Buongiorno, oggi è il 30 settembre.
Il 30 settembre 1791 nel Theater auf der Wien, ha luogo la prima rappresentazione del Flauto Magico, di Mozart.
Il flauto magico (titolo originale Die Zauberflöte) è un singspiel in due atti musicata da Wolfgang Amadeus Mozart, su libretto di Emanuel Schikaneder (con il contributo di Karl Ludwig Giesecke).
Atto I
L'azione si svolge nell'antico Egitto, trasfigurato in una dimensione fantastica e fiabesca.
Il principe Tamino sta fuggendo da un serpente e gli vengono incontro le tre dame della regina della notte per aiutarlo. Le dame lo presentano alla regina della notte, Astrifiammante, che lamenta il dolore per la scomparsa della figlia Pamina, rapita dal malvagio Sarastro. Tamino, affascinato da un ritratto della giovane, decide di andare con l'uccellatore Papageno a salvare la principessa. Le Dame consegnano a Tamino un flauto magico e un glockenspiel (carillon) fatato a Papageno. Tamino e Papageno si incamminano verso il Tempio di Sarastro, sotto la guida di tre ragazzi. Papageno giunge per primo al tempio e penetra persino nella stanza dove il perfido moro Monostatos tiene imprigionata Pamina. Papageno e Pamina, scacciando Monostatos, tentano la fuga. Tamino frattanto giunge di fronte a tre Templi (Natura, Ragione e Saggezza) e si confronta con un sacerdote che, oltre a smontare l'immagine di un Sarastro cattivo, pone domande a Tamino sul suo essere uomo. Tamino, sconcertato e disorientato, suona il flauto magico nella speranza di far comparire Pamina, invano. Trascinato da Monostatos, viene successivamente condotto al cospetto di Sarastro (alla presenza anche di Pamina), che lo libera e gli dice che, se vorrà entrare nel suo regno con Papageno, dovrà purificarsi. Tamino e Pamina si riconoscono e si amano da subito.
Atto II
Sarastro invoca Iside ed Osiride affinché aiutino spiritualmente Papageno e Tamino, che quindi iniziano la prima prova: dovranno stare in silenzio, qualunque cosa accada. Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata: vorrebbe baciarla, ma è cacciato da Astrifiammante che, porgendo un pugnale alla figlia, le ordina di vendicarla uccidendo Sarastro. Monostatos, non visto, ha ascoltato tutto e minaccia di rivelare l’intrigo se Pamina non l’amerà. Sopraggiunge Sarastro: dopo aver scacciato Monostatos si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità. Pamina cerca di parlare a Tamino, ma il giovane - essendo ancora sottoposto alla prova del silenzio - non può. Lei crede che non l'ami più, come le ha suggerito Monostatos, ora diventato alleato di Astrifiammante e forse innamorato di lei, e, colta dal dolore, medita il suicido, ma viene fermata da tre ragazzi che l'informano dello scopo della prova. Durante questa prova, Papageno parla con una vecchina, che, poco più tardi, si rivelerà essere Papagena, una donna simile a lui, di cui si innamora. Tamino e Pamina superano le due successive prove: l'attraversamento dell'acqua e del fuoco. Ma subito dopo arrivano Astrifiammante, Monostatos e le tre dame per sconfiggere Sarastro. Un terremoto li fa inabissare, e così si celebra la vittoria del bene sul male. Pamina e Tamino vengono accolti nel regno solare di Sarastro.
Nella partitura del Flauto magico, un Singspiel tedesco come Il ratto dal serraglio, si possono identificare rimandi a varie forme e generi musicali:
- Lied viennese, bipartito in luogo della tripartizione tipica dell’aria italiana (ad es. "Ein Mädchen oder Weibchen" di Papageno);
- Corale luterano, fuga e contrappunto con particolare riferimento all'arte di Bach e Handel che Mozart aveva potuto approfondire tramite il Barone Gottfried van Swieten (ad es. Ouverture);
- Corale luterano variato, sul modello specificamente bachiano (scena degli armigeri);
- Aria italiana, sia dell'opera buffa sia dell'opera seria (aria di Pamina e arie della Regina della notte);
- Recitativo accompagnato secondo il modello di Gluck (scena dell'Oratore).
Svariati elementi culturali sono confluiti nel Flauto magico:
- Il fiabesco-meraviglioso settecentesco (flauto e glockenspiel dalle proprietà magiche, apparizioni di animali e di genietti, montagne che si aprono svelando meravigliose sale);
- L’illuminismo e il giusnaturalismo (aspirazione dell'uomo alla saggezza, alla ragione e al rapporto armonico con la natura);
- La massoneria (riti d’iniziazione per accedere ai misteri e alla luce, invocazioni delle divinità egizie Iside e Osiride, comunità dei seguaci di Sarastro, ricca simbologia con particolare riferimento ai numeri e alla misteriosofia);
- L'Hanswurst e il Kasperl popolar-viennese (l'umile, il popolaresco, il comico, il semplice, il naturale e il bonario che sono racchiusi nella figura di Papageno).
Il flauto magico può essere letto sia come fiaba per bambini sia come racconto massonico o come storia a contenuto illuminista. La vicenda racconta però anche lo sviluppo di un individuo che, da giovane, ignorante e debole che era, diventa saggio, sapiente e uomo attraverso la scoperta dell'amore e il superamento di varie prove iniziatiche.
Durante questo percorso formativo, il giudizio di Tamino sui due Regni nemici si capovolge: il bene, inizialmente identificato con il Regno lunare della Regina della notte in quanto vittima del rapimento della figlia condotto da Sarastro, finirà per essere identificato nel Regno solare di quest'ultimo, inizialmente giudicato come malvagio. Nel Regno di Sarastro, Tamino troverà ragione e saggezza. Si scoprono così le buone intenzioni di Sarastro nel portare a sé Pamina, non togliendole libertà ma sottraendola con intento protettivo alla malvagia madre onde poterla destinare al giovane predestinato ed eroe della vicenda, ovvero lo stesso Tamino.
Oltre ad un'interpretazione incentrata sulla contrapposizione orizzontale fra i due Regni, si può interpretare in un'ottica verticale dove la contrapposizione è fra il potere, l'autorità, i Regni e il sotto-mondo popolare, semplice e genuino rappresentato da Papageno. L'antitesi è allora fra il concreto uomo-animale allo stato naturale e l'eletto, aristocratico ed astratto Tamino.
Il Regno della luna e quello del sole sono nemici ma, allora, sostanzialmente uguali. Entrambi rappresentano l'autorità e l'ordine, mentre Papageno - che non ha superato le prove iniziatiche ma che di ciò se ne infischia beatamente - è l'uomo di tutti i giorni capace di servire allo stesso modo la Regina della notte come Sarastro, consapevole che la bontà e la felicità, seppur materiale, stanno dalla sua parte. La Rivoluzione Francese porterà a "politicizzare" i personaggi: la perfida Regina della Notte sarà associata all'odiato Ancién Regime, Sarastro all'Illuminismo.
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sabato 30 settembre 2023
venerdì 29 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 29 settembre.
Il 29 settembre 1964 Mafalda, il famoso fumetto di Quino, appare sui giornali.
Tutti conoscerete Mafalda, curiosa bambina dai folti capelli nero corvino, che fu creata nel 1964 dal disegnatore argentino Joaquin Salvador Lavado, in arte Quino.
In Italia Mafalda approdò nel 1969 (in piena contestazione politica e sociale), ad opera della Bompiani che pubblicò il libro "Mafalda la contestataria", con un'introduzione di Umberto Eco (niente poco di meno!). Quino nasce nel 1932 a Mendoza; negl'anni della sua infanzia, dopo aver visto alcune tavole dello zio Joaquin Tejon (noto disegnatore e grafico), scoprì di voler diventare un disegnatore. In seguito frequenterà l'Accademia delle Belle Arti, senza però concluderla. Intorno agli anni 50 Joaquin si trasferirà a Buenos Aires per tentare la fortuna come disegnatore di fumetti satirici e umoristici, ma per qualche anno rimarrà nell'anonimato.
Soltanto nel 1954 egli incontrerà il consenso del pubblico con alcuni lavori pubblicati nella rivista settimanale "Esto es". Ma sarà la piccola Mafalda a conferirgli fama e successo internazionale. Mafalda fu ideata come sponsor per il lancio di una linea di elettrodomestici, chiamati Mansfield (pertanto il nome del personaggio doveva mettere in risalto le iniziali MA). La campagna pubblicitaria, commissionata dalla Agens Pubblicidas non fu portata a termine. Ugualmente Quino, ispirato dalla sua creazione, lavorò a definirne il carattere: subito il suo personaggio prese ad avere un'anima che di lì a poco avrebbe conquistato milioni di lettori. Infatti le storie di Mafalda esordiscono nel settimanale "Primera Plam", per poi passare ad un prestigioso quotidiano, "El Mundo".
Ma nel 1973 Quino, nonostante il confermato successo, decise di mettere la parola fine sugli episodi della nostra piccola amica; la quale tuttavia continuerà a vivere mediante numerose ristampe e campagne sociali (ad esempio per l'Unicef). Sarà nel 1993 che la società iberica Mafalda D.G Producciones S.A, in collaborazione con Televisiones Espaniolas, rielaborerà le strisce di Mafalda, realizzando 104 episodi in cartone animato (della durata di un minuto diretti da Juan Padron); gli stessi in Italia verranno trasmessi su Raidue. Mafalda è una pestifera bambina di circa sei, sette anni che vive a Buenos Aires, ha un fratellino Guille, che le fa spesso da complice. Il papà lavora come impiegato e ha la passione del giardinaggio, mentre la mamma fa la casalinga. Con la madre Mafalda intrattiene complicate conversazioni, perché proprio non riesce a mandar giù la minestra (e quante altre cose!). La stessa pur essendo molto critica e contestataria (mette spesso a disagio gli adulti con le sue domande acute e intelligenti, così come le sue considerazioni, per quanto confuse, sono così stringenti che inevitabilmente mettono a nudo la verità, seppure con un certo umorismo) incuriosisce, fa riflettere e conquista i suoi lettori, con la sua acuta capacità di osservare la realtà.
Mafalda avversa profondamente la banalità degli adulti, il loro modo superficiale di affrontare i problemi ( per non parlare poi del fatto che non prendono quasi mai in seria considerazione i pensieri e le riflessioni dei bambini!); Mafalda inoltre ama ascoltare il notiziario alla radio e sente molto i problemi che affliggono il mondo, come la guerra (che odia e trova del tutto ingiustificata), la fame nel mondo, il razzismo e qualsiasi altra forma di ingiustizia e ineguaglianza sociale. Per questo lei si prende cura con devozione di un mappamondo, convinta in tal modo di guarire i mali del mondo e infondergli un po' di buon senso. Tra i suoi desideri una sana democrazia, l'uguaglianza e la parità di diritti fra tutti gli uomini. Mafalda da grande vorrebbe andare all'Università e diventare un interprete, così da lavorare per l'Onu come diplomatica e intermediaria… Non stupisce il fatto che questa simpatica bambina sui generis abbia conquistato il mondo e sia divenuta un simbolo per quanti sono stati impegnati (e tutt'ora si impegnano) per ottenere la parità dei diritti; per riscattare i bambini maltrattati e sfruttati, risollevandoli alla giusta dignità. Non dimentichiamo gli amici e coetanei di Mafalda: Manolito, figlio di un ricco negoziante del quartiere, che è ossessionato dal denaro e dalla ricchezza. Il suo modello è il padre (che infila in ogni suo discorso). Felipe invece è un bambino timido e tranquillo. Colui che ascolta i complessi discorsi di Mafalda. Felipe, essendo un piccolo sognatore (è molto affascinato dalle scoperte scientifiche), sta sempre fra le nuvole, perciò la nostra amica di tanto in tanto lo riporta con i piedi per terra. Infine non può mancare all'appello Susanita, con la quale Mafalda è spesso in contrasto, poiché secondo il suo parere l'amica ha una vocazione al matrimonio e alla maternità, così tradizionale da sminuire le potenzialità sociali di una donna.
Quino è morto in seguito a un ictus a Mendoza il 30 settembre 2020, il giorno dopo il cinquantaseiesimo anniversario della prima pubblicazione di Mafalda.
Il 29 settembre 1964 Mafalda, il famoso fumetto di Quino, appare sui giornali.
Tutti conoscerete Mafalda, curiosa bambina dai folti capelli nero corvino, che fu creata nel 1964 dal disegnatore argentino Joaquin Salvador Lavado, in arte Quino.
In Italia Mafalda approdò nel 1969 (in piena contestazione politica e sociale), ad opera della Bompiani che pubblicò il libro "Mafalda la contestataria", con un'introduzione di Umberto Eco (niente poco di meno!). Quino nasce nel 1932 a Mendoza; negl'anni della sua infanzia, dopo aver visto alcune tavole dello zio Joaquin Tejon (noto disegnatore e grafico), scoprì di voler diventare un disegnatore. In seguito frequenterà l'Accademia delle Belle Arti, senza però concluderla. Intorno agli anni 50 Joaquin si trasferirà a Buenos Aires per tentare la fortuna come disegnatore di fumetti satirici e umoristici, ma per qualche anno rimarrà nell'anonimato.
Soltanto nel 1954 egli incontrerà il consenso del pubblico con alcuni lavori pubblicati nella rivista settimanale "Esto es". Ma sarà la piccola Mafalda a conferirgli fama e successo internazionale. Mafalda fu ideata come sponsor per il lancio di una linea di elettrodomestici, chiamati Mansfield (pertanto il nome del personaggio doveva mettere in risalto le iniziali MA). La campagna pubblicitaria, commissionata dalla Agens Pubblicidas non fu portata a termine. Ugualmente Quino, ispirato dalla sua creazione, lavorò a definirne il carattere: subito il suo personaggio prese ad avere un'anima che di lì a poco avrebbe conquistato milioni di lettori. Infatti le storie di Mafalda esordiscono nel settimanale "Primera Plam", per poi passare ad un prestigioso quotidiano, "El Mundo".
Ma nel 1973 Quino, nonostante il confermato successo, decise di mettere la parola fine sugli episodi della nostra piccola amica; la quale tuttavia continuerà a vivere mediante numerose ristampe e campagne sociali (ad esempio per l'Unicef). Sarà nel 1993 che la società iberica Mafalda D.G Producciones S.A, in collaborazione con Televisiones Espaniolas, rielaborerà le strisce di Mafalda, realizzando 104 episodi in cartone animato (della durata di un minuto diretti da Juan Padron); gli stessi in Italia verranno trasmessi su Raidue. Mafalda è una pestifera bambina di circa sei, sette anni che vive a Buenos Aires, ha un fratellino Guille, che le fa spesso da complice. Il papà lavora come impiegato e ha la passione del giardinaggio, mentre la mamma fa la casalinga. Con la madre Mafalda intrattiene complicate conversazioni, perché proprio non riesce a mandar giù la minestra (e quante altre cose!). La stessa pur essendo molto critica e contestataria (mette spesso a disagio gli adulti con le sue domande acute e intelligenti, così come le sue considerazioni, per quanto confuse, sono così stringenti che inevitabilmente mettono a nudo la verità, seppure con un certo umorismo) incuriosisce, fa riflettere e conquista i suoi lettori, con la sua acuta capacità di osservare la realtà.
Mafalda avversa profondamente la banalità degli adulti, il loro modo superficiale di affrontare i problemi ( per non parlare poi del fatto che non prendono quasi mai in seria considerazione i pensieri e le riflessioni dei bambini!); Mafalda inoltre ama ascoltare il notiziario alla radio e sente molto i problemi che affliggono il mondo, come la guerra (che odia e trova del tutto ingiustificata), la fame nel mondo, il razzismo e qualsiasi altra forma di ingiustizia e ineguaglianza sociale. Per questo lei si prende cura con devozione di un mappamondo, convinta in tal modo di guarire i mali del mondo e infondergli un po' di buon senso. Tra i suoi desideri una sana democrazia, l'uguaglianza e la parità di diritti fra tutti gli uomini. Mafalda da grande vorrebbe andare all'Università e diventare un interprete, così da lavorare per l'Onu come diplomatica e intermediaria… Non stupisce il fatto che questa simpatica bambina sui generis abbia conquistato il mondo e sia divenuta un simbolo per quanti sono stati impegnati (e tutt'ora si impegnano) per ottenere la parità dei diritti; per riscattare i bambini maltrattati e sfruttati, risollevandoli alla giusta dignità. Non dimentichiamo gli amici e coetanei di Mafalda: Manolito, figlio di un ricco negoziante del quartiere, che è ossessionato dal denaro e dalla ricchezza. Il suo modello è il padre (che infila in ogni suo discorso). Felipe invece è un bambino timido e tranquillo. Colui che ascolta i complessi discorsi di Mafalda. Felipe, essendo un piccolo sognatore (è molto affascinato dalle scoperte scientifiche), sta sempre fra le nuvole, perciò la nostra amica di tanto in tanto lo riporta con i piedi per terra. Infine non può mancare all'appello Susanita, con la quale Mafalda è spesso in contrasto, poiché secondo il suo parere l'amica ha una vocazione al matrimonio e alla maternità, così tradizionale da sminuire le potenzialità sociali di una donna.
Quino è morto in seguito a un ictus a Mendoza il 30 settembre 2020, il giorno dopo il cinquantaseiesimo anniversario della prima pubblicazione di Mafalda.
giovedì 28 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 28 settembre.
Il 28 settembre 1924 nasce Marcello Mastroianni.
Il celebre attore (il cui nome completo era Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni), nato a Fontana Liri (Frosinone), nel 1924, ebbe la fortuna di respirare aria di cinema fin dalla più tenera età. Ancora bambino, infatti, ebbe la possibilità di fare comparsate addirittura in alcuni film del grande De Sica (che negli anni trenta era un maestro riconosciuto).
In seguito, conseguita la maturità liceale, si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, senza però mai interrompere il rapporto con lo spettacolo e in particolare con il teatro. Inseritosi nei gruppi del Centro Universitario Teatrale, fu notato nientemeno che da Luchino Visconti, il quale lo chiamò con sé per interpretare importanti ruoli in lavori teatrali di recente concezione come, ad esempio, "Un tram chiamato desiderio" e "Morte di un commesso viaggiatore", oppure più classici come "La locandiera" e "Le tre sorelle".
Parallelamente, ha modo di lavorare ancora nel cinema, dove viene sempre chiamato per effettuare alcune comparsate che, con il tempo, cominciano a diventare cospicue. Il film che lo rivela è "Le ragazze di Piazza di Spagna", dove interpreta la parte del giovanotto simpatico ed estroverso, girato da Luciano Emmer nel '52, regista che aveva già diretto Mastroianni due anni prima in "Domenica d'agosto". Già in quelle prime prove, Mastroianni si rivelò particolarmente adatto alla delicata introspezione di un cinema che stava a metà strada tra il neorealismo e la commedia all'italiana.
Questa sua predisposizione venne confermata in "Giorni d'amore" di De Santis, dove l'attore poté rivivere le sue origini ciociare in una chiave di lieve comicità. Si andava delineando al caratteristiche principale dell'attore Mastroianni, quella cioè di incarnare la figura di un uomo buono e sottilmente malizioso, scapestrato ma con giudizio, dolce e lievemente melanconico. In seguito, la sua cifra stilistica si improntò quasi sempre a questo aureo modello, anche quando, come nei film di Blasetti o Lizzani, gli venivano proposte parti drammatiche. Quelle caratteristiche vennero poi abbinate in alcuni film, a 'mo' di contrasto, alla malizia femminile della giovane Sophia Loren, da cui scaturirono nella metà degli anni cinquanta film come "Peccato che sia una canaglia", e "La fortuna di essere donna".
Ma la svolta della sua carriera arriva con "La dolce vita" (1960), epocale pellicola di costume in cui Mastroianni è un moderno antieroe e che segna pure l'inizio d'un lungo e fortunato sodalizio artistico con Federico Fellini. Con Fellini fornì i memorabili esiti anche in "Otto e mezzo" (1963), vestendo i panni di una sorta di alter ego del regista riminese. In seguito, nei primi anni sessanta, ottenne un personale trionfo in "Divorzio all'italiana" e "I compagni". Fece coppia con Sofia Loren in vari film di De Sica e apparve in diversi film di Ferreri tra i quali "La grande abbuffata", "Ciao maschio" e "Storia di Piera". Ha lavorato con Petri da "L'assassino", con Scola da "Dramma della gelosia" a "Splendor" e "Che ora è?", attraverso "Una giornata particolare" che fu una delle sue prove migliori. Il prosieguo della sua carriera è stato un susseguirsi di successi a fianco dei più grandi registi. Negli ultimi anni, si ricorda la sua interpretazione ad un film di impegno civile come "Sostiene Pereira" e il montaggio dei suoi ricordi personali, apparsi postumi, nel film-documento "Ricordo, sì io mi ricordo".
Protagonista di grande versatilità e di indiscussa bravura (si è detto che in certi film sembrava essere in grado di poter lavorare soltanto con l'espressione dello sguardo), ha trasmesso l'immagine di un uomo colto e sensibile, alieno da pose divistiche, che guardava con fastidio alla pubblicizzazione della sua vita privata da parte della stampa scandalistica. Ha rappresentato con grande generosità la cinematografia italiana a livello internazionale, ma non ha mai vinto purtroppo un pur meritatissimo Oscar. Mastroianni si è spento il 19 dicembre 1996 nella sua casa di Parigi. Le sue spoglie riposano nel cimitero del Verano, a Roma. Di lui il regista Dino Risi, che lo conosceva bene anche per averlo diretto, ha detto: "Era l'anima più bella del nostro cinema, l'italiano medio e pulito. Mastroianni era forse quello con cui era più piacevole lavorare: e questo per una ragione semplicissima, non rompeva mai le scatole. Non gli ho mai sentito dire "Questa battuta così non va". Aveva una grande duttilità e disponibilità. Non parlava: semplicemente, faceva l'attore, vestendo i panni del personaggio con una capacità straordinaria. Mastroianni aveva il pregio di farsi piacere anche i film che non gli piacevano".
Il 28 settembre 1924 nasce Marcello Mastroianni.
Il celebre attore (il cui nome completo era Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni), nato a Fontana Liri (Frosinone), nel 1924, ebbe la fortuna di respirare aria di cinema fin dalla più tenera età. Ancora bambino, infatti, ebbe la possibilità di fare comparsate addirittura in alcuni film del grande De Sica (che negli anni trenta era un maestro riconosciuto).
In seguito, conseguita la maturità liceale, si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, senza però mai interrompere il rapporto con lo spettacolo e in particolare con il teatro. Inseritosi nei gruppi del Centro Universitario Teatrale, fu notato nientemeno che da Luchino Visconti, il quale lo chiamò con sé per interpretare importanti ruoli in lavori teatrali di recente concezione come, ad esempio, "Un tram chiamato desiderio" e "Morte di un commesso viaggiatore", oppure più classici come "La locandiera" e "Le tre sorelle".
Parallelamente, ha modo di lavorare ancora nel cinema, dove viene sempre chiamato per effettuare alcune comparsate che, con il tempo, cominciano a diventare cospicue. Il film che lo rivela è "Le ragazze di Piazza di Spagna", dove interpreta la parte del giovanotto simpatico ed estroverso, girato da Luciano Emmer nel '52, regista che aveva già diretto Mastroianni due anni prima in "Domenica d'agosto". Già in quelle prime prove, Mastroianni si rivelò particolarmente adatto alla delicata introspezione di un cinema che stava a metà strada tra il neorealismo e la commedia all'italiana.
Questa sua predisposizione venne confermata in "Giorni d'amore" di De Santis, dove l'attore poté rivivere le sue origini ciociare in una chiave di lieve comicità. Si andava delineando al caratteristiche principale dell'attore Mastroianni, quella cioè di incarnare la figura di un uomo buono e sottilmente malizioso, scapestrato ma con giudizio, dolce e lievemente melanconico. In seguito, la sua cifra stilistica si improntò quasi sempre a questo aureo modello, anche quando, come nei film di Blasetti o Lizzani, gli venivano proposte parti drammatiche. Quelle caratteristiche vennero poi abbinate in alcuni film, a 'mo' di contrasto, alla malizia femminile della giovane Sophia Loren, da cui scaturirono nella metà degli anni cinquanta film come "Peccato che sia una canaglia", e "La fortuna di essere donna".
Ma la svolta della sua carriera arriva con "La dolce vita" (1960), epocale pellicola di costume in cui Mastroianni è un moderno antieroe e che segna pure l'inizio d'un lungo e fortunato sodalizio artistico con Federico Fellini. Con Fellini fornì i memorabili esiti anche in "Otto e mezzo" (1963), vestendo i panni di una sorta di alter ego del regista riminese. In seguito, nei primi anni sessanta, ottenne un personale trionfo in "Divorzio all'italiana" e "I compagni". Fece coppia con Sofia Loren in vari film di De Sica e apparve in diversi film di Ferreri tra i quali "La grande abbuffata", "Ciao maschio" e "Storia di Piera". Ha lavorato con Petri da "L'assassino", con Scola da "Dramma della gelosia" a "Splendor" e "Che ora è?", attraverso "Una giornata particolare" che fu una delle sue prove migliori. Il prosieguo della sua carriera è stato un susseguirsi di successi a fianco dei più grandi registi. Negli ultimi anni, si ricorda la sua interpretazione ad un film di impegno civile come "Sostiene Pereira" e il montaggio dei suoi ricordi personali, apparsi postumi, nel film-documento "Ricordo, sì io mi ricordo".
Protagonista di grande versatilità e di indiscussa bravura (si è detto che in certi film sembrava essere in grado di poter lavorare soltanto con l'espressione dello sguardo), ha trasmesso l'immagine di un uomo colto e sensibile, alieno da pose divistiche, che guardava con fastidio alla pubblicizzazione della sua vita privata da parte della stampa scandalistica. Ha rappresentato con grande generosità la cinematografia italiana a livello internazionale, ma non ha mai vinto purtroppo un pur meritatissimo Oscar. Mastroianni si è spento il 19 dicembre 1996 nella sua casa di Parigi. Le sue spoglie riposano nel cimitero del Verano, a Roma. Di lui il regista Dino Risi, che lo conosceva bene anche per averlo diretto, ha detto: "Era l'anima più bella del nostro cinema, l'italiano medio e pulito. Mastroianni era forse quello con cui era più piacevole lavorare: e questo per una ragione semplicissima, non rompeva mai le scatole. Non gli ho mai sentito dire "Questa battuta così non va". Aveva una grande duttilità e disponibilità. Non parlava: semplicemente, faceva l'attore, vestendo i panni del personaggio con una capacità straordinaria. Mastroianni aveva il pregio di farsi piacere anche i film che non gli piacevano".
mercoledì 27 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 27 settembre.
Il 27 settembre 1854 affonda la nave a vapore Arctic, il primo grande disastro nell'Oceano Atlantico.
L'affondamento della nave Arctic colpì l'opinione pubblica in entrambi i lati dell'Atlantico, dato il considerevole numero di morti, 350. Ma la cosa più scioccante fu il fatto che di tutti i passeggeri, nessuna donna o bambino si salvò.
I giornali erano pieni di torbide storie di panico avvenute a bordo della nave. I membri dell'equipaggio avevano usato le scialuppe per salvare se stessi, lasciando i passeggeri indifesi a perire nel gelido Atlantico settentrionale, incluse 80 persone tra donne e bambini.
L'Arctic era stato costruito a New York, e varata all'inizio del 1850. Era una delle quattro navi della nuova "Collins Line", una società di navi a vapore americana intenta a competere con la concorrente britannica di proprietà di Samuel Cunard.
L'imprenditore a comando della società era Edward Knight Collins, coadiuvato dai banchieri James e Stewart Brown della banca di investimenti Brown Brothers, a Wall Street. Collins aveva ottenuto dal governo americano l'appalto per trasportare la posta americana da New York alla Gran Bretagna.
Le navi della Collins Line erano progettate per il massimo del confort e allo stesso tempo la velocità. L'artic era lunga 284 piedi (circa 86 metri), molto larga per l'epoca, ed aveva ruote spinte dal motore a vapore in entrambi i lati dello scafo. Era dotata di spaziose sale da pranzo, saloni, sale ricreative, il meglio del lusso mai visto fino a quel momento su una nave a vapore.
Le navi della Collins Line si guadagnarono subito, fin dalle prime navigazioni nel 1850, la reputazione del modo più alla moda di attraversare l'Atlantico. Le quattro sorelle, Arctic, Atlantic, Pacific e Baltic, erano additate come le più lussuose e affidabili.
La Arctic poteva viaggiare a 13 nodi e nel febbraio 1852 il suo capitano James Luce fissò un nuovo record viaggiando da New York a Liverpool in nove giorni e 17 ore. Un tempo sorprendente, se si pensa che a quel tempo le navi impiegavano diverse settimane per attraversare il burrascoso Atlantico.
Il 13 settembre 1854 la Arctic giunse a Liverpool alla fine di un viaggio da New York privo di eventi significativi. I passeggeri abbandonarono la nave, come pure un carico di cotone Americano, destinato ai mulini britannici.
Nel suo viaggio di ritorno a New York, l'Arctic avrebbe trasportato alcuni passeggeri importanti, compresi parenti dei suoi proprietari, membri sia della famiglia Brown che della Collins. A bordo vi era anche Willie Luce, il figlio malaticcio del capitano James Luce.
La Arctic salpò da Liverpool il 20 settembre, per una settimana navigò nell'Atlantico senza nulla di rilievo. La mattina del 27 la nave era al largo dei Grand Banks, l'area dell'Atlantico canadese in cui l'aria calda della Corrente del Golfo incontra l'area fredda proveniente da nord, creando spesse coltri di nebbia.
Il capitano Luce ordinò alle vedette di prestare molta attenzione nell'avvistamento di altre navi.
Poco dopo mezzogiorno, le vedette suonarono l'allarme. Una nave era emersa improvvisamente dalla nebbia e i due vascelli erano in rotta di collisione.
L'altra nave era una vaporiera francese, la Vesta, che trasportava pescatori francesi dal Canada alla Francia alla fine della stagione estiva di pesca. La Vesta aveva uno scafo d'acciaio.
La Vesta speronò la prua della Arctic, e nella collisione la prua d'acciaio della Vesta agì come un ariete contro lo scafo di legno della Arctic, per poi spezzarsi.
L'equipaggio e i passeggeri della Arctic, che era la più grande delle due navi, pensarono che la Vesta, priva della prua, fosse spacciata. Al contrario la nave francese, il cui scafo d'acciaio era fatto di parecchi compartimenti interni, fu in grado di continuare a galleggiare.
La Arctic continuò la navigazione a motori accesi, ma il danno allo scafo permise all'acqua di entrare nella nave. Avere lo scafo di legno le risultò fatale.
La Arctic iniziò ad affondare nel gelido Atlantico, fu chiaro a tutti che la grande nave era perduta.
Essa possedeva solo sei scialuppe di salvataggio. Tuttavia le sei scialuppe, se calate con attenzione e correttamente riempite, avrebbero potuto contenere circa 180 persone, o per lo meno tutti i passeggeri, inclusi donne e bambini.
Esse vennero invece deposte in mare in modo caotico e riempite in modo assolutamente insufficiente, principalmente coi membri dell'equipaggio stesso. I passeggeri furono lasciati al loro destino, mentre cercavano di costruirsi zattere di fortuna con pezzi di relitto. Le gelide acque dell'oceano resero praticamente impossibile salvarsi.
Il capitano della Arctic, James Luce, che aveva eroicamente tentato prima di salvare la nave, poi di tenere in pugno l'equipaggio ribelle e in preda al panico, volle affondare con la nave stessa, tenendo saldamente il timone in plancia mentre la nave si inabissava.
Ironia della sorte, la struttura della nave si spezzò inabissandosi, e la plancia tornò presto a galla salvando la vita del capitano. Venne recuperato da una nave di passaggio due giorni dopo. Il suo giovane figlio Willie perì invece nel naufragio.
Mary Ann Collins, moglie del fondatore della Collins Line, affogò insieme a due dei loro figli. Morì anche la figlia del socio James Brown, insieme ad altri membri della famiglia Brown.
Le stime più accurate parlano di 350 morti nell'affondamento della SS Arctic, inclusi tutte le donne e tutti i bambini. Sopravvissero 24 passeggeri maschi e 60 membri dell'equipaggio.
Voci del naufragio cominciarono a circolare sui fili del telegrafo nei giorni successivi al disastro. La Vesta raggiunse un porto in Canada e il suo capitano raccontò quanto accaduto. Quando furono trovati i superstiti, le loro storie cominciarono a riempire i giornali.
Il capitano Luce fu salutato come un eroe, e festeggiato ad ogni fermata del treno che lo riportava a New York dal Canada. Al contrario, gli altri membri dell'equipaggio caddero in disgrazia, e alcuni di loro non tornarono mai negli Stati Uniti.
La pubblica gogna a riguardo del trattamento di donne e bambini sulla nave ebbe risonanza per decenni, al punto che l'ormai tradizionale imperativo "salvate prima le donne e i bambini" di ogni naufragio successivo si deve proprio alla vicenda dell'Arctic.
Il 27 settembre 1854 affonda la nave a vapore Arctic, il primo grande disastro nell'Oceano Atlantico.
L'affondamento della nave Arctic colpì l'opinione pubblica in entrambi i lati dell'Atlantico, dato il considerevole numero di morti, 350. Ma la cosa più scioccante fu il fatto che di tutti i passeggeri, nessuna donna o bambino si salvò.
I giornali erano pieni di torbide storie di panico avvenute a bordo della nave. I membri dell'equipaggio avevano usato le scialuppe per salvare se stessi, lasciando i passeggeri indifesi a perire nel gelido Atlantico settentrionale, incluse 80 persone tra donne e bambini.
L'Arctic era stato costruito a New York, e varata all'inizio del 1850. Era una delle quattro navi della nuova "Collins Line", una società di navi a vapore americana intenta a competere con la concorrente britannica di proprietà di Samuel Cunard.
L'imprenditore a comando della società era Edward Knight Collins, coadiuvato dai banchieri James e Stewart Brown della banca di investimenti Brown Brothers, a Wall Street. Collins aveva ottenuto dal governo americano l'appalto per trasportare la posta americana da New York alla Gran Bretagna.
Le navi della Collins Line erano progettate per il massimo del confort e allo stesso tempo la velocità. L'artic era lunga 284 piedi (circa 86 metri), molto larga per l'epoca, ed aveva ruote spinte dal motore a vapore in entrambi i lati dello scafo. Era dotata di spaziose sale da pranzo, saloni, sale ricreative, il meglio del lusso mai visto fino a quel momento su una nave a vapore.
Le navi della Collins Line si guadagnarono subito, fin dalle prime navigazioni nel 1850, la reputazione del modo più alla moda di attraversare l'Atlantico. Le quattro sorelle, Arctic, Atlantic, Pacific e Baltic, erano additate come le più lussuose e affidabili.
La Arctic poteva viaggiare a 13 nodi e nel febbraio 1852 il suo capitano James Luce fissò un nuovo record viaggiando da New York a Liverpool in nove giorni e 17 ore. Un tempo sorprendente, se si pensa che a quel tempo le navi impiegavano diverse settimane per attraversare il burrascoso Atlantico.
Il 13 settembre 1854 la Arctic giunse a Liverpool alla fine di un viaggio da New York privo di eventi significativi. I passeggeri abbandonarono la nave, come pure un carico di cotone Americano, destinato ai mulini britannici.
Nel suo viaggio di ritorno a New York, l'Arctic avrebbe trasportato alcuni passeggeri importanti, compresi parenti dei suoi proprietari, membri sia della famiglia Brown che della Collins. A bordo vi era anche Willie Luce, il figlio malaticcio del capitano James Luce.
La Arctic salpò da Liverpool il 20 settembre, per una settimana navigò nell'Atlantico senza nulla di rilievo. La mattina del 27 la nave era al largo dei Grand Banks, l'area dell'Atlantico canadese in cui l'aria calda della Corrente del Golfo incontra l'area fredda proveniente da nord, creando spesse coltri di nebbia.
Il capitano Luce ordinò alle vedette di prestare molta attenzione nell'avvistamento di altre navi.
Poco dopo mezzogiorno, le vedette suonarono l'allarme. Una nave era emersa improvvisamente dalla nebbia e i due vascelli erano in rotta di collisione.
L'altra nave era una vaporiera francese, la Vesta, che trasportava pescatori francesi dal Canada alla Francia alla fine della stagione estiva di pesca. La Vesta aveva uno scafo d'acciaio.
La Vesta speronò la prua della Arctic, e nella collisione la prua d'acciaio della Vesta agì come un ariete contro lo scafo di legno della Arctic, per poi spezzarsi.
L'equipaggio e i passeggeri della Arctic, che era la più grande delle due navi, pensarono che la Vesta, priva della prua, fosse spacciata. Al contrario la nave francese, il cui scafo d'acciaio era fatto di parecchi compartimenti interni, fu in grado di continuare a galleggiare.
La Arctic continuò la navigazione a motori accesi, ma il danno allo scafo permise all'acqua di entrare nella nave. Avere lo scafo di legno le risultò fatale.
La Arctic iniziò ad affondare nel gelido Atlantico, fu chiaro a tutti che la grande nave era perduta.
Essa possedeva solo sei scialuppe di salvataggio. Tuttavia le sei scialuppe, se calate con attenzione e correttamente riempite, avrebbero potuto contenere circa 180 persone, o per lo meno tutti i passeggeri, inclusi donne e bambini.
Esse vennero invece deposte in mare in modo caotico e riempite in modo assolutamente insufficiente, principalmente coi membri dell'equipaggio stesso. I passeggeri furono lasciati al loro destino, mentre cercavano di costruirsi zattere di fortuna con pezzi di relitto. Le gelide acque dell'oceano resero praticamente impossibile salvarsi.
Il capitano della Arctic, James Luce, che aveva eroicamente tentato prima di salvare la nave, poi di tenere in pugno l'equipaggio ribelle e in preda al panico, volle affondare con la nave stessa, tenendo saldamente il timone in plancia mentre la nave si inabissava.
Ironia della sorte, la struttura della nave si spezzò inabissandosi, e la plancia tornò presto a galla salvando la vita del capitano. Venne recuperato da una nave di passaggio due giorni dopo. Il suo giovane figlio Willie perì invece nel naufragio.
Mary Ann Collins, moglie del fondatore della Collins Line, affogò insieme a due dei loro figli. Morì anche la figlia del socio James Brown, insieme ad altri membri della famiglia Brown.
Le stime più accurate parlano di 350 morti nell'affondamento della SS Arctic, inclusi tutte le donne e tutti i bambini. Sopravvissero 24 passeggeri maschi e 60 membri dell'equipaggio.
Voci del naufragio cominciarono a circolare sui fili del telegrafo nei giorni successivi al disastro. La Vesta raggiunse un porto in Canada e il suo capitano raccontò quanto accaduto. Quando furono trovati i superstiti, le loro storie cominciarono a riempire i giornali.
Il capitano Luce fu salutato come un eroe, e festeggiato ad ogni fermata del treno che lo riportava a New York dal Canada. Al contrario, gli altri membri dell'equipaggio caddero in disgrazia, e alcuni di loro non tornarono mai negli Stati Uniti.
La pubblica gogna a riguardo del trattamento di donne e bambini sulla nave ebbe risonanza per decenni, al punto che l'ormai tradizionale imperativo "salvate prima le donne e i bambini" di ogni naufragio successivo si deve proprio alla vicenda dell'Arctic.
martedì 26 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 26 settembre.
Il 26 settembre 1957 debutta a Broadway West Side Story, di Leonard Bernstein.
West Side Story è prima di tutto una grande storia d’amore, ispirata alla tragedia di William Shakespeare, Romeo e Giulietta. I protagonisti sono Tony e Maria, due giovani, dell’Upper West Side (ecco da dove deriva il titolo) di New York che s’innamorano nonostante facciano parte di due bande diverse e ovviamente rivali. Da una parte troviamo i bianchi americani Jets di Tony e dall’altra i portoricani Sharks di Maria. Le bande si dividono il territorio e non c’è alcuna possibilità che questi gruppi accettino una relazione che in qualche modo possa unire le due fazioni.
Nonostante questa situazione, nulla vieta a Maria e Tony di sognare un futuro migliore, romantico e possibilmente insieme. Sono consapevoli che la dura realtà sia insuperabile, ma sono giovani e pieni di speranza. La loro storia d’amore precipita a causa di una rissa organizzata e che Tony vuole assolutamente placare. Il ragazzo però, non solo non riesce ad arginare i contrasti, ma prende parte alla violenza quando vede Bernardo, il fratello di Maria che comanda gli Sharks, pugnalare a morte Riff il capo dei Jets, il suo migliore amico. Il ragazzo travolto dal dolore si avventa su Bernardo e lo uccide.
Gli Sharks si trovano senza un leader e vogliono vendetta. L’unico modo per averla è ammazzare Tony. I due giovani, allora, capiscono che, per salvare il loro amore e le loro vite, devono fuggire insieme. Ma c’è un intoppo. La polizia va a casa di Maria, per capire le dinamiche dell’incidente e la ferma per un interrogatorio. Così la fidanzata di Bernardo, Anita, nonostante sia contraria alla storia d’amore tra Maria e Tony, decide di aiutarli e si reca da Tony per avvisarlo del ritardo dell’amica.
Presa purtroppo dalla voglia di vendetta, una volta raggiunti i Jets racconta che Maria è stata uccisa da Chino, il suo promesso sposo. Tony, disperato, esce dal negozio in cui si era rifugiato per scampare all’ira degli Sharks, e va a cercare Chino, ma incontra Maria. Si stanno per riabbracciare, quando all’improvviso compare il rivale in amore e gli spara, uccidendolo proprio davanti alla ragazza. Maria, furiosa, si sfoga e sgrida le due bande, che decidono di deporre le armi e, per la prima volta, si trovano unite nella processione in memoria di Tony.
West Side Story è un musical, scritto da Arthur Laurents e musicato da Leonard Bernstein, di grandissimo successo, forse il più grande per l’epoca. Debuttò al Winter Garden Theater di Broadway (New York) il 26 settembre 1957 e fu replicato 732 volte prima di partire per una lunga tournée. Dato il grande amore che il pubblico mostrò per questo Romeo e Giulietta contemporaneo, nel 1961 la United Artists realizzò una versione cinematografica, che comparve nelle sale il 18 ottobre di quell’anno. La storia si rifà a quella del musical ed è diretto da Jerome Robbins e Robert Wise.
West Side Story è stato il film dei record, perché ha vinto dieci Oscar (Rita Moreno, miglior attrice non protagonista, George Chakiris, miglior attore non protagonista, e poi fu premiato come miglior film, regia, coreografia, scenografia, montaggio, costumi, colonna sonora e fotografia e infine anche la nomination come Migliore sceneggiatura non originale a Ernest Lehman) e dopo 50 anni non c’è ancora una pellicola che sia stata in grado di superare questo eccellente risultato. Quello di West Side Story è sicuramente un successo che ha attraversato le generazioni, anche grazie una seconda registrazione del 1984, cui hanno preso parte il soprano neozelandese Kiri Te Kanawa nel ruolo di Maria, il famoso tenore spagnolo José Carreras in quello di Tony, aggiudicandosi, nel 1985, un Grammy Award.
Il 26 settembre 1957 debutta a Broadway West Side Story, di Leonard Bernstein.
West Side Story è prima di tutto una grande storia d’amore, ispirata alla tragedia di William Shakespeare, Romeo e Giulietta. I protagonisti sono Tony e Maria, due giovani, dell’Upper West Side (ecco da dove deriva il titolo) di New York che s’innamorano nonostante facciano parte di due bande diverse e ovviamente rivali. Da una parte troviamo i bianchi americani Jets di Tony e dall’altra i portoricani Sharks di Maria. Le bande si dividono il territorio e non c’è alcuna possibilità che questi gruppi accettino una relazione che in qualche modo possa unire le due fazioni.
Nonostante questa situazione, nulla vieta a Maria e Tony di sognare un futuro migliore, romantico e possibilmente insieme. Sono consapevoli che la dura realtà sia insuperabile, ma sono giovani e pieni di speranza. La loro storia d’amore precipita a causa di una rissa organizzata e che Tony vuole assolutamente placare. Il ragazzo però, non solo non riesce ad arginare i contrasti, ma prende parte alla violenza quando vede Bernardo, il fratello di Maria che comanda gli Sharks, pugnalare a morte Riff il capo dei Jets, il suo migliore amico. Il ragazzo travolto dal dolore si avventa su Bernardo e lo uccide.
Gli Sharks si trovano senza un leader e vogliono vendetta. L’unico modo per averla è ammazzare Tony. I due giovani, allora, capiscono che, per salvare il loro amore e le loro vite, devono fuggire insieme. Ma c’è un intoppo. La polizia va a casa di Maria, per capire le dinamiche dell’incidente e la ferma per un interrogatorio. Così la fidanzata di Bernardo, Anita, nonostante sia contraria alla storia d’amore tra Maria e Tony, decide di aiutarli e si reca da Tony per avvisarlo del ritardo dell’amica.
Presa purtroppo dalla voglia di vendetta, una volta raggiunti i Jets racconta che Maria è stata uccisa da Chino, il suo promesso sposo. Tony, disperato, esce dal negozio in cui si era rifugiato per scampare all’ira degli Sharks, e va a cercare Chino, ma incontra Maria. Si stanno per riabbracciare, quando all’improvviso compare il rivale in amore e gli spara, uccidendolo proprio davanti alla ragazza. Maria, furiosa, si sfoga e sgrida le due bande, che decidono di deporre le armi e, per la prima volta, si trovano unite nella processione in memoria di Tony.
West Side Story è un musical, scritto da Arthur Laurents e musicato da Leonard Bernstein, di grandissimo successo, forse il più grande per l’epoca. Debuttò al Winter Garden Theater di Broadway (New York) il 26 settembre 1957 e fu replicato 732 volte prima di partire per una lunga tournée. Dato il grande amore che il pubblico mostrò per questo Romeo e Giulietta contemporaneo, nel 1961 la United Artists realizzò una versione cinematografica, che comparve nelle sale il 18 ottobre di quell’anno. La storia si rifà a quella del musical ed è diretto da Jerome Robbins e Robert Wise.
West Side Story è stato il film dei record, perché ha vinto dieci Oscar (Rita Moreno, miglior attrice non protagonista, George Chakiris, miglior attore non protagonista, e poi fu premiato come miglior film, regia, coreografia, scenografia, montaggio, costumi, colonna sonora e fotografia e infine anche la nomination come Migliore sceneggiatura non originale a Ernest Lehman) e dopo 50 anni non c’è ancora una pellicola che sia stata in grado di superare questo eccellente risultato. Quello di West Side Story è sicuramente un successo che ha attraversato le generazioni, anche grazie una seconda registrazione del 1984, cui hanno preso parte il soprano neozelandese Kiri Te Kanawa nel ruolo di Maria, il famoso tenore spagnolo José Carreras in quello di Tony, aggiudicandosi, nel 1985, un Grammy Award.
lunedì 25 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 25 settembre.
Il 25 settembre 1996 viene chiusa l'ultima delle "Case Magdalene" d'Irlanda.
Donne perdute, donne immorali, donne che erano vittime del peccato e la cui unica strada per la redenzione poteva essere la detenzione in istituti gestiti da suore in cui avrebbero potuto mondare e purificare le proprie colpe tramite l’attività -quale triste metafora- di lavandaie: queste erano le “ospiti”, certamente non per propria volontà, delle Case Magdalene in Irlanda. Sorte nelle isole britanniche con lo scopo di riabilitare ad un lavoro delle ex prostitute durante il XIX secolo, tali case avevano il fine, in un primo momento, di fungere principalmente come ricoveri temporanei nei quali alle donne che non avevano più intenzione di vivere per strada, venisse offerta l’opportunità di imparare un mestiere e di essere aiutate a trovare un impiego che, senza una tutela del genere, certamente sarebbe stato loro negato.
Ma non ci volle molto perché gli istituti smarrissero la strada dei loro nobili intenti, finendo per diventare per lo più dei luoghi in cui finirono la propria vita donne che, semplicemente, non risultavano accettabili dalla rigida società irlandese: si poteva finire da giovani nelle lavanderie, perché troppo brutte o perché troppo belle e con troppi corteggiatori; ragazze madri erano candidate naturali alla case, così come chiunque avesse consumato un amore “peccaminoso”, magari un fanciullesco legame prematrimoniale; naturalmente, anche le vittime di stupro non potevano essere escluse da questa categoria. Tutte peccatrici, tutte meritevoli di essere isolate da una società onesta e lavoratrice: tutto questo, in Irlanda, non accadeva secoli fa, giacché l’ultima Casa Magdalene è stata chiusa nel 1996.
Maggies, diminutivo di Maddalena, appunto, il nome con cui venivano chiamate le donne segregate alle quali, molto spesso, era vietato di avere contatti con il mondo o a cui veniva impedito di vedere i propri figli e che avevano un solo compito: lavare, per 15 ore al giorno, con soda e sale. Un affare, per lo più, assai remunerativo per le Suore che ricevevano compensi non solo da privati, ma anche dallo stesso Stato Irlandese che lì faceva lavare lenzuola ed abiti di esercito ed ospedali, e che ricompensavano le loro “donne perdute” con un vitto scarso. Le maggies scontavano non solo la propria diversità ma anche, più semplicemente, la realtà di vivere in una società preda del fanatismo religioso in cui tutti sapevano e tacevano ed in cui erano gli stessi genitori a provocare la distruzione delle proprie figlie: la scontavano non solo con la reclusione ma, molto spesso, subendo torture fisiche e psicologiche e degli abusi sessuali. Perché, ultime di fronte a Dio, degradate dal peccato, dovevano meritare la loro giusta punizione, secondo quanto una sorda società voleva far passare per normalità.
Il 25 settembre 1996 viene chiusa l'ultima delle "Case Magdalene" d'Irlanda.
Donne perdute, donne immorali, donne che erano vittime del peccato e la cui unica strada per la redenzione poteva essere la detenzione in istituti gestiti da suore in cui avrebbero potuto mondare e purificare le proprie colpe tramite l’attività -quale triste metafora- di lavandaie: queste erano le “ospiti”, certamente non per propria volontà, delle Case Magdalene in Irlanda. Sorte nelle isole britanniche con lo scopo di riabilitare ad un lavoro delle ex prostitute durante il XIX secolo, tali case avevano il fine, in un primo momento, di fungere principalmente come ricoveri temporanei nei quali alle donne che non avevano più intenzione di vivere per strada, venisse offerta l’opportunità di imparare un mestiere e di essere aiutate a trovare un impiego che, senza una tutela del genere, certamente sarebbe stato loro negato.
Ma non ci volle molto perché gli istituti smarrissero la strada dei loro nobili intenti, finendo per diventare per lo più dei luoghi in cui finirono la propria vita donne che, semplicemente, non risultavano accettabili dalla rigida società irlandese: si poteva finire da giovani nelle lavanderie, perché troppo brutte o perché troppo belle e con troppi corteggiatori; ragazze madri erano candidate naturali alla case, così come chiunque avesse consumato un amore “peccaminoso”, magari un fanciullesco legame prematrimoniale; naturalmente, anche le vittime di stupro non potevano essere escluse da questa categoria. Tutte peccatrici, tutte meritevoli di essere isolate da una società onesta e lavoratrice: tutto questo, in Irlanda, non accadeva secoli fa, giacché l’ultima Casa Magdalene è stata chiusa nel 1996.
Maggies, diminutivo di Maddalena, appunto, il nome con cui venivano chiamate le donne segregate alle quali, molto spesso, era vietato di avere contatti con il mondo o a cui veniva impedito di vedere i propri figli e che avevano un solo compito: lavare, per 15 ore al giorno, con soda e sale. Un affare, per lo più, assai remunerativo per le Suore che ricevevano compensi non solo da privati, ma anche dallo stesso Stato Irlandese che lì faceva lavare lenzuola ed abiti di esercito ed ospedali, e che ricompensavano le loro “donne perdute” con un vitto scarso. Le maggies scontavano non solo la propria diversità ma anche, più semplicemente, la realtà di vivere in una società preda del fanatismo religioso in cui tutti sapevano e tacevano ed in cui erano gli stessi genitori a provocare la distruzione delle proprie figlie: la scontavano non solo con la reclusione ma, molto spesso, subendo torture fisiche e psicologiche e degli abusi sessuali. Perché, ultime di fronte a Dio, degradate dal peccato, dovevano meritare la loro giusta punizione, secondo quanto una sorda società voleva far passare per normalità.
E purtroppo così è stato fino alla metà degli anni ’90, fatto che dovrebbe far rabbrividire, pensando che ci troviamo in Europa e che sono passati meno di 30 anni dalla chiusura dell’ultima lavanderia: dopo alcuni casi che furono scoperti nel 1993, si sono susseguite le denunce ad opera di scrittori e musicisti, fino ad arrivare al film del 2002 di Peter Mullan, premiato a Venezia col Leone d’Oro e condannato senza riserve dal Vaticano. E ciononostante, le ingiustizie ed i soprusi subiti dalle maggies sono ancora impuniti, oltre che, talvolta, neanche mai denunciati per paura, per debolezza, perché abbandonate dalle proprie famiglie, le donne sapevano ormai vivere solo lì, in una realtà distorta dalla violenza e dalla sopraffazione ma, pur sempre, l’unica che era stata data loro come possibilità.
Il Comitato contro le torture dell’ONU ha chiesto esplicitamente all’Irlanda di aprire un’inchiesta su quello che è accaduto per decenni nelle lavanderie, sulle 30 000 donne che, silenziosamente, sono entrate negli istituti per essere “corrette” tra il 1922 ed il 1996 e che, talvolta, sono morte senza un nome: finalmente lo Stato ha deciso di istituire un comitato guidato da una persona esterna che chiarisca i rapporti intercorsi tra questo e le lavanderie.
Il pronunciamento ONU è stato una vera e propria svolta che obbligherà, si spera, l’Irlanda, le istituzioni e gli ordini religiosi a ripensare se stessi, in merito a questi campi che sono stati tenuti nel loro territorio nella più totale indifferenza e silenzio: già gli ordini religiosi hanno annunciato che collaboreranno, mutando drasticamente l’atteggiamento che, fino a pochi giorni fa, vedeva le Suore negare ogni responsabilità in merito, nonostante le denunce di tante ex maggies. Forse questa volta, quelle denunce non saranno cadute nel vuoto: forse un giorno, anche per queste donne perdute, arriveranno delle scuse.
Il Comitato contro le torture dell’ONU ha chiesto esplicitamente all’Irlanda di aprire un’inchiesta su quello che è accaduto per decenni nelle lavanderie, sulle 30 000 donne che, silenziosamente, sono entrate negli istituti per essere “corrette” tra il 1922 ed il 1996 e che, talvolta, sono morte senza un nome: finalmente lo Stato ha deciso di istituire un comitato guidato da una persona esterna che chiarisca i rapporti intercorsi tra questo e le lavanderie.
Il pronunciamento ONU è stato una vera e propria svolta che obbligherà, si spera, l’Irlanda, le istituzioni e gli ordini religiosi a ripensare se stessi, in merito a questi campi che sono stati tenuti nel loro territorio nella più totale indifferenza e silenzio: già gli ordini religiosi hanno annunciato che collaboreranno, mutando drasticamente l’atteggiamento che, fino a pochi giorni fa, vedeva le Suore negare ogni responsabilità in merito, nonostante le denunce di tante ex maggies. Forse questa volta, quelle denunce non saranno cadute nel vuoto: forse un giorno, anche per queste donne perdute, arriveranno delle scuse.
domenica 24 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 24 settembre.
Il 24 settembre 1951 nasce Pedro Almodovar.
Pedro Almodóvar Caballero nasce a Calzada de Calatrava (Castiglia La Mancia, Spagna) il 24 settembre del 1951. Quando il piccolo Pedro ha solo otto anni, la sua famiglia lascia la città natale ed emigra in un'altra provincia spagnola. Vive dunque la sua infanzia e la sua adolescenza in Estremadura, per poi nuovamente trasferirsi in una città più grande, Madrid, alla fine degli anni '60.
Stavolta però Pedro non si lascia semplicemente guidare dalle decisioni della famiglia, ma comincia ad avere le idee ben chiare circa quello che desidera fare: sfogare la sua prorompente creatività ed entrare nel mondo del cinema. Irrequieto ed instabile, a sedici anni interrompe gli studi, inizia a lavorare come impiegato presso una compagnia telefonica per mantenersi (ci passerà ben dodici anni della sua vita), ma nel frattempo inizia a dedicarsi alle riprese di documentari, filmati amatoriali e cortometraggi, oltre che alla pubblicazione di fumetti e racconti in riviste underground; fra le molteplici attività di quel periodo, partecipa anche come attore ad alcuni spettacoli della compagnia "Los Goliardos" e frequenta una punk rock-band (ricordi di questa esperienza si ritrovano in molti dei suoi film).
Il suo primo cortometraggio risale al 1974, cui ne seguiranno una decina prima del suo esordio nel lungometraggio, che arriva nel 1980. E' l'inizio della sua folgorante carriera, grazie ad uno stile ricco ed incisivo. In quei primi anni '80, fra l'altro, entra a far parte del movimento underground che genererà il fenomeno della "movida" e che rinnoverà il panorama artistico, musicale e culturale di Madrid. Rispetto alla produzione di Almodovar, quelli sono gli anni in cui gira i primi film realmente distribuiti in grande stile: "Pepi, Luci Bom e le altre ragazze del mucchio" e "Labirinto di passioni".
Nel 1983 alternando in una mescolanza creativa cinema, musica e scrittura, forma il duo Almodóvar-McNamara, che pubblica un disco, e crea il personaggio di Patty Diphusa, porno-star che racconta le proprie avventure sulla rivista "La Luna de Madrid". Seguono i film "L'indiscreto fascino del peccato", "Che ho fatto io per meritare questo?!", "Matador" e "La legge del desiderio". Nel 1987 insieme al fratello Agustin fonda una casa di produzione.
Con "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" giunge la consacrazione a livello internazionale, coronata con una nomination all'Oscar e una lista interminabile di premi e riconoscimenti in tutto il mondo. I film seguenti sono successi in tutto il mondo: "Lègami!", "Tacchi a spillo", "Kika", "Il fiore del mio segreto" e "Carne Tremula".
Nel 2000, dopo la Palma D'Oro nel 1999 a Cannes come miglior regista per "Tutto su mia madre", riceve l'Oscar per lo stesso film, a coronamento di un successo planetario sia di critica che di pubblico. I più recenti "Parla con lei", "La mala educación", "Volver", "Gli abbracci spezzati", "la pelle che abito", "gli amanti passeggeri", "julieta", "dolor y gloria", "madres paralelas" completano la sua filmografia.
Senza rinunciare alla rappresentazione delle realtà marginali della società, caratteristica delle sue pellicole d'esordio, Almodóvar sviluppa oggi trame basate sulle passioni e i sentimenti, sempre più sofisticate e "colorate", con un'abbondanza di elementi scandalistici e provocatori. Temi tipici del regista sono i rapporti fra donne, l'ambiguità sessuale, l'amore e la passione omosessuale (spesso trattata con tocco ironico ed autoironico), la critica alla religione.
Il 24 settembre 1951 nasce Pedro Almodovar.
Pedro Almodóvar Caballero nasce a Calzada de Calatrava (Castiglia La Mancia, Spagna) il 24 settembre del 1951. Quando il piccolo Pedro ha solo otto anni, la sua famiglia lascia la città natale ed emigra in un'altra provincia spagnola. Vive dunque la sua infanzia e la sua adolescenza in Estremadura, per poi nuovamente trasferirsi in una città più grande, Madrid, alla fine degli anni '60.
Stavolta però Pedro non si lascia semplicemente guidare dalle decisioni della famiglia, ma comincia ad avere le idee ben chiare circa quello che desidera fare: sfogare la sua prorompente creatività ed entrare nel mondo del cinema. Irrequieto ed instabile, a sedici anni interrompe gli studi, inizia a lavorare come impiegato presso una compagnia telefonica per mantenersi (ci passerà ben dodici anni della sua vita), ma nel frattempo inizia a dedicarsi alle riprese di documentari, filmati amatoriali e cortometraggi, oltre che alla pubblicazione di fumetti e racconti in riviste underground; fra le molteplici attività di quel periodo, partecipa anche come attore ad alcuni spettacoli della compagnia "Los Goliardos" e frequenta una punk rock-band (ricordi di questa esperienza si ritrovano in molti dei suoi film).
Il suo primo cortometraggio risale al 1974, cui ne seguiranno una decina prima del suo esordio nel lungometraggio, che arriva nel 1980. E' l'inizio della sua folgorante carriera, grazie ad uno stile ricco ed incisivo. In quei primi anni '80, fra l'altro, entra a far parte del movimento underground che genererà il fenomeno della "movida" e che rinnoverà il panorama artistico, musicale e culturale di Madrid. Rispetto alla produzione di Almodovar, quelli sono gli anni in cui gira i primi film realmente distribuiti in grande stile: "Pepi, Luci Bom e le altre ragazze del mucchio" e "Labirinto di passioni".
Nel 1983 alternando in una mescolanza creativa cinema, musica e scrittura, forma il duo Almodóvar-McNamara, che pubblica un disco, e crea il personaggio di Patty Diphusa, porno-star che racconta le proprie avventure sulla rivista "La Luna de Madrid". Seguono i film "L'indiscreto fascino del peccato", "Che ho fatto io per meritare questo?!", "Matador" e "La legge del desiderio". Nel 1987 insieme al fratello Agustin fonda una casa di produzione.
Con "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" giunge la consacrazione a livello internazionale, coronata con una nomination all'Oscar e una lista interminabile di premi e riconoscimenti in tutto il mondo. I film seguenti sono successi in tutto il mondo: "Lègami!", "Tacchi a spillo", "Kika", "Il fiore del mio segreto" e "Carne Tremula".
Nel 2000, dopo la Palma D'Oro nel 1999 a Cannes come miglior regista per "Tutto su mia madre", riceve l'Oscar per lo stesso film, a coronamento di un successo planetario sia di critica che di pubblico. I più recenti "Parla con lei", "La mala educación", "Volver", "Gli abbracci spezzati", "la pelle che abito", "gli amanti passeggeri", "julieta", "dolor y gloria", "madres paralelas" completano la sua filmografia.
Senza rinunciare alla rappresentazione delle realtà marginali della società, caratteristica delle sue pellicole d'esordio, Almodóvar sviluppa oggi trame basate sulle passioni e i sentimenti, sempre più sofisticate e "colorate", con un'abbondanza di elementi scandalistici e provocatori. Temi tipici del regista sono i rapporti fra donne, l'ambiguità sessuale, l'amore e la passione omosessuale (spesso trattata con tocco ironico ed autoironico), la critica alla religione.
sabato 23 settembre 2023
30 anni di amicizia
Anche quest'anno ci occupiamo del Concorso Amico Rom, giunto alla 30a edizione. Dopo la scorsa edizione, anche quest'anno il programma intorno alla cerimonia di premiazione, che, come di consueto, si terrà al Teatro Fedele Fenaroli di Lanciano è ricco di appuntamenti in più località.
Personaggi e artisti raggiungeranno la cittadina frentana, onorandola come capitale dell'intercultura a livello transnazionale, non solo da tutta Europa ma anche dall'Argentina e dalla Russia.
Il via alle manifestazioni sarà dato il 2 ottobre presso il prestigioso Istituto Cervantes con sede a Piazza Navona a Roma. Sarà presentato il progetto europeo ROMHERITAGE, che propone il Cammino Culturale Rom riconosciuto dall'Europa. L'evento è ideato in associazione con l'ERIAC (European Roma Institute for Art and Culture) importante organismo culturale finanziato dal Consiglio d'Europa, l'associazione spagnola Presencia Gitana, l'associazione slovena EPEKA e l'associazione italiana Thèm Romanó - International Romani Union con sede a Lanciano.
Interverranno all'evento importanti rappresentanti istituzionali fra i quali Mattia Peradotto direttore dell'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale). L'UNAR è il riferimento nazionale dell'Unione Europea per la Strategia Nazionale dell'Inclusione dei Rom e Sinti.
Contribuiranno ad arricchire la manifestazione le performance musicali dell'Alexian Group, gruppo artistico di rilevante successo e di fama internazionale.
L'evento sarà replicato a Lanciano il 4 ottobre alle ore 16.00 presso la Casa di Conversazione, Sala Lanci, presenzieranno ospiti e autorità internazionali e le più alte cariche dell'International Romani Union (organismo che rappresenta i Rom all'ONU) a cui l'amministrazione comunale darà il benvenuto in Sala Consiliare alle ore 15.00.
La presentazione di ROMHERITAGE sarà fatta a Lanciano perché tappa importante dell'Itinerario Culturale Europeo grazie al Monumento al Samudaripen, inaugurato il 5 ottobre 2018 al Parco delle Memorie, e in quanto sede del Concorso Artistico Internazionale Amico Rom, il più longevo al mondo nel settore con le sue 30 edizioni.
Il 4 ottobre mattina a Pescara ci sarà una lezione con gli studenti dell'Istituto Alberghiero De Cecco sul Samudaripen (genocidio nazifascista dei Rom e Sinti) e il contributo alla Resistenza in Europa da parte dei Rom e Sinti. L'incontro è nell'ambito del progetto europeo REGARD (REmembering Genocide Against Roma Discrimination).
Il 5 ottobre è la giornata culminante con due manifestazioni. La prima al mattino, alle 10.30 al Parco delle Memorie con la solenne cerimonia della deposizione della corona d'alloro al Monumento al Samudaripen, l'inaugurazione di un nuovo Memoriale Europeo in seno al progetto REGARD e la piantumazione di un albero, un leccio, a cura dell'associazione 1000 Alberi per Lanciano, dedicato a Gennaro Spinelli, deportato nella sua infanzia e con la sua famiglia dai fascisti.
Molte famiglie di Rom e Sinti subirono internamenti e deportazioni sotto il Governo fascista e tutt’oggi in Italia, diversamente che in altri Paesi europei, non è stato sancito alcun risarcimento né espressa alcuna scusa pubblica nei confronti di cittadini italiani di etnia rom e sinta.
(Prof. Santino Spinelli)
Parteciperanno a tale evento sindaci dell'area frentana, tante autorità e tanti rappresentanti istituzionali e delle comunità romanès europee. Interverrà il Direttore dell'UNAR Mattia Peradotto assieme al dott. Sandro Turcio del CNR-IRPPS che illustrerà il progetto europeo REGARD di cui fanno parte il Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali di Roma e Fisciano (CNR-IRRPS), l'Istituzione croata Kali Sara, l'associazione rumena Centrul de Cultura al Romilor Dolj e l'associazione lancianese Thèm Romanó.
L'associazione Thèm Romanó è riuscita a far inserire l'inaugurazione del Monumento al Samudaripen di Lanciano nel Progetto Europeo REGARD ponendo così la città di Lanciano all'attenzione europea e mondiale. Il 5 ottobre infatti è entrato nelle 5 date che le istituzioni internazionali e mondiali come il Consiglio d'Europa, l'Unione Europea e l'UNESCO riconoscono per i Rom e Sinti e inseriti nel progetto stesso:(Prof. Santino Spinelli)
- 8 aprile Giornata Mondiale dei Rom e Sinti
- 16 maggio Rivolta dei Rom e Sinti ad Auschwitz
- 2 agosto Giornata Mondiale del Samudaripen
- 5 ottobre Celebrazione del Monumento Samudaripen di Lanciano (Chieti)
- 5 novembre Giornata Mondiale della Lingua Romanì
La sera al Teatro Fedele Fenaroli a partire dalle ore 21.00 inizierà la cerimonia di premiazione della trentesima edizione del Concorso Artistico Internazionale Amico Rom. Tanti i premiati e tante le autorità e le personalità regionali, nazionali e internazionali del mondo dell'arte, della, cultura, della politica e dello spettacolo presenti all'evento.
La musica sarà protagonista della manifestazione: si esibirà il gruppo Noche de Rumba y Flamenco da Barcellona, il noto artista spagnolo Paco Suarez, Evedise Spinelli, virtuosa arpista, e il Coro Folkloristico di Picciano che eseguirà l'inno abruzzese VOLA VOLA per omaggiare i numerosi ospiti forestieri. La partecipazione è libera e gratuita a tutti gli eventi grazie all'associazione lancianese Thèm Romanó e UCRI (Unione delle Comunità Romanès in Italia) che coordinano e organizzano tutte le attività elencate.
Tutti gli eventi saranno ripresi in diretta streaming da Abruzzo Live.
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 23 settembre.
Il 23 settembre 2011 viene annunciato un risultato sorprendente: i neutrini viaggiano più veloci della luce.
Si parlò di conferma ufficiale: la velocità della luce era stata superata. I neutrini, sostenevano i ricercatori, sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi. Il risultato era stato ottenuto dall'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato si deve alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall'acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. I dati dimostravano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L'analisi dei dati, raccolti in quegli anni, dimostrava che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce.
"Il neutrino ci sorprende ancora". "Questo risultato è una completa sorpresa", ha osservato il responsabile del rivelatore Opera, il fisico italiano Antonio Ereditato dell'università di Berna, commentando i dati che dimostrano che è stata superata la velocità della luce. "Dopo molti mesi di studi e di controlli incrociati - ha detto - non abbiamo trovato nessun effetto dovuto alla strumentazione in grado di spiegare il risultato della misura. Continueremo i nostri studi e attendiamo misure indipendenti per valutare pienamente la natura di queste osservazioni". Secondo Ereditato "il potenziale impatto sulla scienza è troppo grande per trarre conclusioni immediate o tentare interpretazioni. La mia prima reazione - ha aggiunto - è che il neutrino ci sorprende ancora una volta con i suoi misteri".
Con Ereditato lavorano circa 160 ricercatori di 30 istituzioni e 11 Paesi. "Sono molto contento e ho la fortuna di condividere questo risultato con tanti colleghi validissimi e non mi sento di dire che si tratta di un mio risultato: è un risultato del mio gruppo. E' il frutto di un lavoro complesso e gratificante". Come avete accolto i dati? "Siamo molto meno eccitati dei media. Certamente ci rendiamo conto che questa scoperta colpisce l'immaginario collettivo, ma per noi è stata una misura di precisione lungo un percorso alla fine del quale eravamo convinti di trovare un risultato negativo. Scoprire che non era così è stata una grossa sorpresa". Napoletano, 56 anni, Ereditato ha studiato a Napoli e poi ha lavorato in molti centri di ricerca all'estero. Da cinque anni dirige l'Istituto di Fisica delle particelle dell'università svizzera di Berna. E' coordinatore della collaborazione internazionale Opera, nell'ambito dell'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nato dalla collaborazione fra il Cern di Ginevra e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
La percezione, ha detto il presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) Roberto Petronzio, è che "si possa cominciare a ragionare su una nuova scala e che si entri in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell'universo". Con la possibilità di superare la velocità della luce entrerebbe in crisi uno dei punti di riferimento della fisica contemporanea. Le costanti dell'universo hanno infatti un valore universale e indipendente, veri e propri capisaldi che modellano la visione dell'universo. "E' possibile - ha rilevato Petronzio - che i nuovi dati sulla velocità della luce possano essere la spia dell'esistenza di una nuova costante. E' stata infatti osservata una deviazione rispetto a una scala. Per esempio, la famosa particella di Dio, ossia il bosone di Higgs per il quale esiste la massa, dovrebbe essere rilevabile all'interno di una scala di energia e, se i dati raccolti dal Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra dovessero dimostrare che non si trovi lì si aprirebbe una nuova pagina per la fisica. "Nel caso della velocità della luce, l'anomalia osservata e presentata oggi sarebbe ancora più importante rispetto alla scoperta o meno del bosone di Higgs in quanto - ha concluso - riguarderebbe le proprietà generali dello spazio-tempo".
Meno di 6 mesi più tardi, la doccia fredda: i neutrini NON sono più veloci della luce; i risultati che mettevano in discussione la teoria della relatività erano falsati da un errore nella connessione del cavo tra un rilevatore Gps e un computer usato per calcolare il tempo in cui i neutrini venivano sparati dal Cern a Ginevra ai laboratori del Gran Sasso. La teoria della relatività di Einstein rimane in vigore, almeno fino alle prossime mirabolanti scoperte.
Il 23 settembre 2011 viene annunciato un risultato sorprendente: i neutrini viaggiano più veloci della luce.
Si parlò di conferma ufficiale: la velocità della luce era stata superata. I neutrini, sostenevano i ricercatori, sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi. Il risultato era stato ottenuto dall'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato si deve alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall'acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. I dati dimostravano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L'analisi dei dati, raccolti in quegli anni, dimostrava che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce.
"Il neutrino ci sorprende ancora". "Questo risultato è una completa sorpresa", ha osservato il responsabile del rivelatore Opera, il fisico italiano Antonio Ereditato dell'università di Berna, commentando i dati che dimostrano che è stata superata la velocità della luce. "Dopo molti mesi di studi e di controlli incrociati - ha detto - non abbiamo trovato nessun effetto dovuto alla strumentazione in grado di spiegare il risultato della misura. Continueremo i nostri studi e attendiamo misure indipendenti per valutare pienamente la natura di queste osservazioni". Secondo Ereditato "il potenziale impatto sulla scienza è troppo grande per trarre conclusioni immediate o tentare interpretazioni. La mia prima reazione - ha aggiunto - è che il neutrino ci sorprende ancora una volta con i suoi misteri".
Con Ereditato lavorano circa 160 ricercatori di 30 istituzioni e 11 Paesi. "Sono molto contento e ho la fortuna di condividere questo risultato con tanti colleghi validissimi e non mi sento di dire che si tratta di un mio risultato: è un risultato del mio gruppo. E' il frutto di un lavoro complesso e gratificante". Come avete accolto i dati? "Siamo molto meno eccitati dei media. Certamente ci rendiamo conto che questa scoperta colpisce l'immaginario collettivo, ma per noi è stata una misura di precisione lungo un percorso alla fine del quale eravamo convinti di trovare un risultato negativo. Scoprire che non era così è stata una grossa sorpresa". Napoletano, 56 anni, Ereditato ha studiato a Napoli e poi ha lavorato in molti centri di ricerca all'estero. Da cinque anni dirige l'Istituto di Fisica delle particelle dell'università svizzera di Berna. E' coordinatore della collaborazione internazionale Opera, nell'ambito dell'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nato dalla collaborazione fra il Cern di Ginevra e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
La percezione, ha detto il presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) Roberto Petronzio, è che "si possa cominciare a ragionare su una nuova scala e che si entri in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell'universo". Con la possibilità di superare la velocità della luce entrerebbe in crisi uno dei punti di riferimento della fisica contemporanea. Le costanti dell'universo hanno infatti un valore universale e indipendente, veri e propri capisaldi che modellano la visione dell'universo. "E' possibile - ha rilevato Petronzio - che i nuovi dati sulla velocità della luce possano essere la spia dell'esistenza di una nuova costante. E' stata infatti osservata una deviazione rispetto a una scala. Per esempio, la famosa particella di Dio, ossia il bosone di Higgs per il quale esiste la massa, dovrebbe essere rilevabile all'interno di una scala di energia e, se i dati raccolti dal Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra dovessero dimostrare che non si trovi lì si aprirebbe una nuova pagina per la fisica. "Nel caso della velocità della luce, l'anomalia osservata e presentata oggi sarebbe ancora più importante rispetto alla scoperta o meno del bosone di Higgs in quanto - ha concluso - riguarderebbe le proprietà generali dello spazio-tempo".
Meno di 6 mesi più tardi, la doccia fredda: i neutrini NON sono più veloci della luce; i risultati che mettevano in discussione la teoria della relatività erano falsati da un errore nella connessione del cavo tra un rilevatore Gps e un computer usato per calcolare il tempo in cui i neutrini venivano sparati dal Cern a Ginevra ai laboratori del Gran Sasso. La teoria della relatività di Einstein rimane in vigore, almeno fino alle prossime mirabolanti scoperte.
venerdì 22 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 22 settembre.
Il 22 settembre 1994 debutta, sulla tv americana NBC, la serie televisiva "friends".
Una sit-com ha l’arduo compito di far ridere e per farlo ricorre a qualunque espediente. Friends è stata in grado di sovvertire questo principio, usando l’ironia non sempre come fine ma anche come mezzo per veicolare sentimenti: se oggi la cotta di Leonard per Penny in TBBT o la relazione tra Ellie e Andy in Cougar Town non fanno altro che offrire spunti umoristici, in Friends la carta delle coppie viene giocata in modo diverso, è un legante che crea continuità alla story-line e genera aspettative nello spettatore. Chiunque abbia visto Friends non l’ha fatto solo per la brillante comicità ma anche per seguire le sorti delle coppie che si sono avvicendate stagione dopo stagione.
“Incontrata, corteggiata e BAM, dopo nove anni sono stata tua!” (Rachel). Vi è mai capitato di innamorarvi di un compagno di liceo, rivederlo dopo tanti anni e sentire ancora qualcosa per lui? E’ quello che succede a Ross che, sconsolato dopo aver scoperto che la donna con cui è stato sposato per anni è in realtà lesbica, seduto sulla poltrona del Central Perk dice: “Vorrei solo una donna da sposare…”, in quel momento entra Rachel, di bianco vestita, in fuga dal suo matrimonio. Impossibile per Ross non leggere in questa coincidenza un messaggio e non rivivere, rivedendo il suo primo amore, tutti i sentimenti rimasti latenti per anni. Non trova il coraggio di dirle ciò che prova e, mentre è in Cina per lavoro, è Chandler a svelare sbadatamente la verità a Rachel, la quale fa i conti con se stessa e capisce di provare qualcosa per cui valga la pena anche mettere a rischio una bella amicizia. Quando Ross torna, lei è in aeroporto ad aspettarlo: peccato che lui sia già in compagnia! I due sembrano cercarsi con un pessimo tempismo e, anche quando finalmente trovano l’intesa giusta, un malinteso li allontana. Un vecchio video in cui si evince quanto profondo sia il sentimento di Ross per Rachel la fa capitolare. Lei una “chicchettosa” modaiola, lui un pedante paleontologo, zero interessi comuni, distanti anni luce eppure così vicini, “chela nella chela come due aragoste” (Phoebe), allacciano una bellissima storia d’amore che arriva, però, ad una drammatica rottura, quando Rachel scopre che Ross è stato con un’altra, in una puntata capolavoro in cui tutto il litigio viene sviscerato tra il salotto e la cucina di casa di Monica, mentre gli altri quattro sono chiusi nella stanza affianco, costretti a mangiare ceretta: “Potremmo mangiare la ceretta, è organica!” (Phoebe), “Oh, cibo con peli!” (Chandler) “Ma no mangeremo quella non usata ” (Phoebe) “Ma perché quella è più indigesta?” (Chandler). Ross si ricostruisce una vita, decide addirittura di risposarsi con Emily, un’antipatica che conosce da poco più di un mese, ma rovina tutto pronunciando sull’altare la frase: “Io prendo te RACHEL”, lapsus che conduce ad un divorzio lampo. Ross e Rachel provano a rinnovare la loro amicizia, inframmezzando con qualche scappatella fugace, di cui una in particolare che porta, nove mesi dopo, alla nascita della loro bambina: Emma Geller Green. E’ nell’ultimo episodio che i due tornano di nuovo insieme, come il più atteso e romantico dei lieto-fine.
Se per Ross e Rachel si intravedeva un futuro sin dalle prime puntate, meno scontato è l’idillio tra Monica e Chandler, due amici di lunga data che, sotto l’influsso londinese, complice anche qualche calice di champagne, finiscono per passare la notte insieme e da quell’istante per non separarsi più… Entrambi hanno alle spalle ex fidanzati “ingombranti”: per lui un’isterica dalla voce stridula che esordisce in continuazione col tormentone “Oh mio Dio”; per lei un uomo “adulto”, migliore amico di suo padre, nonché al secolo Magnum PI Tom Selleck! Immaginate una persona che utilizzi un mocho per pulire il soffitto, che vada in tilt se qualcuno non usa i sottobicchieri o se non chiude i pennarelli facendo click, rischiando di farli seccare e un sarcastico cronico: “La telecamera aggiunge almeno 5 kg” (Monica) “E quante telecamere avevi addosso?” (Chandler)… Questi sono Monica e Chandler, una donna compulsivo-ossessiva dell’igiene e maniaca del controllo, affianco ad un insicuro che usa l’ironia come difesa per celare le sue incertezze e il suo complesso di Peter Pan; due metà di una stessa mela che si compensano e si esaltano vicendevolmente. Monica non ha paura di essere se stessa con tutte le sue manie e Chandler trova in lei una confidente che l’aiuta a superare le sue fragilità, una donna con cui convola a nozze, dopo un maldestro tentativo di fuga, con la quale adotta due gemelli e si costruisce una famiglia.
Dopo Rachel e Ross, Chandler e Monica ci si poteva convincere che anche Joey e Phoebe avrebbero finito per stare insieme; i più simili del gruppo, ingenui, passionali, ci si aspettava che Joey avrebbe smesso di correre dietro ogni gonna e Phoebe sarebbe stata lì per lui, invece è paradossale che a dividerli sia Mike, un perfetto sconosciuto, che proprio Joey presenta a Phoebe. Mike arriva di soppiatto agli inizi della nona stagione, non è uno dei nostri “friends”, eppure non stona, si integra alla perfezione; è tenero, romantico e ama Phoebe; finisce per confessarglielo dopo una disastrosa cena di famiglia in cui Phoebe rischia con un pugno, dato per scherzo, di far saltare i punti del padre di Mike, reduce da un intervento, e stranisce tutti raccontando di un’epatite contratta quando viveva per strada. Mike e la sua “stupendamente strana” Phoebe, finalmente pronta a coronare il suo sogno d’amore, si sposano con una suggestiva cerimonia sotto la neve, in cui ogni amico ha un ruolo: Joey officia, Monica e Rachel sono le damigelle, Chandler accompagna Phoebe all’altare invece Ross accompagna Ciappi, il cagnolino maleodorante di Mike!
Friends ritrova nelle sue tre coppie simbolo gli ingredienti che lo hanno contraddistinto: romanticismo, simpatia travolgente e un pizzico di piacevole stranezza; una miscela che ha regalato 10 anni bellissimi di risate, emozioni e amori toccanti. Le emozioni hanno fatto la differenza, hanno elevato Friends al di sopra dei canoni di sola sit-com, ci hanno coinvolti come se sulla poltrona del Central Perk ci fossimo seduti anche noi con loro.
Dopo la fine del programma, i protagonisti hanno intrapreso strade molto diverse tra loro:
Lisa Kudrow (Phoebe); stordita era proprio stordita, quella strana e sulle nuvole del gruppo non ha avuto proprio una carriera luminosa dopo Friends, un paio di film e qualche cameo in serie tv, ma la sua rinascita arriva dalla rete grazie ad una web series da lei ideata e interpretata in cui è una terapista con poca pazienza per i problemi degli altri. La web series è andata così bene che il canale Show Time ha deciso di produrla.
Matthew Perry (Chandler); qualche film, diversi ingaggi da guest star hanno riempito gli otto anni trascorsi tra la fine di Friends (2004) e l'inizio di Go On (2012) sitcom in cui interpreta un conduttore radiofonico costretto dal suo capo ad iscriversi ad un corso per affrontare il dolore in seguito alla morte della moglie. Nonostante questa serie sia arrivata ai 22 episodi (mentre Mr Sunshine si fermò a 9) anche Go On è stata chiusa.
Courteney Cox (Monica); da miss perfezione in Friends a madre 40enne neodivorziata che si rimette in gioco in Cougar Town, sitcom di cui è la protagonista dal 2009 e che le è valsa una nomination come miglior attrice al Golden Globe. Prima però c'è stata la parentesi sfortunata della serie Dirt in cui vestiva i panni di una spietata direttrice di un giornale scandalistico, telefilm chiuso dopo sole due stagioni. E' stata sposata per 11 anni con l'attore David Arquette da cui ha avuto una figlia, Coco, di cui Jennifer Aniston è la madrina.
Jennifer Aniston (Rachel); già prima della conclusione di Friends era la più famosa dei 6, vuoi per la sua relazione con Brad Pitt vuoi per i suoi tagli di capelli che ispiravano milioni di donne. Con il the end della serie, Jennifer ha lavorato quasi esclusivamente per il grande schermo in commedie di successo come …e alla fine arriva Polly, Ti odio, ti lascio, ti…, Come ammazzare il capo....e vivere felici. E per non farsi mancare niente è diventata pure produttrice di pellicole che però non sono ancora entrate nella storia. E' la madrina della figlia di Courteney Cox. Successivamente si è fidanzata con l'attore Justin Theroux con cui si sposa il 5 agosto 2015 nella propria residenza privata a Beverly Hills. Il 16 febbraio 2018 la Aniston annuncia la separazione dal marito dopo 2 anni e mezzo di matrimonio.
Matt LeBlanc (Joey); il post Friends di Matt è noto ai più. Suo infatti è l'unico spin off della fortunata serie, costola che però non si è dimostrata per nulla all'altezza dell'originale: Joey infatti è stata chiusa solo dopo due stagioni. Quasi imprigionato dal suo personaggio Matt si imbarca nel 2011 in una nuova avventura Episodes, una serie tv anglo-statunitense in cui interpreta...se stesso.
David Schwimmer (Ross); da paleontologo a voce di una giraffa cartoon ipocondriaca. La carriera di David post Friends è passata attraverso infiniti camei, qualche film, alcune esperienze da regista già cominciate sul set di Friends, ma il suo più grande successo dopo il 2004 è sicuramente il doppiaggio della giraffa Melman nella serie di film a cartoni animati Madagascar.
Nel 2016 interpreta Robert Kardashian nella serie tv American Crime Story, incentrata sul caso O. J. Simpson.
Il 22 settembre 1994 debutta, sulla tv americana NBC, la serie televisiva "friends".
Una sit-com ha l’arduo compito di far ridere e per farlo ricorre a qualunque espediente. Friends è stata in grado di sovvertire questo principio, usando l’ironia non sempre come fine ma anche come mezzo per veicolare sentimenti: se oggi la cotta di Leonard per Penny in TBBT o la relazione tra Ellie e Andy in Cougar Town non fanno altro che offrire spunti umoristici, in Friends la carta delle coppie viene giocata in modo diverso, è un legante che crea continuità alla story-line e genera aspettative nello spettatore. Chiunque abbia visto Friends non l’ha fatto solo per la brillante comicità ma anche per seguire le sorti delle coppie che si sono avvicendate stagione dopo stagione.
“Incontrata, corteggiata e BAM, dopo nove anni sono stata tua!” (Rachel). Vi è mai capitato di innamorarvi di un compagno di liceo, rivederlo dopo tanti anni e sentire ancora qualcosa per lui? E’ quello che succede a Ross che, sconsolato dopo aver scoperto che la donna con cui è stato sposato per anni è in realtà lesbica, seduto sulla poltrona del Central Perk dice: “Vorrei solo una donna da sposare…”, in quel momento entra Rachel, di bianco vestita, in fuga dal suo matrimonio. Impossibile per Ross non leggere in questa coincidenza un messaggio e non rivivere, rivedendo il suo primo amore, tutti i sentimenti rimasti latenti per anni. Non trova il coraggio di dirle ciò che prova e, mentre è in Cina per lavoro, è Chandler a svelare sbadatamente la verità a Rachel, la quale fa i conti con se stessa e capisce di provare qualcosa per cui valga la pena anche mettere a rischio una bella amicizia. Quando Ross torna, lei è in aeroporto ad aspettarlo: peccato che lui sia già in compagnia! I due sembrano cercarsi con un pessimo tempismo e, anche quando finalmente trovano l’intesa giusta, un malinteso li allontana. Un vecchio video in cui si evince quanto profondo sia il sentimento di Ross per Rachel la fa capitolare. Lei una “chicchettosa” modaiola, lui un pedante paleontologo, zero interessi comuni, distanti anni luce eppure così vicini, “chela nella chela come due aragoste” (Phoebe), allacciano una bellissima storia d’amore che arriva, però, ad una drammatica rottura, quando Rachel scopre che Ross è stato con un’altra, in una puntata capolavoro in cui tutto il litigio viene sviscerato tra il salotto e la cucina di casa di Monica, mentre gli altri quattro sono chiusi nella stanza affianco, costretti a mangiare ceretta: “Potremmo mangiare la ceretta, è organica!” (Phoebe), “Oh, cibo con peli!” (Chandler) “Ma no mangeremo quella non usata ” (Phoebe) “Ma perché quella è più indigesta?” (Chandler). Ross si ricostruisce una vita, decide addirittura di risposarsi con Emily, un’antipatica che conosce da poco più di un mese, ma rovina tutto pronunciando sull’altare la frase: “Io prendo te RACHEL”, lapsus che conduce ad un divorzio lampo. Ross e Rachel provano a rinnovare la loro amicizia, inframmezzando con qualche scappatella fugace, di cui una in particolare che porta, nove mesi dopo, alla nascita della loro bambina: Emma Geller Green. E’ nell’ultimo episodio che i due tornano di nuovo insieme, come il più atteso e romantico dei lieto-fine.
Se per Ross e Rachel si intravedeva un futuro sin dalle prime puntate, meno scontato è l’idillio tra Monica e Chandler, due amici di lunga data che, sotto l’influsso londinese, complice anche qualche calice di champagne, finiscono per passare la notte insieme e da quell’istante per non separarsi più… Entrambi hanno alle spalle ex fidanzati “ingombranti”: per lui un’isterica dalla voce stridula che esordisce in continuazione col tormentone “Oh mio Dio”; per lei un uomo “adulto”, migliore amico di suo padre, nonché al secolo Magnum PI Tom Selleck! Immaginate una persona che utilizzi un mocho per pulire il soffitto, che vada in tilt se qualcuno non usa i sottobicchieri o se non chiude i pennarelli facendo click, rischiando di farli seccare e un sarcastico cronico: “La telecamera aggiunge almeno 5 kg” (Monica) “E quante telecamere avevi addosso?” (Chandler)… Questi sono Monica e Chandler, una donna compulsivo-ossessiva dell’igiene e maniaca del controllo, affianco ad un insicuro che usa l’ironia come difesa per celare le sue incertezze e il suo complesso di Peter Pan; due metà di una stessa mela che si compensano e si esaltano vicendevolmente. Monica non ha paura di essere se stessa con tutte le sue manie e Chandler trova in lei una confidente che l’aiuta a superare le sue fragilità, una donna con cui convola a nozze, dopo un maldestro tentativo di fuga, con la quale adotta due gemelli e si costruisce una famiglia.
Dopo Rachel e Ross, Chandler e Monica ci si poteva convincere che anche Joey e Phoebe avrebbero finito per stare insieme; i più simili del gruppo, ingenui, passionali, ci si aspettava che Joey avrebbe smesso di correre dietro ogni gonna e Phoebe sarebbe stata lì per lui, invece è paradossale che a dividerli sia Mike, un perfetto sconosciuto, che proprio Joey presenta a Phoebe. Mike arriva di soppiatto agli inizi della nona stagione, non è uno dei nostri “friends”, eppure non stona, si integra alla perfezione; è tenero, romantico e ama Phoebe; finisce per confessarglielo dopo una disastrosa cena di famiglia in cui Phoebe rischia con un pugno, dato per scherzo, di far saltare i punti del padre di Mike, reduce da un intervento, e stranisce tutti raccontando di un’epatite contratta quando viveva per strada. Mike e la sua “stupendamente strana” Phoebe, finalmente pronta a coronare il suo sogno d’amore, si sposano con una suggestiva cerimonia sotto la neve, in cui ogni amico ha un ruolo: Joey officia, Monica e Rachel sono le damigelle, Chandler accompagna Phoebe all’altare invece Ross accompagna Ciappi, il cagnolino maleodorante di Mike!
Friends ritrova nelle sue tre coppie simbolo gli ingredienti che lo hanno contraddistinto: romanticismo, simpatia travolgente e un pizzico di piacevole stranezza; una miscela che ha regalato 10 anni bellissimi di risate, emozioni e amori toccanti. Le emozioni hanno fatto la differenza, hanno elevato Friends al di sopra dei canoni di sola sit-com, ci hanno coinvolti come se sulla poltrona del Central Perk ci fossimo seduti anche noi con loro.
Dopo la fine del programma, i protagonisti hanno intrapreso strade molto diverse tra loro:
Lisa Kudrow (Phoebe); stordita era proprio stordita, quella strana e sulle nuvole del gruppo non ha avuto proprio una carriera luminosa dopo Friends, un paio di film e qualche cameo in serie tv, ma la sua rinascita arriva dalla rete grazie ad una web series da lei ideata e interpretata in cui è una terapista con poca pazienza per i problemi degli altri. La web series è andata così bene che il canale Show Time ha deciso di produrla.
Matthew Perry (Chandler); qualche film, diversi ingaggi da guest star hanno riempito gli otto anni trascorsi tra la fine di Friends (2004) e l'inizio di Go On (2012) sitcom in cui interpreta un conduttore radiofonico costretto dal suo capo ad iscriversi ad un corso per affrontare il dolore in seguito alla morte della moglie. Nonostante questa serie sia arrivata ai 22 episodi (mentre Mr Sunshine si fermò a 9) anche Go On è stata chiusa.
Courteney Cox (Monica); da miss perfezione in Friends a madre 40enne neodivorziata che si rimette in gioco in Cougar Town, sitcom di cui è la protagonista dal 2009 e che le è valsa una nomination come miglior attrice al Golden Globe. Prima però c'è stata la parentesi sfortunata della serie Dirt in cui vestiva i panni di una spietata direttrice di un giornale scandalistico, telefilm chiuso dopo sole due stagioni. E' stata sposata per 11 anni con l'attore David Arquette da cui ha avuto una figlia, Coco, di cui Jennifer Aniston è la madrina.
Jennifer Aniston (Rachel); già prima della conclusione di Friends era la più famosa dei 6, vuoi per la sua relazione con Brad Pitt vuoi per i suoi tagli di capelli che ispiravano milioni di donne. Con il the end della serie, Jennifer ha lavorato quasi esclusivamente per il grande schermo in commedie di successo come …e alla fine arriva Polly, Ti odio, ti lascio, ti…, Come ammazzare il capo....e vivere felici. E per non farsi mancare niente è diventata pure produttrice di pellicole che però non sono ancora entrate nella storia. E' la madrina della figlia di Courteney Cox. Successivamente si è fidanzata con l'attore Justin Theroux con cui si sposa il 5 agosto 2015 nella propria residenza privata a Beverly Hills. Il 16 febbraio 2018 la Aniston annuncia la separazione dal marito dopo 2 anni e mezzo di matrimonio.
Matt LeBlanc (Joey); il post Friends di Matt è noto ai più. Suo infatti è l'unico spin off della fortunata serie, costola che però non si è dimostrata per nulla all'altezza dell'originale: Joey infatti è stata chiusa solo dopo due stagioni. Quasi imprigionato dal suo personaggio Matt si imbarca nel 2011 in una nuova avventura Episodes, una serie tv anglo-statunitense in cui interpreta...se stesso.
David Schwimmer (Ross); da paleontologo a voce di una giraffa cartoon ipocondriaca. La carriera di David post Friends è passata attraverso infiniti camei, qualche film, alcune esperienze da regista già cominciate sul set di Friends, ma il suo più grande successo dopo il 2004 è sicuramente il doppiaggio della giraffa Melman nella serie di film a cartoni animati Madagascar.
Nel 2016 interpreta Robert Kardashian nella serie tv American Crime Story, incentrata sul caso O. J. Simpson.
giovedì 21 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 21 settembre.
Il 21 settembre 1924 a Lainate si inaugura il primo tratto dell'Autostrada dei Laghi, la prima autostrada mai realizzata al mondo.
L’enorme incremento della mobilità personale che si è verificato (in Italia soprattutto nella seconda metà del XX secolo), con l’esplosione del fenomeno della motorizzazione di massa, ha da un lato sollecitato, e dall’altro è stato favorito da un parallelo, enorme sviluppo della rete stradale. L’automobile, con la sua promessa di comodità e velocità, ma con le sue esigenze di regolarità e standardizzazione dei percorsi (prerogative un tempo riservate solo alle ferrovie) ha favorito la nascita di strade a lei riservate, le auto-strade appunto, che in Italia hanno avuto uno straordinario sviluppo soprattutto dopo il 1960, ma che sono state “inventate” ben prima. In particolare Milano vanta un primato mondiale in questo campo, e vale quindi la pena di ripercorrere sinteticamente le vicende che portarono alla costruzione della prima autostrada italiana.
L’idea di una strada esclusivamente riservata ai veicoli a motore (niente carri e carretti a cavalli, quindi, niente biciclette o pedoni), dal fondo liscio e regolare, con curve di largo raggio e pendenze contenute, senza incroci, e per tutte queste caratteristiche percorribile pagando un pedaggio, nacque dopo la Prima Guerra Mondiale nella mente di un grande imprenditore milanese, Piero Puricelli, che sulle strade aveva costruito il suo successo e la sua fortuna. Egli era infatti il titolare della “Società Anonima Puricelli, Strade e Cave”, già a quel tempo solida e ben affermata come una delle maggiori del settore, e dalla quale sarebbe in seguito nata la “Italstrade SpA” (costruttrice di molte delle autostrade italiane).
Puricelli era un convinto sostenitore del trasporto automobilistico su strada e ne prevedeva il grande futuro sviluppo, probabilmente guardando a ciò che stava succedendo in altri paesi, in particolare negli Stati Uniti. A onor del vero, infatti, all’inizio degli anni ‘20 gli automezzi circolanti in Italia erano ancora molto pochi (circa 85.000 nel 1924, saliti a circa 222.000 nel 1929), ma in un’area fittamente popolata come la Lombardia, e su alcune direttrici stradali, il traffico, sia quello commerciale, sia quello turistico, era già abbastanza intenso da far intravedere, ad un imprenditore coraggioso come Puricelli, che fosse economicamente interessante la costruzione di una strada a pedaggio, a loro riservata. Si trattava in effetti di una scommessa, che necessitava di coraggio imprenditoriale per essere giocata, e che Puricelli vinse solo parzialmente; infatti dal punto di vista economico l’impresa si dimostrò perdente perché gli introiti dei pedaggi furono inferiori alle previsioni (e lo Stato dovette intervenire per salvare la situazione), ma dal punto di vista dei consensi, della immagine e dell’indirizzo dato al modo di costruire le strade, l’idea fu un grande successo.
Così il collegamento di Milano ai laghi prealpini, l’autostrada Milano-Laghi, costituì il primo esempio realizzato al mondo di strada riservata agli autoveicoli. Il sentimento di ammirazione e meraviglia che si destò per quest’opera è ben espresso da una cronaca di quegli anni, dallo stile un po’ pretenzioso, ma efficace:
“… strada ben tipica del ventesimo secolo: uniforme, disadorna, ma levigatissima, che taglia i campi dilungandosi come la guida di un corridoio d’albergo, evitando fino al possibile le curve ed ogni contatto, ogni intimità e ogni emozione, il pittoresco e il romantico; arida e muta come un’asta, precisa come una pagina d’orario, obbediente a una disciplina, la brevità, e a uno scopo, l’utilitarismo. E’ strada del ventesimo secolo, in conseguenza, anche per questo: che ai lati si assiepa e strepita con mille silenziosi richiami, con cento ingegnose trovate di réclame e accosta alla sua frigidità di prodotto di laboratorio la spregiudicata e illusoria festività del lunaparco.
E’ un che di mezzo tra la strada comune e la via ferrata, poiché il movimento vi è regolato con segnalazioni: banderuole verdi, arancione, rosse, ad ala fissa o manovrate alla mano, e fanali e fari luminosi di notte; e vi sono caselli e cantoniere: regole severe di marcia, sorveglianza di agenti montati su motocicletta; e si ha un servizio di biglietteria e di abbonamenti…”
I lavori di costruzione iniziarono ufficialmente nel marzo del 1923, e procedettero assai speditamente, tanto che la prima tratta, la Milano-Varese, fu inaugurata già nel settembre del 1924, mentre l’ultima tratta, da Gallarate a Vergiate fu aperta nel settembre del 1925. L’impresa era in realtà iniziata nel gennaio del 1922 con la pubblicazione di una relazione con la quale l’ing. Puricelli illustrava il suo progetto, che era già sufficientemente dettagliato da consentire di comprendere le caratteristiche ed i costi dell’opera. Esso trovò subito un notevole sostegno negli ambienti milanesi legati all’automobile (Touring Club Italiano e Automobile Club di Milano), che promossero la nascita di un comitato per sostenere l’opera presso il potere pubblico. La salita al potere di Mussolini, desideroso, dopo la marcia su Roma (ottobre 1922) di trovare occasioni per consolidare il consenso al suo Partito, accelerò l’iter degli avvenimenti, così che all’inizio di dicembre il Ministero dei Lavori Pubblici poteva già stipulare con la neo costituita “Società Anonima Autostrade”, con sede a Milano, la concessione per la costruzione di una rete stradale “riservata esclusivamente agli autoveicoli con ruote a rivestimento elastico”, d’allacciamento fra Milano ed i laghi Maggiore, di Como e di Varese. Nel breve volgere di un anno si era quindi passati dal lancio dell’idea all’inizio dei lavori.
Il tracciato dell’autostrada era quello che essa ancora conserva.
Dopo Lainate il percorso si diramava in un tronco diretto verso Como ed in uno diretto verso Gallarate, dove avveniva una ulteriore biforcazione per Varese e per Sesto Calende.
Le corsie erano solamente due, una per ciascun senso di marcia, per una larghezza complessiva della carreggiata, fino a Gallarate, di 14 metri, 10 dei quali pavimentati; negli altri tronchi la larghezza si riduceva a 11 metri, di cui 8 pavimentati. Alla strada si accedeva tramite un complesso di 17 caselli e di 100 Km di nuove strade di raccordo. L’autostrada non era sempre aperta, ma seguiva l’orario dalle sei del mattino all’una di notte.
Per la costruzione vennero realizzati 219 manufatti in cemento e movimentati circa due milioni di m3 di terra.
Il percorso era caratterizzato da lunghissimi rettifili (il più lungo di 18 Km), da poche curve con raggio non inferiore a 400 m e da pendenze non superiori al 3%. La pavimentazione fu realizzata in calcestruzzo ad alta resistenza, con lastre di spessori da 18 a 20 cm. Il confezionamento e la stesura del calcestruzzo avveniva tramite 5 grosse betoniere, tipo Koehring-Paving, comprate negli Stati Uniti, che potevano produrre 1200 m3 al giorno di conglomerato.
Il pietrisco necessario arrivava dalle cave Puricelli di Bisuschio tramite treni, fino alle stazioni più vicine al percorso, e poi con binari e vagoncini a scartamento ridotto fino ai vari lotti di lavoro. Sul percorso la manodopera impiegata fu sempre numerosa, aggirandosi mediamente sulle 4000 unità al giorno, ma fu cospicuo anche l’utilizzo di macchinari (betoniere, camion, scavatrici, schiacciasassi, ecc).
Il costo complessivo dell’opera fu di circa 90 milioni di lire, circa (solamente, si potrebbe dire!) il 20% in più del costo preventivato.
Come si è già accennato la redditività economica dell’impresa non fu buona, nonostante le tariffe di pedaggio fossero piuttosto alte; ciò probabilmente contribuì a mantenere il numero di transiti giornalieri inferiore alle attese (i calcoli facevano affidamento su un traffico iniziale di circa 1000 transiti/giorno, che avrebbero poi dovuto rapidamente aumentare, mentre ancora nel 1928 non si andava oltre i 1500 transiti/giorno). La società di gestione, che era comunque riuscita a sopravvivere nei primi anni, collassò con la crisi economica del ’29, così che nel settembre del 1933 l’autostrada fu riscattata dallo Stato e presa in gestione dalla Azienda Autonoma Statale della Strada (AASS, antenata dell’ANAS), che dovette provvedere a cospicui lavori di riassetto, in quanto la società uscente, a corto di risorse, aveva notevolmente trascurato la manutenzione. Nonostante questo l’AASS ridusse notevolmente le tariffe; questo provvedimento trovò una buona risposta negli automobilisti ed i transiti cominciarono finalmente ad aumentare.
Se la Milano-Laghi fu la prima, nel giro di pochi anni altre opere contribuirono a mantenere a Milano il primato di principale polo autostradale italiano. I lavori di costruzione della Milano-Bergamo, che fu la seconda autostrada realizzata in Lombardia, iniziarono nel giugno del 1925 e il percorso fu aperto al transito nel settembre del 1927. L’opera, che fu costruita dalla “Società anonima bergamasca per la costruzione ed esercizio di autovie”, avrebbe dovuto essere il primo tratto della autostrada Pedealpina o Pedemontana, che doveva congiungere Torino a Trieste. La sua costruzione costò 54 milioni di lire; i capitali investiti non ebbero una sorte molto migliore di quelli impiegati nella autostrada dei Laghi, tanto che nel 1938 finì anch’essa per essere rilevata dallo Stato.
La costruzione della Torino-Milano avvenne negli anni 1930-32, per iniziativa della “Società Anonima Autostrada Torino-Milano”, nella quale ebbero molta parte il senatore Giovanni Agnelli e la FIAT. Si trattò di un percorso nettamente più lungo dei precedenti (circa 125 Km), e pertanto assai più elevato fu anche il suo costo (circa 110 milioni di lire, per altro inferiore di circa il 20% rispetto al preventivo di progetto); una parte significativa dei capitali impiegati fu però coperto da contributi pubblici, statali e locali. Ciò, assieme ad un maggior traffico di cui l’autostrada poté subito godere, assicurò alla società promotrice la sopravvivenza e ne consentì l’indipendenza dallo Stato.
Infine, benché il suo percorso non arrivasse fino a Milano, è importante citare anche la realizzazione della Autocamionale Genova-Valle del Po, che facilitò notevolmente il collegamento fra Milano, Genova e le Riviere Liguri. Questa strada fu costruita in un contesto orografico ben più difficile di quello delle opere fin qui citate, realizzando numerosi ponti e gallerie, che sarebbero poi diventati la norma per le autostrade degli anni ’60. Essa fu completata in circa tre anni dall’ottobre del 1932, all’ottobre del 1935; a differenza delle altre citate l’onere della costruzione (175 milioni di lire) fu interamente a carico dello Stato, tanto che l’opera veniva definita come “voluta dal Duce”. Ma nonostante il suo carattere pubblico e l’affidamento all’ AASS, per il transito su di essa si pagava il pedaggio.
Il 21 settembre 1924 a Lainate si inaugura il primo tratto dell'Autostrada dei Laghi, la prima autostrada mai realizzata al mondo.
L’enorme incremento della mobilità personale che si è verificato (in Italia soprattutto nella seconda metà del XX secolo), con l’esplosione del fenomeno della motorizzazione di massa, ha da un lato sollecitato, e dall’altro è stato favorito da un parallelo, enorme sviluppo della rete stradale. L’automobile, con la sua promessa di comodità e velocità, ma con le sue esigenze di regolarità e standardizzazione dei percorsi (prerogative un tempo riservate solo alle ferrovie) ha favorito la nascita di strade a lei riservate, le auto-strade appunto, che in Italia hanno avuto uno straordinario sviluppo soprattutto dopo il 1960, ma che sono state “inventate” ben prima. In particolare Milano vanta un primato mondiale in questo campo, e vale quindi la pena di ripercorrere sinteticamente le vicende che portarono alla costruzione della prima autostrada italiana.
L’idea di una strada esclusivamente riservata ai veicoli a motore (niente carri e carretti a cavalli, quindi, niente biciclette o pedoni), dal fondo liscio e regolare, con curve di largo raggio e pendenze contenute, senza incroci, e per tutte queste caratteristiche percorribile pagando un pedaggio, nacque dopo la Prima Guerra Mondiale nella mente di un grande imprenditore milanese, Piero Puricelli, che sulle strade aveva costruito il suo successo e la sua fortuna. Egli era infatti il titolare della “Società Anonima Puricelli, Strade e Cave”, già a quel tempo solida e ben affermata come una delle maggiori del settore, e dalla quale sarebbe in seguito nata la “Italstrade SpA” (costruttrice di molte delle autostrade italiane).
Puricelli era un convinto sostenitore del trasporto automobilistico su strada e ne prevedeva il grande futuro sviluppo, probabilmente guardando a ciò che stava succedendo in altri paesi, in particolare negli Stati Uniti. A onor del vero, infatti, all’inizio degli anni ‘20 gli automezzi circolanti in Italia erano ancora molto pochi (circa 85.000 nel 1924, saliti a circa 222.000 nel 1929), ma in un’area fittamente popolata come la Lombardia, e su alcune direttrici stradali, il traffico, sia quello commerciale, sia quello turistico, era già abbastanza intenso da far intravedere, ad un imprenditore coraggioso come Puricelli, che fosse economicamente interessante la costruzione di una strada a pedaggio, a loro riservata. Si trattava in effetti di una scommessa, che necessitava di coraggio imprenditoriale per essere giocata, e che Puricelli vinse solo parzialmente; infatti dal punto di vista economico l’impresa si dimostrò perdente perché gli introiti dei pedaggi furono inferiori alle previsioni (e lo Stato dovette intervenire per salvare la situazione), ma dal punto di vista dei consensi, della immagine e dell’indirizzo dato al modo di costruire le strade, l’idea fu un grande successo.
Così il collegamento di Milano ai laghi prealpini, l’autostrada Milano-Laghi, costituì il primo esempio realizzato al mondo di strada riservata agli autoveicoli. Il sentimento di ammirazione e meraviglia che si destò per quest’opera è ben espresso da una cronaca di quegli anni, dallo stile un po’ pretenzioso, ma efficace:
“… strada ben tipica del ventesimo secolo: uniforme, disadorna, ma levigatissima, che taglia i campi dilungandosi come la guida di un corridoio d’albergo, evitando fino al possibile le curve ed ogni contatto, ogni intimità e ogni emozione, il pittoresco e il romantico; arida e muta come un’asta, precisa come una pagina d’orario, obbediente a una disciplina, la brevità, e a uno scopo, l’utilitarismo. E’ strada del ventesimo secolo, in conseguenza, anche per questo: che ai lati si assiepa e strepita con mille silenziosi richiami, con cento ingegnose trovate di réclame e accosta alla sua frigidità di prodotto di laboratorio la spregiudicata e illusoria festività del lunaparco.
E’ un che di mezzo tra la strada comune e la via ferrata, poiché il movimento vi è regolato con segnalazioni: banderuole verdi, arancione, rosse, ad ala fissa o manovrate alla mano, e fanali e fari luminosi di notte; e vi sono caselli e cantoniere: regole severe di marcia, sorveglianza di agenti montati su motocicletta; e si ha un servizio di biglietteria e di abbonamenti…”
I lavori di costruzione iniziarono ufficialmente nel marzo del 1923, e procedettero assai speditamente, tanto che la prima tratta, la Milano-Varese, fu inaugurata già nel settembre del 1924, mentre l’ultima tratta, da Gallarate a Vergiate fu aperta nel settembre del 1925. L’impresa era in realtà iniziata nel gennaio del 1922 con la pubblicazione di una relazione con la quale l’ing. Puricelli illustrava il suo progetto, che era già sufficientemente dettagliato da consentire di comprendere le caratteristiche ed i costi dell’opera. Esso trovò subito un notevole sostegno negli ambienti milanesi legati all’automobile (Touring Club Italiano e Automobile Club di Milano), che promossero la nascita di un comitato per sostenere l’opera presso il potere pubblico. La salita al potere di Mussolini, desideroso, dopo la marcia su Roma (ottobre 1922) di trovare occasioni per consolidare il consenso al suo Partito, accelerò l’iter degli avvenimenti, così che all’inizio di dicembre il Ministero dei Lavori Pubblici poteva già stipulare con la neo costituita “Società Anonima Autostrade”, con sede a Milano, la concessione per la costruzione di una rete stradale “riservata esclusivamente agli autoveicoli con ruote a rivestimento elastico”, d’allacciamento fra Milano ed i laghi Maggiore, di Como e di Varese. Nel breve volgere di un anno si era quindi passati dal lancio dell’idea all’inizio dei lavori.
Il tracciato dell’autostrada era quello che essa ancora conserva.
Dopo Lainate il percorso si diramava in un tronco diretto verso Como ed in uno diretto verso Gallarate, dove avveniva una ulteriore biforcazione per Varese e per Sesto Calende.
Le corsie erano solamente due, una per ciascun senso di marcia, per una larghezza complessiva della carreggiata, fino a Gallarate, di 14 metri, 10 dei quali pavimentati; negli altri tronchi la larghezza si riduceva a 11 metri, di cui 8 pavimentati. Alla strada si accedeva tramite un complesso di 17 caselli e di 100 Km di nuove strade di raccordo. L’autostrada non era sempre aperta, ma seguiva l’orario dalle sei del mattino all’una di notte.
Per la costruzione vennero realizzati 219 manufatti in cemento e movimentati circa due milioni di m3 di terra.
Il percorso era caratterizzato da lunghissimi rettifili (il più lungo di 18 Km), da poche curve con raggio non inferiore a 400 m e da pendenze non superiori al 3%. La pavimentazione fu realizzata in calcestruzzo ad alta resistenza, con lastre di spessori da 18 a 20 cm. Il confezionamento e la stesura del calcestruzzo avveniva tramite 5 grosse betoniere, tipo Koehring-Paving, comprate negli Stati Uniti, che potevano produrre 1200 m3 al giorno di conglomerato.
Il pietrisco necessario arrivava dalle cave Puricelli di Bisuschio tramite treni, fino alle stazioni più vicine al percorso, e poi con binari e vagoncini a scartamento ridotto fino ai vari lotti di lavoro. Sul percorso la manodopera impiegata fu sempre numerosa, aggirandosi mediamente sulle 4000 unità al giorno, ma fu cospicuo anche l’utilizzo di macchinari (betoniere, camion, scavatrici, schiacciasassi, ecc).
Il costo complessivo dell’opera fu di circa 90 milioni di lire, circa (solamente, si potrebbe dire!) il 20% in più del costo preventivato.
Come si è già accennato la redditività economica dell’impresa non fu buona, nonostante le tariffe di pedaggio fossero piuttosto alte; ciò probabilmente contribuì a mantenere il numero di transiti giornalieri inferiore alle attese (i calcoli facevano affidamento su un traffico iniziale di circa 1000 transiti/giorno, che avrebbero poi dovuto rapidamente aumentare, mentre ancora nel 1928 non si andava oltre i 1500 transiti/giorno). La società di gestione, che era comunque riuscita a sopravvivere nei primi anni, collassò con la crisi economica del ’29, così che nel settembre del 1933 l’autostrada fu riscattata dallo Stato e presa in gestione dalla Azienda Autonoma Statale della Strada (AASS, antenata dell’ANAS), che dovette provvedere a cospicui lavori di riassetto, in quanto la società uscente, a corto di risorse, aveva notevolmente trascurato la manutenzione. Nonostante questo l’AASS ridusse notevolmente le tariffe; questo provvedimento trovò una buona risposta negli automobilisti ed i transiti cominciarono finalmente ad aumentare.
Se la Milano-Laghi fu la prima, nel giro di pochi anni altre opere contribuirono a mantenere a Milano il primato di principale polo autostradale italiano. I lavori di costruzione della Milano-Bergamo, che fu la seconda autostrada realizzata in Lombardia, iniziarono nel giugno del 1925 e il percorso fu aperto al transito nel settembre del 1927. L’opera, che fu costruita dalla “Società anonima bergamasca per la costruzione ed esercizio di autovie”, avrebbe dovuto essere il primo tratto della autostrada Pedealpina o Pedemontana, che doveva congiungere Torino a Trieste. La sua costruzione costò 54 milioni di lire; i capitali investiti non ebbero una sorte molto migliore di quelli impiegati nella autostrada dei Laghi, tanto che nel 1938 finì anch’essa per essere rilevata dallo Stato.
La costruzione della Torino-Milano avvenne negli anni 1930-32, per iniziativa della “Società Anonima Autostrada Torino-Milano”, nella quale ebbero molta parte il senatore Giovanni Agnelli e la FIAT. Si trattò di un percorso nettamente più lungo dei precedenti (circa 125 Km), e pertanto assai più elevato fu anche il suo costo (circa 110 milioni di lire, per altro inferiore di circa il 20% rispetto al preventivo di progetto); una parte significativa dei capitali impiegati fu però coperto da contributi pubblici, statali e locali. Ciò, assieme ad un maggior traffico di cui l’autostrada poté subito godere, assicurò alla società promotrice la sopravvivenza e ne consentì l’indipendenza dallo Stato.
Infine, benché il suo percorso non arrivasse fino a Milano, è importante citare anche la realizzazione della Autocamionale Genova-Valle del Po, che facilitò notevolmente il collegamento fra Milano, Genova e le Riviere Liguri. Questa strada fu costruita in un contesto orografico ben più difficile di quello delle opere fin qui citate, realizzando numerosi ponti e gallerie, che sarebbero poi diventati la norma per le autostrade degli anni ’60. Essa fu completata in circa tre anni dall’ottobre del 1932, all’ottobre del 1935; a differenza delle altre citate l’onere della costruzione (175 milioni di lire) fu interamente a carico dello Stato, tanto che l’opera veniva definita come “voluta dal Duce”. Ma nonostante il suo carattere pubblico e l’affidamento all’ AASS, per il transito su di essa si pagava il pedaggio.
mercoledì 20 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 20 settembre.
Il 20 settembre 1793 viene approvato in Francia il nuovo Calendario della Rivoluzione.
Uno degli effetti del movimento culturale generato dalla rivoluzione francese fu il più grande tentativo di razionalizzazione e di semplificazione della storia umana.
Il frutto più noto è il sistema metrico decimale che, pur con molte traversie, è sopravvissuto ed è diventato di uso quasi universale.
Attualmente solo gli USA e la Birmania non lo hanno adottato, ma tutti lo usano in campo tecnico-scientifico.
La riforma nel campo dei pesi e delle misure impostata dalla rivoluzione francese mediante il sistema metrico decimale fu estesa anche al calendario.
Il calendario rivoluzionario, o repubblicano, fu approvato nel 1793 e rimase in vigore per dodici anni, fino al primo gennaio 1806.
Ii nuovo calendario stabiliva che il primo giorno dell'anno fosse il 22 settembre partendo dal 1792, data della proclamazione della repubblica.
Il calendario progettato da una commissione della quale facevano parte illustri matematici come il Lagrange e il Monge, riprendeva il modello dell'antico calendario egizio tuttora usato dai Copti; dodici mesi di uguale durata (30 giorni) ai quali si aggiungono 5 giorni complementari (6 negli anni bisestili).
I 12 mesi erano divisi in 4 stagioni: vendemmiaio, brumaio e frimaio per l'autunno, nevoso, piovoso e ventoso per l'inverno, germinale, floreale e pratile per la primavera e messidoro, fruttidoro e termidoro per l'estate; il nome dei mesi appartenenti alla stessa stagione è volutamente simile.
Dato che il periodo di uso del calendario non è stato abbastanza lungo, venne abrogato nel 1806 o anno XIV, alcune caratteristiche non sono mai state completamente precisate
Queste sono le possibili ipotesi:
Considerare sestili gli anni divisibili per 4 o per 400 ma non per 100
Considerare sestili gli anni divisibili per 4 ma non per 128
Allineare anni sestili del calendario repubblicano a quelli bisestili del calendario gregoriano a partire dall'anno XX
Gli anni del calendario sono indicati in cifre romane vicino al mese in lingua italiana.
I giorni complementari sono aggiunti a fine Fruttidoro - 5 giorni (6 per gli anni bisestili)
Il tentativo di riformare il calendario introducendone uno completamente nuovo si concluse in un fallimento prima ancora del ritorno dei Borboni, fu infatti abrogato da Napoleone il 31 Dic 1805 (10 Nevoso 14).
Dal 1 Gen 1806 fu quindi ripristinato il calendario gregoriano.
I nomi dei mesi sono nuovi e ispirati al linguaggio agricolo-meteorologico. Il primo giorno dell'anno è per definizione quello nel quale cade l'equinozio di Autunno.
La riforma si spinse fino ad abolire la settimana a favore della decade (ogni mese ha esattamente tre decadi) e a introdurre un sistema di ore decimali (ogni giorno ha dieci ore di cento minuti e ogni minuto cento secondi decimali).
Insieme al nuovo calendario fu introdotta anche una nuova era , l'era della rivoluzione con inizio al 22 Set 1792, giorno dell'equinozio di autunno dell'anno in cui fu proclamata la repubblica.
L'anno è suddiviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, più un periodo, a fine anno, di 5 giorni complementari (6 giorni se l'anno è bisestile).
Il capodanno fu spostato al 22 Vendemmiao, ma poteva avvenire il 22, 23 o il 24 (del Settembre gregoriano) ed era deciso, ogni anno, dagli astronomi dell'Osservatorio Astronomico di Parigi, nel momento esatto in cui si verifica l'equinozio di autunno.
Ogni giorno della decade ha il nome
PRIMDI
DUODI
TRIDI
QUARTIDI
QUINTIDI
SEXTIDI
SEPTIDI
OCTIDI
NONIDI
DECADI
Il giorno di fine decade (DECADI) è considerato festivo (ex domeniche), i giorni complementari (SANS-CULOTTIDES), sempre festivi ma che non rientrano nel calcolo delle decadi sono:
PREMIERE COMPLEMENTAIRE (Giorno della Virtu')
SECOND COMPLEMENTAIRE (Giorno del Genio)
TROISIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno del Lavoro)
QUATRIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno dell'Opinione)
CINQUIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno delle Ricompense)
JOUR DE LA REVOLUTION / FRANCIADE (solo anno bisestile)
Ogni giorno è composto da 10 ore; ogni ora è a sua volta, divisa in decimi ed in centesimi.
Ogni ora repubblicana corrisponde a precedenti 2 ore e 24 minuti.
Dal Calendario vennero estromessi tutti i riferimenti ai santi o qualsiasi ricorrenza religiosa.
Il 20 settembre 1793 viene approvato in Francia il nuovo Calendario della Rivoluzione.
Uno degli effetti del movimento culturale generato dalla rivoluzione francese fu il più grande tentativo di razionalizzazione e di semplificazione della storia umana.
Il frutto più noto è il sistema metrico decimale che, pur con molte traversie, è sopravvissuto ed è diventato di uso quasi universale.
Attualmente solo gli USA e la Birmania non lo hanno adottato, ma tutti lo usano in campo tecnico-scientifico.
La riforma nel campo dei pesi e delle misure impostata dalla rivoluzione francese mediante il sistema metrico decimale fu estesa anche al calendario.
Il calendario rivoluzionario, o repubblicano, fu approvato nel 1793 e rimase in vigore per dodici anni, fino al primo gennaio 1806.
Ii nuovo calendario stabiliva che il primo giorno dell'anno fosse il 22 settembre partendo dal 1792, data della proclamazione della repubblica.
Il calendario progettato da una commissione della quale facevano parte illustri matematici come il Lagrange e il Monge, riprendeva il modello dell'antico calendario egizio tuttora usato dai Copti; dodici mesi di uguale durata (30 giorni) ai quali si aggiungono 5 giorni complementari (6 negli anni bisestili).
I 12 mesi erano divisi in 4 stagioni: vendemmiaio, brumaio e frimaio per l'autunno, nevoso, piovoso e ventoso per l'inverno, germinale, floreale e pratile per la primavera e messidoro, fruttidoro e termidoro per l'estate; il nome dei mesi appartenenti alla stessa stagione è volutamente simile.
Dato che il periodo di uso del calendario non è stato abbastanza lungo, venne abrogato nel 1806 o anno XIV, alcune caratteristiche non sono mai state completamente precisate
Queste sono le possibili ipotesi:
Considerare sestili gli anni divisibili per 4 o per 400 ma non per 100
Considerare sestili gli anni divisibili per 4 ma non per 128
Allineare anni sestili del calendario repubblicano a quelli bisestili del calendario gregoriano a partire dall'anno XX
Gli anni del calendario sono indicati in cifre romane vicino al mese in lingua italiana.
I giorni complementari sono aggiunti a fine Fruttidoro - 5 giorni (6 per gli anni bisestili)
Il tentativo di riformare il calendario introducendone uno completamente nuovo si concluse in un fallimento prima ancora del ritorno dei Borboni, fu infatti abrogato da Napoleone il 31 Dic 1805 (10 Nevoso 14).
Dal 1 Gen 1806 fu quindi ripristinato il calendario gregoriano.
I nomi dei mesi sono nuovi e ispirati al linguaggio agricolo-meteorologico. Il primo giorno dell'anno è per definizione quello nel quale cade l'equinozio di Autunno.
La riforma si spinse fino ad abolire la settimana a favore della decade (ogni mese ha esattamente tre decadi) e a introdurre un sistema di ore decimali (ogni giorno ha dieci ore di cento minuti e ogni minuto cento secondi decimali).
Insieme al nuovo calendario fu introdotta anche una nuova era , l'era della rivoluzione con inizio al 22 Set 1792, giorno dell'equinozio di autunno dell'anno in cui fu proclamata la repubblica.
L'anno è suddiviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, più un periodo, a fine anno, di 5 giorni complementari (6 giorni se l'anno è bisestile).
Il capodanno fu spostato al 22 Vendemmiao, ma poteva avvenire il 22, 23 o il 24 (del Settembre gregoriano) ed era deciso, ogni anno, dagli astronomi dell'Osservatorio Astronomico di Parigi, nel momento esatto in cui si verifica l'equinozio di autunno.
Ogni giorno della decade ha il nome
PRIMDI
DUODI
TRIDI
QUARTIDI
QUINTIDI
SEXTIDI
SEPTIDI
OCTIDI
NONIDI
DECADI
Il giorno di fine decade (DECADI) è considerato festivo (ex domeniche), i giorni complementari (SANS-CULOTTIDES), sempre festivi ma che non rientrano nel calcolo delle decadi sono:
PREMIERE COMPLEMENTAIRE (Giorno della Virtu')
SECOND COMPLEMENTAIRE (Giorno del Genio)
TROISIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno del Lavoro)
QUATRIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno dell'Opinione)
CINQUIEME COMPLEMENTAIRE (Giorno delle Ricompense)
JOUR DE LA REVOLUTION / FRANCIADE (solo anno bisestile)
Ogni giorno è composto da 10 ore; ogni ora è a sua volta, divisa in decimi ed in centesimi.
Ogni ora repubblicana corrisponde a precedenti 2 ore e 24 minuti.
Dal Calendario vennero estromessi tutti i riferimenti ai santi o qualsiasi ricorrenza religiosa.
martedì 19 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 19 settembre.
Il 19 settembre 1868 ha inizio "la gloriosa", la rivoluzione spagnola che portò a sei anni di democrazia.
A metà degli anni 1860, il malcontento contro il regime monarchico di Isabella II era evidente tra gli ambienti popolare, politico e militare. Il moderatismo spagnolo, al potere dal 1845, si trovava di fronte ad una forte crisi interna e non era stato in grado di risolvere i problemi del paese. La crisi economica era ancora più grave dopo le perdite della Guerra Ispano-Sudamericana e le rivolte, come quella condotta da Juan Prim nel 1866 e la rivolta dei sergenti di San Gil, si moltiplicavano. Durante l’esilio, liberali e repubblicani si accordarono con il Patto di Ostenda (1866) ed a Bruxelles (1867) in modo da creare maggiori disordini per ottenere un drastico cambiamento di governo, non tanto per sostituire il presidente Narváez, quanto con l’obiettivo ultimo di destituire la stessa Isabella II e bandirla dal trono spagnolo. Alla morte di O'Donnell nel 1867, si verificò un’importante migrazione di simpatizzanti dell’Unione Liberale, che propugnava la destituzione di Isabella II e lo stabilimento di un governo più efficace in Spagna, verso le posizioni del fronte.
A settembre 1868 la sorte della corona era già decisa. Le forze navali con base a Cadice, comandate da Juan Bautista Topete y Carballo, si ammutinarono contro il governo di Isabella II. La rivolta avvenne nello stesso luogo in cui cinquant’anni prima il generale Riego si era rivoltato contro il padre della regina, Ferdinando VII. Il proclama dei generali ammutinati a Cadice il 19 settembre 1868 affermava:
« Spagnoli: La città di Cadice in rivolta con tutta la provincia (...) nega l’obbedienza al governo che risiede a Madrid, sicura che sia il leale interprete dei cittadini (...) e decide di non deporre le armi finché la Nazione non recuperi la sovranità, manifesti la propria volontà e che questa sia compiuta. (...) Calpestata la legge fondamentale (...), corrotto il suffragio dalla minaccia, (...) morto il Municipio; foraggiata dell’Amministrazione e l’Azienda dell’immoralità; tirannizzata l’istruzione; messa a tacere la stampa (...). questa è la Spagna di oggi. Spagnoli, chi la detesta tanto da non azzardarsi ad esclamare: “Dev’essere sempre così?” (...) Vogliamo che una legalità comune creata per tutti abbia l’implicito e costante rispetto di tutti. (...) Vogliamo che un Governo provvisorio, che rappresenti tutte le forze vive del paese, assicuri l’ordine, mentre il suffragio universale getta le fondamenta della nostra rigenerazione sociale e politica. Per realizzare il nostro proposito incrollabile ci affidiamo al concorso di tutti i liberali, unanimi e compatti davanti al pericolo comune; con l’appoggio delle classi agiate, che non vorranno che il frutto del loro sudore continui ad arricchire l’interminabile serie di favoriti; con i difensori dell’ordine, se vogliono vedere quanto stabilito su solide basi di moralità e del diritto; con gli ardenti sostenitori delle libertà individuali, le cui aspirazioni saranno al riparo della legge; con l’appoggio dei ministri dell’altare, interessati prima di tutti ad offuscare nelle proprie origini le fonti del vizio e dell’esempio; con tutto il popolo e con l’approvazione, infine, dell’Europa intera, poiché non è possibile che il consiglio delle nazioni abbia decretato o decreti che la Spagna deve vivere nell’umiliazione. (...) Spagnoli: accorrete tutti alle armi, unico mezzo per iniziare l’effusione di sangue (...), non sotto l’impulso del rancore, sempre funesto, né con la furia dell’ira, ma con la solenne e poderosa serenità con la quale la giustizia impugna la propria spada! Che viva la Spagna con onore! »
Lo firmano Juan Prim, Domingo Dulce, Francisco Serrano, Ramón Nouvillas, Rafael Primo de Rivera, Antonio Caballero de Rodas e Juan Bautista Topete.
A quel punto si avvertiva l’esistenza di diverse forze in gioco: mentre i militari si manifestavano monarchici e pretendevano solo di sostituire la Costituzione ed il monarca, le Giunte, più radicali, mostravano la loro intenzione di raggiungere una vera rivoluzione borghese, basata sul principio della sovranità nazionale. Conviene segnalare anche la partecipazione di gruppi contadini andalusi, che aspiravano alla Rivoluzione Sociale.
Sia il presidente Ramón María Narváez che il suo ministro capo Luis González Bravo abbandonano la regina. Narváez morirà lo stesso anno, facendo penetrare la crisi nei settori moderati. I generali Prim e Francisco Serrano denunciarono il governo e gran parte dell’esercito disertò, passando dalla parte dei generali rivoluzionari al loro rientro in Spagna.
Il movimento iniziato in Andalusia si estese velocemente ad altri luoghi del paese, senza che le truppe del governo facessero seriamente fronte alle ribellioni. L’appoggio di Barcellona e di tutta la zona mediterranea fu definitivo per il trionfo della rivoluzione. Nonostante la dimostrazione di forza della Regina nella Battaglia di Alcolea, i fedeli del generale Manuel Pavia vennero sbaragliati dal Generale Serrano. Isabella si vide quindi obbligata all’esilio ed attraversò la frontiera della Francia, dalla quale non tornerà più.
A partire da questo momento e per sei anni (1868-1874) si cercherà di creare in Spagna un sistema di governo rivoluzionario, conosciuto come Sessennio democratico, finché il fallimento finale (che rischiava di costare l’esistenza della Spagna come nazione) portò di nuovo al potere i moderati.
Lo spirito rivoluzionario, che era riuscito a distruggere il governo spagnolo, mancava comunque di un chiaro indirizzo politico. La coalizione di liberali, moderati e repubblicani faceva fronte al compito di trovare un governo migliore che sostituisse quello di Isabella II. Il controllo del governo passò in un primo momento a Francisco Serrano, artefice della precedente rivoluzione contro la dittatura di Baldomero Espartero. All’inizio, le Corti rifiutarono il concetto di repubblica per la Spagna e Serrano venne nominato reggente, mentre si cercava un monarca adeguato per guidare il paese. Nel frattempo si scriveva la Costituzione di corte liberale, che finalmente veniva promulgata dalle corti nel 1869; era la prima Costituzione, entrata in vigore, che poteva chiamarsi tale dalla Costituzione di Cadice del 1812.
La ricerca di un Re adatto dimostrò di essere molto problematica per le Corti. I repubblicani, in fondo, erano inclini ad accettare un monarca che fosse una persona capace e rispettosa della Costituzione. Juan Prim, l’eterno ribelle contro i governi isabelliani, venne nominato reggente nel 1869 ed è sua la frase: ‘’«Trovare un re democratico in Europa è tanto difficile quanto trovare un ateo in cielo!». Venne considerata anche l’opzione di nominare re il vecchio Baldomero Espartero, nonostante incontrasse la resistenza dei settori progressisti; alla fine, nonostante lo stesso rifiutasse la nomina a re, ottenne otto voti nel riscontro finale. Molti proponevano il giovane figlio di Isabella, Alfonso (che in seguito diventerà Re Alfonso XII di Spagna), ma il sospetto che questo potesse essere facilmente influenzabile da sua madre e che avrebbe potuto ripetere gli errori della regina precedente, gli facevano perdere molti punti. Anche Ferdinando di Sassonia-Coburgo, antico reggente del vicino Portogallo, venne considerato come un’alternativa. Un’altra delle possibilità, che proponeva il Principe Leopoldo de Hohenzollern, avrebbe causato la Guerra Franco-Prussiana. Alla fine si optò per un re italiano, Amedeo di Savoia, ma il suo regno durò solo tre anni, dal 1870 al 1873.
Il 19 settembre 1868 ha inizio "la gloriosa", la rivoluzione spagnola che portò a sei anni di democrazia.
A metà degli anni 1860, il malcontento contro il regime monarchico di Isabella II era evidente tra gli ambienti popolare, politico e militare. Il moderatismo spagnolo, al potere dal 1845, si trovava di fronte ad una forte crisi interna e non era stato in grado di risolvere i problemi del paese. La crisi economica era ancora più grave dopo le perdite della Guerra Ispano-Sudamericana e le rivolte, come quella condotta da Juan Prim nel 1866 e la rivolta dei sergenti di San Gil, si moltiplicavano. Durante l’esilio, liberali e repubblicani si accordarono con il Patto di Ostenda (1866) ed a Bruxelles (1867) in modo da creare maggiori disordini per ottenere un drastico cambiamento di governo, non tanto per sostituire il presidente Narváez, quanto con l’obiettivo ultimo di destituire la stessa Isabella II e bandirla dal trono spagnolo. Alla morte di O'Donnell nel 1867, si verificò un’importante migrazione di simpatizzanti dell’Unione Liberale, che propugnava la destituzione di Isabella II e lo stabilimento di un governo più efficace in Spagna, verso le posizioni del fronte.
A settembre 1868 la sorte della corona era già decisa. Le forze navali con base a Cadice, comandate da Juan Bautista Topete y Carballo, si ammutinarono contro il governo di Isabella II. La rivolta avvenne nello stesso luogo in cui cinquant’anni prima il generale Riego si era rivoltato contro il padre della regina, Ferdinando VII. Il proclama dei generali ammutinati a Cadice il 19 settembre 1868 affermava:
« Spagnoli: La città di Cadice in rivolta con tutta la provincia (...) nega l’obbedienza al governo che risiede a Madrid, sicura che sia il leale interprete dei cittadini (...) e decide di non deporre le armi finché la Nazione non recuperi la sovranità, manifesti la propria volontà e che questa sia compiuta. (...) Calpestata la legge fondamentale (...), corrotto il suffragio dalla minaccia, (...) morto il Municipio; foraggiata dell’Amministrazione e l’Azienda dell’immoralità; tirannizzata l’istruzione; messa a tacere la stampa (...). questa è la Spagna di oggi. Spagnoli, chi la detesta tanto da non azzardarsi ad esclamare: “Dev’essere sempre così?” (...) Vogliamo che una legalità comune creata per tutti abbia l’implicito e costante rispetto di tutti. (...) Vogliamo che un Governo provvisorio, che rappresenti tutte le forze vive del paese, assicuri l’ordine, mentre il suffragio universale getta le fondamenta della nostra rigenerazione sociale e politica. Per realizzare il nostro proposito incrollabile ci affidiamo al concorso di tutti i liberali, unanimi e compatti davanti al pericolo comune; con l’appoggio delle classi agiate, che non vorranno che il frutto del loro sudore continui ad arricchire l’interminabile serie di favoriti; con i difensori dell’ordine, se vogliono vedere quanto stabilito su solide basi di moralità e del diritto; con gli ardenti sostenitori delle libertà individuali, le cui aspirazioni saranno al riparo della legge; con l’appoggio dei ministri dell’altare, interessati prima di tutti ad offuscare nelle proprie origini le fonti del vizio e dell’esempio; con tutto il popolo e con l’approvazione, infine, dell’Europa intera, poiché non è possibile che il consiglio delle nazioni abbia decretato o decreti che la Spagna deve vivere nell’umiliazione. (...) Spagnoli: accorrete tutti alle armi, unico mezzo per iniziare l’effusione di sangue (...), non sotto l’impulso del rancore, sempre funesto, né con la furia dell’ira, ma con la solenne e poderosa serenità con la quale la giustizia impugna la propria spada! Che viva la Spagna con onore! »
Lo firmano Juan Prim, Domingo Dulce, Francisco Serrano, Ramón Nouvillas, Rafael Primo de Rivera, Antonio Caballero de Rodas e Juan Bautista Topete.
A quel punto si avvertiva l’esistenza di diverse forze in gioco: mentre i militari si manifestavano monarchici e pretendevano solo di sostituire la Costituzione ed il monarca, le Giunte, più radicali, mostravano la loro intenzione di raggiungere una vera rivoluzione borghese, basata sul principio della sovranità nazionale. Conviene segnalare anche la partecipazione di gruppi contadini andalusi, che aspiravano alla Rivoluzione Sociale.
Sia il presidente Ramón María Narváez che il suo ministro capo Luis González Bravo abbandonano la regina. Narváez morirà lo stesso anno, facendo penetrare la crisi nei settori moderati. I generali Prim e Francisco Serrano denunciarono il governo e gran parte dell’esercito disertò, passando dalla parte dei generali rivoluzionari al loro rientro in Spagna.
Il movimento iniziato in Andalusia si estese velocemente ad altri luoghi del paese, senza che le truppe del governo facessero seriamente fronte alle ribellioni. L’appoggio di Barcellona e di tutta la zona mediterranea fu definitivo per il trionfo della rivoluzione. Nonostante la dimostrazione di forza della Regina nella Battaglia di Alcolea, i fedeli del generale Manuel Pavia vennero sbaragliati dal Generale Serrano. Isabella si vide quindi obbligata all’esilio ed attraversò la frontiera della Francia, dalla quale non tornerà più.
A partire da questo momento e per sei anni (1868-1874) si cercherà di creare in Spagna un sistema di governo rivoluzionario, conosciuto come Sessennio democratico, finché il fallimento finale (che rischiava di costare l’esistenza della Spagna come nazione) portò di nuovo al potere i moderati.
Lo spirito rivoluzionario, che era riuscito a distruggere il governo spagnolo, mancava comunque di un chiaro indirizzo politico. La coalizione di liberali, moderati e repubblicani faceva fronte al compito di trovare un governo migliore che sostituisse quello di Isabella II. Il controllo del governo passò in un primo momento a Francisco Serrano, artefice della precedente rivoluzione contro la dittatura di Baldomero Espartero. All’inizio, le Corti rifiutarono il concetto di repubblica per la Spagna e Serrano venne nominato reggente, mentre si cercava un monarca adeguato per guidare il paese. Nel frattempo si scriveva la Costituzione di corte liberale, che finalmente veniva promulgata dalle corti nel 1869; era la prima Costituzione, entrata in vigore, che poteva chiamarsi tale dalla Costituzione di Cadice del 1812.
La ricerca di un Re adatto dimostrò di essere molto problematica per le Corti. I repubblicani, in fondo, erano inclini ad accettare un monarca che fosse una persona capace e rispettosa della Costituzione. Juan Prim, l’eterno ribelle contro i governi isabelliani, venne nominato reggente nel 1869 ed è sua la frase: ‘’«Trovare un re democratico in Europa è tanto difficile quanto trovare un ateo in cielo!». Venne considerata anche l’opzione di nominare re il vecchio Baldomero Espartero, nonostante incontrasse la resistenza dei settori progressisti; alla fine, nonostante lo stesso rifiutasse la nomina a re, ottenne otto voti nel riscontro finale. Molti proponevano il giovane figlio di Isabella, Alfonso (che in seguito diventerà Re Alfonso XII di Spagna), ma il sospetto che questo potesse essere facilmente influenzabile da sua madre e che avrebbe potuto ripetere gli errori della regina precedente, gli facevano perdere molti punti. Anche Ferdinando di Sassonia-Coburgo, antico reggente del vicino Portogallo, venne considerato come un’alternativa. Un’altra delle possibilità, che proponeva il Principe Leopoldo de Hohenzollern, avrebbe causato la Guerra Franco-Prussiana. Alla fine si optò per un re italiano, Amedeo di Savoia, ma il suo regno durò solo tre anni, dal 1870 al 1873.
lunedì 18 settembre 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 18 settembre.
Il 18 settembre 1905 nasce Greta Garbo.
Greta Lovisa Gustafsson, vero nome di Greta Garbo, nasce il 18 settembre 1905 a Stoccolma. Bambina timida e schiva, predilige la solitudine e, benché integrata e piena di amici, preferisce fantasticare con la mente, tanto che alcuni giurano averla sentita affermare, già in tenera età, che fantasticare fosse "molto più importante che giocare". Lei stessa in seguitò affermerà: "Un momento ero felice e l'attimo dopo molto depressa; non ricordo di essere stata davvero bambina come molti miei altri coetanei. Ma il gioco preferito era fare teatro: recitare, organizzare spettacoli nella cucina di casa, truccarsi, mettersi addosso abiti vecchi o stracci e immaginare drammi e commedie".
A quattordici anni la piccola Greta è costretta ad abbandonare la scuola per via di una grave malattia contratta dal padre. Nel 1920, poco prima della morte del genitore, Greta lo accompagna in ospedale per un ricovero. Qui è costretta a sottostare ad una serie estenuante di domande e di controlli, volti ad accertare che la famiglia fosse in grado di pagare la degenza. Un episodio che fa scattare in lei la molla dell'ambizione. In una chiacchierata col commediografo S. N. Bherman, infatti, confesserà: "Da quel momento decisi che dovevo guadagnare tanti soldi da non dover mai più essere sottoposta a una umiliazione simile".
Dopo il decesso del padre la giovane attrice si ritrova in ristrettezze economiche non indifferenti. Pur di tirare a campare fa un po' di tutto, accettando quello che capita. Lavora in un negozio di barbiere, mansione tipicamente maschile, ma resiste poco. Abbandonato il negozio trova un impiego come commessa ai grandi magazzini "PUB" di Stoccolma dove, è proprio il caso di dirlo, il Destino era in agguato.
Nell'estate del 1922 il regista Erik Petschler entra nel reparto di modisteria per acquistare cappelli per il suo prossimo film. E' la stessa Greta a servirlo. Grazie ai modi gentili e disponibili della Garbo, i due entrano subito in sintonia e diventano amici. Inutile dire che da subito la Garbo chiede di poter partecipare in qualunque modo ad uno dei film del regista, ricevendone un assenso inaspettato. Domanda così alla direzione dei "PUB" un anticipo di ferie che le viene però negato; decide allora di licenziarsi, pur di seguire il suo sogno.
Certo, gli inizi non sono entusiasmanti. Dopo una serie di fotografie pubblicitarie, la sua prima apparizione cinematografica la vede in una modesta parte di "bellezza al bagno" nel film "Peter il vagabondo", passando praticamente inosservata. Ma la Garbo non si arrende. Si presenta invece all'Accademia Regia di Norvegia con la speranza di passare il difficile test di ingresso che permette di studiare gratis tre anni drammaturgia e recitazione.
Il provino riesce, entra nell'Accademia e dopo il primo semestre è scelta per un provino con Mauritz Stiller il più geniale e famoso regista svedese del momento. Notevolmente eccentrico e trasgressivo, Stiller sarà il maestro e il mentore, il vero e proprio pigmalione che lancerà la Garbo, esercitando una profonda influenza e una altrettanto profonda presa emotiva su di lei. La spiegazione risiede anche nella differenza di età, quasi vent'anni. La giovane attrice ha infatti poco più di diciotto anni, mentre Stiller ha superato la quarantina. Fra l'altro, risale a questo periodo il cambiamento di nome dell'attrice che, sotto la spinta sempre di Stiller, abbandona il difficile cognome Lovisa Gustafsson per diventare definitivamente Greta Garbo.
Con il nuovo pseudonimo si presenta a Stoccolma per la prima assoluta di "La Saga di Gosta Berlin", pièce tratta dal romanzo di Selma Lagendorf, rappresentazione che riscuote un buon apprezzamento da parte del pubblico ma non altrettanto dalla critica. Il solito, vulcanico, Stiller però non si arrende.
Decide di farne una prima rappresentazione anche a Berlino dove raccoglie finalmente un consenso unanime.
A Berlino Greta è apprezzata da Pabst che si accinge a girare "La via senza gioia". Il celebre cineasta le offre una parte, che rappresenta il definitivo salto di qualità: il film diventerà uno dei classici da antologia del cinema e proietta, di fatto, la Garbo verso Hollywood.
Una volta sbarcata in America, però, si metterà in moto un meccanismo perverso, alimentato soprattutto dai primi film, che tenderà ad etichettarla come "femme fatale" e ad inquadrare la sua personalità in schemi troppo rigidi. Da parte sua l'attrice chiedeva a gran voce ai produttori di essere svincolata da quell'immagine riduttiva, chiedendo ad esempio ruoli da eroina positiva, incontrando rigide e sarcastiche opposizioni da parte dei tycoon hollywoodiani. Questi erano convinti che l'immagine da "brava ragazza" non si addicesse alla Garbo, ma soprattutto non si addicesse al botteghino (un'eroina positiva, stando alle loro opinioni, non avrebbe attirato il pubblico).
Dal 1927 al 1937, dunque, la Garbo interpreta una ventina di film in cui rappresenta una seduttrice destinata a una fine tragica: spia russa, doppiogiochista e assassina in "La donna misteriosa", aristocratica, viziata ammaliatrice che finisce per uccidersi in "Destino", donna irresistibile e moglie infedele in "Orchidea selvaggia", o "Il Bacio". Ancora, prostituta in "Anne Christie" ed etèra di lusso in "Cortigiana" e "Camille" (in cui interpreta il celebre e fatale personaggio di Margherita Gauthier). Finisce suicida in "Anna Karenina", fucilata come pericolosa spia e traditrice in "Mata Hari". Sono ruoli di seduttrice fatale, misteriosa, altera e irraggiungibile, e contribuiscono in modo determinante a creare il mito della "Divina".
Ad ogni modo, la creazione della sua leggenda si è plasmata anche grazie ad alcuni atteggiamenti tenuti dall'attrice stessa ed assecondati, se non alimentati, dal mentore Stiller. Il set, ad esempio, era estremamente protetto, inaccessibile per chiunque (con la scusa di difendersi da voyeurismi e pettegolezzi), tranne che per l'operatore e gli attori che dovevano partecipare alla scena. Stiller arrivava al punto di recintare il set con una tenda scura.
Queste misure di protezione saranno poi sempre mantenute e pretese dalla Garbo. I registi, poi, in genere preferivano lavorare davanti alla macchina da presa e non dietro, ma la Garbo esigeva che stessero ben nascosti dietro la cinepresa.
Nei luoghi di ripresa non erano ammessi neppure grandi nomi dell'epoca o i capi della produzione. Inoltre, appena si accorgeva che qualche estraneo la guardava smetteva di recitare e si rifugiava nel camerino. Di certo non sopportava lo "Star System", a cui non si sarebbe mai piegata. Detestava la pubblicità, odiava le interviste e non sopportava la vita mondana. In altre parole, seppe proteggere con caparbietà la sua vita privata fino alla fine. Proprio la sua riservatezza, quel qualcosa di misterioso che la circondava e la sua bellezza senza tempo, fecero nascere la leggenda Garbo.
Il 6 ottobre 1927 al Winter Garden Theatre a New York il cinema, che fino a quel momento era stato muto, introduce il sonoro. Il film che si proietta quella sera è "Il cantante di jazz". I soliti profeti di sventura profetizzano che il sonoro non durerà, e tanto meno la Garbo. In effetti, dopo l'avvento del sonoro la Garbo interpreterà ancora sette film muti, perché il direttore della Metro era un conservatore ostile all'introduzione delle nuove tecnologie, e quindi ostile anche al sonoro.
La "Divina" tuttavia si ostina ugualmente a studiare l'inglese e a migliorare il suo accento, nonché ad arricchire il suo vocabolario.
Eccola infine comparire in "Anna Cristie" (da un dramma di O'Neill), del 1929, il suo primo film sonoro; si racconta che quando nella famosa scena, Greta/Anna entra nello squallido bar del porto, stanca e sorreggendo una sgangherata valigia, pronunciando la storica frase "...Jimmy, un whisky con ginger-ale a parte. E non fare l'avaro, baby...", tutti trattennero il respiro, compresi elettricisti e macchinisti, tale era il seducente alone di mistero che ammantava la "Divina".
Nel 1939 il regista Lubitsch cercando di valorizzarla maggiormente sul piano artistico, le affida il ruolo della protagonista in "Ninotchka", un bellissimo film in cui, fra l'altro, l'attrice per la prima volta ride sullo schermo (la pellicola è infatti lanciata con scritte a caratteri cubitali sui cartelloni in cui si prometteva "La Garbo ride"). Scoppiata la guerra l'insuccesso di "Non tradirmi con me", di Cukor (1941) l'induce, a soli 36 anni ad abbandonare per sempre il cinema, in cui è tuttora ricordata come il prototipo leggendario della diva e come un eccezionale fenomeno di costume.
Vissuta sino a quel momento nel più assoluto riserbo e nella più totale distanza dal mondo, Greta Garbo muore a New York, il 15 aprile 1990, all'età di 85 anni.
Da segnalare il memorabile saggio che il semiologo Roland Barthes ha dedicato al volto di Greta Garbo, contenuto nella sua silloge di scritti "Miti d'oggi", una delle prime e più acute ricognizioni di quello che si cela dietro i simboli, i miti e i feticci costruiti da e per i media (e non solo).
Il 18 settembre 1905 nasce Greta Garbo.
Greta Lovisa Gustafsson, vero nome di Greta Garbo, nasce il 18 settembre 1905 a Stoccolma. Bambina timida e schiva, predilige la solitudine e, benché integrata e piena di amici, preferisce fantasticare con la mente, tanto che alcuni giurano averla sentita affermare, già in tenera età, che fantasticare fosse "molto più importante che giocare". Lei stessa in seguitò affermerà: "Un momento ero felice e l'attimo dopo molto depressa; non ricordo di essere stata davvero bambina come molti miei altri coetanei. Ma il gioco preferito era fare teatro: recitare, organizzare spettacoli nella cucina di casa, truccarsi, mettersi addosso abiti vecchi o stracci e immaginare drammi e commedie".
A quattordici anni la piccola Greta è costretta ad abbandonare la scuola per via di una grave malattia contratta dal padre. Nel 1920, poco prima della morte del genitore, Greta lo accompagna in ospedale per un ricovero. Qui è costretta a sottostare ad una serie estenuante di domande e di controlli, volti ad accertare che la famiglia fosse in grado di pagare la degenza. Un episodio che fa scattare in lei la molla dell'ambizione. In una chiacchierata col commediografo S. N. Bherman, infatti, confesserà: "Da quel momento decisi che dovevo guadagnare tanti soldi da non dover mai più essere sottoposta a una umiliazione simile".
Dopo il decesso del padre la giovane attrice si ritrova in ristrettezze economiche non indifferenti. Pur di tirare a campare fa un po' di tutto, accettando quello che capita. Lavora in un negozio di barbiere, mansione tipicamente maschile, ma resiste poco. Abbandonato il negozio trova un impiego come commessa ai grandi magazzini "PUB" di Stoccolma dove, è proprio il caso di dirlo, il Destino era in agguato.
Nell'estate del 1922 il regista Erik Petschler entra nel reparto di modisteria per acquistare cappelli per il suo prossimo film. E' la stessa Greta a servirlo. Grazie ai modi gentili e disponibili della Garbo, i due entrano subito in sintonia e diventano amici. Inutile dire che da subito la Garbo chiede di poter partecipare in qualunque modo ad uno dei film del regista, ricevendone un assenso inaspettato. Domanda così alla direzione dei "PUB" un anticipo di ferie che le viene però negato; decide allora di licenziarsi, pur di seguire il suo sogno.
Certo, gli inizi non sono entusiasmanti. Dopo una serie di fotografie pubblicitarie, la sua prima apparizione cinematografica la vede in una modesta parte di "bellezza al bagno" nel film "Peter il vagabondo", passando praticamente inosservata. Ma la Garbo non si arrende. Si presenta invece all'Accademia Regia di Norvegia con la speranza di passare il difficile test di ingresso che permette di studiare gratis tre anni drammaturgia e recitazione.
Il provino riesce, entra nell'Accademia e dopo il primo semestre è scelta per un provino con Mauritz Stiller il più geniale e famoso regista svedese del momento. Notevolmente eccentrico e trasgressivo, Stiller sarà il maestro e il mentore, il vero e proprio pigmalione che lancerà la Garbo, esercitando una profonda influenza e una altrettanto profonda presa emotiva su di lei. La spiegazione risiede anche nella differenza di età, quasi vent'anni. La giovane attrice ha infatti poco più di diciotto anni, mentre Stiller ha superato la quarantina. Fra l'altro, risale a questo periodo il cambiamento di nome dell'attrice che, sotto la spinta sempre di Stiller, abbandona il difficile cognome Lovisa Gustafsson per diventare definitivamente Greta Garbo.
Con il nuovo pseudonimo si presenta a Stoccolma per la prima assoluta di "La Saga di Gosta Berlin", pièce tratta dal romanzo di Selma Lagendorf, rappresentazione che riscuote un buon apprezzamento da parte del pubblico ma non altrettanto dalla critica. Il solito, vulcanico, Stiller però non si arrende.
Decide di farne una prima rappresentazione anche a Berlino dove raccoglie finalmente un consenso unanime.
A Berlino Greta è apprezzata da Pabst che si accinge a girare "La via senza gioia". Il celebre cineasta le offre una parte, che rappresenta il definitivo salto di qualità: il film diventerà uno dei classici da antologia del cinema e proietta, di fatto, la Garbo verso Hollywood.
Una volta sbarcata in America, però, si metterà in moto un meccanismo perverso, alimentato soprattutto dai primi film, che tenderà ad etichettarla come "femme fatale" e ad inquadrare la sua personalità in schemi troppo rigidi. Da parte sua l'attrice chiedeva a gran voce ai produttori di essere svincolata da quell'immagine riduttiva, chiedendo ad esempio ruoli da eroina positiva, incontrando rigide e sarcastiche opposizioni da parte dei tycoon hollywoodiani. Questi erano convinti che l'immagine da "brava ragazza" non si addicesse alla Garbo, ma soprattutto non si addicesse al botteghino (un'eroina positiva, stando alle loro opinioni, non avrebbe attirato il pubblico).
Dal 1927 al 1937, dunque, la Garbo interpreta una ventina di film in cui rappresenta una seduttrice destinata a una fine tragica: spia russa, doppiogiochista e assassina in "La donna misteriosa", aristocratica, viziata ammaliatrice che finisce per uccidersi in "Destino", donna irresistibile e moglie infedele in "Orchidea selvaggia", o "Il Bacio". Ancora, prostituta in "Anne Christie" ed etèra di lusso in "Cortigiana" e "Camille" (in cui interpreta il celebre e fatale personaggio di Margherita Gauthier). Finisce suicida in "Anna Karenina", fucilata come pericolosa spia e traditrice in "Mata Hari". Sono ruoli di seduttrice fatale, misteriosa, altera e irraggiungibile, e contribuiscono in modo determinante a creare il mito della "Divina".
Ad ogni modo, la creazione della sua leggenda si è plasmata anche grazie ad alcuni atteggiamenti tenuti dall'attrice stessa ed assecondati, se non alimentati, dal mentore Stiller. Il set, ad esempio, era estremamente protetto, inaccessibile per chiunque (con la scusa di difendersi da voyeurismi e pettegolezzi), tranne che per l'operatore e gli attori che dovevano partecipare alla scena. Stiller arrivava al punto di recintare il set con una tenda scura.
Queste misure di protezione saranno poi sempre mantenute e pretese dalla Garbo. I registi, poi, in genere preferivano lavorare davanti alla macchina da presa e non dietro, ma la Garbo esigeva che stessero ben nascosti dietro la cinepresa.
Nei luoghi di ripresa non erano ammessi neppure grandi nomi dell'epoca o i capi della produzione. Inoltre, appena si accorgeva che qualche estraneo la guardava smetteva di recitare e si rifugiava nel camerino. Di certo non sopportava lo "Star System", a cui non si sarebbe mai piegata. Detestava la pubblicità, odiava le interviste e non sopportava la vita mondana. In altre parole, seppe proteggere con caparbietà la sua vita privata fino alla fine. Proprio la sua riservatezza, quel qualcosa di misterioso che la circondava e la sua bellezza senza tempo, fecero nascere la leggenda Garbo.
Il 6 ottobre 1927 al Winter Garden Theatre a New York il cinema, che fino a quel momento era stato muto, introduce il sonoro. Il film che si proietta quella sera è "Il cantante di jazz". I soliti profeti di sventura profetizzano che il sonoro non durerà, e tanto meno la Garbo. In effetti, dopo l'avvento del sonoro la Garbo interpreterà ancora sette film muti, perché il direttore della Metro era un conservatore ostile all'introduzione delle nuove tecnologie, e quindi ostile anche al sonoro.
La "Divina" tuttavia si ostina ugualmente a studiare l'inglese e a migliorare il suo accento, nonché ad arricchire il suo vocabolario.
Eccola infine comparire in "Anna Cristie" (da un dramma di O'Neill), del 1929, il suo primo film sonoro; si racconta che quando nella famosa scena, Greta/Anna entra nello squallido bar del porto, stanca e sorreggendo una sgangherata valigia, pronunciando la storica frase "...Jimmy, un whisky con ginger-ale a parte. E non fare l'avaro, baby...", tutti trattennero il respiro, compresi elettricisti e macchinisti, tale era il seducente alone di mistero che ammantava la "Divina".
Nel 1939 il regista Lubitsch cercando di valorizzarla maggiormente sul piano artistico, le affida il ruolo della protagonista in "Ninotchka", un bellissimo film in cui, fra l'altro, l'attrice per la prima volta ride sullo schermo (la pellicola è infatti lanciata con scritte a caratteri cubitali sui cartelloni in cui si prometteva "La Garbo ride"). Scoppiata la guerra l'insuccesso di "Non tradirmi con me", di Cukor (1941) l'induce, a soli 36 anni ad abbandonare per sempre il cinema, in cui è tuttora ricordata come il prototipo leggendario della diva e come un eccezionale fenomeno di costume.
Vissuta sino a quel momento nel più assoluto riserbo e nella più totale distanza dal mondo, Greta Garbo muore a New York, il 15 aprile 1990, all'età di 85 anni.
Da segnalare il memorabile saggio che il semiologo Roland Barthes ha dedicato al volto di Greta Garbo, contenuto nella sua silloge di scritti "Miti d'oggi", una delle prime e più acute ricognizioni di quello che si cela dietro i simboli, i miti e i feticci costruiti da e per i media (e non solo).
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