Una delle più profonde trasformazioni del linguaggio
avvenute nel corso degli anni Cinquanta ruota intorno a un personaggio a lungo
ignorato dalle storie del jazz: George Russell (1923-2009), il maggiore teorico
che il jazz abbia espresso e uno dei grandi intellettuali e compositori della
musica americana. Scampato alla tubercolosi, che non risparmiò il suo coetaneo
Fats Navarro, Russell elaborò, nel corso della lunga convalescenza, un sistema
teorico influenzato dagli studi con Stefan Wolpe. Ne ricavò un volume, The
Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization, che all'inizio degli anni
Cinquanta circolò tra i musicisti in edizione privata e più avanti conobbe
varie edizioni. Quella del 1959,
in periodi successivi, conobbe una certa diffusione. In
realtà, prima della edizione ampliata del 2004, il libro — circondato da un
alone leggendario — non è mai andato oltre una cerchia iniziatica. Pur da una
posizione marginale, George Russell è riuscito a fondare una nuova teoria che,
attraverso una serie di complessi passaggi storici, ha cambiato il corso della
musica.
Nel jazz non esisteva una procedura formalizzata per studiare
l'improvvisazione o la composizione. A parte il celebre metodo di Gene Krupa
per i batteristi, in genere i libri a destinazione didattica, come quello
stilato da Teddy Wilson per i pianisti, si basavano sull'esempio diretto, con
trascrizioni da assimilare ed emulare. Tutti i jazzisti professionisti hanno
studiato in modo formale la tecnica strumentale, ma il sapere, le regole e i
trucchi dell'improvvisazione venivano appresi sul campo: si imitavano i
musicisti scelti a modello, si improvvisava sui dischi e si affrontavano in jam
session improvvisatori più esperti. Tutti conoscevano le regole dell'armonia,
ma le peculiarità del jazz venivano apprese facendo pratica improvvisativa.
Ovvio che compositori, così come pianisti o solisti che suonavano anche il
pianoforte (Bix Beiderbecke, Coleman Hawkins o Dizzy Gillespie), ne avevano una
consapevolezza superiore. Dalla metà degli anni Trenta si diffuse l'abitudine a
siglare gli accordi con simboli di lettere e numeri, affini a quelle in uso
nella musica barocca, da cui i solisti ricavavano le possibili note con cui
improvvisare. Ma non esisteva un lessico teorico di riferimento e le uniche
scale formalizzate erano la maggiore e la minore, modificate e arricchite nel
corso della pratica improvvisativa. Di fatto i jazzisti lavoravano sulla base
di una teoria implicita, le cui regole erano ben note ma non dette, se non
occasionalmente e in modo non sistematico. Il lavoro di Russell trasformò
questa prassi diffusa in teoria esplicita; fu in pratica una fondamentale
sistematizzazione di lessico e regole, gettando così le basi di tutta la
didattica jazz.
La complessa articolazione del Lydian Chromatic Concept può
essere qui riassunta solo in poche parole. Russell riconosce che
l'improvvisazione si fonda su una serie di scale che aderiscono agli accordi di
base secondo varie gradazioni di consonanza; su tutte, la scala lidia,
considerata la più consonante in virtù della quarta eccedente presente negli
armonici naturali. Il sistema poi accoglie scale come l'esatonale e la
ottatonica (o diminuita, come si dice nel jazz). Quest'ultima era da tempo in
uso nella musica contemporanea (Stravinskij, Debussy, Messiaen), ma nel jazz se
ne colgono tracce occasionali solo dal tardo Swing. Di queste scale, a cui
Russell attribuisce una singolare nomenclatura, viene studiata la natura
intervallare e la loro relazione con gli accordi, i quali a loro volta sono
inseriti in un sistema che ne valuta la «gravità» armonica. In altre parole, si
può analizzare un giro armonico in due modi: come una serie di centri tonali
collegati da accordi secondari o come un assieme di accordi secondari che
ruotano intorno a un unico, generale centro tonale. In questo modo Russell
offre all'improvvisatore un metodo per approfondire armonicamente gli accordi
di base o, viceversa, per liberarsene.
Nel corso del libro viene anche introdotta la distinzione,
poi diventata d'uso comune, tra improvvisazione verticale e orizzontale: la
prima è tipica dello stile di Coleman Hawkins e John Coltrane, che considerano
ogni accordo un centro gravitazionale da esplorare; la seconda caratterizza lo
stile di Lester Young e Ornette Coleman, che improvvisano melodie riferite a
pochi centri tonali ignorando gli accordi intermedi. Fin dai primi anni
Cinquanta, Russell invitava il musicista anche a scegliere questi centri tonali
«secondo il proprio giudizio estetico», dunque ad agire in totale libertà, fino
a ignorare le armonie e pensare in termini puramente cromatici (di qui il
termine chromatic nel titolo del trattato). Un cromatismo però ragionato,
perché attraverso lo schema delle gravità intervallari, evidentemente debitore
di Hindemith, il compositore o l'improvvisatore possono graduare pesi,
consonanze e dissonanze di ogni intervallo rispetto a una tonica immaginaria. Un
modo di procedere che anticipa sulla carta quanto poi realizzerà, per via
personale e naif, Ornette Coleman. La flessibilità del metodo consente a
Russell di impegnarsi anche nella composizione, nel contrappunto e perfino
nell'analisi di altri generi musicali (l'edizione del 1959 si concentra sulle
prime battute del Concerto per violino di Alban Berg).
All'inizio Russell ebbe modo di applicare le sue idee solo
occasionalmente. Ne troviamo traccia in Cubano Be Cubano Bop con Gillespie, A
Bird in Igor's Yard di Buddy De Franco e nel meno noto Similau per Artie Shaw.
Agli inizi degli anni Cinquanta Russell, che lavorava come commesso, viene
invitato da amici musicisti a presentare dei suoi pezzi per le loro sedute di
registrazione. Quella del 1951
a nome di Lee Konitz – con Miles Davis tra le fila degli
strumentisti invitati – documenta il suo primo capolavoro, Ezz-Thetic, un
sorprendente mascheramento di Love for Sale che procede a grande velocità tra
linee bop, salti sghembi e singulti dissonanti. È un fraseggio anomalo, da cui
poi discende lo stile improvvisativo di Eric Dolphy, che di Russell sarà anni
dopo allievo e collaboratore. La pubblicazione, nel 1953, del Lydian Chromatic
Concept sollecita l'attenzione del mondo del jazz: a leggerlo e studiarlo, oltre
a Konitz e Davis, ci sono Art Farmer, il notevole e sottovalutato sax alto Hal
McKusick, il batterista Paul Motian e poi Sonny Rollins (che registrò una
versione di Ezz-Thetic con Max Roach) e ancor più John Coltrane, che nel 1957
fu chiamato da Russell per il concept album NEW YORK, NY.
(Stefano Zenni, “Storia del jazz. Una prospettiva globale”,
Viterbo, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2012, pp. 400 ss.)
(immagine tratta da http://www.tumblr.com/tagged/american%20jazz?before=23)