Buongiorno, oggi è il 31 gennaio.
Il 31 gennaio 1797 a Lichtental, piccolo sobborgo di Vienna nacque Franz Schubert.
Il piccolo Franz si rivelò molto portato ad apprendere la musica e fu mandato a lezione di canto, organo, pianoforte ed armonia presso l'organista della parrocchia, Michael Holzer .
Nel 1808, a undici anni, lasciò la famiglia per l’Imperialregio Convitto (Stadtkonvikt) e accolto nella Cappella Reale come cantore, per la sua voce caratterizzata da un angelico timbro da soprano.
Duranti i cinque anni nel Convitto, Schubert scrisse le sue prime composizioni: una “Fantasia per pianoforte” ed alcuni “Lieder“. Nel comporre non si serviva del pianoforte, ma scriveva la musica come se scrivesse parole, facendo pochissime correzioni e, come esecutore al pianoforte, rivelava una grande dolcezza nel modo di sfiorare i tasti, producendo un suono chiaro e pulito.
La passione di Schubert per la musica sottraeva troppo tempo allo studio delle altre materie, ragion per cui nacquero aspri conflitti con il padre, finchè, nel 1814 il giovane Franz ritornò in famiglia dove assunse l’incarico di Assistente nella scuola diretta da suo padre.
Nel maggio del 1814 Schubert assistette alla rappresentazione del “Fidelio” e, sull’onda dall'entusiasmo che seguì alla visione dell’opera di Beethoven, scrisse una “Messa“, che fu eseguita nella parrocchia di Lichtental. Fu un buon successo, che Schubert visse doppiamente, essendo innamorato di Therese Grob, il soprano solista. Dieci giorni dopo, nella prestigiosa Chiesa degli Agostiniani, nel centro della Città Vecchia, andò in scena una versione perfezionata dell'opera, ormai definitivamente intitolata “Messa in Fa maggiore“ In quei dieci giorni Schubert compose anche il famoso lieder “Margherita e l'Arcolaio“(Gretchen am Spinnrade).
Schubert lavorava indefessamente alla sua musica, nel 1815 aveva già composto 4 Opere, 150 Lieder per voce e pianoforte, 2 Sinfonie, 2 Sonate pianistiche, 2 Messe, un Quartetto per Archi, e, l'anno dopo altri 100 Lieder, le Sinfonie n° 4 e n° 5 e la “Messa n° 4“.
Per assicurarsi uno stipendio sufficiente Franz rispose al bando di concorso per insegnante alla scuola tedesca di Lubiana, ma, malgrado l'autorevole raccomandazione di Salieri, Schubert non superò l'esame.
Nel 1816 Franz Schubert abbandonò il lavoro da assistente scolastico, privandosi dell'unica fonte sicura di guadagno perché era pressoché sconosciuto al pubblico, anche se aveva scritto circa 500 composizioni, il suo nome non compariva nelle "hit parade" del tempo e gli editori musicali ne ignoravano completamente l'esistenza.
Nel 1818 alcuni suoi lavori vennero eseguiti in pubblico e recensiti sull'autorevole "Wiener allgemeine theater zeitung". I toni del recensore erano entusiastici e chiedevano a viva voce che il pubblico dedicasse maggior attenzione alla musica di Schubert, il quale per andare avanti, era comunque costretto a insegnare presso l'Istituto Scolastico di Rossau dal quale presto si dimise per dedicarsi alle lezioni private di musica.
Schubert, assiduo frequentatore dei caffè e dei luoghi più alla moda nella Vienna dei primi anni del secolo XIX, grazie a una sorta di mecenatismo borghese, visse la condizione del compositore esclusivamente dedito alla propria arte e sciolto da qualsiasi servizio. La piccola comunità di familiari e amici provvedeva a lui in cambio della musica che egli donava loro, come unica attività conservò le lezioni di musica alle contessine Maria e Carolina Esterhàzy, occupazione che gli garantivano l’acceso ai migliori salotti di Vienna.
Nel 1820, andò in scena, al Teatro di Porta Carinzia, l'atto unico “I fratelli gemelli” con il famoso baritono Michael Vogl nel ruolo principale ed il pubblico cominciò a notarlo. Ma insieme al successo venne anche la notizia del matrimonio di Therese Grob, la soprano di cui Schubert era innamorato.
Nel 1821, con un vero atto di mecenatismo, degli amici di Franz Schubert, uniti in un Consorzio Editoriale, diedero alle stampe sette quaderni contenenti circa venti suoi lieder.
Accanto ai Lieder uscirono le sue prime composizioni per pianoforte, tra cui 36 valzer e le Variazioni op.10, dedicate a Beethoven.
Nel 1822, stimolato da un ambiente musicale particolarmente vivo, qual era Vienna in quegli anni, Schubert compose alcuni tra i suoi capolavori: la “Messa in La bemolle“, il quintetto per pianoforte “La trota“, le sinfonie “Quinta“, “Sesta“, “Settima” e “Ottava“ (quest'ultima conosciuta con il nome di “Incompiuta“), il Lied “La morte e la Fanciulla“.
Nel 1823, a poco più di venticinque anni, Schubert era finalmente abbastanza noto nella capitale. Ma la sua fama subiva un notevole freno dal suo aspetto fisico, che lo faceva somigliare a un contadino bavarese e che lo penalizzava nell'alta società del tempo.
Gli Amici lo chiamavano "schwammerl", cioè funghetto, a causa della grossa testa incassata nel piccolo corpo grasso ed il suo carattere inclinava verso una fondamentale malinconia .
L’amico Vogl, per risollevargli il morale, lo portò con se in vari viaggi e nel 1825, risalirono il Danubio e toccarono Steyr, Linz, Gmunden e Salisurgo. Le lunghe passeggiate restituirono a Schubert la spensieratezza di un tempo e, dei due tristi anni precedenti rimase solo la produzione musicale, intensa e coinvolgente di “Ottetto in fa maggiore”, del “Quartetto in fa minore“ e soprattutto del “Divertimento alla ungherese” che sono tra le musiche più belle composte da Schubert in quegli anni.
Dai primi mesi del 1826 la combriccola di amici del musicista inaugurò un ciclo di serate a base di balli e salsicce (Wurstelball). Cominciarono così le "schubertiadi", durante le quali la musica di Franz accompagnava strepitose abbuffate di ottimi wurstel.
La felicità di questi momenti, era però poca cosa, le Case Editrici gli pubblicavano solo Lieder, e ignorarono grandi opere alle quali Schubert teneva di più come il “Quartetto per archi in re minore” tratto dal Lied “La morte e la Fanciulla”, il “Quartetto in sol maggiore”, la “Sonata in sol maggiore per pianoforte” e il “Trio in si bemolle maggiore“.
Una serie di delusioni spinsero Schubert in gravi crisi depressive: perse il concorso per diventare Kappellmeister di Corte, appartenuto ad Antonio Salieri, perse il concorso da vicedirettore del Teatro di Porta Carinzia, la sua opera “Il conte di Gleichen” venne censurata e non riuscì a rappresentarla.
Nel 1827 pubblicò 24 Lieder con il titolo “Il viaggio d'inverno“ e nel 1828, scrisse ma non riuscì a pubblicare “Improvvisi” e “Momenti musicali al pianoforte“, “Fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani“, “Messa in mi bemolle” e “Sinfonia in do maggiore” che rimasero nei cassetti del musicista, e videro la luce decine di anni dopo la sua morte.
Franz Schubert morì a soli 31 anni, di febbre tifoide, il 19 novembre del 1828 e riposa nel cimitero viennese di Wharing a pochi metri di distanza da Beethoven che in vita tanto ammirò ma che non incontrò mai.
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venerdì 31 gennaio 2020
giovedì 30 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 30 gennaio.
La mattina del 30 gennaio 2002, un bambino di appena tre anni, Samuele Lorenzi, viene assassinato con 17 colpi di un misterioso oggetto contundente, sferratogli sulla testa, mentre per pochissimi minuti, otto al massimo, è rimasto da solo nella villetta di Montroz, frazione di Cogne, in Val d’Aosta. E’ lì che Samuele viveva assieme ai genitori - Stefano Lorenzi, perito elettrotecnico e Annamaria Franzoni, entrambi provenienti da famiglie abbienti, originarie del bolognese - ed il fratellino maggiore Davide.
A rinvenire il corpo ormai agonizzante del piccolo con il cranio sfondato è stata la mamma. Rapido quanto inutile l’intervento dei soccorsi: Samuele è già cerebralmente morto. Finirà di vivere, anche clinicamente, poco dopo, all’ospedale di Aosta.
Il delitto di Cogne si rivela subito un giallo. Un giallo con un solo sospettato. E’ fin da subito la mamma di Samuele, Annamaria Franzoni, a finire nel mirino degli inquirenti.
Ma l’inchiesta giudiziaria è delicata e si svolge - come sarebbe auspicabile le inchieste si svolgessero sempre - con grande, grandissima - per alcuni addirittura eccessiva - cautela.
Il procuratore di Aosta, Maria Del Santo Bonaudo ed il pubblico ministero, Stefania Cugge, ordinano ai carabinieri del RIS, lo speciale reparto di indagine scientifica dei carabinieri, un’infinità di perizie. Ma l’arma non si trova. E, oltretutto, il delitto manca di un movente.
Eppure non sembrano esserci altre piste da seguire, se non quella che porterà, il 13 marzo, ad arrestare la mamma di Samuele.
Annamaria Franzoni è stata l’ultima a vedere Samuele: poco dopo le 8.00 - dice la donna - era addormentato nel letto matrimoniale. Lei lo ha lasciato solo per pochi minuti, il tempo di accompagnare l’altro figlio, Davide, alla fermata dello scuolabus, distante appena un centinaio di metri da casa. Al ritorno la scoperta della tragedia.
Tra i primi ad intervenire in aiuto, un’amica di Annamaria, Ada Satragni, psichiatra, che presta i primi soccorsi a Samuele, inquinando - incosapevolmente, diranno i magistrati, ma irrimediabilmente - la scena del delitto.
Qualcuno può essersi introdotto nella villetta dei Lorenzi per uccidere Samuele? Magari per vendetta?
I tempi sembrano essere troppo ristretti. La porta dell’abitazione era stata chiusa dalla madre, anche se non a chiave. E poi nessuno in paese sembra avere motivi di odio verso i Lorenzi. I sospettati che mano a mano Annamaria Franzoni indicherà nel disperato tentivo di scagionarsi hanno tutti un alibi di ferro.
Alla fine - pur in assenza di prove - diversi indizi sembrano convergere verso la donna: il pigiama di lei trovato insanguinato, un paio di zoccoli - sempre di lei - con piccole tracce ematiche.
L’ipotesi inquisitoria è che Annamaria Franzoni abbia ucciso suo figlio in uno stato di alterazione mentale e che poi abbia rimosso il fatto. Ma per altri la donna è soltanto un’abile mentitrice.
Il mistero resta: alla base dell’omicidio c’è certamente la follia. Perché chiunque abbia massacrato un bambino di tre anni non può essere che un folle. Ma se è stata Annamaria il baratro della pazzia è ancora più grande.
Il 21 maggio 2008 la donna è stata condannata in Cassazione, con sentenza definitiva, a 16 anni di detenzione, ridotti a 13 per via dell’indulto. In primo grado, grazie al patteggiamento, era stata condannata a 30 anni. 16 anni di reclusione, invece, la sentenza del processo d’Appello. Il 22 maggio del 2008 si sono aperte per lei le porte del carcere bolognese della Dozza.
Nel novembre del 2008 una perizia psichiatrica - insistentemente sollecitata dalla stessa donna - ha confermato il rischio di reiterazione del reato, negandole la possibilità di incontrare i figli fuori dal carcere.
Il 26 gennaio 2009 la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per la donna per il reato di calunnia contro Ulisse Guichardaz, vicino di casa dei Lorenzi, e frode processuale, per aver sporto denuncia verso di lui come autore del delitto, sapendo di star accusando un innocente; il 19 aprile 2011 il tribunale di Torino l'ha condannata ad un'ulteriore pena di un anno e quattro mesi.
Il 26 giugno 2014, dopo appena 6 anni di detenzione, Annamaria Franzoni viene scarcerata: il via libera è stato dato a seguito di una perizia che escludeva categoricamente il rischio di recidiva. Già da tempo tuttavia godeva del beneficio del lavoro all'esterno, oltre a numerosi permessi premio che le consentivano di uscire periodicamente dal penitenziario per stare con la famiglia.
Annamaria ha estinto definitivamente la pena il 7 febbraio 2019.
La mattina del 30 gennaio 2002, un bambino di appena tre anni, Samuele Lorenzi, viene assassinato con 17 colpi di un misterioso oggetto contundente, sferratogli sulla testa, mentre per pochissimi minuti, otto al massimo, è rimasto da solo nella villetta di Montroz, frazione di Cogne, in Val d’Aosta. E’ lì che Samuele viveva assieme ai genitori - Stefano Lorenzi, perito elettrotecnico e Annamaria Franzoni, entrambi provenienti da famiglie abbienti, originarie del bolognese - ed il fratellino maggiore Davide.
A rinvenire il corpo ormai agonizzante del piccolo con il cranio sfondato è stata la mamma. Rapido quanto inutile l’intervento dei soccorsi: Samuele è già cerebralmente morto. Finirà di vivere, anche clinicamente, poco dopo, all’ospedale di Aosta.
Il delitto di Cogne si rivela subito un giallo. Un giallo con un solo sospettato. E’ fin da subito la mamma di Samuele, Annamaria Franzoni, a finire nel mirino degli inquirenti.
Ma l’inchiesta giudiziaria è delicata e si svolge - come sarebbe auspicabile le inchieste si svolgessero sempre - con grande, grandissima - per alcuni addirittura eccessiva - cautela.
Il procuratore di Aosta, Maria Del Santo Bonaudo ed il pubblico ministero, Stefania Cugge, ordinano ai carabinieri del RIS, lo speciale reparto di indagine scientifica dei carabinieri, un’infinità di perizie. Ma l’arma non si trova. E, oltretutto, il delitto manca di un movente.
Eppure non sembrano esserci altre piste da seguire, se non quella che porterà, il 13 marzo, ad arrestare la mamma di Samuele.
Annamaria Franzoni è stata l’ultima a vedere Samuele: poco dopo le 8.00 - dice la donna - era addormentato nel letto matrimoniale. Lei lo ha lasciato solo per pochi minuti, il tempo di accompagnare l’altro figlio, Davide, alla fermata dello scuolabus, distante appena un centinaio di metri da casa. Al ritorno la scoperta della tragedia.
Tra i primi ad intervenire in aiuto, un’amica di Annamaria, Ada Satragni, psichiatra, che presta i primi soccorsi a Samuele, inquinando - incosapevolmente, diranno i magistrati, ma irrimediabilmente - la scena del delitto.
Qualcuno può essersi introdotto nella villetta dei Lorenzi per uccidere Samuele? Magari per vendetta?
I tempi sembrano essere troppo ristretti. La porta dell’abitazione era stata chiusa dalla madre, anche se non a chiave. E poi nessuno in paese sembra avere motivi di odio verso i Lorenzi. I sospettati che mano a mano Annamaria Franzoni indicherà nel disperato tentivo di scagionarsi hanno tutti un alibi di ferro.
Alla fine - pur in assenza di prove - diversi indizi sembrano convergere verso la donna: il pigiama di lei trovato insanguinato, un paio di zoccoli - sempre di lei - con piccole tracce ematiche.
L’ipotesi inquisitoria è che Annamaria Franzoni abbia ucciso suo figlio in uno stato di alterazione mentale e che poi abbia rimosso il fatto. Ma per altri la donna è soltanto un’abile mentitrice.
Il mistero resta: alla base dell’omicidio c’è certamente la follia. Perché chiunque abbia massacrato un bambino di tre anni non può essere che un folle. Ma se è stata Annamaria il baratro della pazzia è ancora più grande.
Il 21 maggio 2008 la donna è stata condannata in Cassazione, con sentenza definitiva, a 16 anni di detenzione, ridotti a 13 per via dell’indulto. In primo grado, grazie al patteggiamento, era stata condannata a 30 anni. 16 anni di reclusione, invece, la sentenza del processo d’Appello. Il 22 maggio del 2008 si sono aperte per lei le porte del carcere bolognese della Dozza.
Nel novembre del 2008 una perizia psichiatrica - insistentemente sollecitata dalla stessa donna - ha confermato il rischio di reiterazione del reato, negandole la possibilità di incontrare i figli fuori dal carcere.
Il 26 gennaio 2009 la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per la donna per il reato di calunnia contro Ulisse Guichardaz, vicino di casa dei Lorenzi, e frode processuale, per aver sporto denuncia verso di lui come autore del delitto, sapendo di star accusando un innocente; il 19 aprile 2011 il tribunale di Torino l'ha condannata ad un'ulteriore pena di un anno e quattro mesi.
Il 26 giugno 2014, dopo appena 6 anni di detenzione, Annamaria Franzoni viene scarcerata: il via libera è stato dato a seguito di una perizia che escludeva categoricamente il rischio di recidiva. Già da tempo tuttavia godeva del beneficio del lavoro all'esterno, oltre a numerosi permessi premio che le consentivano di uscire periodicamente dal penitenziario per stare con la famiglia.
Annamaria ha estinto definitivamente la pena il 7 febbraio 2019.
mercoledì 29 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 29 gennaio
Il 29 gennaio 1990 inizia ad Anchorage, in Alaska, il processo a Joseph Hazelwood, capitano della Exxon Valdez, la superpetroliera che il 23 marzo dell'anno prima si incagliò in una scogliera nello stretto di Prince William, scaricando in mare quasi 41 milioni di litri di petrolio, e provocando uno tra i peggiori disastri ambientali di tutti i tempi.
Durante il processo il pubblico ministero tentò di convincere la giuria che il comandante fosse ubriaco al momento dell'impatto. Hazelwood stesso ammise di aver bevuto "due o tre vodka", il valore alcolico del suo sangue risultò essere 0,061. Tuttavia la difesa si appellò al fatto che il suo sangue fu prelevato quasi 10 ore dopo l'incidente, e l'Alaska è uno di quegli stati che non ritengono valido ai fini processuali un campione di sangue prelevato 3 ore dopo un incidente.
Hazelwoord fu scagionato dall'accusa di disastro colposo e condannato per negligenza, multato di 50000 dollari e condannato a 1000 ore di servizio per la comunità. La guardia costiera degli Stati Uniti gli sospese la licenza di comandante per nove mesi.
Successivamente il capitano non riuscì a trovare lavori a lungo termine come comandante di nave. Il college presso cui si era diplomato lo assunse come insegnante a bordo di una nave scuola 5 anni dopo l'incidente. Nel 97 iniziò a collaborare con lo studio legale che lo aveva difeso, come consulente marittimo. Le sue mille ore di servizio civile le trascorse ad Anchorage tra il 99 e il 2004, come spazzino per le strade e barista. Pagò i suoi 50000 dollari di multa nel 2002.
La Exxon Valdez fu recuperata dopo l'incidente, riparata, ribattezzata Sea River Mediterranean e riprese a navigare per i mari del mondo trasportando petrolio, fino al 2012 quando fu smantellata nel porto di Alang, in India.
Il 29 gennaio 1990 inizia ad Anchorage, in Alaska, il processo a Joseph Hazelwood, capitano della Exxon Valdez, la superpetroliera che il 23 marzo dell'anno prima si incagliò in una scogliera nello stretto di Prince William, scaricando in mare quasi 41 milioni di litri di petrolio, e provocando uno tra i peggiori disastri ambientali di tutti i tempi.
Durante il processo il pubblico ministero tentò di convincere la giuria che il comandante fosse ubriaco al momento dell'impatto. Hazelwood stesso ammise di aver bevuto "due o tre vodka", il valore alcolico del suo sangue risultò essere 0,061. Tuttavia la difesa si appellò al fatto che il suo sangue fu prelevato quasi 10 ore dopo l'incidente, e l'Alaska è uno di quegli stati che non ritengono valido ai fini processuali un campione di sangue prelevato 3 ore dopo un incidente.
Hazelwoord fu scagionato dall'accusa di disastro colposo e condannato per negligenza, multato di 50000 dollari e condannato a 1000 ore di servizio per la comunità. La guardia costiera degli Stati Uniti gli sospese la licenza di comandante per nove mesi.
Successivamente il capitano non riuscì a trovare lavori a lungo termine come comandante di nave. Il college presso cui si era diplomato lo assunse come insegnante a bordo di una nave scuola 5 anni dopo l'incidente. Nel 97 iniziò a collaborare con lo studio legale che lo aveva difeso, come consulente marittimo. Le sue mille ore di servizio civile le trascorse ad Anchorage tra il 99 e il 2004, come spazzino per le strade e barista. Pagò i suoi 50000 dollari di multa nel 2002.
La Exxon Valdez fu recuperata dopo l'incidente, riparata, ribattezzata Sea River Mediterranean e riprese a navigare per i mari del mondo trasportando petrolio, fino al 2012 quando fu smantellata nel porto di Alang, in India.
martedì 28 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 28 gennaio.
La mattina del 28 gennaio 1986 alle ore 11:39 della costa orientale degli Stati Uniti, lo Space Shuttle Challenger esplose dopo 73 secondi di volo (all'inizio della missione STS-51-L, la 25ª missione del programma STS e il 10º volo del Challenger) a causa di un guasto a una guarnizione, detta O-ring, nel segmento inferiore del razzo a propellente solido (Solid-fuel Rocket Booster, SRB) destro. La rottura della guarnizione provocò una fuoriuscita di fiamme dall'SRB che causarono un cedimento strutturale del serbatoio esterno (External Tank, ET) contenente idrogeno ed ossigeno liquidi. Alcune parti dell'orbiter come lo scomparto dell'equipaggio e molti altri frammenti furono recuperati dal fondo dell'oceano. Il lancio fu trasmesso in diretta TV, anche se molti telespettatori lo seguirono in differita nella giornata. Christa McAuliffe sarebbe dovuta essere la prima insegnante presente in un programma spaziale e gli studenti di tutto il mondo aspettarono la trasmissione televisiva per una sua lezione di scienze trasmessa dallo spazio. I voli nello spazio con equipaggio non ripresero prima di due anni, con il lancio dello Space Shuttle Discovery il 29 settembre 1988 e la sua missione di "Ritorno al volo" STS-26.
Il decollo seguì la normale sequenza di operazioni dello Shuttle: quando mancavano 6,6 secondi dal lancio si accesero i tre motori principali (SSME). Fino a quando non avviene il lancio vero e proprio, questi motori possono essere spenti in sicurezza e il lancio può essere annullato. Al momento del decollo (T=0), i tre motori erano accesi al 100% delle prestazioni e iniziarono ad aumentare fino al 104% sotto il controllo del computer. In quel momento i due razzi a combustibile solido vennero accesi e furono rimossi con cariche esplosive i blocchi che assicurano il veicolo alla rampa.
Una successiva analisi del video del lancio mostrò che nell'istante T+0.678 dal razzo a propellente solido di destra veniva emesso del fumo grigio scuro vicino al punto di aggancio del razzo al serbatoio esterno. L'ultima emissione di fumo avvenne a T+2.733 e questo venne visto fino all'istante T+3.375. Una saldatura tra due sezioni dell'SRB era stata spaccata dalla pressione; l'O-ring primario avrebbe dovuto sigillare il foro, ma il gelo aveva praticamente azzerato le sue proprietà elastiche. Le labbra dello squarcio, piegandosi, avevano bloccato l'O-ring secondario. Gli ossidi d'alluminio prodotti dalla combustione del carburante avevano creato un sigillo provvisorio, fermando l'emissione di fumo.
Durante l'ascesa si verificò il più violento wind shear nella storia del volo spaziale. Le raffiche di vento spaccarono il velo di ossido. All'istante T+58.788 una telecamera riprende la formazione di un pennacchio vicino alla struttura di aggancio del razzo di destra. All'insaputa dell'equipaggio del Challenger o del personale di Houston, il gas infiammato iniziò a fuoriuscire attraverso la falla nella giunzione. Nel tempo di un secondo, il pennacchio divenne ben definito e intenso (anche se il controllo di missione se ne fosse accorto, non avrebbe potuto fare nulla). Tutto il resto era apparentemente normale e l'equipaggio aspettava il "go" mentre gli SSME acceleravano.
Invece, la fiamma investì il serbatoio esterno creando un cedimento della struttura che mise in contatto l'idrogeno liquido e l'ossigeno, disintegrandolo.
Con la disintegrazione del serbatoio esterno, il Challenger, che viaggiava a Mach 1.92 a un'altezza di 46.000 piedi venne avvolto completamente nel fuoco esplosivo, virò dal suo corretto assetto rispetto al flusso dell'aria e fu immediatamente fatto a pezzi dalle forze aerodinamiche. I due SRB, che possono resistere a carichi aerodinamici maggiori, si separarono dal serbatoio esterno e iniziarono a volare in modo indipendente.
Lo Shuttle e il serbatoio esterno non "esplosero" effettivamente. Essi vennero rapidamente disintegrati dalle tremende forze aerodinamiche, essendo lo Shuttle vicino al punto Max Q di massima pressione aerodinamica. La cabina dell'equipaggio e gli SRB resistettero alla rottura. Mentre la cabina staccata continuava la sua traiettoria balistica, il carburante immagazzinato nel serbatoio esterno e nell'orbiter bruciarono per alcuni secondi, producendo un'enorme palla di fuoco. Se ci fosse stata una vera esplosione, l'intero Shuttle sarebbe stato distrutto all'istante, uccidendo nello stesso momento l'equipaggio. I due razzi SRB, separatamente, continuarono a volare mentre si allontanavano dalla palla di fuoco.
Alla rottura del veicolo, la robusta cabina dell'equipaggio si staccò, restando intera, e iniziò lentamente a cadere. Almeno qualche astronauta doveva essere vivo e cosciente dopo la rottura, perché tre delle sette "personal egress air pack" (PEAP, ovvero le riserve di ossigeno di emergenza) dei caschi furono attivate.
Gli investigatori scoprirono che la scorta di aria rimanente era compatibile con il consumo previsto dovuto alla traiettoria di caduta della cabina di 2 minuti e 45 secondi. La progettazione degli interruttori del PEAP rende molto improbabile l'attivazione accidentale dovuta alla rottura del veicolo o all'impatto con l'acqua. La NASA stima che le forze di separazione furono da 12 a 20 volte la forza di gravità per un brevissimo momento, entro due secondi l'accelerazione scese a 4 G e in dieci secondi la cabina si trovò in caduta libera. Queste forze sono tollerabili dal corpo umano, e di solito non causano che qualche svenimento.
Non si sa se gli astronauti rimasero coscienti a lungo dopo la rottura. In gran parte dipende dalla tenuta della pressione della cabina; in caso contrario, la durata dello stato di coscienza a quella altitudine è di qualche secondo, siccome i PEAP forniscono solo aria non pressurizzata essi non sarebbero stati di grande aiuto.
La cabina dell'equipaggio impattò nell'oceano a circa 333 km/h (207 mph), con una decelerazione di più di 200 G, molto oltre i limiti strutturali della cabina e quelli di sopravvivenza dell'equipaggio.
L'incidente del Challenger avvenne a causa della rottura del field joint del SRB di destra, che permise ai gas sotto pressione e ad alta temperatura e alle fiamme di fuoriuscire dall'O-ring e toccare il serbatoio esterno, provocando un cedimento strutturale.
Col senno di poi è chiaro che i field joint furono progettati male, ma non avrebbero probabilmente causato un problema così grave se il Challenger fosse decollato alle normali temperature della Florida (superiori a 10 °C). Il cedimento venne causato quindi dalla combinazione della cattiva progettazione e delle basse temperature dell'ultima missione. Gli ingegneri del costruttore Morton Thiokol degli SRB erano a conoscenza del problema e avvertirono di non effettuare il lancio, ma questi avvisi non furono comunicati adeguatamente alla NASA.
I resti identificabili dell'equipaggio furono restituiti alle famiglie il 29 aprile 1986. Due astronauti, Dick Scobee e Michael Smith furono sepolti dalle famiglie al cimitero nazionale di Arlington in due tombe separate, mentre i resti non riconoscibili furono sepolti nel memoriale allo Space Shuttle Challenger ad Arlington il 20 maggio 1986.
La mattina del 28 gennaio 1986 alle ore 11:39 della costa orientale degli Stati Uniti, lo Space Shuttle Challenger esplose dopo 73 secondi di volo (all'inizio della missione STS-51-L, la 25ª missione del programma STS e il 10º volo del Challenger) a causa di un guasto a una guarnizione, detta O-ring, nel segmento inferiore del razzo a propellente solido (Solid-fuel Rocket Booster, SRB) destro. La rottura della guarnizione provocò una fuoriuscita di fiamme dall'SRB che causarono un cedimento strutturale del serbatoio esterno (External Tank, ET) contenente idrogeno ed ossigeno liquidi. Alcune parti dell'orbiter come lo scomparto dell'equipaggio e molti altri frammenti furono recuperati dal fondo dell'oceano. Il lancio fu trasmesso in diretta TV, anche se molti telespettatori lo seguirono in differita nella giornata. Christa McAuliffe sarebbe dovuta essere la prima insegnante presente in un programma spaziale e gli studenti di tutto il mondo aspettarono la trasmissione televisiva per una sua lezione di scienze trasmessa dallo spazio. I voli nello spazio con equipaggio non ripresero prima di due anni, con il lancio dello Space Shuttle Discovery il 29 settembre 1988 e la sua missione di "Ritorno al volo" STS-26.
Il decollo seguì la normale sequenza di operazioni dello Shuttle: quando mancavano 6,6 secondi dal lancio si accesero i tre motori principali (SSME). Fino a quando non avviene il lancio vero e proprio, questi motori possono essere spenti in sicurezza e il lancio può essere annullato. Al momento del decollo (T=0), i tre motori erano accesi al 100% delle prestazioni e iniziarono ad aumentare fino al 104% sotto il controllo del computer. In quel momento i due razzi a combustibile solido vennero accesi e furono rimossi con cariche esplosive i blocchi che assicurano il veicolo alla rampa.
Una successiva analisi del video del lancio mostrò che nell'istante T+0.678 dal razzo a propellente solido di destra veniva emesso del fumo grigio scuro vicino al punto di aggancio del razzo al serbatoio esterno. L'ultima emissione di fumo avvenne a T+2.733 e questo venne visto fino all'istante T+3.375. Una saldatura tra due sezioni dell'SRB era stata spaccata dalla pressione; l'O-ring primario avrebbe dovuto sigillare il foro, ma il gelo aveva praticamente azzerato le sue proprietà elastiche. Le labbra dello squarcio, piegandosi, avevano bloccato l'O-ring secondario. Gli ossidi d'alluminio prodotti dalla combustione del carburante avevano creato un sigillo provvisorio, fermando l'emissione di fumo.
Durante l'ascesa si verificò il più violento wind shear nella storia del volo spaziale. Le raffiche di vento spaccarono il velo di ossido. All'istante T+58.788 una telecamera riprende la formazione di un pennacchio vicino alla struttura di aggancio del razzo di destra. All'insaputa dell'equipaggio del Challenger o del personale di Houston, il gas infiammato iniziò a fuoriuscire attraverso la falla nella giunzione. Nel tempo di un secondo, il pennacchio divenne ben definito e intenso (anche se il controllo di missione se ne fosse accorto, non avrebbe potuto fare nulla). Tutto il resto era apparentemente normale e l'equipaggio aspettava il "go" mentre gli SSME acceleravano.
Invece, la fiamma investì il serbatoio esterno creando un cedimento della struttura che mise in contatto l'idrogeno liquido e l'ossigeno, disintegrandolo.
Con la disintegrazione del serbatoio esterno, il Challenger, che viaggiava a Mach 1.92 a un'altezza di 46.000 piedi venne avvolto completamente nel fuoco esplosivo, virò dal suo corretto assetto rispetto al flusso dell'aria e fu immediatamente fatto a pezzi dalle forze aerodinamiche. I due SRB, che possono resistere a carichi aerodinamici maggiori, si separarono dal serbatoio esterno e iniziarono a volare in modo indipendente.
Lo Shuttle e il serbatoio esterno non "esplosero" effettivamente. Essi vennero rapidamente disintegrati dalle tremende forze aerodinamiche, essendo lo Shuttle vicino al punto Max Q di massima pressione aerodinamica. La cabina dell'equipaggio e gli SRB resistettero alla rottura. Mentre la cabina staccata continuava la sua traiettoria balistica, il carburante immagazzinato nel serbatoio esterno e nell'orbiter bruciarono per alcuni secondi, producendo un'enorme palla di fuoco. Se ci fosse stata una vera esplosione, l'intero Shuttle sarebbe stato distrutto all'istante, uccidendo nello stesso momento l'equipaggio. I due razzi SRB, separatamente, continuarono a volare mentre si allontanavano dalla palla di fuoco.
Alla rottura del veicolo, la robusta cabina dell'equipaggio si staccò, restando intera, e iniziò lentamente a cadere. Almeno qualche astronauta doveva essere vivo e cosciente dopo la rottura, perché tre delle sette "personal egress air pack" (PEAP, ovvero le riserve di ossigeno di emergenza) dei caschi furono attivate.
Gli investigatori scoprirono che la scorta di aria rimanente era compatibile con il consumo previsto dovuto alla traiettoria di caduta della cabina di 2 minuti e 45 secondi. La progettazione degli interruttori del PEAP rende molto improbabile l'attivazione accidentale dovuta alla rottura del veicolo o all'impatto con l'acqua. La NASA stima che le forze di separazione furono da 12 a 20 volte la forza di gravità per un brevissimo momento, entro due secondi l'accelerazione scese a 4 G e in dieci secondi la cabina si trovò in caduta libera. Queste forze sono tollerabili dal corpo umano, e di solito non causano che qualche svenimento.
Non si sa se gli astronauti rimasero coscienti a lungo dopo la rottura. In gran parte dipende dalla tenuta della pressione della cabina; in caso contrario, la durata dello stato di coscienza a quella altitudine è di qualche secondo, siccome i PEAP forniscono solo aria non pressurizzata essi non sarebbero stati di grande aiuto.
La cabina dell'equipaggio impattò nell'oceano a circa 333 km/h (207 mph), con una decelerazione di più di 200 G, molto oltre i limiti strutturali della cabina e quelli di sopravvivenza dell'equipaggio.
L'incidente del Challenger avvenne a causa della rottura del field joint del SRB di destra, che permise ai gas sotto pressione e ad alta temperatura e alle fiamme di fuoriuscire dall'O-ring e toccare il serbatoio esterno, provocando un cedimento strutturale.
Col senno di poi è chiaro che i field joint furono progettati male, ma non avrebbero probabilmente causato un problema così grave se il Challenger fosse decollato alle normali temperature della Florida (superiori a 10 °C). Il cedimento venne causato quindi dalla combinazione della cattiva progettazione e delle basse temperature dell'ultima missione. Gli ingegneri del costruttore Morton Thiokol degli SRB erano a conoscenza del problema e avvertirono di non effettuare il lancio, ma questi avvisi non furono comunicati adeguatamente alla NASA.
I resti identificabili dell'equipaggio furono restituiti alle famiglie il 29 aprile 1986. Due astronauti, Dick Scobee e Michael Smith furono sepolti dalle famiglie al cimitero nazionale di Arlington in due tombe separate, mentre i resti non riconoscibili furono sepolti nel memoriale allo Space Shuttle Challenger ad Arlington il 20 maggio 1986.
lunedì 27 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 27 gennaio, giorno ufficialmente dedicato in quasi tutto il mondo alla memoria della "shoah", cioè dello sterminio ebraico ad opera dei nazisti.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche entravano ad Auschwitz, liberando i pochi prigionieri superstiti e mostrando al mondo la reale portata dell'aberrazione nazista, relativamente alla "soluzione finale del problema ebraico".
Nei pressi del villaggio polacco di Oswjecim fu individuato un vasto terreno demaniale che circondava una caserma d'artiglieria in disuso. Questo complesso di 32 edifici poteva costituire il nucleo ideale per l'installazione del Lager.
Visti i piani e sentiti i pareri degli esperti, Himmler dette l'ordine di costruire un campo della capacità di almeno 100.000 persone, al quale fu dato il nome, in tedesco, di Auschwitz. Nello stesso tempo fu anche deciso di costruirvi uno stabilimento per la produzione di gomma sintetica della IG Farben, che avrebbe assorbito i primi contingenti di deportati.
Da Sachsenhausen 30 «triangoli verdi», accuratamente scelti, furono trasferiti sul posto, per assumervi le funzioni di Kapo e presiedere ai lavori di sistemazione e alla costruzione delle officine, dei depositi e delle altre installazioni. Intanto si stendevano le recinzioni di filo spinato, si costruivano altre baracche, cucine, magazzini, caserme per i corpi di guardia, strade e raccordi ferroviari.
Migliaia di prigionieri russi e polacchi cominciarono ad affluire ad Auschwitz, per contribuire ai lavori, per lavorare a loro volta nelle aziende agricole e nelle fabbriche che sorgevano come funghi intorno al campo. Si trattava di imprese allettate dai bassi costi di produzione, dato che la manodopera era quella pressoché gratuita fornita dal Lager. Poi c'erano i vantaggiosi contratti di appalto, dai quali l'Amministrazione delle SS ritagliava generosamente la propria fetta di guadagno.
Il campo principale, in breve, non fu più sufficiente. Accanto ad Auschwitz I sorsero prima Birkenau, cioè Auschwitz II poi Monowitz, ossia Auschwitz III. Ma, oltre a questi Lager, man mano che aumentavano le esigenze della produzione, si moltiplicavano i comandi esterni, permanenti o temporanei.
Un immenso territorio, rigorosamente isolato dal resto del mondo, brulicava di deportati, uomini e donne, provenienti da tutti i paesi invasi ed occupati dai nazisti. Auschwitz era una vera e propria zona industriale, in pieno fervore di attività. La manodopera non mancava, continuamente sostituita da nuovi arrivi dato che la disciplina, la denutrizione, il clima, la fatica contribuivano alla falcidia dei deportati. Per coloro che, arrivando al campo, erano considerati abili al lavoro, le prospettive di sopravvivenza non superavano i tre mesi. Poi c'erano le fucilazioni in massa, per supposti sabotaggi, le punizioni individuali cui ben pochi poterono resistere, e le camere a gas.
Queste hanno funzionato ininterrottamente, ad Auschwitz ed a Birkenau, ingoiando convogli interi di ebrei, provenienti dalla Germania, dalla Polonia, dalla Francia, dall'Ungheria, dal Belgio, dall'Olanda, dalla Grecia, dall'Italia. Treni e treni di uomini, donne e bambini, stipati in carri bestiame, scaricati sulle rampe dei Lager ed avviati alle finte docce dove venivano uccisi con un gas letale, il famigerato Zyklon B, un conglomerato di cristalli di silicio saturati con acido cianidrico, prodotto dalle consociate di quella stessa IG Farben che impiegava il maggior numero di prigionieri nello stesso campo di Auschwitz. Perché Auschwitz era stato progettato, costruito, organizzato per questo: da un lato sfruttare la manodopera che le SS vendevano a condizioni di favore alle industrie installate nei dintorni, dall'altro procedere allo sterminio soprattutto degli ebrei, ma anche degli zingari, a ritmi accelerati. Nel frattempo specialisti delle SS studiavano gli effetti delle infezioni, degli aborti, delle pratiche di sterilizzazione, usando come cavie uomini, donne, bambini attinti dai convogli, prima di mandarli nelle camere a gas. Quando il crematorio non riusciva a smaltire la razione giornaliera di cadaveri, questi venivano bruciati in grandi cataste nei dintorni del Lager, appestando l'aria di un lezzo nauseante.
Per quantità e qualità, Auschwitz è stato il Lager dove l'inventario dei crimini, degli orrori e della morte ha assunto dimensioni apocalittiche. Lo stesso Rudolf Höss, che fu comandante di quel Lager, ammise l'uccisione di centinaia di migliaia di deportati. Quanti esattamente è ancora impossibile dirlo. Gli studi più recenti concordano nel fissare il numero delle vittime - nella stragrande maggioranza ebrei di ogni età e di ogni condizione - tra 1.300.000 e un milione e mezzo. Di certo l'ecatombe continuò a ritmo sostenuto fino agli ultimi giorni, e cessò solo con la chiusura del campo.
Alle SS il Lager rendeva anche quando gli schiavi erano morti. C'erano le loro spoglie da dividere. Treni interi di indumenti sottratti ai deportati, camion carichi di casse di gioielli e denaro furono spediti da Auschwitz a Berlino, al quartier generale delle SS: anche questi erano i proventi della «soluzione finale».
Nel clima di terrore e di morte, vi furono però alcuni che ebbero il coraggio di organizzare una resistenza clandestina; uomini e donne di diversa provenienza, militanza politica, religione, non esitarono a favorire il sabotaggio, ad aiutare i più deboli, a proteggere i perseguitati sottraendoli alla violenza dei Kapò e delle SS.
Vi furono alcuni che tentarono la fuga, specie polacchi e russi, che in qualche caso poterono contare sull'omertà delle popolazioni. Per ogni fuggiasco che non veniva ripreso le SS procedevano a feroci decimazioni dei loro compagni. In occasione di una di queste fughe, padre Massimiliano Kolbe, un sacerdote polacco, si offrì spontaneamente di sostituire un compagno condannato a morire di fame nel famigerato Bunker n. 11. Esempio fulgido di coraggio e di solidarietà, per cui fu proclamato prima martire poi santo. Il suo sacrificio non fu il solo esempio di coraggio e di solidarietà, perché ad Auschwitz, come negli altri Lager, resistere non era facile, ma necessario. Lo dimostrarono anche quelli di un Sonderkommando che si rivoltarono con le armi sottratte ai loro carcerieri e tentarono l'impossibile. Furono sopraffatti e caddero da eroi.
Auschwitz è il simbolo della follia e della barbarie nazista.
Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2009 l'insegna posta all'ingresso del campo "Arbeit macht frei" (il lavoro rende liberi) è stata rubata. Momentaneamente era stata sostituita con una copia ma è stata rinvenuta pochi giorni dopo, spaccata in tre parti, nel nord della Polonia
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche entravano ad Auschwitz, liberando i pochi prigionieri superstiti e mostrando al mondo la reale portata dell'aberrazione nazista, relativamente alla "soluzione finale del problema ebraico".
Nei pressi del villaggio polacco di Oswjecim fu individuato un vasto terreno demaniale che circondava una caserma d'artiglieria in disuso. Questo complesso di 32 edifici poteva costituire il nucleo ideale per l'installazione del Lager.
Visti i piani e sentiti i pareri degli esperti, Himmler dette l'ordine di costruire un campo della capacità di almeno 100.000 persone, al quale fu dato il nome, in tedesco, di Auschwitz. Nello stesso tempo fu anche deciso di costruirvi uno stabilimento per la produzione di gomma sintetica della IG Farben, che avrebbe assorbito i primi contingenti di deportati.
Da Sachsenhausen 30 «triangoli verdi», accuratamente scelti, furono trasferiti sul posto, per assumervi le funzioni di Kapo e presiedere ai lavori di sistemazione e alla costruzione delle officine, dei depositi e delle altre installazioni. Intanto si stendevano le recinzioni di filo spinato, si costruivano altre baracche, cucine, magazzini, caserme per i corpi di guardia, strade e raccordi ferroviari.
Migliaia di prigionieri russi e polacchi cominciarono ad affluire ad Auschwitz, per contribuire ai lavori, per lavorare a loro volta nelle aziende agricole e nelle fabbriche che sorgevano come funghi intorno al campo. Si trattava di imprese allettate dai bassi costi di produzione, dato che la manodopera era quella pressoché gratuita fornita dal Lager. Poi c'erano i vantaggiosi contratti di appalto, dai quali l'Amministrazione delle SS ritagliava generosamente la propria fetta di guadagno.
Il campo principale, in breve, non fu più sufficiente. Accanto ad Auschwitz I sorsero prima Birkenau, cioè Auschwitz II poi Monowitz, ossia Auschwitz III. Ma, oltre a questi Lager, man mano che aumentavano le esigenze della produzione, si moltiplicavano i comandi esterni, permanenti o temporanei.
Un immenso territorio, rigorosamente isolato dal resto del mondo, brulicava di deportati, uomini e donne, provenienti da tutti i paesi invasi ed occupati dai nazisti. Auschwitz era una vera e propria zona industriale, in pieno fervore di attività. La manodopera non mancava, continuamente sostituita da nuovi arrivi dato che la disciplina, la denutrizione, il clima, la fatica contribuivano alla falcidia dei deportati. Per coloro che, arrivando al campo, erano considerati abili al lavoro, le prospettive di sopravvivenza non superavano i tre mesi. Poi c'erano le fucilazioni in massa, per supposti sabotaggi, le punizioni individuali cui ben pochi poterono resistere, e le camere a gas.
Queste hanno funzionato ininterrottamente, ad Auschwitz ed a Birkenau, ingoiando convogli interi di ebrei, provenienti dalla Germania, dalla Polonia, dalla Francia, dall'Ungheria, dal Belgio, dall'Olanda, dalla Grecia, dall'Italia. Treni e treni di uomini, donne e bambini, stipati in carri bestiame, scaricati sulle rampe dei Lager ed avviati alle finte docce dove venivano uccisi con un gas letale, il famigerato Zyklon B, un conglomerato di cristalli di silicio saturati con acido cianidrico, prodotto dalle consociate di quella stessa IG Farben che impiegava il maggior numero di prigionieri nello stesso campo di Auschwitz. Perché Auschwitz era stato progettato, costruito, organizzato per questo: da un lato sfruttare la manodopera che le SS vendevano a condizioni di favore alle industrie installate nei dintorni, dall'altro procedere allo sterminio soprattutto degli ebrei, ma anche degli zingari, a ritmi accelerati. Nel frattempo specialisti delle SS studiavano gli effetti delle infezioni, degli aborti, delle pratiche di sterilizzazione, usando come cavie uomini, donne, bambini attinti dai convogli, prima di mandarli nelle camere a gas. Quando il crematorio non riusciva a smaltire la razione giornaliera di cadaveri, questi venivano bruciati in grandi cataste nei dintorni del Lager, appestando l'aria di un lezzo nauseante.
Per quantità e qualità, Auschwitz è stato il Lager dove l'inventario dei crimini, degli orrori e della morte ha assunto dimensioni apocalittiche. Lo stesso Rudolf Höss, che fu comandante di quel Lager, ammise l'uccisione di centinaia di migliaia di deportati. Quanti esattamente è ancora impossibile dirlo. Gli studi più recenti concordano nel fissare il numero delle vittime - nella stragrande maggioranza ebrei di ogni età e di ogni condizione - tra 1.300.000 e un milione e mezzo. Di certo l'ecatombe continuò a ritmo sostenuto fino agli ultimi giorni, e cessò solo con la chiusura del campo.
Alle SS il Lager rendeva anche quando gli schiavi erano morti. C'erano le loro spoglie da dividere. Treni interi di indumenti sottratti ai deportati, camion carichi di casse di gioielli e denaro furono spediti da Auschwitz a Berlino, al quartier generale delle SS: anche questi erano i proventi della «soluzione finale».
Nel clima di terrore e di morte, vi furono però alcuni che ebbero il coraggio di organizzare una resistenza clandestina; uomini e donne di diversa provenienza, militanza politica, religione, non esitarono a favorire il sabotaggio, ad aiutare i più deboli, a proteggere i perseguitati sottraendoli alla violenza dei Kapò e delle SS.
Vi furono alcuni che tentarono la fuga, specie polacchi e russi, che in qualche caso poterono contare sull'omertà delle popolazioni. Per ogni fuggiasco che non veniva ripreso le SS procedevano a feroci decimazioni dei loro compagni. In occasione di una di queste fughe, padre Massimiliano Kolbe, un sacerdote polacco, si offrì spontaneamente di sostituire un compagno condannato a morire di fame nel famigerato Bunker n. 11. Esempio fulgido di coraggio e di solidarietà, per cui fu proclamato prima martire poi santo. Il suo sacrificio non fu il solo esempio di coraggio e di solidarietà, perché ad Auschwitz, come negli altri Lager, resistere non era facile, ma necessario. Lo dimostrarono anche quelli di un Sonderkommando che si rivoltarono con le armi sottratte ai loro carcerieri e tentarono l'impossibile. Furono sopraffatti e caddero da eroi.
Auschwitz è il simbolo della follia e della barbarie nazista.
Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2009 l'insegna posta all'ingresso del campo "Arbeit macht frei" (il lavoro rende liberi) è stata rubata. Momentaneamente era stata sostituita con una copia ma è stata rinvenuta pochi giorni dopo, spaccata in tre parti, nel nord della Polonia
domenica 26 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 26 gennaio.
Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi, attraverso un messaggio televisivo inviato a tutte le testate giornalistiche, annuncia agli italiani la sua "discesa in campo", cioè la volontà di creare un nuovo soggetto politico da lui guidato, il cui scopo sia raccogliere i moderati di destra rimasti orfani dei partiti della prima repubblica spazzati via da tangentopoli, e scongiuri il "pericolo comunista", teso a prendere il potere facendo un uso criminoso della giustizia.
Da lì a poco venne creato un partito denominato "Forza Italia", che alle successive elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994 (2 mesi più tardi) in una coalizione formata con Lega Nord, Alleanza Nazionale, Centro Cristiano Democratico e altre formazioni minori, vinse le elezioni, portando a Palazzo Chigi il primo governo Berlusconi.
Va sottolineato il fatto che esiste una legge in Italia, la 361 del 1957, che all'articolo 10 recita così:
Art. 10
1. Non sono eleggibili inoltre:
1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
E' ben chiaro che visti i numerosi possedimenti di Silvio Berlusconi nei mezzi di comunicazione, nelle assicurazioni e nell'edilizia, sembrerebbe che la sua posizione ricada perfettamente in questo caso di ineleggibilità, ed infatti nel luglio del 94 fu sollevata la questione da parte di Mirella Cece, Luigi Barile e Pierluigi Capone, esponenti del centrosinistra, che fecero ricorso contro l'elezione di Berlusconi.
La giunta per le elezioni si riunì il 20 luglio del 1994 alle ore 15 a discutere del ricorso; in tale seduta, presenti non più di due terzi dei deputati, il ricorso fu rigettato anche col voto favorevole (o astenuto) di numerosi esponenti del PDS di Massimo D'Alema e dell'Alleanza dei Progressisti di Achille Occhetto. La seduta fu chiusa alle ore 16.
Quel che è successo dopo, le promesse agli italiani, le accuse a lui rivolte, i processi a cui è andato incontro, gli scandali veri o presunti che la stampa non ha mancato di sottolineare, rappresenta la storia politica dell'Italia degli ultimi 20 anni, sulla quale ognuno può trarre le proprie libere conclusioni.
Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi, attraverso un messaggio televisivo inviato a tutte le testate giornalistiche, annuncia agli italiani la sua "discesa in campo", cioè la volontà di creare un nuovo soggetto politico da lui guidato, il cui scopo sia raccogliere i moderati di destra rimasti orfani dei partiti della prima repubblica spazzati via da tangentopoli, e scongiuri il "pericolo comunista", teso a prendere il potere facendo un uso criminoso della giustizia.
Da lì a poco venne creato un partito denominato "Forza Italia", che alle successive elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994 (2 mesi più tardi) in una coalizione formata con Lega Nord, Alleanza Nazionale, Centro Cristiano Democratico e altre formazioni minori, vinse le elezioni, portando a Palazzo Chigi il primo governo Berlusconi.
Va sottolineato il fatto che esiste una legge in Italia, la 361 del 1957, che all'articolo 10 recita così:
Art. 10
1. Non sono eleggibili inoltre:
1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
E' ben chiaro che visti i numerosi possedimenti di Silvio Berlusconi nei mezzi di comunicazione, nelle assicurazioni e nell'edilizia, sembrerebbe che la sua posizione ricada perfettamente in questo caso di ineleggibilità, ed infatti nel luglio del 94 fu sollevata la questione da parte di Mirella Cece, Luigi Barile e Pierluigi Capone, esponenti del centrosinistra, che fecero ricorso contro l'elezione di Berlusconi.
La giunta per le elezioni si riunì il 20 luglio del 1994 alle ore 15 a discutere del ricorso; in tale seduta, presenti non più di due terzi dei deputati, il ricorso fu rigettato anche col voto favorevole (o astenuto) di numerosi esponenti del PDS di Massimo D'Alema e dell'Alleanza dei Progressisti di Achille Occhetto. La seduta fu chiusa alle ore 16.
Quel che è successo dopo, le promesse agli italiani, le accuse a lui rivolte, i processi a cui è andato incontro, gli scandali veri o presunti che la stampa non ha mancato di sottolineare, rappresenta la storia politica dell'Italia degli ultimi 20 anni, sulla quale ognuno può trarre le proprie libere conclusioni.
sabato 25 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Secondo la tradizione cristiana, il 25 gennaio ricorre il ricordo della conversione di San Paolo, un episodio della storia della religione cattolica tanto famoso da essere divenuto proverbiale. Anche ai giorni nostri è rimasta infatti in uso l’espressione “folgorato sulla via di Damasco” senza una chiara idea di ciò che significhi veramente.
Saulo di Tarso era uno dei più agguerriti avversari della neonata religione cristiana, e si stava recando a Damasco per perseguitare i suoi seguaci, smascherarli e imprigionarli.
Durante il viaggio fu avvolto da una vivida luce e una voce che gli chiedeva il perchè di tanto accanimento. Sorpreso da questa esperienza cadde da cavallo e una volta rialzatosi si accorse che era diventato cieco. La stessa voce gli intimò di proseguire verso la città. Così Saulo fece: si recò a Damasco dove rimase per tre giorni.
Allora il Signore andò in sogno ad Anania, un cristiano che viveva in città, e gli disse di andare da Saulo e di guarirlo dalla sua cecità. Anania conoscendo l’ostilità di quell’uomo per i cristiani chiese a Gesù perché avrebbe dovuto salvarlo ed egli gli rispose “Va, perché io ho scelto quest’uomo. Egli sarà utile per farmi conoscere agli stranieri, ai re e ai figli di Israele. Io stesso gli mostrerò quanto dovrà soffrire per me.”
Anania così obbedì al suo Dio e si recò da Saulo, impose le mani sui suoi occhi ed egli recuperò la vista. Riprese le forze e fu battezzato alla religione di Gesù con il nome di Paolo.
Questo episodio ha ispirato numerosi artisti di tutte le epoche, tra i quali spiccano Caravaggio e Michelangelo.
Il primo dipinse una "conversione di San Paolo" nel 1601, attualmente conservata nella Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. E' stato scoperta sotto al dipinto attuale una precedente versione del quadro, probabilmente rifiutata dal committente durante la stesura.
Caravaggio adotta l'iconografia della luce accecante e l'assenza di Cristo. Secondo alcuni studiosi l'artista lombardo fece questa scelta perché il committente lo aveva esortato a rispettare l'ortodossia cioè a dipingere ciò che era stato scritto negli Atti degli Apostoli. Secondo altri, Caravaggio decise di non dipingere Gesù perché non voleva che nei suoi quadri ci fossero figure divinizzate (Cristo era già risorto quando San Paolo si converte) perché ciò sarebbe andato contro il realismo a cui Caravaggio mirava.
Michelangelo affrescò con la "conversione di Saulo" la Cappella Paolina in Vaticano intorno alla metà del 1500, poco dopo aver terminato il Giudizio Universale nella Cappella Sistina.
Nell'affresco il protagonista è, contrariamente a quanto dicono le fonti, anziano e ricorda nelle sembianze lo stesso papa Farnese che gli commissionò l'opera, come testimonia anche un ritratto di Tiziano di quegli stessi anni (ma alcuni, vi hanno anche visto un autoritratto, in realtà poco somigliante). Saulo, disteso a terra dopo la caduta da cavallo sulla via di Damasco, è accecato da un raggio luminoso inviato dalla possente figura di Cristo in cielo, circondato da angeli. Il futuro "Apostolo delle genti" cerca di coprirsi il volto con la mano e la sua figura riecheggia l'affresco di Raffaello nella Stanza di Elidoro.
Il gesto divino taglia in due lo spazio pittorico, separando gli angeli in due gruppi simmetrici e generando sgomento e paura tra il corteo attorno a Saulo, che cerca scampo fuggendo verso i margini del paesaggio, dove si trovano brulle colline. Come nel Giudizio si crea un movimento a vortice che investe i gruppi di figure, accentuandone il dinamismo.
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venerdì 24 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 24 gennaio.
Il 24 gennaio del 41 d.C., in seguito all'uccisione di Caligola, Claudio viene incoronato imperatore di Roma.
Claudio, fratello di Germanico e quindi zio dell'imperatore assassinato, era già avanti con gli anni e si dice che dopo l'uccisione di Caligola suo nipote, si nascose per non farsi trovare dai pretoriani che lo volevano incoronare imperatore, perchè appunto Claudio non aveva mai aspirato al potere.
Sin da quando era piccolo veniva considerato dalla sua famiglia e in particolare dalla madre uno sciocco; ma non era affatto uno sciocco, era una figura umbratile di storico e studioso, e la sua formazione culturale lo portò a dimostrarsi subito un ottimo uomo politico e un ottimo amministratore.
Era un innovatore, ma rispettava comunque le tradizioni secolari di Roma.
Attuò numerose spinte importanti verso una burocratizzazione del governo e dell'amministrazione imperiale, infatti riorganizzò le grandi segreterie centrali (che gestivano l'amministrazione e la finanza imperiale) mettendoci a capo dei suoi fidati liberti.
Questa sua mossa di promuovere i liberti a capo di importanti sedi amministrative aveva creato un malcontento da parte del senato e ottenne anche la critica di Seneca nell'opera l'Apocolocynthosis in cui trasforma l'imperatore Claudio in una zucca.
I Liberti a Roma non potevano ottenere cariche pubbliche (secondo la legge del 24 d.C. chiamata lex Visellia).
Ma Claudio, non solo affidava a loro le magistrature piu elevate e li faceva diventare le persone piu potenti e ricche di tutto l'impero, ma concedeva loro le insegne di "ornamenta praetoria e ornamenta consularia", che spettavano a chi era stato Pretore o Console e ovviamente non fece altro che aumentare lo scandalo e le critica da parte dei senatori e di tutti i conservatori e filo-senatoriali.
La nuova riorganizzazione burocratica si rivelò efficace e duratura e si estese anche in periferia.
Claudio portò avanti un importante programma di opere pubbliche, tese a migliorare la qualità della vita, soprattutto nella città di Roma.
Fece costruire anche un altro porto poco piu su della foce del Tevere che sarebbe servito a migliorare l'approvvigionamento alimentare della città di Roma che era veramente immensa e difficile era garantire sempre la disponibilità di grano per i cittadini della Capitale Imperiale.
Anche sul piano idrico, Claudio attuò un programma di colossale impresa ingegneristica: costruì un acquedotto enorme con il compito di svuotare il lago del Fucino per creare altre terre coltivabili al centro della penisola.
L'aspetto piu innovativo della politica di Claudio fu un programma di integrazione nell'impero dei cittadini delle province, ai quali concesse la possibilità di assumere cariche pubbliche e addirittura la possibilità di poter entrare nel senato Romano.
Claudio venne considerato il paladino di tutti coloro che prima erano stati emarginati dalla politica e dai diritti di Roma: aiutò infatti gli schiavi, ex-schiavi (Liberti), e anche la popolazione delle provincie oltre la penisola concedendo loro in molti casi la cittadinanza Romana.
Come tutti gli Imperatori, anche Claudio aveva bisogno di gloriarsi con una conquista militare, c'era infatti una regione di estrema importanza per posizione e ricchezza commerciale: la Britannia.
La conquista di questa regione, avvenuta grazie ad Agrippa, era anche un risultato simbolico perchè era la prima regione ad essere conquistata oltre "l'oceano" (così definito dai Romani perchè la Britannia non è attaccata all'Europa e per arrivarci bisognava oltrepassare un mare che non era il Mediterraneo).
Le congiure contro gli Imperatori non risparmiarono neanche Claudio che fu costretto a processare e a far uccidere la sua terza moglie Messalina, nota per i suoi famelici appetiti sessuali, perchè aveva cercato di ucciderlo.
Così Claudio sposò Agrippina, figlia di Germanico, donna ambiziosissima.
Agrippina creò una fazione a corte e riuscì ad ottenere da Claudio l'adozione del suo figlio di primo letto, Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone.
Claudio morì nel 54 improvvisamente, dopo aver mangiato un piatto di funghi avvelenati. Non è difficile pensare che sia stato avvelenato da Agrippina per mano di Lucusta, anche se era ormai sicura della successione di Nerone. Essa potrebbe aver desiderato vedere il figlio sul trono mentre era ancora abbastanza giovane per seguire i suoi consigli e le sue volontà.
Morto Claudio, Agrippina e Nerone si preoccuparono di far sparire anche Britannico, figlio naturale di Claudio e aspirante al trono; questo evento testimonia l'implicazione di Agrippina nella morte dell'imperatore. L'augusta, però, dedicò sul Celio il tempio del Divo Claudio al defunto marito.
Il 24 gennaio del 41 d.C., in seguito all'uccisione di Caligola, Claudio viene incoronato imperatore di Roma.
Claudio, fratello di Germanico e quindi zio dell'imperatore assassinato, era già avanti con gli anni e si dice che dopo l'uccisione di Caligola suo nipote, si nascose per non farsi trovare dai pretoriani che lo volevano incoronare imperatore, perchè appunto Claudio non aveva mai aspirato al potere.
Sin da quando era piccolo veniva considerato dalla sua famiglia e in particolare dalla madre uno sciocco; ma non era affatto uno sciocco, era una figura umbratile di storico e studioso, e la sua formazione culturale lo portò a dimostrarsi subito un ottimo uomo politico e un ottimo amministratore.
Era un innovatore, ma rispettava comunque le tradizioni secolari di Roma.
Attuò numerose spinte importanti verso una burocratizzazione del governo e dell'amministrazione imperiale, infatti riorganizzò le grandi segreterie centrali (che gestivano l'amministrazione e la finanza imperiale) mettendoci a capo dei suoi fidati liberti.
Questa sua mossa di promuovere i liberti a capo di importanti sedi amministrative aveva creato un malcontento da parte del senato e ottenne anche la critica di Seneca nell'opera l'Apocolocynthosis in cui trasforma l'imperatore Claudio in una zucca.
I Liberti a Roma non potevano ottenere cariche pubbliche (secondo la legge del 24 d.C. chiamata lex Visellia).
Ma Claudio, non solo affidava a loro le magistrature piu elevate e li faceva diventare le persone piu potenti e ricche di tutto l'impero, ma concedeva loro le insegne di "ornamenta praetoria e ornamenta consularia", che spettavano a chi era stato Pretore o Console e ovviamente non fece altro che aumentare lo scandalo e le critica da parte dei senatori e di tutti i conservatori e filo-senatoriali.
La nuova riorganizzazione burocratica si rivelò efficace e duratura e si estese anche in periferia.
Claudio portò avanti un importante programma di opere pubbliche, tese a migliorare la qualità della vita, soprattutto nella città di Roma.
Fece costruire anche un altro porto poco piu su della foce del Tevere che sarebbe servito a migliorare l'approvvigionamento alimentare della città di Roma che era veramente immensa e difficile era garantire sempre la disponibilità di grano per i cittadini della Capitale Imperiale.
Anche sul piano idrico, Claudio attuò un programma di colossale impresa ingegneristica: costruì un acquedotto enorme con il compito di svuotare il lago del Fucino per creare altre terre coltivabili al centro della penisola.
L'aspetto piu innovativo della politica di Claudio fu un programma di integrazione nell'impero dei cittadini delle province, ai quali concesse la possibilità di assumere cariche pubbliche e addirittura la possibilità di poter entrare nel senato Romano.
Claudio venne considerato il paladino di tutti coloro che prima erano stati emarginati dalla politica e dai diritti di Roma: aiutò infatti gli schiavi, ex-schiavi (Liberti), e anche la popolazione delle provincie oltre la penisola concedendo loro in molti casi la cittadinanza Romana.
Come tutti gli Imperatori, anche Claudio aveva bisogno di gloriarsi con una conquista militare, c'era infatti una regione di estrema importanza per posizione e ricchezza commerciale: la Britannia.
La conquista di questa regione, avvenuta grazie ad Agrippa, era anche un risultato simbolico perchè era la prima regione ad essere conquistata oltre "l'oceano" (così definito dai Romani perchè la Britannia non è attaccata all'Europa e per arrivarci bisognava oltrepassare un mare che non era il Mediterraneo).
Le congiure contro gli Imperatori non risparmiarono neanche Claudio che fu costretto a processare e a far uccidere la sua terza moglie Messalina, nota per i suoi famelici appetiti sessuali, perchè aveva cercato di ucciderlo.
Così Claudio sposò Agrippina, figlia di Germanico, donna ambiziosissima.
Agrippina creò una fazione a corte e riuscì ad ottenere da Claudio l'adozione del suo figlio di primo letto, Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone.
Claudio morì nel 54 improvvisamente, dopo aver mangiato un piatto di funghi avvelenati. Non è difficile pensare che sia stato avvelenato da Agrippina per mano di Lucusta, anche se era ormai sicura della successione di Nerone. Essa potrebbe aver desiderato vedere il figlio sul trono mentre era ancora abbastanza giovane per seguire i suoi consigli e le sue volontà.
Morto Claudio, Agrippina e Nerone si preoccuparono di far sparire anche Britannico, figlio naturale di Claudio e aspirante al trono; questo evento testimonia l'implicazione di Agrippina nella morte dell'imperatore. L'augusta, però, dedicò sul Celio il tempio del Divo Claudio al defunto marito.
giovedì 23 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 23 gennaio.
Il 23 gennaio 1932 usciva in edicola il primo numero della "Settimana enigmistica", un periodico che non passa mai di moda.
La Settimana Enigmistica fu inventata da un nobile di origine sarda: il Cavaliere del Lavoro, Grande Ufficiale, Dottor Ingegner Giorgio Sisini di Sorso, già Conte di Sant'Andrea, e figlio del fondatore del Rotary Club di Sardegna (il fondatore del periodico è deceduto il 21 giugno del 1972 e la direzione è stata assunta da Raoul de Giusti e successivamente da Francesco Baggi Sisini). Il primo numero fu pubblicato in 16 pagine al costo di 50 centesimi di lire; sulla copertina era disegnata l'immagine dell'attrice messicana Lupe Vélez ottenuta sagomando le caselle nere del cruciverba. Ha avuto una sola interruzione alla sua uscita a cadenza settimanale: il numero 694 del 14 luglio 1945 uscì dopo due mesi e mezzo a causa degli eventi bellici. Da allora la rivista ha vantato fra i suoi collaboratori i più famosi enigmisti, come ad esempio lo stesso fondatore, che creò enigmi per i lettori sino agli ultimi giorni di vita, Piero Bartezzaghi e Giancarlo Brighenti. È dunque storicamente, in un certo senso, il capostipite dei giornali di enigmistica italiana, almeno per quanto riguarda la diffusione di quest'arte presso il grande pubblico. Tant'è vero che una delle didascalie in cima alla prima pagina di copertina, sopra il titolo, recita che la Settimana Enigmistica "è la rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione". Per certi versi questo periodico rappresenta una vera e propria "icona" storica dell'enigmistica italiana. Numerosi altri periodici sono infatti sorti sulla scia della sua popolarità. Una caratteristica che tuttavia rende unica la Settimana Enigmistica è quella di non accettare pubblicità al suo interno e di usarla solo in alcuni periodi per la propria diffusione. Il 22 novembre 2008 ha toccato il traguardo dei 4000 numeri pubblicati e, per festeggiarlo, i cinque numeri precedenti hanno ospitato un concorso dedicato all'Italia.
La Settimana Enigmistica contiene schemi di parole crociate, tanti giochi divenuti ormai classici, rubriche fisse come "La pagina della sfinge", "Forse non tutti sanno che...", "Strano ma vero", "L'Edipeo enciclopedico", "Aguzzate la vista", "Il confronto" ecc…, con altre che cambiano ogni settimana. Tra i "Concorsi settimanali" periodicamente proposti c'è il "Quesito con la Susi" che da tempo presenta un grande interesse didattico costituendo un’intrigante linea di problemi; un rompicapo capace di coinvolgere nella ricerca della soluzione le persone più disparate: dalla bidella al professore passando per gli studenti e i loro familiari, questo offre un perdurante buon “riscaldamento” per i percorsi didattici proposti. La rivista in sè alterna giochi enigmistici con pagine di barzellette. A proposito di queste, esse sono, in qualche modo, categorizzate per tematiche i cui titoli sono talmente famosi da essere entrati nel linguaggio comune quali "le ultime parole famose". Ogni settimana apre almeno un concorso e dal 1995 propone anche qualche pagina a colori. Dal 2005 pubblica un sudoku a settimana, cedendo così al fenomeno di questi ultimi anni e dimostrando una grandissima capacità di rinnovamento oggi anche attraverso spot televisivi.
Il 23 gennaio 1932 usciva in edicola il primo numero della "Settimana enigmistica", un periodico che non passa mai di moda.
La Settimana Enigmistica fu inventata da un nobile di origine sarda: il Cavaliere del Lavoro, Grande Ufficiale, Dottor Ingegner Giorgio Sisini di Sorso, già Conte di Sant'Andrea, e figlio del fondatore del Rotary Club di Sardegna (il fondatore del periodico è deceduto il 21 giugno del 1972 e la direzione è stata assunta da Raoul de Giusti e successivamente da Francesco Baggi Sisini). Il primo numero fu pubblicato in 16 pagine al costo di 50 centesimi di lire; sulla copertina era disegnata l'immagine dell'attrice messicana Lupe Vélez ottenuta sagomando le caselle nere del cruciverba. Ha avuto una sola interruzione alla sua uscita a cadenza settimanale: il numero 694 del 14 luglio 1945 uscì dopo due mesi e mezzo a causa degli eventi bellici. Da allora la rivista ha vantato fra i suoi collaboratori i più famosi enigmisti, come ad esempio lo stesso fondatore, che creò enigmi per i lettori sino agli ultimi giorni di vita, Piero Bartezzaghi e Giancarlo Brighenti. È dunque storicamente, in un certo senso, il capostipite dei giornali di enigmistica italiana, almeno per quanto riguarda la diffusione di quest'arte presso il grande pubblico. Tant'è vero che una delle didascalie in cima alla prima pagina di copertina, sopra il titolo, recita che la Settimana Enigmistica "è la rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione". Per certi versi questo periodico rappresenta una vera e propria "icona" storica dell'enigmistica italiana. Numerosi altri periodici sono infatti sorti sulla scia della sua popolarità. Una caratteristica che tuttavia rende unica la Settimana Enigmistica è quella di non accettare pubblicità al suo interno e di usarla solo in alcuni periodi per la propria diffusione. Il 22 novembre 2008 ha toccato il traguardo dei 4000 numeri pubblicati e, per festeggiarlo, i cinque numeri precedenti hanno ospitato un concorso dedicato all'Italia.
La Settimana Enigmistica contiene schemi di parole crociate, tanti giochi divenuti ormai classici, rubriche fisse come "La pagina della sfinge", "Forse non tutti sanno che...", "Strano ma vero", "L'Edipeo enciclopedico", "Aguzzate la vista", "Il confronto" ecc…, con altre che cambiano ogni settimana. Tra i "Concorsi settimanali" periodicamente proposti c'è il "Quesito con la Susi" che da tempo presenta un grande interesse didattico costituendo un’intrigante linea di problemi; un rompicapo capace di coinvolgere nella ricerca della soluzione le persone più disparate: dalla bidella al professore passando per gli studenti e i loro familiari, questo offre un perdurante buon “riscaldamento” per i percorsi didattici proposti. La rivista in sè alterna giochi enigmistici con pagine di barzellette. A proposito di queste, esse sono, in qualche modo, categorizzate per tematiche i cui titoli sono talmente famosi da essere entrati nel linguaggio comune quali "le ultime parole famose". Ogni settimana apre almeno un concorso e dal 1995 propone anche qualche pagina a colori. Dal 2005 pubblica un sudoku a settimana, cedendo così al fenomeno di questi ultimi anni e dimostrando una grandissima capacità di rinnovamento oggi anche attraverso spot televisivi.
mercoledì 22 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 22 gennaio.
Il 22 gennaio 1998 Theodore Kaczynski, conosciuto dai media come unabomber, si dichiara colpevole di tutti i reati a lui ascritti e riceve così la pena dell'ergastolo anzichè quella di morte.
Nato nel 1942 nella periferia operaia di Chicago, ha speso metà della sua vita a istruirsi, conquistando laurea e dottorato in matematica con due anni di anticipo, e l'altra metà a seminare terrore in nome dell'antiprogresso. Il suo primo pacco bomba risale al maggio del 1978, alla Northwestern University, vicino a Chicago. Nel mirino, si capirà poi, i centri propulsori del progresso tecnologico e informatico del Paese. Fino al 1985 i suoi attentati non producono vittime. Ma l'11 dicembre di quell'anno, a Sacramento, in California, lascia un pacco fuori da un negozio di computer uccidendo il proprietario, Hugh Scrutton. Altri due pacchi mortali li invierà nel 1994 nel New Jersey e sempre a Sacramento nel 1995. Nel 1996, dopo una lunga caccia all'uomo, sarà arrestato nel Montana, in una piccola comunità dove viveva da quindici anni.
Diciassette anni di guerra solitaria contro università blasonate, compagnie aeree, società di informatica, laboratori di ricerca genetica. Una estenuante partita a scacchi con l'America per dimostrare che la società tecnologica rovina l'uomo e il pianeta. Il più grande successo, forse, lo ottiene nel '95, dopo l'eccidio di Oklahoma, quando riesce a fare pubblicare il suo manifesto politico sul Washington Post e sul New York Times. "Se lo pubblicate smetterò di uccidere - scrisse ai due giornali inviando il documento - se non lo fate spedirò un altro pacco bomba". L'Fbi suggerì di piegarsi al ricatto e le due testate uscirono con pagine e pagine di supplemento.
"La rivoluzione industriale - sosteneva "Unabomber" nel manifesto - ha allungato la vita media degli abitanti dei paesi avanzati, ma è stato un elemento destabilizzante della società, rendendo la vita più vuota, costringendo l'uomo a perdere dignità e accentuando le sofferenze psicologiche". L'unica soluzione, secondo Kaczynski, è ribellarsi al sistema industriale "rovesciando le sue basi economiche e tecnologiche".
Dopo che il suo Manifesto comparirà sul The New York Times e il The Washington Post del 19 settembre 1995, sarà suo fratello a riconoscerne lo stile e a denunciarlo all'FBI.
Kaczynski sta attualmente scontando l'ergastolo ad ADX Florence, in Colorado, una prigione di massima sicurezza conosciuta come Supermax, dove passa il tempo rispondendo alle innumerevoli lettere che riceve e scrivendo qualche articolo che saltuariamente viene pubblicato.
Il 22 gennaio 1998 Theodore Kaczynski, conosciuto dai media come unabomber, si dichiara colpevole di tutti i reati a lui ascritti e riceve così la pena dell'ergastolo anzichè quella di morte.
Nato nel 1942 nella periferia operaia di Chicago, ha speso metà della sua vita a istruirsi, conquistando laurea e dottorato in matematica con due anni di anticipo, e l'altra metà a seminare terrore in nome dell'antiprogresso. Il suo primo pacco bomba risale al maggio del 1978, alla Northwestern University, vicino a Chicago. Nel mirino, si capirà poi, i centri propulsori del progresso tecnologico e informatico del Paese. Fino al 1985 i suoi attentati non producono vittime. Ma l'11 dicembre di quell'anno, a Sacramento, in California, lascia un pacco fuori da un negozio di computer uccidendo il proprietario, Hugh Scrutton. Altri due pacchi mortali li invierà nel 1994 nel New Jersey e sempre a Sacramento nel 1995. Nel 1996, dopo una lunga caccia all'uomo, sarà arrestato nel Montana, in una piccola comunità dove viveva da quindici anni.
Diciassette anni di guerra solitaria contro università blasonate, compagnie aeree, società di informatica, laboratori di ricerca genetica. Una estenuante partita a scacchi con l'America per dimostrare che la società tecnologica rovina l'uomo e il pianeta. Il più grande successo, forse, lo ottiene nel '95, dopo l'eccidio di Oklahoma, quando riesce a fare pubblicare il suo manifesto politico sul Washington Post e sul New York Times. "Se lo pubblicate smetterò di uccidere - scrisse ai due giornali inviando il documento - se non lo fate spedirò un altro pacco bomba". L'Fbi suggerì di piegarsi al ricatto e le due testate uscirono con pagine e pagine di supplemento.
"La rivoluzione industriale - sosteneva "Unabomber" nel manifesto - ha allungato la vita media degli abitanti dei paesi avanzati, ma è stato un elemento destabilizzante della società, rendendo la vita più vuota, costringendo l'uomo a perdere dignità e accentuando le sofferenze psicologiche". L'unica soluzione, secondo Kaczynski, è ribellarsi al sistema industriale "rovesciando le sue basi economiche e tecnologiche".
Dopo che il suo Manifesto comparirà sul The New York Times e il The Washington Post del 19 settembre 1995, sarà suo fratello a riconoscerne lo stile e a denunciarlo all'FBI.
Kaczynski sta attualmente scontando l'ergastolo ad ADX Florence, in Colorado, una prigione di massima sicurezza conosciuta come Supermax, dove passa il tempo rispondendo alle innumerevoli lettere che riceve e scrivendo qualche articolo che saltuariamente viene pubblicato.
martedì 21 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 21 gennaio.
Il 21 gennaio del 1921 nel teatro S.Marco di Livorno nacque il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I) sezione italiana della III Internazionale. Il luogo che avrebbe dato i natali a quello che in futuro sarebbe diventato il più grande ed importante partito comunista dell’Europa occidentale, era stato utilizzato durante la guerra appena conclusa come deposito e si presentava come un luogo angusto, senza luce, privo di sedie e di panche, con finestre senza vetri ed il tetto sfondato. Coloro che costituirono il Pci furono una minoranza dei delegati del XVII Congresso del Psi, che si tenne in quei giorni a Livorno in un altro teatro, il Goldoni.
Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l’adesione all’Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo “astensionista” che faceva capo a Bordiga, futuro primo leader del nuovo Partito, dal gruppo dell’Ordine Nuovo di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca, dalla corrente massimalista di Marabini e Graziadei e dalla stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista (Fgs). Questi gruppi oltre a dichiarare la nascita del nuovo partito elessero anche un primo Comitato Centrale, nel quale erano ben visibili i rapporti di forze interni.
Le cause che provocarono la scissione del Psi vanno ricercate in primo luogo oltre i confini italiani. Infatti erano diventate fortissime le pressioni del nuovo centro mondiale della politica comunista, la Terza Internazionale, che era nata a Mosca nel 1919 e che, essendo certa della possibilità di esportare in tutta Europa il proprio modello vincente, con le 21 condizioni che poneva per l’adesione alla stessa, chiedeva, oltre che l’epurazione delle correnti riformiste, l’assunzione del nome comunista in luogo di quello socialista. Ma se è indubbio che la Rivoluzione d’Ottobre facesse da catalizzatore, in tutti i paesi, per i settori più rivoluzionari dei partiti operai, allo stesso tempo non possono essere dimenticate le particolarità del Psi, che si era già caratterizzato per un proprio atteggiamento autonomo durante la I Guerra Mondiale, quando diversamente dagli altri partiti socialisti europei che appoggiarono le rispettive borghesie, lanciò la parola d’ordine “né aderire né sabotare”.
All’interno del Partito, si erano acuite, anche a causa della situazione post bellica, le divisioni politiche tra le tre correnti principali: la destra riformista e socialdemocratica di Turati, i massimalisti di Serrati, che erano la vera maggioranza del Partito, e la componente di Bordiga e Gramsci. Ma come ricorda Agosti, l’analisi teorica fu sempre piuttosto carente nei socialisti di quel periodo, che amavano parlare di rivoluzione, senza mai, ed in questo era chiara la differenza con i bolscevichi, preoccuparsi di discutere di cosa fare per arrivarci, magari confidando nell’ineluttabilità della stessa. Queste peculiarità proprie del socialismo italiano fecero sì che si arrivasse alla nascita di un partito comunista rivoluzionario con molto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e senza un sufficiente dibattito ideologico, come quello che ad esempio era avvenuto nella socialdemocrazia tedesca. Si giunse per questi motivi al paradosso che il Pci, che era il partito che doveva nascere per fare la rivoluzione, fu formato proprio nel momento in cui sfumarono le condizioni per la rivoluzione, che erano sicuramente più mature nel biennio del 1919-20.
Il 21 gennaio del 1921 nel teatro S.Marco di Livorno nacque il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I) sezione italiana della III Internazionale. Il luogo che avrebbe dato i natali a quello che in futuro sarebbe diventato il più grande ed importante partito comunista dell’Europa occidentale, era stato utilizzato durante la guerra appena conclusa come deposito e si presentava come un luogo angusto, senza luce, privo di sedie e di panche, con finestre senza vetri ed il tetto sfondato. Coloro che costituirono il Pci furono una minoranza dei delegati del XVII Congresso del Psi, che si tenne in quei giorni a Livorno in un altro teatro, il Goldoni.
Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l’adesione all’Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo “astensionista” che faceva capo a Bordiga, futuro primo leader del nuovo Partito, dal gruppo dell’Ordine Nuovo di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca, dalla corrente massimalista di Marabini e Graziadei e dalla stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista (Fgs). Questi gruppi oltre a dichiarare la nascita del nuovo partito elessero anche un primo Comitato Centrale, nel quale erano ben visibili i rapporti di forze interni.
Le cause che provocarono la scissione del Psi vanno ricercate in primo luogo oltre i confini italiani. Infatti erano diventate fortissime le pressioni del nuovo centro mondiale della politica comunista, la Terza Internazionale, che era nata a Mosca nel 1919 e che, essendo certa della possibilità di esportare in tutta Europa il proprio modello vincente, con le 21 condizioni che poneva per l’adesione alla stessa, chiedeva, oltre che l’epurazione delle correnti riformiste, l’assunzione del nome comunista in luogo di quello socialista. Ma se è indubbio che la Rivoluzione d’Ottobre facesse da catalizzatore, in tutti i paesi, per i settori più rivoluzionari dei partiti operai, allo stesso tempo non possono essere dimenticate le particolarità del Psi, che si era già caratterizzato per un proprio atteggiamento autonomo durante la I Guerra Mondiale, quando diversamente dagli altri partiti socialisti europei che appoggiarono le rispettive borghesie, lanciò la parola d’ordine “né aderire né sabotare”.
All’interno del Partito, si erano acuite, anche a causa della situazione post bellica, le divisioni politiche tra le tre correnti principali: la destra riformista e socialdemocratica di Turati, i massimalisti di Serrati, che erano la vera maggioranza del Partito, e la componente di Bordiga e Gramsci. Ma come ricorda Agosti, l’analisi teorica fu sempre piuttosto carente nei socialisti di quel periodo, che amavano parlare di rivoluzione, senza mai, ed in questo era chiara la differenza con i bolscevichi, preoccuparsi di discutere di cosa fare per arrivarci, magari confidando nell’ineluttabilità della stessa. Queste peculiarità proprie del socialismo italiano fecero sì che si arrivasse alla nascita di un partito comunista rivoluzionario con molto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e senza un sufficiente dibattito ideologico, come quello che ad esempio era avvenuto nella socialdemocrazia tedesca. Si giunse per questi motivi al paradosso che il Pci, che era il partito che doveva nascere per fare la rivoluzione, fu formato proprio nel momento in cui sfumarono le condizioni per la rivoluzione, che erano sicuramente più mature nel biennio del 1919-20.
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lunedì 20 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 20 gennaio.
Secondo la leggenda finlandese, il 20 gennaio 1156 il vescovo di Uppsala Enrico veniva ucciso dal contadino Lalli.
In Finlandia infatti già dal medioevo il 20 gennaio si festeggia la festa di Sant'Enrico, vescovo di Uppsala, ove secondo la tradizione locale avrebbe inaugurato la nuova cattedrale edificata da Sant’Erick IX, re di Svezia. In seguito accompagnò il sovrano in una crociata volta alla cristianizzazione della Finlandia e si fermò nella regione per continuare l’opera intrapresa. Vinti i capi locali, li battezzò forzatamente alla fonte di Kuppis, nei pressi di Abo. Poche notizie sono comunque state tramandate circa la sua attività missionaria: secondo la tradizione sarebbe giunto sino al villaggio di Ylistaro, nella contrada di Kumo, ove ancora oggi sopravvivono le rovine della casa in cui il santo vescovo avrebbe predicato.
Secondo la versione “ufficiale” della Chiesa, il vescovo voleva punire con sanzioni religiose un assassino, che non si sottomise alla punizione delle sue malefatte, ma si rivoltò contro Enrico, uccidendolo.
Invece la versione in lingua popolare, ossia la Lauda in Morte del Vescovo Enrico, racconta che il vescovo, arrivato in slitta a casa del contadino finlandese Lalli mentre costui, cioè il padrone di casa, era assente, aveva chiesto cibo e bevanda.
Quando Lalli torna a casa, Enrico e il suo seguito sono ormai già ripartiti, e la moglie di Lalli, che si chiama Kerttu, mente dicendo che il vescovo ha preso di forza tutto ciò che voleva. Allora Lalli, infuriato, salta sugli sci e si precipita a inseguire Enrico.
Lo raggiunge sul ghiaccio di Köyliönjärvi (lett.: “lago di Köyliö”, dove ancora oggi ogni anno il primo fine settimana di giugno i fedeli si recano in pellegrinaggio, ndr) e lo uccide tagliandogli la testa con un'ascia. Lalli tolse il cappello del vescovo dalla testa mozzata e tagliò una delle dita per impossessarsi di un anello. La leggenda narra che il cappello si attaccò alla testa di Lalli e gli fece perdere i capelli quando tentò di toglierlo. Anche il dito si staccò quando tentò di togliere l'anello. I resti del corpo del vescovo vennero raccolti e trasportati con dei buoi. Nel luogo dove i buoi si fermarono venne costruita la prima chiesa della Finlandia.
La storia di Enrico e di Lalli non svanì con l’arrivo della Riforma di Lutero, benché allora fosse ufficialmente abbandonato il culto dei santi nel mondo protestante. Fin dai primi tempi di registrazione storica finlandese, Enrico e il suo assassino formarono un insieme a cui si potevano adattare, volendo, differenti concetti contrapposti, come: europeo-finlandese, civiltà-primitivismo, fede cristiana-paganesimo, novità estere-antichi valori.
A partire dal Medioevo, Sant’Enrico fu visto univocamente, sia dalla Chiesa che dalla vera e propria scrittura storica, come portatore di forze illuminanti e di civiltà, mentre Lalli rappresentava l’ignoranza, la cattiveria e il paganesimo.
Questa visione trovò però una forte contestazione nella giovane Finlandia indipendente dei primi del Novecento. Nei circoli di acceso nazionalismo, questa impostazione venne presto rovesciata.
Si cominciò a considerare l’era precristiana messa in luce anche dal poema epico nazionale Kalevala, come epoca di antica grandezza della stirpe finnica, della “finnicità”. Cosicché Enrico apparve come apostolo di influssi estranei e Lalli come difensore della vera essenza finnica, e personificazione dei tratti fondamentali del carattere finlandese: la fermezza irriducibile e la fedeltà alla tradizione.
Secondo la leggenda finlandese, il 20 gennaio 1156 il vescovo di Uppsala Enrico veniva ucciso dal contadino Lalli.
In Finlandia infatti già dal medioevo il 20 gennaio si festeggia la festa di Sant'Enrico, vescovo di Uppsala, ove secondo la tradizione locale avrebbe inaugurato la nuova cattedrale edificata da Sant’Erick IX, re di Svezia. In seguito accompagnò il sovrano in una crociata volta alla cristianizzazione della Finlandia e si fermò nella regione per continuare l’opera intrapresa. Vinti i capi locali, li battezzò forzatamente alla fonte di Kuppis, nei pressi di Abo. Poche notizie sono comunque state tramandate circa la sua attività missionaria: secondo la tradizione sarebbe giunto sino al villaggio di Ylistaro, nella contrada di Kumo, ove ancora oggi sopravvivono le rovine della casa in cui il santo vescovo avrebbe predicato.
Secondo la versione “ufficiale” della Chiesa, il vescovo voleva punire con sanzioni religiose un assassino, che non si sottomise alla punizione delle sue malefatte, ma si rivoltò contro Enrico, uccidendolo.
Invece la versione in lingua popolare, ossia la Lauda in Morte del Vescovo Enrico, racconta che il vescovo, arrivato in slitta a casa del contadino finlandese Lalli mentre costui, cioè il padrone di casa, era assente, aveva chiesto cibo e bevanda.
Quando Lalli torna a casa, Enrico e il suo seguito sono ormai già ripartiti, e la moglie di Lalli, che si chiama Kerttu, mente dicendo che il vescovo ha preso di forza tutto ciò che voleva. Allora Lalli, infuriato, salta sugli sci e si precipita a inseguire Enrico.
Lo raggiunge sul ghiaccio di Köyliönjärvi (lett.: “lago di Köyliö”, dove ancora oggi ogni anno il primo fine settimana di giugno i fedeli si recano in pellegrinaggio, ndr) e lo uccide tagliandogli la testa con un'ascia. Lalli tolse il cappello del vescovo dalla testa mozzata e tagliò una delle dita per impossessarsi di un anello. La leggenda narra che il cappello si attaccò alla testa di Lalli e gli fece perdere i capelli quando tentò di toglierlo. Anche il dito si staccò quando tentò di togliere l'anello. I resti del corpo del vescovo vennero raccolti e trasportati con dei buoi. Nel luogo dove i buoi si fermarono venne costruita la prima chiesa della Finlandia.
La storia di Enrico e di Lalli non svanì con l’arrivo della Riforma di Lutero, benché allora fosse ufficialmente abbandonato il culto dei santi nel mondo protestante. Fin dai primi tempi di registrazione storica finlandese, Enrico e il suo assassino formarono un insieme a cui si potevano adattare, volendo, differenti concetti contrapposti, come: europeo-finlandese, civiltà-primitivismo, fede cristiana-paganesimo, novità estere-antichi valori.
A partire dal Medioevo, Sant’Enrico fu visto univocamente, sia dalla Chiesa che dalla vera e propria scrittura storica, come portatore di forze illuminanti e di civiltà, mentre Lalli rappresentava l’ignoranza, la cattiveria e il paganesimo.
Questa visione trovò però una forte contestazione nella giovane Finlandia indipendente dei primi del Novecento. Nei circoli di acceso nazionalismo, questa impostazione venne presto rovesciata.
Si cominciò a considerare l’era precristiana messa in luce anche dal poema epico nazionale Kalevala, come epoca di antica grandezza della stirpe finnica, della “finnicità”. Cosicché Enrico apparve come apostolo di influssi estranei e Lalli come difensore della vera essenza finnica, e personificazione dei tratti fondamentali del carattere finlandese: la fermezza irriducibile e la fedeltà alla tradizione.
domenica 19 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 19 gennaio.
il 19 gennaio 1983 Apple annunciò l'uscita di Lisa.
Il Lisa è un personal computer rivoluzionario progettato da Apple Computer agli inizi degli anni ottanta. Molte delle innovazioni legate all'interfaccia grafica GUI del Lisa sono derivate dal progetto Alto dello Xerox PARC. Il progetto Lisa è stato avviato nel 1978 e dopo una lunga gestazione è diventato il progetto di un computer dedicato all'utenza professionale dotato di un'interfaccia grafica a icone che per l'epoca era una notevole innovazione.
Nel settembre del 1980 Jobs fu espulso dal progetto Lisa da Michael Scott e da Mike Markkula perché tendeva a "disgregare le compagnie" in cui lavorava. Il progetto fu affidato definitivamente a John Couch che gestiva già il team Lisa. Perso il progetto Lisa, alla ricerca di un posto dove lasciare il segno, Jobs si concentrò su un piccolo progetto di nome Macintosh, all'epoca diretto da Jef Raskin . Contrariamente a quello che si pensa il Macintosh non è un diretto discendente del Lisa quanto piuttosto un "cugino povero", dato che condivideva alcune idee base ma per una questione di costi alcune caratteristiche avanzate del Lisa non furono implementate nel Macintosh.
Il significato del nome Lisa secondo molti è l'acronimo dell'inglese Local Integrated Software Architecture (in italiano "architettura software locale integrata"), secondo altri è il nome della figlia del co-fondatore dell'Apple Steve Jobs e l'acronimo è stato inventato solo in seguito. Lo stesso Jobs confermerà successivamente che il nome del computer è quello della figlia Lisa Brennan avuta da una relazione con Chrisann Brennan nel 1977. Andrea Cunningham, che lavorava alle pubbliche relazione del progetto per la Regis McKenna (agenzia marketing che lavorava per Apple), conferma la tesi che l'acronimo Local Integrated Software Architecture fu inventato a posteriori con un'operazione di ingegneria inversa e non ha alcun significato.
L'interfaccia grafica del Lisa, nacque dopo che la Apple strinse un accordo con la Xerox che permetteva agli ingegneri Apple di visitare lo Xerox PARC, in cambio di una partecipazione della Xerox al rifinanziamento della Apple nel 1979. Fu al PARC che gli ingenieri Apple e Steve Jobs videro per la prima volta lo Xerox Alto, il primo computer con una GUI (graphical user interface) un'interfaccia grafica e la metafora della scrivania. Lo Xerox Alto introduceva un'altra novità fondamentale: la programmazione orientata agli oggetti con Smalltalk. Tutte queste novità vennero perfezionate e riversate nel Lisa prima, e nel Macintosh poi. Anche il mouse presente nello Xerox Alto fu adottato, in versione semplificata, dal Lisa.
Il Lisa venne presentato il 19 gennaio 1983 al costo di 9.995 dollari statunitensi. Nonostante molti pensino che il Lisa sia il primo computer dotato di interfaccia grafica (GUI) ad essere venduto sul mercato, questo in realtà non è corretto. Infatti a precederlo e a sottrargli il primato è nel 1981 lo Xerox Star. Rimane comunque il primo computer dotato di GUI ad entrare nelle case della gente comune (infatti all'epoca Microsoft aveva un semplice e povero sistema operativo a riga di comando, il famoso Dos e la Xerox costruiva sistemi destinati alle aziende o comunque non alla gente comune)
Lisa era dotato di processore Motorola 68000, 1 MB di RAM e due floppy disk drive da 5,25" chiamati "Twiggy" in grado di memorizzare fino a 871 KB. Poteva inoltre utilizzare un hard disk esterno da 5 MB disponibile opzionalmente, il ProFile, originariamente progettato per l'Apple III. Il sistema operativo del Lisa era il Lisa OS. Il Lisa OS era dotato di multitasking cooperative e supportava la memoria virtuale. Caratteristiche avanzate per l'epoca, e forse anche per loro colpa il Lisa era un computer lento (il Macintosh per la memoria virtuale dovrà attendere anni come anche per il multitasking cooperative, presente dalla versione 6 del Mac OS). Concettualmente il Lisa ricorda lo Xerox Star, nel senso che entrambi erano macchine progettate per l'ufficio, e entrambi sono dotate di interfaccia grafica a icone. Il Lisa aveva due modalità di lavoro, il LisaOS e il Workshop.
Il Lisa è stato il più grosso fallimento commerciale dell'Apple dai tempi dell'Apple III. I potenziali utenti ritenevano il Lisa una macchina troppo costosa e relativamente lenta e quindi si rivolgevano alle macchine prodotte da IBM e dai concorrenti che sebbene fornissero un'interfaccia molto più ostica e fossero più limitate costavano molto meno. La definitiva morte del Lisa la si è avuta nel 1984 con la presentazione del Macintosh che era dotato dell'interfaccia a icone e del mouse. Gli utenti non riuscivano a percepire la superiorità del Lisa rispetto al Macintosh dato che per gli utenti memoria virtuale e multitasking erano parole senza senso. Il Lisa è un classico esempio di un prodotto troppo in anticipo per i suoi tempi. Apple rilasciò altre due versioni del Lisa, chiamate Lisa2 e Macintosh XL, quest'ultima versione era in grado, attraverso un emulatore, di far funzionare i programmi Macintosh sul Lisa. La linea del Lisa venne dismessa nell'Agosto del 1986.
A quei tempi 96 KB di memoria RAM venivano considerati una stravaganza e superflui per la maggior parte degli usi. La generosa dotazione del Lisa venne vista come uno spreco di risorse e la sua generale lentezza non facilitò la vita della macchina, dato che un utente che spende 10.000 dollari si aspettava una macchina velocissima, non una macchina avveniristica nella concezione ma lenta nella pratica quotidiana.
Sebbene sia stato un insuccesso commerciale il Lisa ha fatto molto parlare di sé. Era troppo costoso per una elevata diffusione ma per un certo periodo quasi ogni grande società decise di dotare i suoi uffici principali di uno o due Lisa in condivisione per gli impiegati. Sebbene il software disponibile per il Lisa non fosse moltissimo, se utilizzato in congiunzione con una stampante ad aghi permetteva di realizzare delle relazioni e dei documenti dotati di una impaginazione e di una grafica quando i programmi per gli altri computer non consentivano di fare niente di tutto questo.
Il Lisa veniva utilizzato principalmente per impaginare i documenti. Nonostante molti utenti lo utilizzassero, il numero di computer effettivamente venduti fu molto ridotto. Questi utenti si abituarono però a utilizzare le interfacce a icona e quando fu disponibile il Macintosh lo accolsero a braccia aperte, dato che forniva una interfaccia grafica a un prezzo accessibile.
il 19 gennaio 1983 Apple annunciò l'uscita di Lisa.
Il Lisa è un personal computer rivoluzionario progettato da Apple Computer agli inizi degli anni ottanta. Molte delle innovazioni legate all'interfaccia grafica GUI del Lisa sono derivate dal progetto Alto dello Xerox PARC. Il progetto Lisa è stato avviato nel 1978 e dopo una lunga gestazione è diventato il progetto di un computer dedicato all'utenza professionale dotato di un'interfaccia grafica a icone che per l'epoca era una notevole innovazione.
Nel settembre del 1980 Jobs fu espulso dal progetto Lisa da Michael Scott e da Mike Markkula perché tendeva a "disgregare le compagnie" in cui lavorava. Il progetto fu affidato definitivamente a John Couch che gestiva già il team Lisa. Perso il progetto Lisa, alla ricerca di un posto dove lasciare il segno, Jobs si concentrò su un piccolo progetto di nome Macintosh, all'epoca diretto da Jef Raskin . Contrariamente a quello che si pensa il Macintosh non è un diretto discendente del Lisa quanto piuttosto un "cugino povero", dato che condivideva alcune idee base ma per una questione di costi alcune caratteristiche avanzate del Lisa non furono implementate nel Macintosh.
Il significato del nome Lisa secondo molti è l'acronimo dell'inglese Local Integrated Software Architecture (in italiano "architettura software locale integrata"), secondo altri è il nome della figlia del co-fondatore dell'Apple Steve Jobs e l'acronimo è stato inventato solo in seguito. Lo stesso Jobs confermerà successivamente che il nome del computer è quello della figlia Lisa Brennan avuta da una relazione con Chrisann Brennan nel 1977. Andrea Cunningham, che lavorava alle pubbliche relazione del progetto per la Regis McKenna (agenzia marketing che lavorava per Apple), conferma la tesi che l'acronimo Local Integrated Software Architecture fu inventato a posteriori con un'operazione di ingegneria inversa e non ha alcun significato.
L'interfaccia grafica del Lisa, nacque dopo che la Apple strinse un accordo con la Xerox che permetteva agli ingegneri Apple di visitare lo Xerox PARC, in cambio di una partecipazione della Xerox al rifinanziamento della Apple nel 1979. Fu al PARC che gli ingenieri Apple e Steve Jobs videro per la prima volta lo Xerox Alto, il primo computer con una GUI (graphical user interface) un'interfaccia grafica e la metafora della scrivania. Lo Xerox Alto introduceva un'altra novità fondamentale: la programmazione orientata agli oggetti con Smalltalk. Tutte queste novità vennero perfezionate e riversate nel Lisa prima, e nel Macintosh poi. Anche il mouse presente nello Xerox Alto fu adottato, in versione semplificata, dal Lisa.
Il Lisa venne presentato il 19 gennaio 1983 al costo di 9.995 dollari statunitensi. Nonostante molti pensino che il Lisa sia il primo computer dotato di interfaccia grafica (GUI) ad essere venduto sul mercato, questo in realtà non è corretto. Infatti a precederlo e a sottrargli il primato è nel 1981 lo Xerox Star. Rimane comunque il primo computer dotato di GUI ad entrare nelle case della gente comune (infatti all'epoca Microsoft aveva un semplice e povero sistema operativo a riga di comando, il famoso Dos e la Xerox costruiva sistemi destinati alle aziende o comunque non alla gente comune)
Lisa era dotato di processore Motorola 68000, 1 MB di RAM e due floppy disk drive da 5,25" chiamati "Twiggy" in grado di memorizzare fino a 871 KB. Poteva inoltre utilizzare un hard disk esterno da 5 MB disponibile opzionalmente, il ProFile, originariamente progettato per l'Apple III. Il sistema operativo del Lisa era il Lisa OS. Il Lisa OS era dotato di multitasking cooperative e supportava la memoria virtuale. Caratteristiche avanzate per l'epoca, e forse anche per loro colpa il Lisa era un computer lento (il Macintosh per la memoria virtuale dovrà attendere anni come anche per il multitasking cooperative, presente dalla versione 6 del Mac OS). Concettualmente il Lisa ricorda lo Xerox Star, nel senso che entrambi erano macchine progettate per l'ufficio, e entrambi sono dotate di interfaccia grafica a icone. Il Lisa aveva due modalità di lavoro, il LisaOS e il Workshop.
Il Lisa è stato il più grosso fallimento commerciale dell'Apple dai tempi dell'Apple III. I potenziali utenti ritenevano il Lisa una macchina troppo costosa e relativamente lenta e quindi si rivolgevano alle macchine prodotte da IBM e dai concorrenti che sebbene fornissero un'interfaccia molto più ostica e fossero più limitate costavano molto meno. La definitiva morte del Lisa la si è avuta nel 1984 con la presentazione del Macintosh che era dotato dell'interfaccia a icone e del mouse. Gli utenti non riuscivano a percepire la superiorità del Lisa rispetto al Macintosh dato che per gli utenti memoria virtuale e multitasking erano parole senza senso. Il Lisa è un classico esempio di un prodotto troppo in anticipo per i suoi tempi. Apple rilasciò altre due versioni del Lisa, chiamate Lisa2 e Macintosh XL, quest'ultima versione era in grado, attraverso un emulatore, di far funzionare i programmi Macintosh sul Lisa. La linea del Lisa venne dismessa nell'Agosto del 1986.
A quei tempi 96 KB di memoria RAM venivano considerati una stravaganza e superflui per la maggior parte degli usi. La generosa dotazione del Lisa venne vista come uno spreco di risorse e la sua generale lentezza non facilitò la vita della macchina, dato che un utente che spende 10.000 dollari si aspettava una macchina velocissima, non una macchina avveniristica nella concezione ma lenta nella pratica quotidiana.
Sebbene sia stato un insuccesso commerciale il Lisa ha fatto molto parlare di sé. Era troppo costoso per una elevata diffusione ma per un certo periodo quasi ogni grande società decise di dotare i suoi uffici principali di uno o due Lisa in condivisione per gli impiegati. Sebbene il software disponibile per il Lisa non fosse moltissimo, se utilizzato in congiunzione con una stampante ad aghi permetteva di realizzare delle relazioni e dei documenti dotati di una impaginazione e di una grafica quando i programmi per gli altri computer non consentivano di fare niente di tutto questo.
Il Lisa veniva utilizzato principalmente per impaginare i documenti. Nonostante molti utenti lo utilizzassero, il numero di computer effettivamente venduti fu molto ridotto. Questi utenti si abituarono però a utilizzare le interfacce a icona e quando fu disponibile il Macintosh lo accolsero a braccia aperte, dato che forniva una interfaccia grafica a un prezzo accessibile.
sabato 18 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 18 gennaio.
Il 18 gennaio 1983, a 30 anni dalla sua morte, il Comitato Internazionale Olimpico restituì ai suoi familiari le medaglie olimpiche di Jim Thorpe, definito da alcuni il più grande atleta del ventesimo secolo.
James Francis Thorpe nacque presumibilmente (non c'è certezza) il 28 maggio 1887 in un monolocale di Prague, Oklahoma. Gli diedero i natali Hiram Thorpe, un contadino, e Mary James, una nativa americana della tribù Pottawatomie, discendente dell'ultimo grande capo dei Sauk Falco Nero. Jim nacque in un parto gemellare, ma suo fratello Charlie morì a nove anni. Il suo nome indiano era "Wa-Tho-Huk", traducibile come "percorso luminoso", un nome che divenne un destino per Thorpe.
Nel 1904 Thorpe iniziò la scuola in Pennsylvania, alla Scuola Indiana Industriale Carlisle, che gli diede l'opportunità di avvicinarsi allo sport. Cominciò giocando a football e a fare atletica leggera, fino a giungere in prima squadra nel 1910.
A 24 anni Thorpe partecipò con il team olimpico americano alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912, dove trionfò nel Pentathlon e nel Decathlon stabilendò record che furono battuti solo decadi più tardi. Fu lo stesso re Gustavo V di Svezia a voler medagliare Jim, dicendogli appunto le parole che gli restarono accanto per il resto della vita: "voi siete il più grande atleta del mondo"; Thorpe, rispose semplicemente "Grazie maestà".
Le medaglie olimpiche di Thorpe gli furono revocate nel 1913 quando il comitato olimpico seppe che aveva giocato due stagioni semiprofessionistiche a baseball. Thorpe si difese dicendo che aveva giocato per il piacere del gioco e non per il danaro, ma il comitato, irremovibile, decise che la sua attività nel baseball gli aveva consentito una preparazione atletica che gli altri atleti dilettanti non avevano potuto avere. Il suo nome fu tolto dal libro dei record e le medaglie ritirate.
In seguito Thorpe cominciò nel 1915 a giocare a baseball per i New York Giants, e dal 1917 per i Cincinnati Reds, terminando la sua carriera nel 19 per i Boston Braves.
Negli stessi anni in cui giocava professionalmente a Baseball, non disdegnò anche il football professionistico, giocando per gli Ohio Bulldogs e i Cleveland Indiana fino al 1921. Successivamente si mise ad allenare e a tentare di creare una associazione di football professionistico, quella che molti anni più tardi si evolse nella attuale NFL.
Il vulcanico Jim non si limitò a questo: lavorò come comparsa nei film, si occupò dei parchi pubblici di Chicago, e si battè per i diritti dei nativi americani.
Thorpe morì il 28 marzo 1953 per un attacco di cuore. Il New York Times gli dedicò tutta la prima pagina nel suo ricordo, asserendo che Thorpe "fu un fantastico atleta. Aveva la forza, la velocità e la coordinazione dei migliori giocatori, unite a una incredibile resistenza. La perdita delle medaglie di Stoccolma a causa di cavilli ha oscurato buona parte della sua carriera e avrebbe dovuto essere corretta molto tempo fa. La sua memoria dovrebbe essere mantenuta per ciò che merita, il più grande e completo atleta del nostro tempo".
Nel 1983, oltre alla restituzione delle medaglie, il suo nome fu nuovamente inserito negli annali olimpici.
Il 18 gennaio 1983, a 30 anni dalla sua morte, il Comitato Internazionale Olimpico restituì ai suoi familiari le medaglie olimpiche di Jim Thorpe, definito da alcuni il più grande atleta del ventesimo secolo.
James Francis Thorpe nacque presumibilmente (non c'è certezza) il 28 maggio 1887 in un monolocale di Prague, Oklahoma. Gli diedero i natali Hiram Thorpe, un contadino, e Mary James, una nativa americana della tribù Pottawatomie, discendente dell'ultimo grande capo dei Sauk Falco Nero. Jim nacque in un parto gemellare, ma suo fratello Charlie morì a nove anni. Il suo nome indiano era "Wa-Tho-Huk", traducibile come "percorso luminoso", un nome che divenne un destino per Thorpe.
Nel 1904 Thorpe iniziò la scuola in Pennsylvania, alla Scuola Indiana Industriale Carlisle, che gli diede l'opportunità di avvicinarsi allo sport. Cominciò giocando a football e a fare atletica leggera, fino a giungere in prima squadra nel 1910.
A 24 anni Thorpe partecipò con il team olimpico americano alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912, dove trionfò nel Pentathlon e nel Decathlon stabilendò record che furono battuti solo decadi più tardi. Fu lo stesso re Gustavo V di Svezia a voler medagliare Jim, dicendogli appunto le parole che gli restarono accanto per il resto della vita: "voi siete il più grande atleta del mondo"; Thorpe, rispose semplicemente "Grazie maestà".
Le medaglie olimpiche di Thorpe gli furono revocate nel 1913 quando il comitato olimpico seppe che aveva giocato due stagioni semiprofessionistiche a baseball. Thorpe si difese dicendo che aveva giocato per il piacere del gioco e non per il danaro, ma il comitato, irremovibile, decise che la sua attività nel baseball gli aveva consentito una preparazione atletica che gli altri atleti dilettanti non avevano potuto avere. Il suo nome fu tolto dal libro dei record e le medaglie ritirate.
In seguito Thorpe cominciò nel 1915 a giocare a baseball per i New York Giants, e dal 1917 per i Cincinnati Reds, terminando la sua carriera nel 19 per i Boston Braves.
Negli stessi anni in cui giocava professionalmente a Baseball, non disdegnò anche il football professionistico, giocando per gli Ohio Bulldogs e i Cleveland Indiana fino al 1921. Successivamente si mise ad allenare e a tentare di creare una associazione di football professionistico, quella che molti anni più tardi si evolse nella attuale NFL.
Il vulcanico Jim non si limitò a questo: lavorò come comparsa nei film, si occupò dei parchi pubblici di Chicago, e si battè per i diritti dei nativi americani.
Thorpe morì il 28 marzo 1953 per un attacco di cuore. Il New York Times gli dedicò tutta la prima pagina nel suo ricordo, asserendo che Thorpe "fu un fantastico atleta. Aveva la forza, la velocità e la coordinazione dei migliori giocatori, unite a una incredibile resistenza. La perdita delle medaglie di Stoccolma a causa di cavilli ha oscurato buona parte della sua carriera e avrebbe dovuto essere corretta molto tempo fa. La sua memoria dovrebbe essere mantenuta per ciò che merita, il più grande e completo atleta del nostro tempo".
Nel 1983, oltre alla restituzione delle medaglie, il suo nome fu nuovamente inserito negli annali olimpici.
venerdì 17 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 17 gennaio.
Il 17 gennaio 1966 un bombardiere Usa B52 si scontrò nel cielo di Palomares, in Spagna, con un aereo cisterna che avrebbe dovuto rifornirlo in volo, e lasciò cadere 4 bombe atomiche da 1,5 megatoni, due a terra e due in mare. Fortunatamente nessuno degli ordigni atomici esplose, ma le due bombe atomiche cadute a terra seminarono plutonio radioattivo, contaminando una vasta area. In tre mesi vennero raccolte 1.400 tonnellate di terra e vegetazione radioattiva che furono portate negli Stati Uniti. Mentre i militari statunitensi erano forniti di tute protettive, gli spagnoli continuarono a vivere tranquillamente e a coltivare i terreni. Un monitoraggio effettuato nel 1988 su 714 abitanti ha rivelato in 124 di loro una concentrazione di plutonio nelle urine di gran lunga superiore ai livelli normali.
Solo recentemente, e in particolare dopo che Wikileaks ha pubblicato tutta una serie di missive riservate che indicano che il Pentagono sa bene il grado di pericolosità per la popolazione dovuto alla perdita di plutonio oltre 50 anni fa, il governo degli Stati Uniti, coordinandosi con il governo spagnolo, ha provveduto ad una bonifica del territorio di Palomares, nel 2015.
Il 17 gennaio 1966 un bombardiere Usa B52 si scontrò nel cielo di Palomares, in Spagna, con un aereo cisterna che avrebbe dovuto rifornirlo in volo, e lasciò cadere 4 bombe atomiche da 1,5 megatoni, due a terra e due in mare. Fortunatamente nessuno degli ordigni atomici esplose, ma le due bombe atomiche cadute a terra seminarono plutonio radioattivo, contaminando una vasta area. In tre mesi vennero raccolte 1.400 tonnellate di terra e vegetazione radioattiva che furono portate negli Stati Uniti. Mentre i militari statunitensi erano forniti di tute protettive, gli spagnoli continuarono a vivere tranquillamente e a coltivare i terreni. Un monitoraggio effettuato nel 1988 su 714 abitanti ha rivelato in 124 di loro una concentrazione di plutonio nelle urine di gran lunga superiore ai livelli normali.
Solo recentemente, e in particolare dopo che Wikileaks ha pubblicato tutta una serie di missive riservate che indicano che il Pentagono sa bene il grado di pericolosità per la popolazione dovuto alla perdita di plutonio oltre 50 anni fa, il governo degli Stati Uniti, coordinandosi con il governo spagnolo, ha provveduto ad una bonifica del territorio di Palomares, nel 2015.
giovedì 16 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 16 gennaio.
Il 16 gennaio 1547, all'età di 16 anni, Ivan Vasilyevich viene incoronato imperatore di Russia, e fu il primo ad utilizzare il termine zar. Ivan diverrà noto in Occidente con l'aggettivo "terribile".
Al momento dell'incoronazione si rivela intelligente ed ambizioso, al punto da affermare che, globo e scettro, simboli del potere, provengono da Costantinopoli giustificando così la sua decisione di assumere il titolo di zar ossia Cesar (Imperatore).
I primi anni del suo regno sono caratterizzati, comunque, dalla pace e dalle riforme volte a modernizzare lo stato. Viene rivisto il codice penale, creato un esercito stabile, convocato lo Zemsky Sobor (assemblea dei rappresentanti delle classi sociali) e viene definita la subordinazione della chiesa allo stato creando un complesso sistema di rituali e regole.
Ivan crea nuovi contatti commerciali, aprendo ai mercanti inglesi il porto di Archangel sul Mar Bianco ed ingrandisce lo stato annettendo i khanati di Kazan ed Astrakhan (nati dalla dissoluzione del Khanato dell'Orda d'Oro). La presa di Kazan viene commemorata da Ivan IV con l'erezione della cattedrale di San Basilio a Mosca.
La prima parte del regno di Ivan IV non è solo caratterizzata da aspetti positivi: infatti è di questo periodo la promulgazione delle prime leggi che restringono la libertà di spostamento dei contadini, leggi che daranno poi origine alla servitù della gleba.
Nel 1564 viene formata l'Oprichnina, sostanzialmente l'insieme delle terre che non sono sottoposte al controllo dei signori feudali (boiardi) ma solo dello Zar; queste terre vengono governate dagli Oprichniks, funzionari scelti dallo zar.
In pratica si tratta di uno stato nello stato. Il sistema è visto come uno strumento di antagonismo contro il potere dei feudatari ereditari, che si oppongono al governo assolutista dello zar.
In breve tempo gli Oprichnicks si evolvono in una forza militare al diretto servizio di Ivan (gli "strelizzi").
La seconda metà del regno di Ivan IV è più povera di successi e segnata dalle tragedie.
La guerra, inizialmente vittoriosa, scatenata per l'espansione del controllo sui mari, si trasforma in un interminabile conflitto con svedesi, lituani, polacchi e cavalieri teutonici di Livonia. Per ventidue anni la guerra consuma risorse, danneggiando la Russia, sia dal punto di vista economico, che militare, senza portare alcun vantaggio territoriale.
Il miglior amico e consigliere di Ivan, il principe Andrei Kurbsky, defeziona e fugge in Polonia. Nello stesso periodo la prima moglie di Ivan, una delle poche persone di cui si fidasse completamente, muore assassinata dai boiari. Anche Ivan rischia la morte a causa di una malattia.
Questo insieme di situazioni aumenta la tensione mentale di Ivan portandolo a diventare squilibrato e violento. Gli Oprichniks gli sfuggono di mano diventando un potere, quasi criminale, a sé.
Ivan ordina l'uccisione di molti nobili e contadini, introducendo la coscrizione obbligatoria per rinsaldare l'esercito che combatte in Livonia. Spopolamento e carestie si susseguono. Quelle che erano state le più ricche zone della Moscovia diventano le più povere.
A causa di una disputa con la repubblica di Novgorod, Ivan ordina agli Strelizzi di massacrare la popolazione della città. Si dice che i morti furono tra i trentamila e i quarantamila anche se,a livello ufficiale, si contarono 1500 caduti tra i nobili e lo stesso numero tra la gente comune.
La tradizione vuole che, nel 1581, in uno scatto d'ira, lo zar uccida accidentalmente suo figlio Ivan Ivanovich. Le vere cause della morte del figlio Ivan IV sono attualmente argomento di discussione tra gli storici.
Questo ultimo evento è rappresentato nel famoso dipinto di Ilya Repin Ivan il Terribile uccide suo figlio.
Verso l'inizio del 1584 Ivan IV si ammalò gravemente e, capendo che oramai era in punto di morte, chiamò a sé il debole e forse ritardato mentale figlio Fëdor, nominandolo proprio erede al trono. Gli raccomandò di governare con giustizia e saggezza e di evitare in ogni maniera la guerra, perché la Russia non era pronta per un conflitto. Con il timore della morte Ivan IV cercò il perdono divino, e quindi prese gli ordini monastici con i quali si sentiva certo di espiare tutti i suoi peccati.
Credenza popolare vuole che Ivan sia morto mentre giocava a scacchi, molto probabilmente con la sua guardia del corpo Bogdan Belskij, il 18 marzo 1584.Quando la tomba di Ivan fu aperta per una serie di restauri voluti dal governo sovietico negli anni Sessanta del XX secolo, le sue ossa furono analizzate e fu scoperto che le stesse contenevano una quantità di mercurio tale da far ritenere con buona probabilità che il sovrano fosse stato avvelenato. I sospetti degli storici moderni ricadono sui suoi consiglieri Fëdor Belskij e Boris Godunov (che divenne Zar nel 1598). Tre giorni prima, infatti, Ivan aveva cercato di stuprare Irina, sorella di Godunov e moglie di Fëdor. Le urla della donna attirarono Godunov e Belskij che, dopo essere stati testimoni di tale evento, dovettero considerarsi vicini alla morte, nonostante Ivan avesse nel frattempo lasciato scappare la donna. La tradizione riferisce che entrambi avvelenarono o strangolarono lo Zar temendo per le proprie vite. Il mercurio trovato potrebbe essere tuttavia stato utilizzato dal sovrano per un trattamento contro la sifilide, di cui voci di corte ritenevano Ivan affetto.
Il primo Zar giocò un ruolo molto importante nella storia della Russia, riuscendo a sopprimere i khanati tartari ed espandendo i territori della Moscovia. Iniziò inoltre una politica di apertura verso l'Europa, tentando di far uscire la Russia dal suo isolamento: tale politica sarà portata avanti dai suoi successori.
Dopo la morte di Ivan IV la Moscovia, indebolita e devastata, passò in eredità al figlio Fëdor I, le cui cagionevoli condizioni di salute e il proprio stato mentale alterato gli impedirono di affermare la propria personalità di sovrano e di sviluppare una politica autonoma.
Il 16 gennaio 1547, all'età di 16 anni, Ivan Vasilyevich viene incoronato imperatore di Russia, e fu il primo ad utilizzare il termine zar. Ivan diverrà noto in Occidente con l'aggettivo "terribile".
Al momento dell'incoronazione si rivela intelligente ed ambizioso, al punto da affermare che, globo e scettro, simboli del potere, provengono da Costantinopoli giustificando così la sua decisione di assumere il titolo di zar ossia Cesar (Imperatore).
I primi anni del suo regno sono caratterizzati, comunque, dalla pace e dalle riforme volte a modernizzare lo stato. Viene rivisto il codice penale, creato un esercito stabile, convocato lo Zemsky Sobor (assemblea dei rappresentanti delle classi sociali) e viene definita la subordinazione della chiesa allo stato creando un complesso sistema di rituali e regole.
Ivan crea nuovi contatti commerciali, aprendo ai mercanti inglesi il porto di Archangel sul Mar Bianco ed ingrandisce lo stato annettendo i khanati di Kazan ed Astrakhan (nati dalla dissoluzione del Khanato dell'Orda d'Oro). La presa di Kazan viene commemorata da Ivan IV con l'erezione della cattedrale di San Basilio a Mosca.
La prima parte del regno di Ivan IV non è solo caratterizzata da aspetti positivi: infatti è di questo periodo la promulgazione delle prime leggi che restringono la libertà di spostamento dei contadini, leggi che daranno poi origine alla servitù della gleba.
Nel 1564 viene formata l'Oprichnina, sostanzialmente l'insieme delle terre che non sono sottoposte al controllo dei signori feudali (boiardi) ma solo dello Zar; queste terre vengono governate dagli Oprichniks, funzionari scelti dallo zar.
In pratica si tratta di uno stato nello stato. Il sistema è visto come uno strumento di antagonismo contro il potere dei feudatari ereditari, che si oppongono al governo assolutista dello zar.
In breve tempo gli Oprichnicks si evolvono in una forza militare al diretto servizio di Ivan (gli "strelizzi").
La seconda metà del regno di Ivan IV è più povera di successi e segnata dalle tragedie.
La guerra, inizialmente vittoriosa, scatenata per l'espansione del controllo sui mari, si trasforma in un interminabile conflitto con svedesi, lituani, polacchi e cavalieri teutonici di Livonia. Per ventidue anni la guerra consuma risorse, danneggiando la Russia, sia dal punto di vista economico, che militare, senza portare alcun vantaggio territoriale.
Il miglior amico e consigliere di Ivan, il principe Andrei Kurbsky, defeziona e fugge in Polonia. Nello stesso periodo la prima moglie di Ivan, una delle poche persone di cui si fidasse completamente, muore assassinata dai boiari. Anche Ivan rischia la morte a causa di una malattia.
Questo insieme di situazioni aumenta la tensione mentale di Ivan portandolo a diventare squilibrato e violento. Gli Oprichniks gli sfuggono di mano diventando un potere, quasi criminale, a sé.
Ivan ordina l'uccisione di molti nobili e contadini, introducendo la coscrizione obbligatoria per rinsaldare l'esercito che combatte in Livonia. Spopolamento e carestie si susseguono. Quelle che erano state le più ricche zone della Moscovia diventano le più povere.
A causa di una disputa con la repubblica di Novgorod, Ivan ordina agli Strelizzi di massacrare la popolazione della città. Si dice che i morti furono tra i trentamila e i quarantamila anche se,a livello ufficiale, si contarono 1500 caduti tra i nobili e lo stesso numero tra la gente comune.
La tradizione vuole che, nel 1581, in uno scatto d'ira, lo zar uccida accidentalmente suo figlio Ivan Ivanovich. Le vere cause della morte del figlio Ivan IV sono attualmente argomento di discussione tra gli storici.
Questo ultimo evento è rappresentato nel famoso dipinto di Ilya Repin Ivan il Terribile uccide suo figlio.
Verso l'inizio del 1584 Ivan IV si ammalò gravemente e, capendo che oramai era in punto di morte, chiamò a sé il debole e forse ritardato mentale figlio Fëdor, nominandolo proprio erede al trono. Gli raccomandò di governare con giustizia e saggezza e di evitare in ogni maniera la guerra, perché la Russia non era pronta per un conflitto. Con il timore della morte Ivan IV cercò il perdono divino, e quindi prese gli ordini monastici con i quali si sentiva certo di espiare tutti i suoi peccati.
Credenza popolare vuole che Ivan sia morto mentre giocava a scacchi, molto probabilmente con la sua guardia del corpo Bogdan Belskij, il 18 marzo 1584.Quando la tomba di Ivan fu aperta per una serie di restauri voluti dal governo sovietico negli anni Sessanta del XX secolo, le sue ossa furono analizzate e fu scoperto che le stesse contenevano una quantità di mercurio tale da far ritenere con buona probabilità che il sovrano fosse stato avvelenato. I sospetti degli storici moderni ricadono sui suoi consiglieri Fëdor Belskij e Boris Godunov (che divenne Zar nel 1598). Tre giorni prima, infatti, Ivan aveva cercato di stuprare Irina, sorella di Godunov e moglie di Fëdor. Le urla della donna attirarono Godunov e Belskij che, dopo essere stati testimoni di tale evento, dovettero considerarsi vicini alla morte, nonostante Ivan avesse nel frattempo lasciato scappare la donna. La tradizione riferisce che entrambi avvelenarono o strangolarono lo Zar temendo per le proprie vite. Il mercurio trovato potrebbe essere tuttavia stato utilizzato dal sovrano per un trattamento contro la sifilide, di cui voci di corte ritenevano Ivan affetto.
Il primo Zar giocò un ruolo molto importante nella storia della Russia, riuscendo a sopprimere i khanati tartari ed espandendo i territori della Moscovia. Iniziò inoltre una politica di apertura verso l'Europa, tentando di far uscire la Russia dal suo isolamento: tale politica sarà portata avanti dai suoi successori.
Dopo la morte di Ivan IV la Moscovia, indebolita e devastata, passò in eredità al figlio Fëdor I, le cui cagionevoli condizioni di salute e il proprio stato mentale alterato gli impedirono di affermare la propria personalità di sovrano e di sviluppare una politica autonoma.
mercoledì 15 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 15 gennaio.
Il 15 gennaio 1974 sulla rete televisiva americana ABC debutta un telefilm che diventerà uno dei più visti negli Stati Uniti, in Italia e in moltissimi paesi del mondo: Happy Days.
Siamo nel 1970. Gli Stati Uniti hanno il grosso problema della guerra del Vietnam e dell’inflazione. Una notevole irrequietezza serpeggia nel mondo studentesco. La vitalità degli Stati Uniti è in declino: il paese si trova in uno stato di tensione politica, economica e culturale.
Uno degli effetti immediati è stato quello di uno spostamento degli interessi nell’ambiente letterario, musicale e cinematografico verso i tempi che apparivano più tranquilli, o per lo meno più comprensibili. E un revival degli anni ’50 rientra in questa forte tendenza "nostalgica": buona parte delle popolazione americana sembra trovare "rassicurante" l’innocenza degli anni ’50.
Fu così che Garry Marshall si mise all’opera e inventò la famiglia Cunningham, il tipico, simpatico nucleo di personaggi su cui si impernia Happy Days. Da qui nacque il prototipo di mezz’ora "A new family in town", con Ron Howard, Anson Williams e Marion Ross. Tutti i personaggi erano gli stessi della trasmissione attuale, ad eccezione di Fonzie, la cui personalità non rientrava certo in quello che Marshall definiva "un simpatico, caldo quadretto di vita familiare".
Comunque l’esito di questo primo film fu piuttosto deludente per Marshall: il suo prototipo non suscitò un particolare interesse nella ABC, che alla fine lo usò per un episodio della serie "Love, american style", e poi lo archiviò. Con il passare del tempo però la nostalgia per gli anni ’50 cominciò a prendere sempre più piede: il musical di Bradway "Grease", ambientato appunto in quegli anni, aprì un nuovo filone di successo, e il film "American graffiti" fu accolto entusiasticamente sia dal pubblico sia dalla critica. Il fatto che Ron Howard figurasse anche nel cast di "American graffiti" contribuì a creare l’idea sbagliata che Happy Days fosse stato all’origine del revival in campo cinematografico. Questo non è esatto, in quanto Happy Days nacque sull’onda del successo di "America graffiti"- anche se, per la cronaca, va ricordato che il film era pur stato preceduto dal prototipo di HD.
Il successo di queste due produzioni (per non parlare del revival del rock ‘n roll anni ’50 attuato dal complesso Sha Na Na) gettò una nuova luce sulla idea iniziale di Happy Days: la ABC si rese finalmente conto della possibilità di successo commerciale implicita in un ritorno agli anni ’50, e prese di nuovo contatto con Marshall a questo proposito. Secondo Marshall la ABC era entusiasta di realizzare Happy Days, ma a condizione che fossero apportate alcune aggiunte e certe modifiche: prima di tutto temeva che il telefilm originale fosse un po’ troppo melenso e meno divertente di quanto avrebbe potuto essere sulla carta.
Tenendo come punto di riferimento il film "American graffiti", la rete televisiva intuiva l’opportunità di inserire il tema della "bande" giovanili in una trasmissione essenzialmente imperniata su una famiglia borghese. Effettivamente questo aspetto degli anni ’50 faceva parte integrante del periodo rappresentato, ma Marshall aveva delle riserve. "Quando me l'hanno proposta, la cosa mi ha lasciato perplesso. Me ne sono tornato a casa e ho deciso che l’introduzione di una banda non sarebbe andata bene. Comunque avevo l’impressione che Einser avesse ragione, sotto un certo punto di vista: la trasmissione aveva realmente bisogno di qualcosa di diverso e di vivificante. Perciò invece di introdurre una banda di ragazzi ho pensato di creare un personaggio che rappresentasse un tipo di ragazzo "diverso", quello che non ha fatto il liceo.
Così, in collaborazione con Tony Miller e Ed Milkis, che già avevano collaborato al primo telefilm, Marshall iniziò un lavoro di revisione. Oltre ad introdurre l’elemento della banda in forma attenuata (cioè il personaggio di Fonzie), ridisegnò il locale di Arnold’s e aggiunse molte altre figure di ragazzi.
Fin dal principio Marshall aveva ben chiara nella mente la linea tematica da seguire. Benché molti abbiano creduto (e credano tuttora) che la chiave di Happy Days sia essenzialmente nostalgica, la realtà è diversa: alla base degli elementi superficiali degli anni ’50 c’è il desiderio di Marshall di esplorare e analizzare i problemi tipici degli adolescenti. L’aspetto nostalgico può esser considerato incidentale, una nota di colore per caratterizzare un certo ambiente. A parte l’interesse personale di Marshall per questo periodo, l’ambientazione negli anni ’50 risultava anche obiettivamente conveniente: in un certo senso l’elemento "anni ‘50" consentiva all’autore di sviluppare il tema che gli stava a cuore evitando però quegli aspetti tipici della gioventù contemporanea che sarebbero stati necessari per creare un certo realismo, ma che difficilmente sarebbero stati accettati sia dalla rete televisiva sia, presumibilmente, dal pubblico.
Nello sviluppo della tematica della trasmissione l’interesse è stato concentrato essenzialmente su due problemi tipici degli adolescenti: il primo riguarda i loro rapporti con le ragazze, e questo spiega la continua aspirazione di Richie, Potsie e Ralph ad abbordare le ragazze e la continua funzione di "maestro" che ha Fonzie per quanto riguarda la "tecnica" di abbordaggio. Il secondo problema riguarda il dubbio angoscioso: "Non sarò un vigliacco?"
In definitiva i grandi temi attorno cui ruotano i vari episodi si possono ridurre a tre categorie: il Grande Fonzie, la famiglia Cunningham e i momenti di riflessione.
Una volta fissati i temi e le varie vicende, Marshall rivolse la propria attenzione alla scelta del cast. Un bel giorno Tom Miller- a cui era stata devoluta in gran parte la responsabilità di questa fase organizzativa- si presentò a Marshall con la soluzione di quello che stava diventando un vero problema: la scelta dell’attore che avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Fonzie. Miller era eccitatissimo- "L’ho trovato! Non è esattamente come se lo immagina lei.. è meno grande e grosso.. ma ha gli occhi e la voce giusti. Ed è l’unico che li abbia". Il candidato era Henry Winkler.
Marshall aveva fiducia in Miller e ben presto si trovò a condividere il suo entusiasmo. Quando poi vide personalmente Winkler, si convinse definitivamente dell’opportunità della scelta. Quello che gli aveva detto Miller corrispondeva alla realtà: Henry Winkler era un Fonzie perfetto.
La scelta delle attrici che avrebbero dovuto interpretare le parti di Joanie e Marion Cunningham invece si dimostrò di tutto riposo: Marion Ross era l’interprete ideale, ed Erin Moran aveva già lavorato con Marshall, "Se era divertente allora, sarà divertente anche adesso" pensò Marshall. Ed ebbe ragione.
Anche Ron Howard gli era già noto dai tempi di "The Andy Griffith show". Ai suoi occhi aveva il doppio merito di rappresentare il tipico ragazzo americano e di essere estremamente divertente. Benchè ad un certo punto fosse sorto qualche dubbio sulla sua scelta per la parte di Richie in quanto aveva un’aria "troppo normale", fu proprio quella sua aria da "bravo ragazzo" che , alla fine, gli fece guadagnare la parte nella serie.
Per la parte di Potsie Weber, Marshall propendeva per un attore con i capelli scuri, che contrastassero con quelli rossi di Ron Howard. Inoltre voleva un tipo simpatico "che sapesse far sorridere il pubblico". E anche questa volta Tom Miller trovò il candidato giusto. Anson Williams aveva già un’esperienza televisiva alle spalle (un’ottima prova sfruttata da Marshall per dissipare i dubbi della rete televisiva sulla sua candidatura), e benché i suoi precedenti di attore non fossero straordinari, lavorava così bene con Ron Howard che ebbe la parte. Comunque c’era un altro giovane attore che avrebbe avuto ottimi numeri per aspirare alla parte di Potsie: Don Most. Il suo unico handicap erano i capelli rossi, però aveva già dato prova di saper far sorridere, e Marshall ci pensò a lungo…. Most poteva essere una scelta sicura per la rete televisiva. Quel che accadde in seguito fu una grossa prova di fiducia nel talento ancora pressoché sconosciuto del giovane attore: Marshall gli creò su misura la parte di Ralph Malph.
Il problema più difficile si presentò per la scelta di Howard Cunningham. Harold Gould aveva già sostenuto la parte nel prototipo televisivo della serie, ma al momento era già impegnato nella lavorazione di un altro film. Secondo le parole di Marshall la produzione cercava un tipo di padre "tutta saggezza", ma Marshall era altrettanto deciso nel volere un Howard Cunningham vulnerabile e realistico. "Un padre meraviglioso che sa sempre tutto non avrebbe funzionato- sosteneva Marshall.- Io lo so che cosa fa sorridere e so che uno stereotipo simile non avrebbe strappato neanche mezzo sorriso. Perciò ho detto alla rete televisiva: ‘Onestamente non mi ricordo che mio padre fosse un genio simile, quando ero un ragazzo, e voglio un padre credibile, non un fenomeno!’".
Nel frattempo Miller e Marshall avevano trovato Tom Bosley, un Howard Cunningham ideale, ma quanto di più diverso si potesse concepire dall’immagine che se ne era fatta la produzione. Alla ABC dissero a Marshall: "No, questo Tom Bosley non va proprio. Non ha l’aria del padre, sembra un padre normalissimo". Bene, questo era esattamente quello che Marsall desiderava. Naturalmente ci fu una gran lotta, ma alla fine la spuntò Marshall (cosa di cui ancora oggi il regista va orgoglioso), in quanto Bosley non solo rappresenta perfettamente il personaggio, ma da anche una certa stabilità al cast che, benché già maturo da un punto di vista professionale, anagraficamente era pur sempre molto giovane. "Ci vuole un veterano per dare coesione al lavoro- sostiene Marshall. –La prima volta che ho visto Tom sono rimasto colpito dalla sua solidità di carattere. E quando si realizza una serie di film, settimana dopo settimana, si ha bisogno di questo tipo di solidità. Ronnie è un ragazzo solido, ma è ancora molto giovane. A noi serviva una roccia come Tom. Devo dire che ci ha aiutato a superare molti momenti difficili".
Happy Days riscosse subito un alto indice di ascolto, battendo altre trasmissioni popolari fin dalla prima settimana: nelle settimane successive poi si trovò a competere solo con Maude, alternandosi al primo posto e con scarti minimi. Una cosa era certa: Happy Days era l’unico spettacolo che fosse mai stato in grado di tener testa a Maude. Tanto è vero che la CBS decise di spostare Maude in un altro orario e di sostituirlo con una serie che veramente potesse competere con Happy Days, più o meno sullo stesso terreno, dando la possibilità a Maude di dominare incontrastata l’orario che le era stato riservato. Fu così che andò in onda la serie Good Times, che si dimostrò subito più valida e, con le sue trovate divertenti e le sue battute frizzanti, superò presto il successo di Happy Days.
Per Happy Days quella fu una stagione di grande tensione: in poche settimane la serie aveva toccato le vette del successo ed era stata battuta; ma non tutto era perduto. D’altronde Marshall stesso riconosce che, essendo stata fatta partire in ritardo sulla stagione televisiva, la serie era stata preparata in modo affrettato, quindi alcuni episodi risultavano un po’ approssimativi. Il rimedio era chiaro: bisognava rendere Happy Days più divertente, se lo si voleva far competere con Good Times. A questo scopo vennero effettuate due importanti modifiche. In primo luogo, in base al principio secondo cui l’umorismo può essere meglio controllato negli interni, Marshall ridusse il numero delle riprese in esterni. In secondo luogo si cominciò a girare alla presenza di un pubblico.
La ragione è molto semplice: gli attori recitano meglio di fronte a spettatori in carne ed ossa, che davanti alla freddezza delle telecamere, e gli autori dei testi, attraverso lo stimolo e le reazioni del pubblico, sono spinti ad essere più spiritosi. La nuova tattica funzionò: nella seconda serie (che è in realtà la prima vera serie), Happy Days cominciò ad ottenere un indice di gradimento sempre più alto, sino a raggiungere e superare quello di Good Times e a dominare incontrastata la propria fascia oraria. Secondo Marshall la ABC era ancora preoccupata che Fonzie fosse troppo duro, ma poiché lo spettacolo aveva un gran successo non poté più muovere obiezioni.
Comunque fu solo alla terza serie che la trasmissione compì un giro di boa: a poco a poco Fonzie aveva fatto breccia nel cuore degli spettatori, tanto da diventare il punto focale del loro interesse per la trasmissione. La ABC se ne rese conto e decise di sfruttare la cosa: non era difficile prevedere che Fonzie sarebbe diventato ancora più popolare nella terza serie, e con lui anche Happy Days. La parola d’ordine fu allora: "dare più spazio a Fonzie".
Senza dubbio Marshall sentiva molto questo personaggio in continuo sviluppo- non solo era cresciuto con dei ragazzi simili a lui, ma aveva anche dovuto combattere per mantenere l’integrità della sua fisionomia- però in lui la vena creativa era più forte della vena sentimentale; e anche se Fonzie non era stato concepito come il protagonista di Happy Days (benché la sua personalità fosse determinante ai fini tematici ed umoristici della trasmissione), e anche se nei suoi progetti per la terza serie non rientrava una posizione di primo piano per il personaggio di Fonzie, in pratica si vide costretto ad apportare delle modifiche in questa direzione.
Come gli era già capitato molte volte, il creatore di Happy Days si trovò nuovamente di fronte al dover affrontare il compito arduo di modificare l’impostazione della trasmissione. Il problema era ovviamente quello di aumentare la presenza in scena di un personaggio che spesso non aveva strettamente a che fare con la scena rappresentata. Fondamentalmente si trattava di impostare una nuova tattica da far seguire agli sceneggiatori che collaboravano con lui.
Analogamente si presentò la necessità di apportare anche un’altra variazione: Marshall si rendeva conto che il pubblico di Happy Days stava cominciando a vedere Fonzie più come un eroe che come un duro, quindi bisognava modificare la sua figura in questo senso, modificandone essenzialmente le azioni. Inoltre se il pubblico voleva un eroe bisognava introdurre anche uno strumento che gli consentisse di realizzare delle azioni eroiche, e la scelta cadde su uno strumento alquanto fragoroso: la sua moto. Fu così che nacque il "Fonzie senza paura" del primo episodio, in cui appunto Fonzie esegue con la moto un memorabile salto dei bidoni della spazzatura. Ed è significativo il fatto che questa impresa venga compiuta dall’eroe, per dimostrare il proprio coraggio; seguendo fedelmente il tema originale di Happy Days, l’eroismo di Fonzie in questo episodio altro non è che un espressione del classico problema adolescenziale "non sarò un vigliacco?".
La storia di Happy Days è nota a tutti e, come si sa, ruota in gran parte attorno al "culto di Fonzie". La serie televisiva ha raggiunto vertici di ascolto incredibili: in base alle statistiche risulta che all’ora della trasmissione il 29% di tutti i televisori americani esistenti- sia accesi che spenti- e il 43% di quelli accesi era sincronizzato su Happy Days: una percentuale da primato! Durante la stagione 1975-76 la popolarità di Happy Days non è stata oscurata da nessun altro programma, ad eccezione della serie affine Laverne & Shirley, che comunque la batteva di una sola lunghezza.
Il 19 agosto 2008 la città di Milwaukee ha celebrato il personaggio di "Fonzie", e gli ha dedicato una statua in bronzo con le fattezze del protagonista del telefilm. Henry Winkler era presente alla cerimonia con tutta la sua famiglia "reale" e la sua famiglia "televisiva" di Happy days.
Il 15 gennaio 1974 sulla rete televisiva americana ABC debutta un telefilm che diventerà uno dei più visti negli Stati Uniti, in Italia e in moltissimi paesi del mondo: Happy Days.
Siamo nel 1970. Gli Stati Uniti hanno il grosso problema della guerra del Vietnam e dell’inflazione. Una notevole irrequietezza serpeggia nel mondo studentesco. La vitalità degli Stati Uniti è in declino: il paese si trova in uno stato di tensione politica, economica e culturale.
Uno degli effetti immediati è stato quello di uno spostamento degli interessi nell’ambiente letterario, musicale e cinematografico verso i tempi che apparivano più tranquilli, o per lo meno più comprensibili. E un revival degli anni ’50 rientra in questa forte tendenza "nostalgica": buona parte delle popolazione americana sembra trovare "rassicurante" l’innocenza degli anni ’50.
Fu così che Garry Marshall si mise all’opera e inventò la famiglia Cunningham, il tipico, simpatico nucleo di personaggi su cui si impernia Happy Days. Da qui nacque il prototipo di mezz’ora "A new family in town", con Ron Howard, Anson Williams e Marion Ross. Tutti i personaggi erano gli stessi della trasmissione attuale, ad eccezione di Fonzie, la cui personalità non rientrava certo in quello che Marshall definiva "un simpatico, caldo quadretto di vita familiare".
Comunque l’esito di questo primo film fu piuttosto deludente per Marshall: il suo prototipo non suscitò un particolare interesse nella ABC, che alla fine lo usò per un episodio della serie "Love, american style", e poi lo archiviò. Con il passare del tempo però la nostalgia per gli anni ’50 cominciò a prendere sempre più piede: il musical di Bradway "Grease", ambientato appunto in quegli anni, aprì un nuovo filone di successo, e il film "American graffiti" fu accolto entusiasticamente sia dal pubblico sia dalla critica. Il fatto che Ron Howard figurasse anche nel cast di "American graffiti" contribuì a creare l’idea sbagliata che Happy Days fosse stato all’origine del revival in campo cinematografico. Questo non è esatto, in quanto Happy Days nacque sull’onda del successo di "America graffiti"- anche se, per la cronaca, va ricordato che il film era pur stato preceduto dal prototipo di HD.
Il successo di queste due produzioni (per non parlare del revival del rock ‘n roll anni ’50 attuato dal complesso Sha Na Na) gettò una nuova luce sulla idea iniziale di Happy Days: la ABC si rese finalmente conto della possibilità di successo commerciale implicita in un ritorno agli anni ’50, e prese di nuovo contatto con Marshall a questo proposito. Secondo Marshall la ABC era entusiasta di realizzare Happy Days, ma a condizione che fossero apportate alcune aggiunte e certe modifiche: prima di tutto temeva che il telefilm originale fosse un po’ troppo melenso e meno divertente di quanto avrebbe potuto essere sulla carta.
Tenendo come punto di riferimento il film "American graffiti", la rete televisiva intuiva l’opportunità di inserire il tema della "bande" giovanili in una trasmissione essenzialmente imperniata su una famiglia borghese. Effettivamente questo aspetto degli anni ’50 faceva parte integrante del periodo rappresentato, ma Marshall aveva delle riserve. "Quando me l'hanno proposta, la cosa mi ha lasciato perplesso. Me ne sono tornato a casa e ho deciso che l’introduzione di una banda non sarebbe andata bene. Comunque avevo l’impressione che Einser avesse ragione, sotto un certo punto di vista: la trasmissione aveva realmente bisogno di qualcosa di diverso e di vivificante. Perciò invece di introdurre una banda di ragazzi ho pensato di creare un personaggio che rappresentasse un tipo di ragazzo "diverso", quello che non ha fatto il liceo.
Così, in collaborazione con Tony Miller e Ed Milkis, che già avevano collaborato al primo telefilm, Marshall iniziò un lavoro di revisione. Oltre ad introdurre l’elemento della banda in forma attenuata (cioè il personaggio di Fonzie), ridisegnò il locale di Arnold’s e aggiunse molte altre figure di ragazzi.
Fin dal principio Marshall aveva ben chiara nella mente la linea tematica da seguire. Benché molti abbiano creduto (e credano tuttora) che la chiave di Happy Days sia essenzialmente nostalgica, la realtà è diversa: alla base degli elementi superficiali degli anni ’50 c’è il desiderio di Marshall di esplorare e analizzare i problemi tipici degli adolescenti. L’aspetto nostalgico può esser considerato incidentale, una nota di colore per caratterizzare un certo ambiente. A parte l’interesse personale di Marshall per questo periodo, l’ambientazione negli anni ’50 risultava anche obiettivamente conveniente: in un certo senso l’elemento "anni ‘50" consentiva all’autore di sviluppare il tema che gli stava a cuore evitando però quegli aspetti tipici della gioventù contemporanea che sarebbero stati necessari per creare un certo realismo, ma che difficilmente sarebbero stati accettati sia dalla rete televisiva sia, presumibilmente, dal pubblico.
Nello sviluppo della tematica della trasmissione l’interesse è stato concentrato essenzialmente su due problemi tipici degli adolescenti: il primo riguarda i loro rapporti con le ragazze, e questo spiega la continua aspirazione di Richie, Potsie e Ralph ad abbordare le ragazze e la continua funzione di "maestro" che ha Fonzie per quanto riguarda la "tecnica" di abbordaggio. Il secondo problema riguarda il dubbio angoscioso: "Non sarò un vigliacco?"
In definitiva i grandi temi attorno cui ruotano i vari episodi si possono ridurre a tre categorie: il Grande Fonzie, la famiglia Cunningham e i momenti di riflessione.
Una volta fissati i temi e le varie vicende, Marshall rivolse la propria attenzione alla scelta del cast. Un bel giorno Tom Miller- a cui era stata devoluta in gran parte la responsabilità di questa fase organizzativa- si presentò a Marshall con la soluzione di quello che stava diventando un vero problema: la scelta dell’attore che avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Fonzie. Miller era eccitatissimo- "L’ho trovato! Non è esattamente come se lo immagina lei.. è meno grande e grosso.. ma ha gli occhi e la voce giusti. Ed è l’unico che li abbia". Il candidato era Henry Winkler.
Marshall aveva fiducia in Miller e ben presto si trovò a condividere il suo entusiasmo. Quando poi vide personalmente Winkler, si convinse definitivamente dell’opportunità della scelta. Quello che gli aveva detto Miller corrispondeva alla realtà: Henry Winkler era un Fonzie perfetto.
La scelta delle attrici che avrebbero dovuto interpretare le parti di Joanie e Marion Cunningham invece si dimostrò di tutto riposo: Marion Ross era l’interprete ideale, ed Erin Moran aveva già lavorato con Marshall, "Se era divertente allora, sarà divertente anche adesso" pensò Marshall. Ed ebbe ragione.
Anche Ron Howard gli era già noto dai tempi di "The Andy Griffith show". Ai suoi occhi aveva il doppio merito di rappresentare il tipico ragazzo americano e di essere estremamente divertente. Benchè ad un certo punto fosse sorto qualche dubbio sulla sua scelta per la parte di Richie in quanto aveva un’aria "troppo normale", fu proprio quella sua aria da "bravo ragazzo" che , alla fine, gli fece guadagnare la parte nella serie.
Per la parte di Potsie Weber, Marshall propendeva per un attore con i capelli scuri, che contrastassero con quelli rossi di Ron Howard. Inoltre voleva un tipo simpatico "che sapesse far sorridere il pubblico". E anche questa volta Tom Miller trovò il candidato giusto. Anson Williams aveva già un’esperienza televisiva alle spalle (un’ottima prova sfruttata da Marshall per dissipare i dubbi della rete televisiva sulla sua candidatura), e benché i suoi precedenti di attore non fossero straordinari, lavorava così bene con Ron Howard che ebbe la parte. Comunque c’era un altro giovane attore che avrebbe avuto ottimi numeri per aspirare alla parte di Potsie: Don Most. Il suo unico handicap erano i capelli rossi, però aveva già dato prova di saper far sorridere, e Marshall ci pensò a lungo…. Most poteva essere una scelta sicura per la rete televisiva. Quel che accadde in seguito fu una grossa prova di fiducia nel talento ancora pressoché sconosciuto del giovane attore: Marshall gli creò su misura la parte di Ralph Malph.
Il problema più difficile si presentò per la scelta di Howard Cunningham. Harold Gould aveva già sostenuto la parte nel prototipo televisivo della serie, ma al momento era già impegnato nella lavorazione di un altro film. Secondo le parole di Marshall la produzione cercava un tipo di padre "tutta saggezza", ma Marshall era altrettanto deciso nel volere un Howard Cunningham vulnerabile e realistico. "Un padre meraviglioso che sa sempre tutto non avrebbe funzionato- sosteneva Marshall.- Io lo so che cosa fa sorridere e so che uno stereotipo simile non avrebbe strappato neanche mezzo sorriso. Perciò ho detto alla rete televisiva: ‘Onestamente non mi ricordo che mio padre fosse un genio simile, quando ero un ragazzo, e voglio un padre credibile, non un fenomeno!’".
Nel frattempo Miller e Marshall avevano trovato Tom Bosley, un Howard Cunningham ideale, ma quanto di più diverso si potesse concepire dall’immagine che se ne era fatta la produzione. Alla ABC dissero a Marshall: "No, questo Tom Bosley non va proprio. Non ha l’aria del padre, sembra un padre normalissimo". Bene, questo era esattamente quello che Marsall desiderava. Naturalmente ci fu una gran lotta, ma alla fine la spuntò Marshall (cosa di cui ancora oggi il regista va orgoglioso), in quanto Bosley non solo rappresenta perfettamente il personaggio, ma da anche una certa stabilità al cast che, benché già maturo da un punto di vista professionale, anagraficamente era pur sempre molto giovane. "Ci vuole un veterano per dare coesione al lavoro- sostiene Marshall. –La prima volta che ho visto Tom sono rimasto colpito dalla sua solidità di carattere. E quando si realizza una serie di film, settimana dopo settimana, si ha bisogno di questo tipo di solidità. Ronnie è un ragazzo solido, ma è ancora molto giovane. A noi serviva una roccia come Tom. Devo dire che ci ha aiutato a superare molti momenti difficili".
Happy Days riscosse subito un alto indice di ascolto, battendo altre trasmissioni popolari fin dalla prima settimana: nelle settimane successive poi si trovò a competere solo con Maude, alternandosi al primo posto e con scarti minimi. Una cosa era certa: Happy Days era l’unico spettacolo che fosse mai stato in grado di tener testa a Maude. Tanto è vero che la CBS decise di spostare Maude in un altro orario e di sostituirlo con una serie che veramente potesse competere con Happy Days, più o meno sullo stesso terreno, dando la possibilità a Maude di dominare incontrastata l’orario che le era stato riservato. Fu così che andò in onda la serie Good Times, che si dimostrò subito più valida e, con le sue trovate divertenti e le sue battute frizzanti, superò presto il successo di Happy Days.
Per Happy Days quella fu una stagione di grande tensione: in poche settimane la serie aveva toccato le vette del successo ed era stata battuta; ma non tutto era perduto. D’altronde Marshall stesso riconosce che, essendo stata fatta partire in ritardo sulla stagione televisiva, la serie era stata preparata in modo affrettato, quindi alcuni episodi risultavano un po’ approssimativi. Il rimedio era chiaro: bisognava rendere Happy Days più divertente, se lo si voleva far competere con Good Times. A questo scopo vennero effettuate due importanti modifiche. In primo luogo, in base al principio secondo cui l’umorismo può essere meglio controllato negli interni, Marshall ridusse il numero delle riprese in esterni. In secondo luogo si cominciò a girare alla presenza di un pubblico.
La ragione è molto semplice: gli attori recitano meglio di fronte a spettatori in carne ed ossa, che davanti alla freddezza delle telecamere, e gli autori dei testi, attraverso lo stimolo e le reazioni del pubblico, sono spinti ad essere più spiritosi. La nuova tattica funzionò: nella seconda serie (che è in realtà la prima vera serie), Happy Days cominciò ad ottenere un indice di gradimento sempre più alto, sino a raggiungere e superare quello di Good Times e a dominare incontrastata la propria fascia oraria. Secondo Marshall la ABC era ancora preoccupata che Fonzie fosse troppo duro, ma poiché lo spettacolo aveva un gran successo non poté più muovere obiezioni.
Comunque fu solo alla terza serie che la trasmissione compì un giro di boa: a poco a poco Fonzie aveva fatto breccia nel cuore degli spettatori, tanto da diventare il punto focale del loro interesse per la trasmissione. La ABC se ne rese conto e decise di sfruttare la cosa: non era difficile prevedere che Fonzie sarebbe diventato ancora più popolare nella terza serie, e con lui anche Happy Days. La parola d’ordine fu allora: "dare più spazio a Fonzie".
Senza dubbio Marshall sentiva molto questo personaggio in continuo sviluppo- non solo era cresciuto con dei ragazzi simili a lui, ma aveva anche dovuto combattere per mantenere l’integrità della sua fisionomia- però in lui la vena creativa era più forte della vena sentimentale; e anche se Fonzie non era stato concepito come il protagonista di Happy Days (benché la sua personalità fosse determinante ai fini tematici ed umoristici della trasmissione), e anche se nei suoi progetti per la terza serie non rientrava una posizione di primo piano per il personaggio di Fonzie, in pratica si vide costretto ad apportare delle modifiche in questa direzione.
Come gli era già capitato molte volte, il creatore di Happy Days si trovò nuovamente di fronte al dover affrontare il compito arduo di modificare l’impostazione della trasmissione. Il problema era ovviamente quello di aumentare la presenza in scena di un personaggio che spesso non aveva strettamente a che fare con la scena rappresentata. Fondamentalmente si trattava di impostare una nuova tattica da far seguire agli sceneggiatori che collaboravano con lui.
Analogamente si presentò la necessità di apportare anche un’altra variazione: Marshall si rendeva conto che il pubblico di Happy Days stava cominciando a vedere Fonzie più come un eroe che come un duro, quindi bisognava modificare la sua figura in questo senso, modificandone essenzialmente le azioni. Inoltre se il pubblico voleva un eroe bisognava introdurre anche uno strumento che gli consentisse di realizzare delle azioni eroiche, e la scelta cadde su uno strumento alquanto fragoroso: la sua moto. Fu così che nacque il "Fonzie senza paura" del primo episodio, in cui appunto Fonzie esegue con la moto un memorabile salto dei bidoni della spazzatura. Ed è significativo il fatto che questa impresa venga compiuta dall’eroe, per dimostrare il proprio coraggio; seguendo fedelmente il tema originale di Happy Days, l’eroismo di Fonzie in questo episodio altro non è che un espressione del classico problema adolescenziale "non sarò un vigliacco?".
La storia di Happy Days è nota a tutti e, come si sa, ruota in gran parte attorno al "culto di Fonzie". La serie televisiva ha raggiunto vertici di ascolto incredibili: in base alle statistiche risulta che all’ora della trasmissione il 29% di tutti i televisori americani esistenti- sia accesi che spenti- e il 43% di quelli accesi era sincronizzato su Happy Days: una percentuale da primato! Durante la stagione 1975-76 la popolarità di Happy Days non è stata oscurata da nessun altro programma, ad eccezione della serie affine Laverne & Shirley, che comunque la batteva di una sola lunghezza.
Il 19 agosto 2008 la città di Milwaukee ha celebrato il personaggio di "Fonzie", e gli ha dedicato una statua in bronzo con le fattezze del protagonista del telefilm. Henry Winkler era presente alla cerimonia con tutta la sua famiglia "reale" e la sua famiglia "televisiva" di Happy days.
martedì 14 gennaio 2020
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 14 gennaio.
Il 14 gennaio 1858 il repubblicano Felice Orsini attentava alla vita dell'imperatore di Francia Napoleone III.
Nato a Meldola il 10 dicembre 1819, fin da piccolo dimostrò un'indole violenta, arrivando ad uccidere a soli 17 anni un uomo di fiducia dello zio con due colpi di pistola, presumibilmente per rivalità in amore.
Successivamente si dedicò quasi completamente all'attività di rivoluzionario, sposando le tesi mazziniane. Fu condannato all'ergastolo per aver fondato una società segreta repubblicana, ma fu liberato per l'amnistia di Pio IX.
Dopo vari tentativi insurrezionali, tutti falliti, fu arrestato dagli austriaci e rinchiuso nel carcere di Mantova, famoso per la sua inespugnabilità.
Orsini fu protagonista di una rocambolesca fuga, nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1856, grazie all'aiuto della facoltosa Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri e ad accompagnarlo in carrozza fino a Genova, da dove s'imbarcò per l'Inghilterra.
L'evasione da una delle fortezze del Quadrilatero, ritenute simboli della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, venne subito ripresa dalla stampa di tutta Europa, anche per l'incidente occorso ai fuggitivi che si tramutò in occasione di scherno verso il proverbiale rigore asburgico. Infatti, l'immediata inchiesta ordinata personalmente dal generale Radetzky, oltre alle complicità interne ed esterne al carcere, appurò che la carrozza con a bordo Orsini e la Siegmund ruppe il timone nel cremonese, davanti al posto di polizia austriaco della fortezza di Pizzighettone. I due vennero soccorsi dai gendarmi che provvidero a sostituire il timone rotto con uno nuovo, preso dai magazzini della fortezza. Dell'episodio si venne a conoscenza per il fatto che la Siegmund, presentatasi con il falso cognome di O'Meara, lasciò una somma per pagare il timone, ma la cosa non era prevista dai regolamenti militari. Il responsabile della contabilità, quindi, inviò un dettagliato rapporto all'amministrazione di polizia per sapere in quale capitolo potesse imputare l'entrata, così svelando che la fuga di Orsini era stata ingenuamente favorita proprio dalla gendarmeria austriaca. Uno dei secondini corrotti, Tommaso Frizzi, trovato in possesso della forte somma di denaro ricevuta, fu condannato a otto anni di carcere duro.
Nel 1857 Orsini ruppe i legami con Mazzini e cominciò a preparare l'assassinio di Napoleone III. Cause scatenanti dell'odio verso il monarca francese furono l'aver affossato la neonata Repubblica Romana e l'avere rotto il giuramento che lo legava alla Carboneria. Per l'occorrenza progettò e confezionò cinque bombe con innesco a fulminato di mercurio, riempite di chiodi e pezzi di ferro, poi divenute una delle armi più usate negli attentati anarchici, col nome di "Bombe all'Orsini".
Raggiunta Parigi con altri congiurati, tra i quali Giovanni Andrea Pieri, Carlo Di Rudio e Antonio Gomez, la sera del 14 gennaio 1858 il gruppetto riuscì a scagliare tre bombe contro la carrozza dell'imperatore, giunta tra ali di folla all'ingresso dell'opéra di rue Le Peletier. L'attentato provocò una carneficina, con 12 morti e 156 feriti, ma Napoleone fu protetto dalla carrozza blindata e rimase illeso, così come l'imperatrice Eugenia, anche se sbalzata sul marciapiede e completamente coperta dal sangue delle vittime. Orsini e i suoi complici, favoriti dal panico scatenatosi, riuscirono a fuggire, ma vennero arrestati dalla polizia poche ore dopo, nei rispettivi alberghi.
Pur non avendo raggiunto l'obiettivo prefissato, l'attentato di Orsini suscitò un'enorme impressione nell'opinione pubblica, offrendo all'imperatore l'occasione per attuare una fortissima azione repressiva, che portò all'arresto di moltissimi esponenti repubblicani francesi, stroncando così l'opposizione politica al proprio regime.
Nel processo che seguì, Orsini e Pieri vennero condannati a morte in quanto colpevoli di avere attentato alla vita del re, mentre agli altri cospiratori fu comminato l'ergastolo.
Dal carcere, senza chiedere la grazia, Orsini scrisse una lettera al sovrano francese, poi diventata famosa, che concluse così:
« Sino a che l'Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell'Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d'un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre. »
Napoleone III fu favorevolmente colpito da questa lettera e ne autorizzò la pubblicazione; i giornali presentarono Orsini come un eroe. Camillo Cavour, vista la popolarità che aveva raggiunto la missiva, sfruttò la situazione per aumentare la sua pressione politica sulla Francia, ed insistere sui Savoia convincendoli della necessità di togliere ai rivoluzionari l'iniziativa per unificare l'Italia.
Felice Orsini venne ghigliottinato a Parigi, insieme a Pieri, il 13 marzo 1858.
Il 14 gennaio 1858 il repubblicano Felice Orsini attentava alla vita dell'imperatore di Francia Napoleone III.
Nato a Meldola il 10 dicembre 1819, fin da piccolo dimostrò un'indole violenta, arrivando ad uccidere a soli 17 anni un uomo di fiducia dello zio con due colpi di pistola, presumibilmente per rivalità in amore.
Successivamente si dedicò quasi completamente all'attività di rivoluzionario, sposando le tesi mazziniane. Fu condannato all'ergastolo per aver fondato una società segreta repubblicana, ma fu liberato per l'amnistia di Pio IX.
Dopo vari tentativi insurrezionali, tutti falliti, fu arrestato dagli austriaci e rinchiuso nel carcere di Mantova, famoso per la sua inespugnabilità.
Orsini fu protagonista di una rocambolesca fuga, nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1856, grazie all'aiuto della facoltosa Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri e ad accompagnarlo in carrozza fino a Genova, da dove s'imbarcò per l'Inghilterra.
L'evasione da una delle fortezze del Quadrilatero, ritenute simboli della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, venne subito ripresa dalla stampa di tutta Europa, anche per l'incidente occorso ai fuggitivi che si tramutò in occasione di scherno verso il proverbiale rigore asburgico. Infatti, l'immediata inchiesta ordinata personalmente dal generale Radetzky, oltre alle complicità interne ed esterne al carcere, appurò che la carrozza con a bordo Orsini e la Siegmund ruppe il timone nel cremonese, davanti al posto di polizia austriaco della fortezza di Pizzighettone. I due vennero soccorsi dai gendarmi che provvidero a sostituire il timone rotto con uno nuovo, preso dai magazzini della fortezza. Dell'episodio si venne a conoscenza per il fatto che la Siegmund, presentatasi con il falso cognome di O'Meara, lasciò una somma per pagare il timone, ma la cosa non era prevista dai regolamenti militari. Il responsabile della contabilità, quindi, inviò un dettagliato rapporto all'amministrazione di polizia per sapere in quale capitolo potesse imputare l'entrata, così svelando che la fuga di Orsini era stata ingenuamente favorita proprio dalla gendarmeria austriaca. Uno dei secondini corrotti, Tommaso Frizzi, trovato in possesso della forte somma di denaro ricevuta, fu condannato a otto anni di carcere duro.
Nel 1857 Orsini ruppe i legami con Mazzini e cominciò a preparare l'assassinio di Napoleone III. Cause scatenanti dell'odio verso il monarca francese furono l'aver affossato la neonata Repubblica Romana e l'avere rotto il giuramento che lo legava alla Carboneria. Per l'occorrenza progettò e confezionò cinque bombe con innesco a fulminato di mercurio, riempite di chiodi e pezzi di ferro, poi divenute una delle armi più usate negli attentati anarchici, col nome di "Bombe all'Orsini".
Raggiunta Parigi con altri congiurati, tra i quali Giovanni Andrea Pieri, Carlo Di Rudio e Antonio Gomez, la sera del 14 gennaio 1858 il gruppetto riuscì a scagliare tre bombe contro la carrozza dell'imperatore, giunta tra ali di folla all'ingresso dell'opéra di rue Le Peletier. L'attentato provocò una carneficina, con 12 morti e 156 feriti, ma Napoleone fu protetto dalla carrozza blindata e rimase illeso, così come l'imperatrice Eugenia, anche se sbalzata sul marciapiede e completamente coperta dal sangue delle vittime. Orsini e i suoi complici, favoriti dal panico scatenatosi, riuscirono a fuggire, ma vennero arrestati dalla polizia poche ore dopo, nei rispettivi alberghi.
Pur non avendo raggiunto l'obiettivo prefissato, l'attentato di Orsini suscitò un'enorme impressione nell'opinione pubblica, offrendo all'imperatore l'occasione per attuare una fortissima azione repressiva, che portò all'arresto di moltissimi esponenti repubblicani francesi, stroncando così l'opposizione politica al proprio regime.
Nel processo che seguì, Orsini e Pieri vennero condannati a morte in quanto colpevoli di avere attentato alla vita del re, mentre agli altri cospiratori fu comminato l'ergastolo.
Dal carcere, senza chiedere la grazia, Orsini scrisse una lettera al sovrano francese, poi diventata famosa, che concluse così:
« Sino a che l'Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell'Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d'un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre. »
Napoleone III fu favorevolmente colpito da questa lettera e ne autorizzò la pubblicazione; i giornali presentarono Orsini come un eroe. Camillo Cavour, vista la popolarità che aveva raggiunto la missiva, sfruttò la situazione per aumentare la sua pressione politica sulla Francia, ed insistere sui Savoia convincendoli della necessità di togliere ai rivoluzionari l'iniziativa per unificare l'Italia.
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