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venerdì 27 aprile 2012

#Ho paura torero #Pedro Lemebel #Chile #dittattura #omosessualità #citazione

Come scorrere una garza sul passato, una tenda bruciacchiata che sventola alla finestra aperta di quella casa nella primavera dell’86. Un anno marchiato a fuoco dai copertoni fumanti per le strade di Santiago, schiacciata dal pattugliamento. Una Santiago che si svegliava al suono delle pentole sbattute nei cortei, ai lampi dei black out, per i cavi elettrici scoperti, esposti alle catene, alle scintille. Poi il buio pesto, le luci di un camion blindato, i fermo lì stronzo, gli spari e le corse a perdifiato, come nacchere di metallo che frantumavano le notti di feltro. Quelle notti funeree, trafitte dalle grida, dall’incessante “Cadrà”, e da tanti, tanti comunicati dell’ultimo minuto, sussurrati dall’onda sonora del “Diario de Cooperativa”.
Poi c’era la casetta macilenta, un angolo di tre piani con una scala vertebrale che portava in soffitta. Da lì si poteva vedere la città in penombra, coronata da un velo torbido di polvere. Era una piccionaia, una ringhiera per stendere le lenzuola, le tovaglie e le mutande inalberate dalle mani marimbe della Fata dell’angolo. Nelle sue mattine di finestre spalancate, cantava “Ho paura torero, ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca”.
Tutto il quartiere sapeva che il nuovo vicino era così, una novellina dell’isolato un po’ troppo fissata con quella costruzione in rovina. Una mammoletta dalle sopracciglia increspate che venne a chiedere se per caso affittavano quel rudere terremotato all’angolo.
Quel siparietto tenuto in piedi soltanto dall’arrivismo urbano di tempi migliori. Chiusa da tanti anni, così piena di sorci, fantasmi e scarafaggi che la fata fece sloggiare implacabile, con il piumino in una mano e la scopa nell’altra, spazzando ragnatele con la sua energia da checca, intonando in falsetto Lucho Gatica, tossendo “Besame mucho” nelle nuvole di polvere e ciarpame che accumulava sul bordo del marciapiede.
Gli manca solo il fidanzato, bisbigliavano le vecchie delle case di fronte, seguendo i suoi movimenti da colibrì alla finestra. Però è simpatico, dicevano, ascoltando le sue canzoni fuori moda, seguendo con la testa il tempo di quelle melodie del passato che svegliavano tutto il vicinato. Quella musica chiassosa che la mattina tirava giù dal letto i mariti nottambuli, i figli scioperati che si arrotolavano nelle lenzuola, gli studenti pigri che non volevano andare a scuola. Il grido di “Alleluia” intonato da Cecilia, una cantante in voga, era una sveglia, un canto di galli all’alba, un fragore musicale che la fata alzava al massimo volume. Come se avesse voluto condividere con il mondo intero il testo grossolano che strappava dal sonno i vicini con quel “E... tu mi prendeeraiii per maaanooo”.
Così la Fata dell’angolo, in men che non si dica, entrò a far parte della fauna sociale di quella Santiago di mezza tacca che si spulciava tra la disoccupazione e il quarto di zucchero preso a credito all’emporio. Una bottega di quartiere, epicentro delle chiacchiere e dei commenti sulla situazione politica del paese. Gli effetti dell’ultima protesta, le dichiarazioni dell’opposizione, le minacce del Dittatore, le elezioni di settembre. Che ora sì, che non ce n’è, che l’86 è l’anno. Che tutti al parco, al cimitero, con sale e limone per resistere ai lacrimogeni, e tanti, tanti comunicati strillati dalla radio permanente.
QUI COOPERATIVA, VI PARLA MANOLA ROBLES
Però lei non aveva testa per la politica. Anzi la spaventava ascoltare quella radio che dava solo cattive notizie. Quella radio che si sentiva ovunque con le sue canzoni di protesta e la sua tiritera allarmista che teneva tutti con il fiato sospeso. Lei preferiva sintonizzarsi sui programmi della nostalgia: “Al ritmo del cuore”, “Per chi è stato ragazzo”, “Notti di quartiere”. E così trascorreva pomeriggi interi, ricamando enormi tovaglie e lenzuola per qualche vecchia aristocratica che pagava bene il talento da aracnide delle sue mani. Quella casa primaverile dell’86 era il suo nido. Forse il suo unico vero amore, l’unico spazio tutto per sé che ebbe in vita sua la Fata dell’angolo.

(Pedro Lemebel, Ho paura torero, Marcos y Marcos, 2004; fonte web: http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/329/cafelib.htm)


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