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sabato 28 aprile 2012

La montagna racconta - storia di donne coraggiose #donne #coraggio #montagna::


L’altra notte mentre ero lassù nel silenzio delle vette la montagna sembrava dirmi qualcosa,pareva quasi ironicamente rimproverami,sembrava che mi dicesse:tu passi sui miei colli e sali sulle mie vette solo per svago,per divertirti ma se sapessi… poi il suo mormorio si fece più serio ed incominciò a mormorarmi qualcosa che dovevo sapere,ma venne giorno,con esso il risveglio della natura che coprì il suo sussurrare. Ma i monti non possono tacere quando vogliono far sapere quello che accadde un dì… Si da il caso che ultimamente ho avuto la fortuna di conoscere un’anziana signora,che un giorno parlandole di montagne li ho risvegliato i suoi ricordi di tempi di tribolazioni ,ella escamò:Ah! Se la mie montagne potessero parlare!nessuno immaginerebbe le vite grame che facemmo...E la Montagna per mezzo di lei parlò,ed incominciò a raccontarmi con un velo di nostalgia le lunghe e durissime traversate alpine che fece non per divertimento ma per necessità.


Questa è la storia di Mireio,allora una giovane ventenne e di tante altre sue coetanee, (la chiamerò così come l’eroina del poema di Federic Mistral.) Gli eventi bellici e la carestia aveva reso queste donne di montagna forti e coraggiose dallo spirito indomabile cui li furono affidato un ruolo fondamentale per la sopravivenza della valle. Dovete sapere che in quel tempo,tempo di guerra mancava di tutto,ma mancava soprattutto il sale,senza il sale non si “guardava la roba”ma soprattutto era indispensabili per le bestie (mucche e pecore) per carenza di sale esse finivano per mangiare la terra fino a morire, quelle poche creature erano la loro unica ricchezza, davano il latte, quindi tome e formaggi,cui alimentarsi in quei tempi cui ,allora si era disposti a fare qualsiasi sacrificio pur di aver un po’ di quel prezioso prodotto della natura.


 http://www.windoweb.it/desktop_foto/foto_montagne.htm

Se in valle il sale non si trovava,se ne poteva procurare oltre confine,ma a prezzo di enormi rischi e fatiche,ovviamente non c’erano soldi ma vigeva il baratto,se di qua mancava il sale ,nei villaggi oltre confine non avevano olio, pasta, riso ed altri prodotti di prima necessità,beni preziosi che in tempo di guerra non era facile accumulare perché era in vigore la tessera, erano razionati,ma questa tenace gente di montagna con inenarrabili economie riuscivano ad risparmiare questo piccolo tesoro per cambiarlo con il sale.

La via del sale,la più frequentata passava per il colle dell’Agnello” vecchio” per andare a Fongillarde (Fountgijardo) come dicono lassù,ma quella più redditizia era la più lontana Ceillac,perché il cambio era migliore. Un tragitto così, oggi sarebbe impensabile, pensate che allora queste ragazze lo facevano quasi tutto di notte per non essere “beccate”,di qua dai repubblichini e dall’altra, dalla gendarmerie.

Vi sarete chiesti;ma perchè questo compito così rischioso era affidato a queste giovani donne da sposare? Semplice! Perché se venivano prese le sequestravano solamente la roba e poi le mandavano a casa,ma se fossero stati degli uomini li spedivano al fronte ,magari in Russia.Per lo più a volte erano accompagnate da un paio di giovani pastori ancora più giovani di loro,non soggetti alla leva e pratici dei posti. Si partiva da Sampeyre che era ancora notte,con il favore delle tenebre con i loro zaini colmi di generi alimentari di prima necessità,passavano per sentieri alternativi per evitare Casteldelfino dove c’erano i posti di blocco per arrivare all’alba a Chianale, dove ad attenderli c’era un pastore,che offriva loro un fienile per riposarsi un po’. Verso sera si partiva per l’attraversata,si doveva raggiungere il colle dell’Agnello “vecchio” all’imbrunire,in modo che da Fontgillarde vedessero che stavano arrivando,quindi gli abitanti li venivano incontro. A notte inoltrata si trovavano in una stalla alla periferia del villaggio dove avveniva lo scambio,poi subito di ritorno,bisognava riattraversare il colle con uno zaino di 25 kg. di prezioso sale, per arrivare a Chianale prima che facesse giorno. Faccio presente che allora era rischioso usare la pila,sarebbero stati avvistati, si affidavano al chiaror della luna e delle stelle,quando era sereno, altrimenti… l’occhio allenato al buio faceva scorgere il colore biancastro della ghiaia del sentiero. Arrivate a Chianale c’era già una mula con il carro ad attenderle, perché mandavano avanti qualcuno ad avvertire che arrivano,quindi si procedeva scarichi fino presso Rabioux,dove arrivavano alle prime luci dell’alba. Sempre per evitare Casteldelfino,si mettevano di nuovo gli zaini in spalla,e rifacevano a ritroso il cammino ai margini dell’Alevè,mentre la mula accompagnata da una di loro andava giù a vuoto, più a valle passati il pericolo, trovavano l’animale da tiro che pazientemente li attendeva. Con grande sollievo per le spalle, mettevamo gli zaini sul carro per l’ultima parte del tragitto poi ognuna riprendeva il suo pesante fardello ed arrivavano alle loro case,eravamo sfinite! In quel tempo la meglio gioventù era mandata al massacro,non c’erano uomini,quindi non avevano tempo per riposarsi, c’era sempre qualcosa di più urgente fare,le mucche dovevano essere munte,l’erba da tagliare il fieno da rivoltare o raccoglierlo in fretta prima che venisse a piovere,altrimenti si “guastava”Il fieno era una cosa importantissima, bisognava farne una bella scorta per tutto il lungo periodo invernale,altrimenti le mucche non avevano di che mangiare,con tutte le conseguenze… quindi più delle volte dopo aver fatto la lunghissima e faticosa attraversata si saliva agli alpeggi per la fienagione.

Mireio,continuando il suo racconto mi ha detto che in una notte di pioggia,una notte da lupi,si tornava dal colle dell’Agnello,la pioggia inzuppava gli zaini inumidendo il sale quindi divenivano sempre più pesanti. Quando di notte piove non si vede più nulla perché i sentieri con la ghiaia bagnata perdono la loro sfumatura biancastra,allora si andava giù “al tuc”. Erano tutte bagnate fino al midollo,erano sfinite,la fortuna volle che si imbatterono presso una baita di alpeggio abitata da una donna ed un pastore,chiesero ospitalità per la notte,allora non c’era il culto dell’accoglienza,poiché la vita dura dei monti aveva reso la gente degli alpeggi ancora più dura e diffidente,tuttavia questa donna fece entrare loro nella stalla,che era anche camera da letto,erano bagnate come pulcini,le fecero sedere su una panca vicino ad una branda, sfinite,qualcuna incominciò a sonnecchiare ed appoggiò la testa sul giaciglio,intervenne questa donna dura e insensibile per rimetterle sull’”attenti”per salvaguardare le sue povere cose li disse imperiosamente:” Pougesse pas a qui! ca me inumidì lou drap!”(non appoggiatevi quì perché mi bagnate la coperta) Passarono tutta la notte a schiena diritta seduti su quella panca,senza aver il diritto a prendere sonno! Al mattino le domandarono un pò di latte prima di partire,che pagarono,questa donna dura di cuore diede loro del latte avariato,che fece stare tutte male. Non si poteva mica dare il latte fresco! serviva all’alpeggio….


Continuando la sua storia,Mireio,mi racconta di quando andò a Ceillac:C’erano da passare diversi colli, mi dice,arrivammo alla periferia del villaggio di notte dove in una stalla scambiammo la roba poi via verso le pas de la Cula,ma venne un ragazzo incontro gridando che c’erano i gendarmi,allora bisognava attendere. Si rifugiarono in una baita di alpeggio,passò il giorno e la notte,intanto cambiò il tempo, venne giù mezzo metro di neve,faceva un freddo terribile,battevamo i denti,mi dice,si accese un fuoco improvvisato bruciando un pò di paglia e qualche ramaglia,a questo punto del racconto Mireio fa una pausa,poi mi dice:ho ancora un terribile “ringret” (rimorso)… in quella notte abbiamo bruciato quella paglia e qualche pezzo di legno per scaldarci,sottraendolo a quella povera gente…

Al mattino ci mettemmo in marcia, sui colli per tutta la piana del col Longet si sprofondava nella neve fino alle cosce,con grande fatica riuscivamo ad ogni passo uscire da quella trincea per risprofondare al passo successivo,fu una cosa sconvolgente, una fatica disumana,perché ad ogni passo che sprofondavamo dovevamo rialzare la schiena piegata dal pesantissimo zaino . Per fortuna quella volta con noi avevamo due giovani ragazzi che avevano le “ ciastre” ,marciando prima di noi ci disgrossavano già il passaggio,altrimenti non c’è l’avremmo fatta. Ci mettemmo una giornata intera per raggiungere i laghi blu,un sole caldissimo sulla neve fresca ci screpolò i volti rendendoci irriconoscibili. In valle chi ci aspettava vedendo il ritardo e la neve caduta ci davano già per perduti. Ricordo che quattro giorni dopo riuscimmo a raggiungere le nostre case. Quando io arrivai vidi mia madre stava zappando,quando mi vide fece un sobbalzo, era incredula, lasciò cadere la zappa e scoppiò in lacrime,non ci sperava più nel mio ritorno,ero sfigurata dallo sfinimento,le porsi lo zaino con il suo carico di sale e di sofferenze, ricordo ancora che le dissi: questo sale non venderlo per nulla al mondo perché non c’è prezzo che lo paghi,piuttosto regalalo a chi ne ha più bisogno di noi!

Quando questa signora terminò il suo racconto coinvolgente facendomi viaggiare anch’io in quei tempi lontani,aveva gli occhi lucidi,mi disse: come sono cambiati in meglio i tempi!ma narra queste vite grame che abbiamo dovuto fare,in modo che si conservi la memoria,in modo che tutte queste vicissitudini non cadano nell’oblio,in modo che questo triste e duro passato, anche se in modo diverso, non ritorni…

Autore: Jacolus
fonte web:  http://www.lafiocavenmola.it/modules/news/article.php?storyid=4923

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