Viviamo in un'epidemia, nel bel mezzo di uno di quei virus che abbiamo disseminato ovunque, quasi senza accorgercene. Eppure ci siamo adattati così bene che sembra essere con noi da sempre. Ci viviamo immersi, non avvertendone quasi più i sintomi. Come molte piaghe, questa è iatrogena, indotta dalle medicine. I nostri strumenti più puliti hanno prodotto una malattia peggiore di quella che curano, infettandoci con il contagio del tempo reale.
Nel tempo reale, ogni transazione quotidiana è sul listino del cambio globale. Degli sconosciuti a cui siamo inestricabilmente collegati comprano e vendono futures su tutto ciò che facciamo o non riusciamo a fare. In tempo reale, perdiamo in continuazione il valore di immani ricchezze in opportunità sprecate.
Nel tempo reale ogni secondo conta. Ogni minuto deve essere ottimizzato. Dal momento che non possiamo fermare gli attimi fuggenti, abbiamo le nostre macchine che ci offrono una seconda scelta: due momenti ammassati l'uno sull'altro. Lo schermo frazionato. Esecuzione contemporanea di più programmi. Invio di messaggi vocali wireless. Flussi Rss. Film nel film. Non dobbiamo farci mancare nulla. Di fatto, non possiamo.
Nel tempo reale, ogni piacere e ogni dolore vengono espressi in pubblico. Le nostre paure più intime vengono messe nei blog e commentate da una comunità in tempo reale un migliaio di volte al giorno, accessibili in qualsiasi momento da qualunque parte, almeno per adesso. Ogni cosa su cui mettiamo mano è giudicata collettivamente in tempo reale, le stelle degli utenti di Amazon continuamente aggiornate. Restiamo intrappolati in ogni loop, informati su qualsiasi sviluppo: sul film dell'anno, sul disco del mese, sulla personalità del giorno, sullo scandalo del minuto.
Il tempo reale garantisce la nostra perenne raggiungibilità, il nostro essere sempre aggiornati, sempre immersi nell'immagine del mondo che si schiude davanti a noi, mai soli, mai fuori dalla corrente in aumento di dati che ci sospinge ancora più giù verso valle. In tempo reale, viviamo in due menti, in tre tempi verbali e in quattro continenti allo stesso momento, e ricompriamo i frammenti persi nel transito con i punti frequent flyer.
In breve, siamo diventati così bravi a comandare il tempo che i nanosecondi adesso ci pesano in mano. Eppure, il tempo resta e noi ce ne andiamo.
Cronos
Roberto Calasso: "È forse un preludio all'estinzione? Solo in apparenza. Perché nel frattempo tutte le potenze del culto sono migrate in un solo atto, immobile e solitario: quello del leggere".
La lettura potrebbe essere l'ultimo comportamento privato che non sia patologico né perseguibile. È di certo l'ultimo rifugio dall'epidemia del tempo reale. Perché la corrente della narrativa esonda dagli argini del reale. Il racconto denuda il lettore, tenendolo in un luogo che il tempo non può raggiungere. Il potere di un libro sta nella sua capacità di cancellarci, di espandersi o contrarsi senza limite, di girarsi intorno senza inizio né fine, di sfidare i nostri orari immaginari e lasciarci spogli per concederci scatti più essenziali. Le pagine che leggiamo sono un non-tempo, e scorrono molto lontano dalla pubblica arena. Fin tanto che rimaniamo lì, l' adesso si rivela la più audace delle invenzioni.
Quanta fretta ha il tempo reale? Chiaramente, va avanti un secondo alla volta. Qual è la velocità del tempo di un libro? Immaginiamo che sia come comprare rupie al mercato nero: stabilite voi il vostro tasso di cambio.
T.E. Lawrence: "Lo sto rileggendo con lenta e deliberata noncuranza".
Quanto dura un racconto? So che ce n'è uno in cui una partita a carte dura più di un ergastolo. E un altro, invece, in cui la guerra dei Cent'anni si svolge prima dell'arrivo dell'insalata.
Dentro un libro, ci ricordiamo che siamo nati sapendo che il tempo esiste non per usarlo, ma per rifiutarlo, non per metterlo a frutto ma per lasciare che vada perso.
Quanto dura una corsa in ascensore? Dipende da cosa leggerete salendo.
Allora come vorreste che venissero ordinati i vostri racconti? Di certo non secondo l'uso, non per importanza, non per la loro commerciabilità, non per il loro valore netto attuale. I racconti si dispongono sulla base del tempo che si ha per leggerli: sembra una cosa inutile? Provate a pensare al Corano, con i suoi capitoli sistemati per lunghezza decrescente, da quelli che durano centinaia di versetti alle preghiere di due o tre righe: "Per ogni profezia c'è un tempo stabilito, e alla fine lo saprete".
Perché quindi non ordinare i racconti secondo il tempo a disposizione? Secondo quella quantità di tempo che potreste rubare alla corrente e farla comunque franca?
Proust: "Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato, lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l'essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero 'io', che talvolta sembrava morto da un pezzo, ma che non lo era interamente, si desti, si animi".
Leggiamo per fuggire – anche solo per poco – la trappola del tempo reale, e poi per tornare e riconoscere – anche solo per poco – i tempi in cui siamo intrappolati. E per un istante, almeno, il tempo non scorre, ma è. Arrivi a quell'ultima frase, e alzi lo sguardo: Humbert Humbert è nel sedile del treno davanti a te. Charles Bovary ti sta accanto nella sala d'aspetto dell'ospedale. La Belle Dame Sans Merci ti guarda mentre le porte scorrevoli si aprono e tu scendi al tuo piano».
(Richard Powers , da “The Paris Review”, Il Libro per Aerei, Treni, Ascensori e Sale d'Attesa, Roma, Fandango, 2012, pp. 9 ss.)
Nessun commento:
Posta un commento