (1890).
Gli affari per Karl Benz in un primo momento non godettero di grande fortuna. Per esempio, la sua “Fonderia per ferro e officina meccanica”, ribattezzata da Benz “Fabbrica per la produzione di metalli e macchinari da lavoro” ebbe i suoi strumenti confiscati dagli ufficiali giudiziari. Durante questo periodo Benz si concentrò sullo sviluppo del motore a due tempi, al fine di trovare un altro modo per guadagnarsi da vivere. Dopo due anni di sviluppo, il suo primo motore finalmente prese vita il Capodanno del 1879. Era un modello a due tempi, quando la società Gasmotorenfabrik Deutz aveva già ottenuto un brevetto tedesco per la versione a quattro tempi nel 1877 - grazie soprattutto al lavoro di Nikolaus August Otto.
Benz ottenne numerosi brevetti lavorando sul suo motore a due tempi, che perfezionò fino a raggiungere gli standard per la produzione di serie. Per esempio, uno di questi brevetti venne premiato per il sistema di regolazione della velocità del motore; usò il suo sistema di accensione a batteria - di recente sviluppo - per indurre la combustione all’interno del motore.
Con nuovi investitori e partner, Benz convertì l'azienda in una società per azioni nel 1882 chiamandola “Gasmotoren-Fabrik Mannheim”. Karl Benz aveva una partecipazione solo del 5% nella società, era "solo" classificato come direttore e non il principale fornitore di idee. I suoi partner cercarono anche di esercitare una crescente influenza sui suoi disegni e la combinazione di questi fattori portò Benz ad abbandonare la nuova società nel 1883.
Lo stesso anno Benz trovò una diversa fonte di sostegno finanziario grazie a Max Rose e Friedrich Wilhelm Eßlinger che gestiva un negozio di Mannheim e che vendeva, tra le altre cose, biciclette - il che soddisfava il pallino di Benz per il ciclismo. Nel mese di ottobre i tre uomini, fondarono l'azienda “Benz & Co. Rheinische Gasmotoren-Fabrik”. La forza lavoro ben presto si estese a 25 uomini e l'azienda crebbe fino al punto da non essere più in grado di concedere licenze per la produzione di motori a gas. Benz poteva ora dedicarsi al cento per cento allo sviluppo del suo motore per auto.
Nel 1886 ottenne il brevetto 37 435 per il veicolo e ha rappresentato la sua prima “Benz patent-motorwagen”.
Tra il 1885 e il 1887 sono state concepite tre versioni del tre ruote: il «Modello I», che Benz ha donato al Deutsches Museum nel 1906; il «Modello II», che probabilmente fu modificata e ricostruita più volte e, infine, il «Modello III» con ruote a raggi in legno che Bertha Benz utilizzò per il primo viaggio sulla lunga distanza nel 1888.
Dal 1886 gli impianti di produzione esistenti non potevano più far fronte all'insaziabile domanda per i motori stazionari “Benz & Co. Rheinische Gasmotoren-Fabrik” e furono trasferiti in un edificio più grande, una fabbrica di Waldhofstrasse, in cui verranno fabbricati i motori fino al 1908. La comparsa nel 1890 di nuovi partner, Friedrich von Fischer e Julius Ganß, ha determinato la crescita della “Rheinische Gasmotoren-Fabrik” in Germania, come la seconda più grande fabbrica di motori.
Nel 1893 Karl Benz introdusse una doppia balestra girevole collegata all’assale sterzante del telaio (axle-pivot steering system) nella costruzione di automobili e nel 1896 sviluppò il motore “Contra”, che sarebbe diventato il precursore del motore a cilindri contrapposti.

Tra il 1894 e il 1901, la Benz Velo venne costruita alla Benz & Co. Essendo un'automobile leggera per due persone a un prezzo ragionevole segnò la svolta nell’aumento delle vendite, con una cifra totale di unità di produzione di circa 1200, tanto che la Benz Velo può essere legittimamente indicata come la prima auto di serie. Alla fine del secolo, Benz & Co. era diventato il maggiore produttore mondiale di automobili. Nel 1899 l'azienda venne trasformata in società per azioni. Julius Ganß si unì a Karl Benz nel consiglio di amministrazione diventando membro responsabile per le questioni commerciali. La forza lavoro per la costruzione del veicolo passò da 50 nel 1890 a 430 dal 1899. In questo solo anno Benz costruì 572 veicoli.
Il 24 gennaio 1903 Karl Benz annuncia il suo ritiro dal lavoro attivo all'interno della società, mantenendo un posto nel consiglio di amministrazione. La sua rinuncia fu il risultato di lotte interne alla società causate dalla decisione della direzione di impiegare un gruppo di designer francesi nello stabilimento di Mannheim, con l'obiettivo di far fronte alla concorrenza Mercedes. I due figli di Karl Benz, Eugen e Richard, lasciarono anche loro, anche se Richard tornò a Mannheim nel 1904, come responsabile di produzione delle autovetture.
Alla fine dell'anno le vendite di autoveicoli Benz, aveva raggiunto le 3480 unità. Nel 1906 Karl Benz fondò l'azienda “Karl Benz Söhne” in Ladenburg e, con suo figlio Eugen, ne divenne comproprietario. In un primo momento, progettarono di costruire motori a gas ad aspirazione naturale. Tuttavia, i tempi stavano cambiando rapidamente e la domanda per questo tipo di motore si era ridotta. Ciò richiese un cambiamento di rotta nella costruzione di veicoli e dal 1923 circa, furono prodotti 350 veicoli "Carl Benz Söhne". Nel frattempo, la famiglia Benz si era trasferita a Ladenburg.
Nel 1912 Karl Benz lasciò l'azienda come partner e i suoi figli Eugen e Richard continuarono nella gestione. La società si ampliò ulteriormente e si ramificò in altri mercati, per esempio in Inghilterra, dove i veicoli “Benz Söhne” vennero spesso utilizzati come taxi e la loro affidabilità fece guadagnare loro grande popolarità.
Nel 1923 fu costruito l'ultimo veicolo, seguito solo da due veicoli 8/25 CV, che Karl Benz conservò per i suoi affari e uso personale. Ebbe il piacere di utilizzare entrambe le vetture senza mai venderle. Esse sono state conservate fino ad oggi.
A differenza di Gottlieb Daimler, che morì nel 1900, Karl Benz potè assistere alla fioritura della motorizzazione e vedere i prodotti del suo genio.
Morì il 4 aprile 1929 nella sua casa di Ladenburg. Oggi questa casa è utilizzata dalla “Fondazione Karl Benz e Gottlieb Daimler” come ufficio centrale e luogo per una vasta gamma di eventi.

sabato 26 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 giugno.
Il 26 giugno 1870 viene portata in scena per la prima volta "La Valchiria" di Wagner, secondo episodio della imponente tetralogia dell'anello del Nibelungo.
Nella mitologia scandinava le Valchirie erano le nove figlie che Wotan (Odino), il più antico e grande degli dèi, il creatore del mondo e di tutte le cose, aveva avuto da Erda, la dea della Terra.
Wotan era il signore della sapienza, conoscitore delle cose antiche e profonde, della magia e delle arti, che in seguito gli uomini appresero da lui. Egli non solo conosceva i misteri dei Nove mondi e l’ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato stesso dell’universo.
Wotan era anche Sigrföðr ("padre della vittoria"), perché decideva nelle battaglie a chi dovesse andare la vittoria, e Valföðr, ("padre dei caduti"), perché erano suoi figli adottivi tutti coloro che cadevano in battaglia. Con questi due nomi egli distribuiva in battaglia la vittoria e la morte, entrambi doni graditi ai guerrieri.
Le Valchirie, anch’esse divinità, avevano il compito di scegliere i più eroici tra i caduti e portarli nel Valhalla, dove venivano accolti dallo stesso Wotan e preparati a quella che sarà l’ultima battaglia alla fine del mondo, accanto agli dei, contro le forze del caos.
Esse vengono spesso rappresentate come aitanti fanciulle dai lunghi capelli biondi, armate sopra cavalli alati, con elmo e lancia; in realtà la leggenda vuole che le loro cavalcature fossero i branchi di lupi che giravano tra i cadaveri dei guerrieri morti in battaglia, e che le Valchirie stesse apparissero simili ai corvi che volavano sopra i campi di battaglia. Secondo tale visione fantastica, i branchi di lupi e i corvi che spazzavano un campo dopo una battaglia rappresentavano il mezzo per scegliere i corpi degli eroi caduti combattendo.
Richard Wagner, nel corso di 26 anni (dal 1848 al 1874) compose la musica e scrisse il libretto de L’anello del Nibelungo, una tetralogia di quattro drammi musicali che costituiscono un continuum narrativo che si svolge nell’arco di un prologo e tre "giornate":
· L’oro del Reno (prologo)
· La Valchiria (prima giornata)
· Sigfrido (seconda giornata)
· Il crepuscolo degli dei (terza giornata)
Essa costituisce una delle più sterminate creazioni della storia dell’arte (15 ore di musica), e con tale opera Wagner inaugurò la sua nuova concezione drammatico-musicale, al punto che la Tetralogia può definirsi qualcosa di assolutamente nuovo.
La Cavalcata delle Valchirie (“Walkürenritt” o “Ritt der Walküren”) è il nome con cui è conosciuto il preludio del terzo atto de La Valchiria.
La scena rappresenta le Valchirie che si sono riunite assieme sui loro cavalli alati per cavalcare verso il Valhalla, ridendo allegramente e chiamandosi continuamente tra loro. Del tutto soggiogate alla volontà paterna, muteranno le loro risa in spavento quando vedranno la loro sorella maggiore Brunhilde, la figlia prediletta di Wotan, accorrere precipitosamente verso di loro, dopo aver disubbidito alla volontà del padre.
L’opera La Valchiria si distingue musicalmente nella sua totalità in quanto si effonde in un canto amoroso in un sinfonismo pieno ed appassionato.
Wagner compose quest’opera nel suo esilio a Zurigo (aveva attivamente partecipato ai moti di Dresda e perciò venne esiliato dalla Germania); egli disse che i grandi miti di quest’opera acquistarono luce e potenza dalla visione delle grandi montagne svizzere imbiancate di neve, dei panorami intatti, delle acque lacustri terse. Sono perciò sempre presenti quadri dalla natura incontaminata, popolati da creature che sembrano emergere appena con la loro coscienza dagli elementi naturali in cui vivono. E’ così che va intesa la Cavalcata, una potente pagina musicale, dal ritmo travolgente e coinvolgente, che risuona intorno agli infiniti spazi celesti.
La bozza di questo brano risale al 1854 ma l’arrangiamento orchestrale fu terminato solo nel 1856. La sua prima rappresentazione fu eseguita nel 1870 nonostante il diniego dell’autore; addirittura lo spartito fu pubblicato e venduto a Lipsia contro la sua volontà, cosa che lo obbligò a scrivere numerose lettere di protesta contro la grande casa produttrice musicale Schott. Il tema della cavalcata si distingue particolarmente per i suoi riferimenti nella cultura popolare, ma soprattutto viene abbinata a tutto ciò che è attinente all’arte della guerra.
E’ noto che venisse passata tra le radio ad onde corte dei soldati tedeschi che pilotavano i carri armati prima degli assalti; venne utilizzata anche come colonna sonora di numerosissimi documentari di guerra di produzione tedesca (Die Deutsche Wochenschau, fu una serie ricca di cronache e testimonianze di guerra raccolte sul campo).
E’ d’obbligo a queste aggiungere anche la sequenza dell’attacco aereo da Apocalypse Now, il film di Francis Ford Coppola del 1979 sulla guerra in Vietnam, nella scena in cui uno squadrone di elicotteri inserisce il brano mentre attacca un villaggio vietnamita per attuare una guerra psicologica.

venerdì 25 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 giugno.
Il 25 giugno 1946 iniziano i lavori dell'Assemblea Costituente, chiamata a promulgare la Costituzione della neonata Repubblica Italiana.
Il 2 giugno 1946 gli italiani vengono chiamati alle urne, oltre che per il referendum istituzionale tra repubblica e monarchia che sancirà la fine di quest’ultima, anche per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente cui sarà affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale (come stabilito con il decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151). Il sistema elettorale prescelto per la consultazione elettorale è quello proporzionale, con voto "diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti", in 32 collegi plurinominali, per eleggere 556 deputati (la legge elettorale prevedeva l'elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si effettuarono nell'area di Bolzano, Trieste e nella Venezia Giulia, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello Stato italiano). In base all’esito elettorale, l’Assemblea Costituente risulta così composta: DC 35,2%, PSI 20,7%, PCI 20,6%, UDN 6,5%, Uomo Qualunque 5,3%, PRI 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.
La Costituente si riunisce per la prima volta a Montecitorio il 25 giugno 1946 e nel corso della seduta viene eletto presidente Giuseppe Saragat (in seguito dimissionario e sostituito, l'8 febbraio 1947, da Umberto Terracini). Il 28 giugno l’Assemblea elegge Enrico De Nicola "Capo provvisorio dello Stato", fino a che cioè non sarebbe stato nominato il primo Capo dello Stato a norma della nuova Costituzione. La Costituente inoltre delibera la nomina di una commissione ristretta (Commissione per la Costituzione), composta di 75 membri scelti dal Presidente sulla base delle designazioni dei vari gruppi parlamentari, cui viene affidato l'incarico di predisporre un progetto di Costituzione da sottoporre al plenum dell'Assemblea. I membri sono suddivisi tra i partiti come risulta dalla tabella seguente:
Democrazia Cristiana     207     Mov. Indip. Sicilia     4
Partito Socialista     115     Concentr. Dem Repub.     2
Partito Comunista     104     Partito Sardo d'Azione     2
Unione Dem. Naz,     41     Movim. Unionista It.     1
Uomo Qualunque     30     Part. Cristiano Sociale     1
Partito Repubblicano     23     Part. Democr. Lavoro     1
Blocco Naz. Libertà     16     Part. Contadini Italiani     1
Partito d'Azione     7     Fr. Dem. Progres. Rep.     1
Nominata il 19 luglio 1946 e presieduta da Meuccio Ruini, la Commissione si articola in tre Sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, la seconda sull'ordinamento costituzionale della Repubblica (divisa a sua volta in due Sezioni, per il potere esecutivo e il potere giudiziario, più un comitato di dieci deputati per la redazione di un progetto articolato sull'ordinamento regionale), la terza sui diritti e doveri economico-sociali.
Conclusi i lavori delle varie Commissioni, il 31 gennaio 1947, un Comitato di redazione composto di 18 membri, presenta all’aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discute il progetto e il 22 dicembre viene approvato il testo definitivo.
La Costituzione repubblicana – giudicata il frutto più cospicuo della lotta antifascista – è promulgata il 27 dicembre 1947 da De Nicola ed entra in vigore il 1° gennaio 1948. Essa rappresenta l’incontro tra le tre tradizioni di pensiero presenti nella Costituente: quella cattolico-democratica, quella democratico-liberale e quella socialista-marxista. La carta si compone di una premessa, in cui sono elencati i principi fondamentali, e due parti, rispettivamente dedicate ai diritti e doveri dei cittadini e all’ordinamento dello Stato.
La carta costituzionale del 1948 più che dei giuristi, è opera dei partiti politici. Le stesse elezioni per l'Assemblea Costituente - le prime, con quelle amministrative, dopo il ventennio fascista - sono un'occasione per misurare la propria forza elettorale da parte dei partiti politici e perciò sono pochi i professori di diritto candidati (soprattutto da parte del PCI). Questi ultimi, inoltre, durante il periodo fascista erano stati tagliati fuori dai circuiti internazionali della cultura giuridica e quelli che avevano continuato i propri studi in Italia lo avevano fatto accettando di disinteressarsi della vita politica.
La Costituzione - approvata a larga maggioranza dall’Assemblea Costituente - è dunque il frutto di un vasto "compromesso costituzionale", tra visioni diverse della democrazia: la sinistra, specie il PCI, è portatrice di una visione giacobina, con un’assemblea elettiva dotata di pieni poteri; i conservatori, con in testa la DC, auspicano un parlamentarismo razionalizzato con un esecutivo forte e stabile.
Queste due visioni antitetiche si fronteggiano per mesi tra i banchi della Costituente, su ogni singolo punto del progetto di Costituzione. Il compromesso, dunque, è inevitabile e indispensabile: le sinistre dal canto loro accettano il bicameralismo, le autonomie locali e gli organo di garanzia come la Corte Costituzionale; i moderati rinunciano in parte alle misure votate alla razionalizzazione del parlamentarismo.
Anche il sistema elettorale prescelto per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, quello proporzionale, è conseguenza del compromesso. Questo meccanismo, infatti, è in grado di garantire un’adeguata rappresentanza ai partiti di massa, escludendo quasi a priori la possibilità che uno di essi ottenga la maggioranza assoluta e che possa così governare da solo.
Come ha sottolineato efficacemente il Calamandrei, dunque, la Costituzione del 1948 porta con sé, nella prima parte una rivoluzione promessa, nella seconda una rivoluzione mancata. Proprio questo contrasto insito nel testo originario, farà ben presto avvertire, con intensità via via maggiore, la necessità e di riforme più o meno radicali dell’impianto progettato dai padri costituenti.
Il 7 ottobre 2001 gli italiani sono stati chiamati a votare, per la prima volta nella storia della Repubblica, il referendum confermativo della legge di revisione costituzionale che ha integralmente riscritto il Titolo V della Costitzuione del 1948, introducendo di fatto il federalismo (anche se il termine non viene mai utilizzato nel nuovo testo). La legge è stata approvata il 28 febbraio dalla Camera e l’8 marzo dal Senato con i soli voti del centrosinistra, mentre il centrodestra non ha partecipato al voto in entrambi i casi in segno di protesta perché la riforma è stata approvata nell’ultimo scorcio di legislatura. Non avendo raggiunto il quorum dei due terzi richiesto dall’articolo 118 della Costituzione, il testo è stato sottoposto a referendum, su richiesta dai rappresentanti di entrambi gli schieramenti politici.
L’esito referendario sancisce la netta vittoria dei sì, con il 64,2 per cento (per un totale di 10.438.419 voti). Il no ottiene il 35,8 per cento (5.819.187 voti). L'affluenza alle urne è stata del 34 per cento. Viene così definitivamente approvata la modifica più ampia e rilevante che la Costituzione italiana abbia mai subito dal giorno della sua entrata in vigore ad oggi. Ecco le principali novità.
LA REPUBBLICA E’… "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". E’ questo il nuovo articolo 114 della Costituzione. Le grandi città, come Milano, Napoli, Palermo, potranno godere di un margine di autonomia maggiore, per una migliore organizzazione delle proprie risorse ed una maggiore flessibilità nella risoluzione delle problematiche locali. L'articolo, inoltre, mette in risalto lo status di Roma, capitale della Repubblica, il cui ordinamento è demandato ad una legge dello Stato.
REGIONI AUTONOME. L'articolo 116 riconosce e mantiene l'autonomia delle regioni a statuto speciale – Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta - e ne rafforza il potere di autodeterminazione. Ma – aggiunge il nuovo testo - "Ulteriori forme particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali (province, comuni, città metropolitane)". Trentino e Valle d’Aosta assumono anche la denominazione, rispettivamente, di Sudtirol e Vallée d’Aoste.
COMPETENZA LEGISLATIVA. La costituzione del 1948 stabiliva le materie per le quali le regioni avevano potestà legislativa. Col federalismo il rapporto si inverte e le Regioni possono legiferare in tutte le materie, eccezion fatta per quelle attribuite alla competenza esclusiva dello Stato centrale, elencate nell’articolo 117 (Politica estera, immigrazione, moneta, difesa, ordine pubblico e sicurezza, difesa e forze armate, ordine pubblico e sicurezza ecc.). Molte competenze tuttavia rientrano tra le materie di legislazione concorrente, che "spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato", come ad esempio i rapporti internazionali e l'istruzione, fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e la formazione professionale.
SUSSIDIARIETA’. "Le funzioni amministrative – recita il nuovo articolo 118 – sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza". I Comuni, come pure le Province e le Città metropolitane, mantengono e sono titolari di funzioni amministrative proprie oltre a quelle che vengono loro ulteriormente conferite con legge statale o regionale secondo le competenze di ciascun ente.
FEDERALISMO FISCALE. Viene concessa agli enti locali la più ampia autonomia finanziaria di entrata e di spesa. "I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni – come sancito dall’articolo 119 - hanno risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Mediante tali risorse, Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni devono finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Permangono tuttavia forme di garanzia per il Mezzogiorno, ma resta l’incognita relativa all’ampliamento del divario tra le regioni settentrionali e quelle meridionali della penisola a causa dell’attuazione del federalismo fiscale. Tra le garanzie previste, la costituzione di un "fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante". Inoltre, "per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni".
TUTELA DEI DIRITTI. L'articolo 120 ha lo scopo di tutelare gli enti regionali in merito ad eventuali controversie che possano insorgere tra loro o che possano ledere la libertà del cittadino. Recita infatti: "La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale". In caso ciò dovesse avvenire il Governo può sostituirsi agli organi locali responsabili della violazione. La norma prevede esplicitamente l'intervento del Governo in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, o quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. Per evitare che venga esercitato arbitrariamente il diritto di intervento del Governo nelle autonomie locali è stabilito che sia la legge a definire le procedure di garanzia in modo che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE. Il decentramento in favore dell'ente regionale di competenze e attribuzioni è mitigato dall'aggiunta di un comma all'articolo 123 della nostra Costituzione. "In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali". In questo modo le Province, i Comuni e le Città metropolitane sono in grado di contribuire alla formazione del processo decisionale regionale e di giocare un ruolo di attore protagonista nella formazione della "politica" stessa da attuare.
LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE. La possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma non sarà più esclusivo potere del Governo e dello Stato nazionale, bensì reciproco per Stato e Regioni. Le Regioni possono sollevare questioni di legittimità anche nel caso in cui la legge di un altro ente regionale leda la loro sfera di competenza (articolo 127).
NUOVE REGIONI. La possibilità di fusione di Regioni, Comuni, Province oggi esistenti è consentita con: "l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum". Le forme di controllo sull'operato delle regioni e degli altri enti autonomi previste dai nel '48 vengono definitivamente abrogate col nuovo articolo 132.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE. Le nuove norme si applicano anche alle regioni autonome, fino a che non saranno adeguati i loro statuti, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. Inoltre, fino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

giovedì 24 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 24 giugno.
Il 24 giugno 1910 viene fondata quella che diventerà l'Alfa Romeo, fiore all'occhiello dell'industria motoristica italiana.
L'Alfa Romeo nacque quel giorno come A.L.F.A., (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).
La costituzione della società avvenne a Milano in via Gattamelata, nella zona denominata “Portello” e il nome scelto richiama anche la prima lettera dell’alfabeto greco, quasi a voler simboleggiare l’inizio della produzione automobilistica soprattutto sportiva da parte della stessa casa.
La casa automobilistica fu rilevata da un gruppo di imprenditori lombardi dalle mani di un imprenditore francese, Alexandre Darracq, il quale aveva a sua volta tentato con scarso successo l’avventura industriale in Italia.
Il marchio dell’azienda, fin dalle origini, è stato ispirato dai simboli della città d’origine: da un lato il serpente visconteo (il biscione), dall'altro la croce rossa in campo bianco, simbolo di Milano. Inizialmente l’Alfa Romeo, con 250 dipendenti ereditati dalla precedente gestione poteva  produrre 300 automobili all'anno.
Le origini dell'Alfa hanno un nome francese e le radici sono a Napoli. L'imprenditore Alexandre Darracq dopo aver prodotto biciclette, passò alla produzione di automobili con la Darracq.
Nel 1906 nacque la Società Italiana Automobili Darracq, con sede a Napoli. Bastarono pochi mesi per comprendere che lo stabilimento si trovava troppo distante dai potenziali acquirenti che per questioni di viabilità, si trovavano in maggioranza nel nord Italia.
Darracq decise di spostare la produzione nella periferia di Milano, costruendo l'opificio del Portello, soluzione che migliorava notevolmente anche i collegamenti con la sede francese. I problemi, tuttavia, non si risolsero e le vendite si dimostrarono insufficienti a giustificare l'esistenza di una sede produttiva, anche per la forte concorrenza della Renault, da tempo insediatasi in Lombardia e della neonata FIAT. Nel 1909 la società venne posta in liquidazione.
La società venne rilevata da un gruppo di finanzieri lombardi che decisero di continuare la costruzione di automobili, sotto la nuova ragione sociale ALFA (acronimo di Anonima Lombarda Fabbrica Automobili), mantenendo le stesse maestranze e tecnici.
L'azienda continuò a fabbricare i modelli Darracq, fino all'esaurirsi delle scorte di pezzi nel magazzino, mentre l'ufficio tecnico preparava i progetti della nuova vettura.
Nell'autunno del 1910 cominciò la produzione del primo modello ALFA, la 24 HP,  progettata da Giuseppe Merosi e da cui vennero subito derivati dei modelli da competizione portati al debutto l'anno successivo, il 1911, alla Targa Florio. Da ciò si capisce come fin dall'inizio della sua storia questa casa si fosse votata alla costruzione di autovetture dal carattere sportivo.
Nel frattempo Nicola Romeo, ingegnere napoletano (Sant'Antimo), fondò la Sas Ing. Nicola Romeo & C., con sede a Milano, in via Ruggero di Lauria (quartiere Portello). L'Alfa conquistò il primo e il secondo posto nella gara "Parma-Poggio di Berceto" (1913).
Nel 1915 Romeo entrò nel capitale dell'Alfa e ne modificò il nome in Alfa Romeo Milano, il 3 febbraio 1918. In quegli anni una parte della produzione si dovette convertire alle necessità dell'industria bellica della prima guerra mondiale e la produzione regolare di autoveicoli riprese nel 1920 con la presentazione della prima auto con il nuovo nome, la Torpedo 20-30 HP.
Nel decennio seguente si ampliò l'attività sportiva della casa milanese, grazie a piloti del calibro di Antonio Ascari, Giuseppe Campari, Enzo Ferrari ed Ugo Sivocci; grazie a quest'ultimo, nel 1923, vide la luce anche il simbolo del quadrifoglio che, da allora, ricorrerà in tutte le attività sportive dell'Alfa e nelle versioni più sportive delle sue macchine.
Altro simbolo, nato in quegli anni, e sopravvissuto sino ad oggi è il colore Rosso Alfa.
Sempre negli anni venti ci furono delle vicissitudini nel capitale societario, la cui maggioranza era nel frattempo finita nelle mani della Banca d'Italia; esce dalla società Nicola Romeo e per qualche tempo ci fu anche il timore della chiusura dell'azienda, rientrato grazie alla notorietà già raggiunta in campo internazionale e nel campo delle corse. Nel 1929 nacque all'interno dell'azienda la Scuderia Ferrari, il reparto apposito per le corse.
Questo nome venne portato in dote all'azienda da Enzo Ferrari che aveva, alcuni anni prima fondato la società sportiva omonima e che, dopo aver lasciato l'Alfa Romeo, fonderà l'azienda Scuderia Ferrari famosissima oggi in tutto il mondo.
Il decennio antecedente alla seconda guerra mondiale consolidò la fama mondiale dell'Alfa, sempre grazie soprattutto alle corse e ai suoi piloti: ancora Giuseppe Campari, Tazio Nuvolari, Gastone Brilli-Peri, Mario Borzacchini.
Questi nomi storici ricorreranno nella fantasia popolare fino ai giorni nostri e ispireranno anche una nota canzone di Lucio Dalla.
Per quanto riguarda l'azienda produttiva, nel 1932 venne acquisita dall'IRI che, tra i primi provvedimenti, decise di non proseguire con l'attività delle corse a proprio nome bensì di affidare tutta la gestione alla Scuderia Ferrari, preferendo invece diversificare la produzione anche nei settori degli autobus, degli autocarri e nei motori aerei.
Iniziò in questi anni, grazie ad Ugo Gobbato, anche la costruzione del nuovo stabilimento di Pomigliano d'Arco.
La seconda guerra mondiale lascerà molti segni anche negli stabilimenti dell'Alfa Romeo, considerati molto importanti per l'approvvigionamento bellico e pertanto più volte bombardati, fino a causare la chiusura dello stabilimento del Portello nel 1944. Sin dalla fine della guerra si cercherà di rimettere in funzione gli impianti danneggiati, dedicandosi inizialmente alla costruzione di motori nautici e avio e addirittura alla costruzione di cucine elettriche e serramenti, ritornando comunque presto alla tradizionale attività di costruttore di automobili sportive.
Gli anni cinquanta furono probabilmente i più importanti nella storia della casa, che produce due modelli di auto destinati a fare storia, la 1900 e la "Giulietta". Si tratta dei primi modelli costruiti in catena di montaggio, e il primo apre la strada anche alla fornitura delle auto della Polizia; è con questo modello che si inaugura la serie delle Pantere. Nel 1952 inizia anche la produzione di una fuoristrada messa in concorrenza con la contemporanea Fiat Campagnola e denominata "Matta".
Anche nel campo delle corse la casa continua a mietere successi vincendo i due primi Campionati Mondiali di Formula 1 1950 e 1951 grazie rispettivamente a Giuseppe Farina e Juan Manuel Fangio a bordo delle Alfa Romeo 158 e 159 e vincendo il primo anno 6 Gran Premi su 7 imponendo un dominio totale della scuderia, che piazzò in classifica ai primi tre posti i suoi piloti di punta: oltre al vincitore Giuseppe Farina si distinsero Juan Manuel Fangio che vinse molte corse e Luigi Fagioli. Vengono infastiditi soltanto occasionalmente da Alberto Ascari sulla Ferrari, che si classifica quinto, e dal francese Louis Rosier sulla Talbot-Lago, giunto al quarto posto. Nel secondo Campionato del Mondo vinse 4 Gran Premi su 8. Vinse Juan Manuel Fangio, seguito dal ferrarista Alberto Ascari e dagli alfisti Froilan González e Nino Farina.
Nel 1961 uscì dalle catene di montaggio la 100.000-esima Giulietta e l'anno successivo venne messa in produzione un'altra delle vetture che hanno fatto la storia di questa casa, la Giulia. Nel campo delle corse nasce nel 1964 l'Autodelta, il reparto specifico per le competizioni, grazie anche all'impegno dell'ing. Carlo Chiti. Nel frattempo entrò a regime anche il nuovo stabilimento di Arese e continuò la collaborazione con i migliori designer italiani, da Zagato con le famose coupé, a Pininfarina a cui si deve la famosissima spider "Duetto", fino a Bertone a cui si deve la "Montreal" del 1970. Nel 1968 fa la sua apparizione una derivata della Giulia, l'Alfa Romeo 1750 che vedrà anche una sorella maggiore pochi anni dopo, la Alfa Romeo 2000.
Nel campo delle corse gli anni settanta videro l'Alfa Romeo impegnata soprattutto nelle corse con auto a ruote coperte e, con il modello 33, vincitrice di alcune delle più importanti gare di durata e di alcuni campionati di Gran Turismo. I piloti più noti che hanno corso in quegli anni per il "biscione" sono Andrea de Adamich, Nino Vaccarella e Ronnie Peterson.
Il 1972 è l'anno dell'inaugurazione dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, con l'inizio produzione della piccola Alfa, la Alfasud, prima autovettura della casa a trazione anteriore e con motore di "soli" 1200 cc; se ne riusciranno a produrre nell'arco del decennio circa 1.000.000 di esemplari.
A fronte della prosecuzione delle vittorie sportive gli stessi anni settanta non sono altrettanto fortunati sotto il punto di vista della produzione di serie, anche a causa della crisi petrolifera che colpì pesantemente il comparto dell'auto. Di quegli anni è un modello basilare nella storia dell'Alfa Romeo, l'Alfetta (1972). Elegante e potente l'Alfetta presentava una raffinatezza meccanica superiore e un comportamento su strada ineccepibile. Il motore è inizialmente un 4 cilindri bialbero di 1800 cc, dotato di valvole riportate al sodio e alimentato da due carburatori doppio corpo. Il telaio presenta una sospensione anteriore a quadrilateri e il ponte posteriore De Dion, la trasmissione segue lo schema Transaxle con cambio e frizione al retrotreno per ripartire perfettamente le masse. I freni sono a disco, coi posteriori montati all'uscita del differenziale per ridurre le masse non sospese. Lo schema meccanico dell'Alfetta è talmente raffinato che verrà riproposto invariato 13 anni dopo sulla 75, prodotta fino al 1992. Poco dopo il lancio dell'Alfetta ne viene proposta una variante più corta e con uno stile più giovanile: la Nuova Giulietta (1977).
La Giulietta riprende il pianale e molte parti della carrozzeria dell'Alfetta, ma si posiziona un poco più in basso, presentandosi sul mercato con due motorizzazioni di 1300 e 1600 cc. Poco più tardi, dopo una gestazione lunghissima esce la Alfa 6 (1979). Dotata di un motore di 2500 cc è dotata di una serie impressionante di gadget rivolti ad assicurare il comfort di marcia, ma si rivela un flop commerciale, per via della linea anonima e del clima sociale di quegli anni che consiglia di evitare l'acquisto di beni di lusso.
Anni positivi dunque, tuttavia, la produzione di modelli di buon successo non bastò a mantenere in buone condizioni l'azienda e per cercare di risalire la china si provò anche un cambio al vertice aziendale, con l'arrivo di un nuovo manager, nel 1978; l'Ing. Ettore Masaccesi. L'Alfa Romeo partecipò con la 177 nella stagione 1979 del Campionato mondiale di Formula 1 con il nome di Autodelta. Esordì nel Gran Premio del Belgio con alla guida Bruno Giacomelli. Con questa vettura, anche se gestita dall'Autodelta, il glorioso marchio di Arese faceva il suo ritorno con una vettura propria nel mondiale di Formula 1 dopo i titoli piloti nel 1950 e 1951. Giacomelli utilizzò la vettura sia nel Gran Premio del Belgio che in quello di Francia. Il modello successivo, che cercava di sfruttare l'effetto suolo, il 179 spinto da un nuovo propulsore esordì nel gran premio di Monza. In quella occasione ci fu l'ultima apparizione della 177, con al volante Vittorio Brambilla. Nelle successive stagioni partecipò con il proprio nome correndo con le vetture 179, 182, 183, 184 e 185.
È dell'inizio degli anni ottanta la presentazione dell'Alfa 33 in sostituzione dell'Alfasud che non aveva riscosso il successo sperato presso gli appassionati. Dopo le lamentele della clientela sulla poca sportività dell'Alfasud stessa, si tentò di riguadagnare con il nuovo modello il prestigio perduto. Uscì anche una versione 4x4 e giardinetta. Nello stesso anno, il 1983, prende vita anche il tentativo di joint-venture con la nipponica Nissan con la messa in produzione della Arna: basata su telaio della Nissan Cherry e con meccanica dell'Alfa 33 (in particolare l'avantreno), l'esperimento però non ottenne i frutti sperati poiché gli appassionati alfisti non riconobbero in questo modello i tratti caratteristici della casa del biscione. Nel 1984 cominciò la commercializzazione dell'Alfa 90, erede delle Alfetta e Alfa 6, ridisegnata dal noto carrozziere Bertone e prodotta nelle varie versioni in poco meno di 50.000 esemplari.
Anche il tentativo di rientrare nella Formula 1 nel 1980 non fu coronato da grandi risultati, ma addirittura funestato dalla morte del pilota Patrick Depailler durante alcune prove in Germania. Corsero per l'Alfa Romeo di quegli anni anche due piloti italiani quali Bruno Giacomelli e Andrea de Cesaris, entrambi senza riuscire a conquistare vittorie significative. Nel 1985 la società festeggiò i 75 anni di vita e per ricordarlo iniziò la produzione dell'Alfa 75. Dotata della stessa meccanica di Alfetta, Giulietta e Alfa 90, la 75 è l'ultimo modello a trazione posteriore. È stata molto amata dagli alfisti, tanto che, per molti di loro, la 75 è "l'ultima vera Alfa". Dispone di motori che vanno dal 1.6, fino al 3.0 V6, benzina e turbodiesel.
Nel 1986, l'Alfa Romeo venne ceduta al Gruppo Fiat dall'allora presidente dell'istituto, Romano Prodi, nel tentativo di ridurre le perdite dell'IRI; l'acquirente decise di accorparla ad un'altra azienda dello stesso gruppo, la Lancia, dando vita alla Alfa-Lancia Industriale spa.
Nel 1987 esce un modello fondamentale per l'Alfa Romeo, la 164, che impiega lo stesso pianale utilizzato per Fiat Croma, Lancia Thema e un modello SAAB, la 9000). L'Alfa 164 tuttavia, grazie alla geometria delle sospensioni anteriori, presenta una caratterizzazione stilistica molto marcata, dovuta al pulito disegno di Pininfarina. Adotta motori Twin Spark e Turbo diesel, turbo a 4 cilindri e V6 sia aspirati che turbocompressi, con potenze da 117 a 232cv. Il V6 benzina fu eletto migliore motore dell'anno, e la 164 TD al momento della presentazione era l'auto diesel, con motore VM, più veloce al mondo.
Alla fine del decennio esattamente nel 1989, venne presentato un coupé in serie limitata che aveva l'intenzione di stupire il pubblico dell'automobile. Nacque così la SZ o ES-30 e successivamente l'RZ ossia la versione cabrio. Il design estremamente aggressivo e brutale gli fece dare anche la denominazione di "il mostro". Questa fu l'ultima Alfa Romeo ad avere lo schema con ponte De Dion e la trazione posteriore. Il motore era il 3.0 V6 12v della 75, portato a 210cv che gli permetteva di raggiungere i 245 km/h e lo schema meccanico riprendeva quello della 75 da corsa, inoltre montò un inedito sistema di autolivellamento delle sospensione per permetteva alla vettura di variare a proprio piacimento l'altezza della stessa.
All'inizio dell'ultimo decennio del secolo scorso escono due modelli, il primo è la Alfa 155, che segna l'abbandono della trazione posteriore sui modelli di gamma medio-superiore. La 155 raccoglie l'eredità di un modello molto amato, la 75, ma non riesce a imporsi nel cuore degli alfisti per via della perdita di sportività dovuta alla mancanza della trazione posteriore e del sistema transaxle (ripartizione dei pesi vicino al 50/50) e per via delle troppe analogie con le pari livello di Lancia e Fiat. La seconda è l'Alfa 145, che sostituisce l'Alfa 33.
La 145 risulta più pesante e meno brillante della progenitrice a causa del meno vantaggioso rapporto peso/potenza. I motori utilizzati per il nuovo modello sono in pratica gli stessi della 33, ereditati con poche modifiche e senza una consistente evoluzione per adeguarli ai maggiori pesi della nuova vettura, soprattutto in termini di coppia. La vettura comunque colpisce per uno stile molto personale sia esternamente che internamente; successivamente riesce a raccogliere un buon apprezzamento complessivo da parte del pubblico grazie alle modifiche migliorative adottate sulla seconda serie, con adozione dei nuovi motori Twin Spark, unitamente ad una maggiore qualità costruttiva. Un successo nel complesso analogo riscuote la versione a due volumi e mezzo della 145, denominata Alfa 146.
Le 145/146 sono anche le ultime vetture Alfa Romeo a montare il glorioso motore Boxer, sviluppato a suo tempo per l'Alfasud, anche se dal 1997 su entrambe le auto vengono montati i più potenti motori della gamma Twin Spark.
Il 1997 viene da molti definito l'anno del rinnovamento del marchio Italiano, in congiunta dell'uscita dell'Alfa 156. La 156 riesce a fregiarsi del titolo di Auto dell'anno per il 1998 e costituisce il modello del rilancio dell'Alfa Romeo. È su questo modello introdotta per la prima volta il cambio selespeed, un semi-automatico, con 2 leve dietro il volante per comandare le marce, derivato dal mondo delle corse e rivolto a un impiego sportivo della vettura. Dotata di una qualità costruttiva all'altezza delle aspettative del mercato europeo la 156 stabilisce nuovi standard per quel che riguarda il comportamento su strada.
Nel 1998 termina la produzione della gloriosa Alfa 164 che cede il posto alla nuova ammiraglia di casa, l'Alfa 166. La 166 si presenta con dimensione ancor più generose della progenitrice e con nuove tecnologie applicate che la rendono come di consuetudine per le top di gamma di Alfa Romeo, un punto di riferimento dal punto di vista tecnologico e dinamico del panorama mondiale delle auto di alto livello. Questa però non riscuoterà il successo della 164, anche se le vendite saranno soddisfacenti, e verrà ritirata dai listini a fine 2007. Nello stesso anno vengono rinnovate le affascinanti sportive del biscione ossia l'Alfa Gtv e la Spider, con numerose modifiche sia tecniche, che stilistiche in particolare per gli interni. Nel compartimento corse, l'Alfa Romeo, dopo l'entrata nel gruppo Fiat, viene destinata a rappresentare il gruppo nelle competizioni Gran Turismo, dove si fa onore anche con piloti italiani come Alessandro Nannini, Nicola Larini, Gabriele Tarquini e Fabrizio Giovanardi. Con la partecipazione ai campionato ETCC (diventato successivamente WTCC) conquista con l'Alfa Romeo 156 Super 2000 il titolo costruttori e piloti per cinque anni consecutivi, fregiandosi di diverse soluzioni tecniche che resero l'auto vincente, come le sospensioni anteriori a quadrilatero alto (utilizzate su tutti i modelli di serie) in luogo del più economico e meno prestante McPherson ed il cambio elettroattuato.
Il nuovo millennio inizia per la casa Milanese sotto buoni auspici commerciali, infatti il modello Alfa 147 riesce ad aggiudicarsi nuovamente l'ambito titolo di Auto dell'anno nel 2001. È dello stesso anno la presentazione al pubblico della versione sportiva della Alfa 156, la GTA, messa poi in vendita nel 2002; con la versione appositamente preparata per le competizioni, la casa milanese corre nei campionati europei turismo, mietendo vari successi soprattutto con il pilota Gabriele Tarquini. La diretta erede di questo modello è l'Alfa 159 presentata all'inizio del 2005 a Ginevra. Il 2003 è invece caratterizzato per la casa automobilistica dalla presentazione della nuova versione della grande berlina Alfa 166, in diretta concorrenza soprattutto con le berline tedesche: Audi, Mercedes-Benz e BMW e restata in produzione sino a fine 2007. Sempre dello stesso anno è la presentazione del modello Alfa Romeo Gt ed il secondo restyling della Spider e della Alfa Romeo Gtv che, adottando il nuovo propulsore 3.2 ed in virtù dell'eccellente aerodinamica, divenne l'Alfa Romeo stradale più veloce con i suoi 255 km/h senza necessità di limitazioni di velocità massima. A fine 2005 è stata commercializzata la nuova coupé sportiva, l'Alfa Romeo Brera, frutto della matita di Giugiaro come la 159, dalla quale deriva. Presentata anch'essa al Salone di Ginevra dello stesso anno, prende il posto della precedente GTV. A marzo 2006 è la volta dell'Alfa Romeo Spider (evoluzione spider della Brera), rimaneggiata nel design da Pininfarina, presentata al Salone di Ginevra. Nell'ottobre del 2007 è iniziata la commercializzazione in serie limitata (soltanto 500 esemplari) della supersportiva 8C Competizione con motore 4.7 V8 da 450 cv, trazione posteriore, in grado di raggiungere i 292 km/h e di bruciare lo 0–100 km/h in 4.2 secondi.
A giugno 2008 è avvenuto il lancio commerciale di quello che era definito come progetto "Junior" (progetto 955) e il cui nome definitivo è Mito (Mi per Milano dove è stata disegnata e To per Torino dove viene costruita); con potenze previste fino a 230 CV, si posiziona al di sotto della 147, con un'immagine sportiva, dinamica e proiettata per un pubblico giovane andando ad insidiare la fascia di mercato occupata dalla Mini. Ancora da precisare il debutto delle versioni GTA per la 159 e la Brera, che nel MY2008 hanno subito una serie di modifiche meccaniche minori, volte principalmente ad alleggerirne la massa.
Al Salone di Ginevra 2010 è stata presentata la nuova berlinetta Giulietta, erede della 147,  e la commercializzazione della vettura è iniziata ad aprile dello stesso anno.


Nel 2013 è entrata invece in produzione la 4C con la quale l'Alfa Romeo torna alla trazione posteriore in una vettura di serie (non limitata) dopo circa vent'anni. Il 24 giugno 2015, in occasione del 105º anniversario di fondazione della casa, è stata presentata al museo storico Alfa Romeo la Giulia cui è seguita, il 16 novembre 2016, la presentazione del primo SUV prodotto dalla casa, denominato Stelvio, che condivide pianale e motorizzazioni con la Giulia.

A fine luglio del 2018 è cessata la produzione della MiTo, che non ha avuto una immediata sostituzione nel suo segmento. La programmata sostituzione della Giulietta è diventato un aggiornamento di mezza vita, figurante nel piano industriale come Giulietta MCA (Mid Cycle Action), rimandando al 2022 il nuovo modello.

mercoledì 23 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 23 giugno.
Il 23 giugno 1912 nacque Alan Turing, passato alla storia come uno dei pionieri dello studio della logica dei computer e come uno dei primo ad interessarsi all'argomento dell'intelligenza artificiale. Nato il 23 giugno 1912 a Londra ha ispirato i termini ormai d'uso comune nel campo dell'informatica come quelli di "Macchina di Turing" e di "Test di Turing".
Più nello specifico, si può dire che come matematico ha applicato il concetto di algoritmo ai computer digitali e la sua ricerca nelle relazioni tra macchine e natura ha creato il campo dell'intelligenza artificiale.
Interessato soltanto alla matematica e alla scienza iniziò la sua carriera come matematico al King's College alla Cambridge University nel 1931.
A scuola non aveva un gran successo, data la sua tendenza ad approfondire esclusivamente cose che lo interessassero sul serio. Solo la grandissima amicizia con Christopher Morcom, apparentemente molto più promettente di lui e molto più sistematico gli permise di iniziare la sua carriera universitaria: l'amico, però, morì purtroppo di tubercolosi due anni dopo il loro incontro. Ma il segno che lasciò sull'animo dell'amico fu profondo e significativo, inducendo Turing a trovare dentro di sé la determinazione necessaria per continuare gli studi e la ricerca.
Dobbiamo quindi a Morcom moltissimo, se consideriamo che grazie al suo sostegno morale e al suo incitamento, indusse una grande mente come Turing a sviluppare le sue immense potenzialità. Tanto per fare un esempio, Turing arriverà a scoprire, cinque anni prima di Gödel, che gli assiomi della matematica non potevano essere completi, un'intuizione che mise in crisi la convinzione che la matematica, in quanto scienza perfettamente razionale, fosse aliena da qualsiasi tipo di critica.
Si presentava comunque per Turing un compito veramente arduo: riuscire a provare se ci fosse o meno un modo per determinare se un certo teorema fosse esatto oppure no. Se questo fosse stato possibile, allora tutta la matematica si sarebbe potuta ridurre al semplice calcolo. Turing, secondo le sue abitudini, affrontò questo problema in mondo tutt'altro che convenzionale, riducendo le operazioni matematiche ai loro costituenti fondamentali. Operazioni tanto facili che potevano essere di fatto svolte da una macchina.
Trasferitosi alla Princeton University, dunque, il grande matematico iniziò ad esplorare quella che poi verrà definita come la "Macchina di Turing" la quale, in altri termini, non rappresenta altro che un primitivo e primordiale "prototipo" del moderno computer. L'intuizione geniale di Turing fu quella di "spezzare" l'istruzione da fornire alla macchina in una serie di altre semplici istruzioni, nella convinzione che si potesse sviluppare un algoritmo per ogni problema: un processo non dissimile da quello affrontato dai programmatori odierni.
Durante la seconda guerra mondiale Turing mise le sue capacità matematiche al servizio del "Department of Communications" inglese per decifrare i codici usati nelle comunicazioni tedesche, un compito particolarmente difficile in quanto i tedeschi avevano sviluppato un tipo di computer denominato "Enigma" che era capace di generare un codice che mutava costantemente. Durante questo periodo al "Department of Communications", Turing ed i suoi compagni lavorarono con uno strumento chiamato "Colossus" che decifrava in modo veloce ed efficiente i codici tedeschi creati con "Enigma". Si trattava, essenzialmente, di un insieme di servomotori e metallo, ma era il primo passo verso il computer digitale.
Dopo questo contributo fondamentale allo sforzo bellico, finita la guerra continuò a lavorare per il "National Physical Laboratory" (NPL), continuando la ricerca nel campo dei computer digitali. Lavorò nello sviluppo all'"Automatic Computing Engine" (ACE), uno dei primi tentativi nel creare un vero computer digitale. Fu in questo periodo che iniziò ad esplorare la relazione tra i computer e la natura. Scrisse un articolo dal titolo "Intelligent Machinery", pubblicato poi nel 1969. Fu questa una delle prime volte in cui sia stato presentato il concetto di "intelligenza artificiale". Turing, infatti, era dell'idea che si potessero creare macchine che fossero capaci di simulare i processi del cervello umano, sorretto dalla convinzione che non ci sia nulla, in teoria, che un cervello artificiale non possa fare, esattamente come quello umano (in questo aiutato anche dai progressi che si andavano ottenendo nella riproduzione di "simulacri" umanoidi, con la telecamera o il magnetofono, rispettivamente "protesi" di rinforzo per l'occhio e la voce).
Turing, insomma, era dell'idea che si potesse raggiungere la chimera di un'intelligenza davvero artificiale seguendo gli schemi del cervello umano. A questo proposito, scrisse nel 1950 un articolo in cui descriveva quello che attualmente è conosciuto come il "Test di Turing". Questo test, una sorta di esperimento mentale (dato che nel periodo in cui Turing scriveva non vi erano ancora i mezzi per attuarlo), prevede che una persona, chiusa in una stanza e senza avere alcuna conoscenza dell'interlocutore con cui sta parlando, dialoghi sia con un altro essere umano che con una macchina intelligente. Se il soggetto in questione non riuscisse a distinguere l'uno dall'altra, allora si potrebbe dire che la macchina, in qualche modo, è intelligente.
Turing lasciò il National Physical Laboratory prima del completamento dell'"Automatic Computing Engine" e si trasferì alla University of Manchester dove lavorò alla realizzazione del Manchester Automatic Digital Machine (MADAM), con il sogno non tanto segreto di poter vedere, a lungo termine, la chimera dell'intelligenza artificiale finalmente realizzata.
Personalità fortemente tormentata (anche a causa di una omosessualità vissuta con estremo disagio), dalle mille contraddizioni e capace di stranezze e bizzarrie inverosimili, Turing morì suicida, appena quarantenne, il 7 giugno 1954.
Dopo tanti anni dal suicidio di Turing, ampiamente spiegabile con il trattamento persecutorio a lui riservato per la sua omosessualità, solamente il 10 settembre 2009 vi è stata una dichiarazione di scuse ufficiali da parte del governo del Regno Unito, formulata dal primo ministro Gordon Brown, e solo dopo una petizione e una campagna Internet. Brown ha riconosciuto che Alan Turing fu oggetto di un trattamento omofobico.
Nel 2012, centenario della nascita di Turing, la Royal Mail ha dedicato un francobollo alla sua memoria; è, però, solo leggendone l'iscrizione ("Alan Turing 1912-1954 Mathematician and WWII code breaker") che si può risalire all'identità del commemorato, dato che il francobollo non ne ritrae il volto bensì mostra la macchina Bomba britannica di cui Turing sviluppò il progetto.

martedì 22 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 22 giugno.
Il 22 giugno 1944 a Gubbio furono massacrate dai nazisti 40 persone innocenti, divenute in seguito "i martiri di Gubbio".
Nei pressi del luogo ove ora è situato il Mausoleo dei martiri di Gubbio, all’alba di giovedì 22 giugno 1944 si consumò la terrificante tragedia della fucilazione di 40 innocenti per rappresaglia da parte dell’esercito nazista.
Dopo l’uccisione, nel pomeriggio del 20 giugno, di un ufficiale medico tedesco ed il ferimento di un altro in un bar cittadino da parte di componenti una pattuglia dei Gap, subito l’esercito germanico iniziò il rastrellamento nella città, interrompendolo la sera del 20 dopo l’intervento del vescovo Ubaldi, il quale ebbe l’assicurazione del comandante tedesco della zona che non si sarebbe dato ulteriore corso alla rappresaglia, purchè non fossero accaduti altri incidenti. Invece il giorno successivo il rastrellamento fu ripreso con maggior determinazione ed a più largo raggio.
Furono presi uomini e donne, giovani e meno giovani, alcuni rilasciati dopo una parvenza di interrogatorio, altri trattenuti senza scampo.
Nella notte alle prime ore del 22 giugno alcuni furono trascinati inconsci a scavare la fossa, dove, poco dopo, a ridosso del muro che conserva i segni delle pallottole assassine, gli altri furono legati come bestie da macello, trucidati in modo selvaggio, poi finiti a colpi di pistola ed appena ricoperti con qualche manciata di terra.
E’ stato scritto: “Un genio infernale parve avesse scelto di proposito alla strage quaranta innocenti, quaranta casi tutti pietosissimi; molti con delle circostanze che ne accrebbero l’orrore e la pietà.
Una madre e la figlia, un unico figlio di madre inferma, padri di cinque, di dieci figli, un padre di cinque bambini già orfani della mamma, due fratelli insieme, un padre e il figlio, onesti lavoratori dei campi e delle città, giovinetti, due sordomuti” (Mons. O. Rogari).
La città, sconvolta e attonita, si è stretta attorno alle famiglie delle vittime e, unendosi al loro dolore, ha voluto erigere il Mausoleo a perenne ricordo di questi Quaranta martiri innocenti e come monito affinchè l’umanità rifugga dalla guerra sempre apportatrice di morti, rovine, odi.
Non avevano scelto la guerra, magari neppure da che parte stare: avevano scelto le case e i campi, continuare la vita, le opere e i giorni, mentre attorno infuriava una follia feroce. E furono presi davanti alle porte, a caso rastrellati come bestie: erano vittime da immolare, ai riti della guerra, a quelle azioni e rappresaglie che costituivano la vita quotidiana dell’Italia tra il ’43 e il ’45.
Caddero inermi ed innocenti: abbattuti non solo dalla scarica assassina, ma dal disprezzo della vita, dalla voglia del sangue ricercato ad ogni costo, come allora era d’uso.


lunedì 21 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 21 giugno.
Il 21 giugno 1970 a Città del Messico si disputa la finale dei mondiali di calcio, tra Italia e Brasile.
Rispettando il principio di alternanza in voga sin dalle prime edizioni, la FIFA decise di affidare alla nazione centroamericana l'organizzazione dell'evento. Fu il primo campionato mondiale di calcio a disputarsi in altura, ad un'altezza di all'incirca 2000 metri dal livello del mare e la logica conseguenza fu che la violenza e l'agonismo, che avevano caratterizzato il precedente torneo inglese del 1966, cedettero il posto alla tecnica e a una condotta di gara accorta. Di ciò si avvantaggiarono proprio le squadre sudamericane, che presentavano un gioco più tecnico, con ritmi più sostenuti.
Ben 70 paesi si iscrissero alla manifestazione tramite le qualificazioni e le sedici squadre che parteciparono alla fase finale furono:
    Brasile
    Messico
    Italia
    Inghilterra
    Germania Ovest
    Uruguay
    URSS
    Svezia
    Cecoslovacchia
    Bulgaria
    Belgio
    Israele
    Perù
    El Salvador
    Romania
    Marocco
Tutte le squadre che avevano vinto, almeno una volta, la Coppa del Mondo quindi, parteciparono alla fase finale di Messico '70. La fase dei gironi si svolse con gli stessi criteri dell' edizione precendente, ma il regolamento aveva comunque introdotto importanti novità. Prima fra tutte, la possibilità per i CT di poter effettuare due cambi all'interno di una stessa partita (vedremo in seguito che la novità interessò da vicino la squadra italiana). Per la prima volta, ad opera del contestato arbitro Aston che aveva diretto la famosa Battaglia di Santiago otto anni prima, furono utilizzati cartellini colorati (giallo e rosso) per segnalare l'ammonizione o l'espulsione dei giocatori. La piu grande preoccupazione per le squadre partecipanti fu senza dubbio l'altitudine, erano temuti affanni e possibili malesseri dovuti alla rarefazione dell’aria. Molte nazionali fecero preparazioni specifiche, per presentarsi al torneo pronti ad affrontare qualsiasi evenienza. La Svezia realizzò cabine pressurizzate per assuefare i giocatori alle condizioni messicane. I cecoslovacchi si allenarono sui Pirenei, i bulgari sui duemila metri di Belkemen, la loro montagna, dove ospitarono i sovietici. Anche gli israeliani, per la prima volta al Mondiale, si prepararono ad alta quota: prima sul monte Hermon, poi ad Addis Abeba ed infine nel Colorado. Brasile e Inghilterra sostarono a lungo in Messico prima del campionato. Italia, Germania e Belgio non usarono accorgimenti particolari, ma anticiparono l’arrivo in Messico.
La Nazionale italiana arrivò nel paese del centro America con rinnovato vigore rispetto alle ultime edizioni dei Mondiali. L'Italia due anni prima, nel 1968, vinse il campionato europeo, tornando finalmente a conquistare un titolo internazionale, ed era speranzosa di poter proseguire nel campionato e riscattarsi delle magre figure delle edizioni precedenti. Ferruccio Valcareggi, allenatore degli Azzurri, poteva contare su una formazione di tutto rispetto, tra cui spiccavano i nomi di Dino Zoff, Gigi Riva, Roberto Boninsegna, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. E proprio questi due ultimi giocatori divennero presto un gran problema per il CT. Valcareggi si trovò di fronte ad una difficile scelta: chi, tra Sandro Mazzola e Gianni Rivera, avrebbe dovuto schierare in campo come titolare, al fianco di Gigi Riva. L'evoluzione naturale di Mazzola infatti (da centrocampista ad attaccante), l'aveva portato a divenire un doppione del Golden Boy Rivera, dal lancio meno geniale, ma dalla continuità nettamente superiore. Una possibile coesistenza, proposta dal CT, diveniva impossibile. Nessuno dei due era disposto a perdere il proprio ruolo e a giocare da ala, con la maglia numero 7. Valcareggi optò per la più celebre e discussa staffetta di tutti i tempi: Mazzola come titolare e Rivera in panchina, pronto ad entrare nel corso della partita.
Valcareggi, come anticipato, poteva contare su tanti campioni. Tra tutti da segnalare il grande talento di Gigi Riva. Ala sinistra o punta, di lui si ricorda soprattutto il fiuto del gol e la potenza di tiro del suo piede sinistro (il pallone superava spesso i 140 km all'ora). Era completamente mancino e in tutta la sua carriera calcistica segnò solo due gol col piede destro. Per la potenza del suo tiro, Gianni Brera lo soprannominò "Rombo di tuono". Non vinse mai il Pallone d'oro, ma ci arrivò molto vicino in due occasioni. Nel 1969 arrivò secondo alle spalle di Gianni Rivera per soli 4 punti e nel 1970 terzo, dietro Gerd Müller e Bobby Moore, che lo precedettero rispettivamente di 12 e 4 punti. Ad oggi con 35 gol in maglia azzurra, Gigi Riva è il miglior marcatore di tutti i tempi dell'Italia davanti a Meazza (33), Piola (30), Baggio e Del Piero (entrambi 27).
La Nazionale, con una vittoria contro la Svezia per 1-0 e due pareggi senza reti contro l'Uruguay e l'Israele, riuscì a superare la fase dei gironi ed accedere ai quarti, dove affrontò la squadra padrone di casa, il Messico. La nazionale messicana si portò in vantaggio col gol di Gonzales al 17' del primo tempo, a causa di un errore della difesa azzurra; al 25' Domenghini riportò la partita in pareggio. Solo nel secondo tempo l'Italia riuscì a metter fine all'incontro e a decretare la sua superiorità; prima con un gol di Riva al 63' e poi, 7 minuti più tardi, da Rivera, che era entrato in campo al posto di Mazzola. Ancora Gigi Riva chiuse definitavemente l'incontro al 76': 4-1, gli Azzurri ebbero accesso alla semifinale contro la Germania.
La semifinale Italia – Germania è ricordata da molti come la partita del secolo, la partita più avvincente ed entusiasmante di tutta la storia dei Mondiali. I tedeschi erano riusciti a battere l'Inghilterra nei quarti, col risultato finale di 3-2 e a riscattarsi, quindi, di quanto accadde solo 4 anni prima nella finale del Mondiale in Gran Bretagna. La Germania di Schoen, che si apprestava ad incontrare l'Italia, era una squadra fortissima sul piano atletico, un'avversaria molto difficile da affrontare e temuta da tutti. Le due formazioni vennero schierate al meglio.
    Italia: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva.
    Germania: Maier, Vogts, Patzke, Schnellinger, Schultz, Beckenbauer, Grabowski, Overath, Seeler, Mùller, Lohr.
Al 8' del primo tempo l'Italia si portò in vantaggio con rete di Boninsegna che segnò con un tiro preciso che si infilò alla destra di Maier. La gara era aperta; l'Italia sfiorò in un paio di occasioni il raddoppio ma anche la Germania ebbe le sue occasioni per pareggiare. Nel secondo tempo Mazzola uscì per far posto a Rivera, la formazione italiana perse consistenza a centrocampo, mentre l'iniziativa dei tedeschi si faceva sempre più pressante. Al 90' accadde l'inevitabile: gol di Schnellinger e partita ai tempi supplementari. Furono i 30 minuti più intensi di tutta la storia del calcio, i giocatori erano fisicamente stremati, ma spinti da un'incredibile voglia di vincere. Al 94' Gerd Muller portò in vantaggio i tedeschi e per gli Azzurri sembrava finita. Era invece solo l'inizio dei fuochi d'artificio. Quanche minuto dopo infatti, Burgnich ristabilì inaspettatamente l'equilibrio e 5 minuti più tardi Gigi Riva segnò la rete del vantaggio azzurro. La rete di Riva, forse la più bella della partita, non fu sufficiente a decretare la fine dell'incontro. Al 109', ancora Muller segnò la rete del 3-3. Ma un minuto dopo, al minuto 110, dopo una prolungata azione sulla sinistra, Boninsegna superò gli sbarramenti difensivi dei tedeschi e servì al centro per Rivera; il Golden Boy con un colpo calibrato mise la palla alle spalle del portiere tedesco Maier, spiazzandolo. 4-3 per l'Italia e mezza nazione col cuore in gola. Gli ultimi dieci minuti dei supplementari furono intensissimi, ma la partita si concluse con la storica vittoria della Nazionale. Fu, come detto, una partita memorabile. Come ricordo per le generazioni future la federazione messicana appose addirittura una targa commemorativa che ancora oggi si trova all'interno dello stadio Azteca (Città del Messico), teatro di quella epica partita.
L'Italia, dopo ben 32 anni, arrivò in finale, dove trovò il fortissimo Brasile di Pelè. In questa partita si designava il Paese che avrebbe conquistato definitivamente la Coppa Jules Rimet che, come da regolamento, sarebbe entrata in possesso della nazionale vincitrice, per 3 volte, del titolo mondiale. Sia il Brasile che l'Italia erano candidate alla vittoria definitiva della Coppa in quanto entrambe, prima della finalissima in Messico, avevano conquistato il trofeo per ben due volte ciascuna. Si affrontavano per certi versi, le scuole calcistiche più forti e vincenti di sempre. La Nazionale arrivò alla partita finale allo stremo delle forze. I giocatori erano provati fisicamente dall'intensissima semifinale giocata qualche giorno prima contro la Germania e impostarono una partita soprattutto difensiva. L'incontro fu dominato dal Brasile, di netta superiorità fisica ed atletica. Al 18' Pelè, con un'elevazione quasi irreale, mise la palla alla spalle di Albertosi con colpo di testa. Gol bellissimo e Brasile in vantaggio. L'Italia reagì al 37' quando Boninsegna, grazie ad un errore di Everaldo, segnò il gol del pareggio azzurro. Poteva essere l'inizio della rimonta ma si rivelò un episodio sporadico. Il secondo tempo fu un tripudio verdeoro. La formazione brasiliana, forse la squadra più forte di tutti i tempi guidata in campo da Pelè, andò in rete per ben tre volte. Al 65' segno' Gerson, con un bellissimo tiro dai sedici metri. Al 70' Jairzinho firmà il terzo gol. All' 86 Carlos Alberto segnò la rete del 4-1 finale su assist di Pelè, nell'azione più bella di tutto il match. Il Brasile fu per la terza volta Campione del Mondo ed entrò definitivamente in possesso del trofeo Jules Rimet. Gli Azzurri tornarono in patria accolti da numerose polemiche e dalla forte delusione dei tifosi. Valcareggi era messo sott'accusa per non aver rispettato nella finalissima la famosa staffetta Mazzola – Rivera, schierando in campo il talento del Milan solo a 6' dalla fine. A distanza di anni si può invece dire che gli Azzurri raggiunsero un risultato importante e inaspettato, considerando le condizioni ambientali messicane difficili e, soprattutto, la forza del Brasile del 1970, una delle nazionali più forti di ogni epoca.

domenica 20 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 20 giugno.
Il 20 giugno 1946 apre a Parigi il locale "Lido".
D'origine italiana, i fratelli Jean e Joseph Clerico, ripresero nel 1946 "La plage de Paris": un locale situato sugli Champs-Élysées, molto frequentato durante il periodo della Belle époque e la cui decorazione si ispirava a Venezia e alla sua celebre spiaggia del Lido.
I fratelli Clerico trasformarono completamente il locale per farne un cabaret, unico al mondo, la cui inaugurazione avvenne il 20 giugno del 1946 con uno spettacolo intitolato "sans rimes ni raison".
Con la collaborazione di Pierre-Louis Guérine e poi di Renée Fraday e Miss Bluebell (Margaret Kelly), il Lido inventò la formula "cena-spettacolo" che sarà copiata in tutto il mondo.
Tra i tanti personaggi famosi che vi si sono esibiti ricordiamo Stanlio e Olio, le Sorelle Kessler e Shirley MacLaine. Nel 1977, il cabaret, vittima del suo successo, dovette ingrandirsi.
Il prestigioso locale parigino si stabilì, sempre sugli Champs-Élysées, nell'edificio Normandie su una superficie di più di 6 000 m² di superficie.
Una sala panoramica che accoglie circa 1150 posti, é stata realizzata dagli architetti italiani Giorgio Vecchia e Franco Bartoccini.
Il Lido presenta oggi un'immensa sala di 2000 m2 dalla visibilità perfetta e una decorazione sontuosa che sa trasmettere una sensazione di grandiosità ed eleganza.
Uno spettacolo al Lido significa 42 Bluebell Girls e 16 Lido Boys che si muovono sul palcoscenico e nelle quinte, 24 vestiariste che facilitano i 20/30 cambi di costume alcuni dei quali si effettuano in meno di un minuto...
Significa anche 12 sarte che si occupano dei 600 costumi e 30 tecnici che si affaccendano ogni giorno, senza dimenticare la regia che dalla sua cabina sorveglia sia la sala che il palcoscenico per intervenire in qualsiasi momento.

sabato 19 giugno 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 19 giugno.
Il 19 giugno 1996 una terribile alluvione devasta la Versilia e la Garfagnana, provocando 14 morti.
Aveva fatto molto caldo in quell'inizio di giugno 1996, e ancora la sera del 18 giugno 1996 nulla faceva solo lontanamente pensare a quello che sarebbe accaduto il giorno seguente sulle Alpi Apuane. Fu anzi per molti una sorpresa svegliarsi con il brontolio dei tuoni in lontananza in una mattina calda e umida, il 19 giugno.
L'area interessata all'alluvione fu quella del bacino idrografico del fiume Versilia, sul versante occidentale delle Alpi Apuane. La parte montana di tale bacino è costituita dai sottobacini dei torrenti Serra e Vezza, interamente in provincia di Lucca. Presso Seravezza i due torrenti confluiscono in un unico corso d'acqua che prende il nome di fiume Versilia. Esso sfocia in mare presso la località Cinquale, situata tra Forte dei Marmi e Montignoso, in provincia di Massa Carrara. Tra Querceta ed il mare, a valle di Seravezza, il Versilia riceve anche piccoli affluenti dalla provincia di Massa Carrara (Montignoso, Bonazzera e Rio di Strettoia).
La superficie totale del bacino del Versilia e dei sottobacini dei relativi affluenti è di circa 98 chilometri quadrati. L'evento ha interessato anche la parte contigua del bacino del fiume Camaiore, posto a sud e rientrante nel comprensorio del bacino del Serchio. Interessata dall''evento, sul versante orientale delle Alpi Apuane, in Garfagnana, anche l'alta valle del torrente Turrite di Gallicano, affluente di destra del fiume Serchio.
La pioggia intensa ha cominciato a battere sulla zona alle ore 5.00 antimeridiane di mercoledì 19 giugno. Il bollettino meteorologico diffuso il mattino del 18 giugno dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare e valido fino alle ore 7,00 del giorno 19 prevedeva, per la costa Tirrenica, condizioni di cielo generalmente sereno o poco nuvoloso, con possibili addensamenti pomeridiani nelle zone interne. Parimenti il bollettino diffuso il mattino del 19 e valido fino alle ore 7,00 del giorno 20, prevedeva, sempre per la medesima area, cielo poco nuvoloso, indicando la possibilità di precipitazioni temporalesche sulle regioni nord-orientali, con particolare riguardo al settore alpino o prealpino.
L'evento in questione, che ha interessato una superficie estremamente ridotta, è stato causato da una brusca accelerazione dell'attività termoconvettiva, e la sua ridottissima estensione superficiale non ne ha consentito la previsione. Non si è trattato, infatti, di una perturbazione ordinaria, visibile con gli strumenti di controllo satellitare e quindi prevedibile nella sua evoluzione. Il dato fornito dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, peraltro, è stato confrontato, presso il Dipartimento della Protezione Civile, con le informazioni provenienti dai servizi meteorologici delle Regioni che ne sono dotate. Queste informazioni, va ribadito, non riguardano solo il fattore meteorologico in senso stretto ma, essendo il più delle volte finalizzate alle esigenze dei servizi relativi all'agricoltura, si concentrano sull'elaborazione di una previsione della precipitazione a terra.
Sono disponibili diversi metodi di elaborazione di questi dati, e la consultazione di tutte le fonti conosciute consente alla protezione civile di disporre e confrontare tra loro diverse ipotesi e diverse informazioni per poter poi elaborare una valutazione quanto più approfondita possibile. Questa innovazione è stata introdotta a seguito della disastrosa alluvione del novembre 1994, al fine di poter disporre, per le esigenze della protezione civile, del maggior numero possibile di informazioni provenienti da tutte le fonti scientificamente valide. Questo meccanismo, va evidenziato, ha consentito, nel corso dell'anno appena trascorso, una puntuale previsione dei fenomeni più rilevanti, con la conseguente emanazione di dettagliati avvisi ai quali ha fatto seguito l'attivazione tempestiva del meccanismo preventivo e di quello dei soccorsi.
Il giorno 18 il Servizio Meteorologico della Regione Toscana prevedeva, fino al mattino del 19, cielo poco nuvoloso con possibilità di piogge occasionali di debole intensità. Il Servizio Meteorologico della Regione Emilia Romagna, espressamente incentrato sulla previsione della precipitazione a terra che elabora in apposite cartine, prevedeva nell'area, analogamente, piogge estremamente ridotte nell'arco delle 6 ore (da 5 a 10 millimetri). Il giorno 18, quindi, non sono stati riscontrati elementi che potessero far prevedere il verificarsi dell'evento. L'esame delle immagini trasmesse dal satellite Meteosat, peraltro, confermano che l'addensamento eccezionale e concentrato sul bacino del Versilia è avvenuto repentinamente a partire dalle ore 3 della mattina del 19, degenerando successivamente con una velocità non comune.
Non si è trattato, dunque, di un difetto di questo o quel sistema di previsione, poiché la particolarmente repentina concentrazione delle nubi su un'estensione territoriale estremamente ridotta lo hanno reso - nei fatti ed allo stato attuale delle conoscenze scientifiche in materia - non prevedibile. Non da un solo servizio, ma da tutti quelli consultati dalla protezione civile, il 18 giugno (come tutti i giorni dell'anno). La consultazione va ribadito, riguarda i servizi regionali qualificati in materia.
La non previsione dell'evento non aveva suggerito alcun tipo di allerta preventivo, ma la macchina dei soccorsi si mise ugualmente in moto con buona tempestività.
Già intorno alle 8 erano state segnalate le prime frane nei comuni di Stazzema (in particolare intorno a Pomezzana) e Camaiore, con relativi interventi dei Vigili del Fuoco, ma la situazione globale era sotto controllo, malgrado il notevole innalzamento del livello della Fossa dell'Abate, che divide Viareggio da Lido di Camaiore, indicasse anche a chi era sulla costa l'intensità delle precipitazioni cadute nell'interno.
Alle 11.25 la Prefettura di Massa Carrara informò che era in corso una riunione operativa presso il Comune di Montignoso, con Vigili del Fuoco, Polizia e Genio Civile, per elaborare misure atte a fronteggiare le eventuali situazioni di rischio nella zona della foce, connesse con l'arrivo dell'onda di piena del fiume Versilia. Alle 11.30 la Prefettura di Lucca confermava la situazione di massima allerta. Erano segnalati allagamenti nel comune di Camaiore e frane che avevano isolato alcune frazioni del comune di Stazzema. Già si parlava di dispersi, a causa del crollo di alcuni edifici, travolti dalle acque o coinvolti in cedimenti del terreno.
Alle 11.30 il fiume Versilia non risultava ancora interessato dall'onda di piena (il dato dell'idrometro di Ponte di Tavole alle ore 11.00 segnalava un modestissimo innalzamento). In zona aveva piovuto poco, il cumulato del telepluviometro di Ponte di Tavole fu di soli 21 millimetri nelle 13 ore dell'evento. La riunione di Montignoso si chiuse comunque con la decisione di effettuare un monitoraggio accurato del fiume, con particolare attenzione ai ponti per evitare la loro ostruzione.
Tra le 11 e le 12 si registrò un arresto delle precipitazioni, ma la pioggia riprese intensa dopo le 12. Alle 12.30 l'idrometro di Ponte di Tavole segnalava 2,74 metri (il livello normale è tra 50 e 90 centimetri), quello di Seravezza 2,09 metri (livello normale tra 30 e 40 centimetri).
Alle 13.00 la Prefettura di Massa Carrara informò di piccole tracimazioni del fiume in zone non abitate (a parte una costruzione) e comunicò di aver disposto l'evacuazione solo delle abitazioni ad un piano prossime al fiume. La Prefettura comunicò pure che il dato dell'idrometro di Seravezza era in calo.
Alle 13.50 l'Ufficio Idrografico e Mareografico di Pisa informò che i livelli erano in calo sia a monte che a valle e che se non ricominciava a piovere non avrebbero dovuto verificarsi gravi rischi. Ma le bombe d'acqua, tronchi e sassi si erano accumulate (anche se la macchina dei soccorsi non lo sapeva) nei bacini effimeri creati dalla frane nei canali Deglio, Versiglia e Capriola e a quell'ora erano già "esplose" su Cardoso.
Diversi abitanti che lavoravano a valle ma avevano loro cari a Cardoso ebbero notizie intorno alle 13 dell'eccezionale precipitazione in atto e dei boati che venivano dalla montagna, dove si susseguivano le frane. Alcuni decisero di abbandonare le loro attività per risalire verso il paese ma non vi riuscirono, perdendo poi anche il contatto con le loro famiglie, vuoi per le linee telefoniche "saltate", vuoi, purtroppo, perché le loro case nel frattempo erano state raggiunte dall'onda di piena. La tragica realtà di Cardoso apparve in tutta la sua gravità solo molte ore dopo che la tragedia era avvenuta.
Alle ore 14 il sottosegretario alla Protezione Civile, professor Franco Barberi, dopo essere stato informato del dato eccezionale del telepluviometro di Pomezzana (440 millimetri dalle 4 del mattino alle 12.15 con una punta di 157 millimetri in un'ora), allertò il Prefetto di Lucca e contattò il Segretario Generale dell'Autorità di Bacino del Serchio, disponendo che eseguissero insieme un sorvolo in elicottero sul bacino. Nonostante le condizioni meteorologiche sfavorevoli il sorvolo venne effettuato con un elicottero dei Carabinieri e si ebbe il primo riscontro della gravità degli eventi in Versilia.
Da diverse ore erano già all'opera squadre dei Vigili del Fuoco, confluite anche da altre province, della Polizia e dei Carabinieri.
Alle 15.30 Barberi informò la I Commissione del Senato che era in corso una grave emergenza nella provincia di Lucca. Alle 15.39 il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri informò che le frazioni montane di Stazzema erano isolate e raggiungibili solo con mezzi speciali. Appresa la notizia venne disposto l'allertamento dello Stato Maggiore della Difesa per eventuali concorsi su richiesta delle prefetture di Lucca e Massa Carrara.
Alle 16.01 venne segnalata dai Carabinieri e dalle Ferrovie dello Stato l'interruzione della statale 1 Aurelia e della linea ferroviaria Pisa-Genova, per l'esondazione del fiume Versilia. Quando a Viareggio giunse notizia di questi eventi, la prima reazione, vista la quasi assenza di precipitazioni presso la costa, fu di generale incredulità. Quel nero costantemente presente verso i monti faceva capire che in alta Versilia pioveva, ma nessuno poteva immaginare l'entità delle precipitazioni in atto.
Alle 16.35 la Prefettura di Lucca informò che nella frazione Fornovolasco, comune di Vergemoli, era esondata la Turrite, causando gravissimi danni nell'abitato e la morte di una persona.
Nel frattempo, verso le 15, il Dipartimento della Protezione Civile aveva disposto l'invio in elicottero nelle zone colpite di un nucleo di tecnici specializzati nella gestione delle emergenze per assolvere le funzioni di ufficiali di collegamento con le aree danneggiate, chiedendo al Presidente del Comitato Nazionale per il Volontariato di disporre l'immediato invio in zona di gruppi specializzati. Venne convocato, presso il Dipartimento della Protezione Civile, il comitato operativo della Protezione Civile che da quel momento operò in seduta permanente. Erano presenti in esso rappresentanti del Ministero dell'interno, dei Vigili del Fuoco, delle Forze Armate, del servizio Idrografico e Mareografico Nazionale, di Enel, Anas e Telecom.
Il Comitato, presieduto da Barberi, si tenne, quella sera e poi per tutti i giorni dell'emergenza, in continuo contatto anche con la Prefettura di Lucca, dove era attivo il Centro Coordinamento Soccorsi provinciale, e con il Comune di Seravezza, dove fu costituito, in località Marzocchino, un Centro Operativo Misto (COM) sotto la responsabilità del Sindaco di Seravezza, Lorenzo Alessandrini. Un secondo COM, per la Garfagnana, operò a Gallicano.
La mattina del giorno 20 risultavano isolate le seguenti località: Fornovolasco, Cardoso, Pruno, Volegno, Pomezzana, Ponte Stazzemese, Levigliani, Gallena, Palagnana, Mulina di Stazzema, Ruosina, Cerreta S. Antonio. L'onda di piena fuoriuscita dalla rottura dell'argine aveva allagato, con gravi danni, molte aree nei comuni di Pietrasanta e Forte dei Marmi. Venivano segnalate le prime persone disperse. La tragedia era ormai compiuta, anche se non era ancora chiara nella sua entità.
Alla fine, 14 persone perirono nell'alluvione.


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