Buongiorno, oggi è il 18 ottobre.
Il 18 ottobre 202 a.C. si svolse, nei pressi di Zama, la battaglia che di fatto pose fine alla seconda guerra punica, tra Publio Cornelio Scipione ed Annibale.
Scipione poteva contare per la fanteria su 23.000 uomini tra Romani e Italici più 6.000 Numidi. La cavalleria poteva contare 2.400 tra Romani e Italici, 4.000 Numidi e 600 Berberi. Non era in superiorità numerica ma disponeva di una cavalleria superiore, i cavalieri numidi di Massinissa, che erano stati spesso decisivi a sostegno di Annibale in Italia, e un reparto di 300 cavalieri romani, particolarmente addestrati e molto ben equipaggiati, che Scipione aveva addestrato in Sicilia.
Annibale poteva contare sui 15.000 veterani d'Italia, molti dei quali Italici o Spagnoli, 15.000 fanti Libi e Cartaginesi, recentemente levati dal senato cartaginese e di dubbia utilità sul campo, 12.000 mercenari tra Liguri, Celti, Balearici e Mauritani più 4.000 Macedoni. La cavalleria contava 2.000 cartaginesi e 2.000 numidi. A questi si aggiungevano 80 elefanti africani delle foreste, più piccoli di quelli delle savane, ma comunque pericolosi.
I due eserciti si schierarono in una vasta piana priva d’impedimenti, luogo ideale per lo svolgimento di una grande battaglia campale.
Annibale schierò il suo esercito su tre linee, tenendo in considerazione la qualità delle sue truppe. Davanti all'esercito erano schierati gli elefanti da guerra nella speranza di mettere in disordine le prime linee della fanteria romana. In prima linea i vari nuclei di mercenari o alleati italici, galli e liguri, molti di questi erano sempre stati travolti dai legionari e avevano seguito a malincuore il condottiero cartaginese, ormai stanchi della guerra. A questi Annibale sapeva che poteva chiedere soltanto un impeto iniziale che si sommasse a quello degli elefanti, non certo una resistenza ad oltranza. La seconda fila, a poca distanza dalla prima, era formata dalle reclute africane, cioè da quei contingenti frettolosamente arruolati da Cartagine per fronteggiare l’invasione romana. Anche da questi non ci si poteva attendere molto, privi di esperienza e addestramento adeguati, erano in grado di affrontare i romani solo dopo l’intervento di elefanti e mercenari. In terza fila, distante oltre uno stadio dalle prime due (circa 178 metri), Annibale aveva tenuto i suoi veterani d'Italia pronti a intervenire anche con manovre tattiche più complesse e magari sferrare il colpo decisivo. Sulle ali la cavalleria, su cui Annibale non faceva molto affidamento se non quello di riuscire a neutralizzare e bloccare la cavalleria romana, superiore in numero e addestramento. Quindi uno schieramento differenziato tra le truppe opportunamente studiato, elefanti e mercenari costituiranno la prime due ondate in successione, le reclute africane costituiranno un sostegno e un rincalzo, in riserva i veterani per scontrarsi contro le forze romane ormai logore.
Anche Scipione aveva schierato le sue forze su tre linee, come di consueto. Ma, invece di alternare i manipoli nella solita formazione a scacchiera, dispose i manipoli in colonna per creare delle "corsie" di scorrimento in cui far incanalare il prevedibile attacco degli elefanti. Perciò in prima linea pose i manipoli degli hastati, coi velites che mascheravano gli intervalli delle "corsie" e a fare da esca: sarebbero stati loro ad assorbire il primo impatto con gli elefanti, avevano l’ordine di spostarsi quando gli elefanti fossero arrivati quasi a contatto con la fanteria lasciando così aperti i varchi e consentendo ai pachidermi di infilarsi nelle “corsie” per essere bersagliati anche ai fianchi. In seconda linea erano piazzati i manipoli dei principes, mentre quelli dei triarii, secondo la tradizione, erano di riserva in terza linea. La cavalleria romana di Caio Lelio era sulla sinistra mentre sulla destra stava la cavalleria numidica di Massinissa. Inoltre, tra le prime file dispose parecchi uomini con strumenti a percussione e trombe che avevano il compito di far rumore per spaventare gli elefanti.
La battaglia, come aveva previsto Scipione, fu aperta dalla carica degli elefanti da guerra cartaginesi.
I pachidermi però, sconvolti dal fitto lancio di giavellotti dei velites e spaventati dai suoni provenienti dalle fila romane, furono in parte ricacciati indietro e, scivolando sui fianchi delle fanterie cartaginesi, andarono a disordinare le ali di cavalleria. Vedendo la difficoltà delle ali di cavalleria cartaginesi, Caio Lelio e Massinissa ne approfittano attaccandole e, dopo una breve mischia, entrambi i contingenti della cavalleria di Annibale furono messi in fuga inseguiti da vicino dai cavalieri nemici. Gli altri elefanti ebbero più successo ma furono incanalati negli spazi lasciati dai manipoli, dove passarono senza procurare grossi danni per hastati, principes e triarii, solo i velites pagarono un prezzo pesante, messo comunque in conto da Scipione che ha ottenuto quello che voleva: la sua linea è rimasta ordinata, gli hastati sono integri e i principes non sono stati coinvolti.
A questo punto le fanterie avanzarono e vennero a contatto, tranne i veterani cartaginesi che mantennero la posizione.
Lo scontro fu molto violento e ne nacque una mischia confusa con grandi varchi che si aprivano nella formazione dei mercenari laddove alcuni si diedero alla fuga, inoltre, la linea delle reclute africane non intervenne subito a sostegno perché il fronte era occupato dai fuggitivi ai quali fu impedito di passare per non disordinare i ranghi. Appena ebbero il fronte sufficientemente libero alcuni reparti di reclute si unirono alla mischia entrando in contatto per primi con gli hastati che avevano lasciato la posizione gettandosi all'inseguimento dei fuggiaschi. Fu necessario il supporto dei principes nei punti in cui gli hastati non avevano recuperato la posizione. Nel disordine creatosi, i romani, meglio addestrati e armati, riescono a prevalere. Le prime due file cartaginesi, ora mischiate, cominciano a ripiegare abbandonando la linea di combattimento, alcuni fuggono.
Annibale riesce a riprendere il controllo di alcune unità di reclute e mercenari e le riorganizza ai lati dei veterani, cercando così di allargare il fronte per aggirare il fianco romano. Scipione, invece, riorganizzati gli hastati che già si erano gettati all'inseguimento dei fuggitivi, fece compiere ai suoi legionari il movimento sui fianchi, già utilizzato con successo in precedenza, ma questa volta solo per estendere da entrambi i lati il fronte degli hastati non per aggirare il nemico. Il fronte romano risultò così pari o di poco superiore a quello cartaginese ma con principes e triarii, finora poco impegnati, che si trovano a combattere sulle ali contro forze più stanche, anche se gli hastati, impegnati finora nello scontro, dovevano ora vedersela con i veterani cartaginesi ancora freschi.
Il combattimento tra le fanterie riprese e sembrava dovesse continuare ancora a lungo, con esito incerto, ma le cavallerie romane, che avevano ormai disperso i cavalieri nemici, fecero ritorno sul campo di battaglia attaccando alle spalle le truppe di Annibale. Queste, pressate da vicino dalla cavalleria romana, si diedero ben presto alla fuga. Come succedeva sempre nelle guerre dell'antichità, finita la battaglia iniziava I'inseguimento e con esso il massacro. Annibale riuscì a fuggire verso Cartagine ma aveva lasciato sul campo almeno 20.000 caduti e 10.000 prigionieri. Le perdite romane assommarono a un massimo di 4.000 uomini, metà dei quali numidi. Scipione aveva avuto la battaglia campale che cercava e con la vittoria aveva posto fine allo scontro mortale tra Roma e Cartagine.
La vittoria decisiva nella battaglia di Zama pose fine alla seconda guerra punica (219-202 a.C.) e sancì, di fatto, la fine della potenza cartaginese nel Mediterraneo. Cartagine, la grande città di origine fenicia che col suo impero commerciale per sessant'anni aveva conteso a Roma il predominio sul Mediterraneo occidentale, era battuta. Roma costrinse la città rivale a una pace umiliante. Un trattato pesantissimo imponeva di smantellare completamente la flotta da guerra, solo poche decine di navi, infatti, erano consentite alla marina cartaginese dalle clausole del trattato; tutte le colonie cartaginesi in Spagna passavano sotto il controllo romano; la stessa politica estera di Cartagine doveva conformarsi a quella romana e la obbligava al pagamento di un pesantissimo tributo che per cinquant'anni avrebbe gravato sulla sua economia.
Mezzo secolo dopo ci sarebbe stata una terza guerra punica, culminata con la distruzione di Cartagine, ma si trattò più di una vendetta postuma da parte di Roma che di una conseguenza di un risorto pericolo cartaginese, che dopo Zama era definitivamente tramontato.
Per paura della vendetta romana la città costrinse Annibale, il suo più grande figlio, ad andare in esilio presso il re di Siria Antioco III; dopo la sconfitta di quest'ultimo contro i Romani in Bitinia, Annibale si avvelenò per non essere consegnato a Roma. La sconfitta di Cartagine costituisce il primo elemento nella costruzione di quell'egemonia romana che in qualche modo ancora segna la civiltà del nostro continente.
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