Cerca nel web

venerdì 31 maggio 2013

#Mentalismo e disciplina










http://a134.idata.over-blog.com/3/66/90/62/Cartes4---Photoshop/Plage-surrealiste.jpg

Pur travestendosi da psicologia sperimentale, il mentalismo è una disciplina teatrale che – come un quadro di Magritte – gioca a confondere i confini tra realtà e rappresentazione. In quanto tale, applica alla lettera la definizione attribuita a Orazio: Ars est celare artem, l’arte consiste nel nascondere l’arte.



Mariano Tomatis, Te lo leggo nella mente

Esergo di Manlio Lo Presti


Esergo di Manlio Lo Presti

Nel mondo ognuno può contare tre sorte di amici:
quelli che vi amano,
quelli che non si occupano affatto di voi
e quelli che vi odiano.


N. Chamfort, Massime e pensieri, Guanda, 1988, pag.135
presa dalla rete 

giovedì 30 maggio 2013

#Ozio #Stile di vita


http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/shared_libri/cover/mini/1701138_0.jpg

 Mi chiedo se quel razionalista americano gran lavoratore e agente dell’industria che fu Benjamin Franklin sapesse quanta infelicità avrebbe causato nel mondo quando, nel lontano 1757, invasato da zelo puritano, rese popolare e propagandò l’aforisma trito e palesemente falso secondo cui «presto a letto e presto alzato fan l’uomo sano, ricco e assennato».
È triste che fin dalla prima infanzia subiamo la tirannide del mito morale secondo cui è giusto, buono e bello balzar fuori dal letto non appena svegli per approntarci il più velocemente e gioiosamente possibile a compiere qualche attività utile. Nel mio caso, ricordo in modo molto chiaro che era mia madre a urlarmi di uscire dal letto ogni mattina. Mentre giacevo lì in uno stato di beato benessere, gli occhi chiusi, cercando di rimanere aggrappato a un sogno in dissolvimento, facendo ogni sforzo per ignorare le sue urla, mi mettevo a calcolare il tempo minimo che mi ci sarebbe voluto per alzarmi, far colazione, andare a scuola e riuscire ad arrivare qualche secondo prima dell’appello. Tutta questa creatività e fatica mentali le spendevo per godere di pochi istanti di sonno in più. È così che l’ozioso inizia ad apprendere la sua arte.

L'ozio come stile di vita, Tom Hodgkinson

Esergo di Manlio Lo Presti



Esergo di Manlio Lo Presti

Tutti voglio il nostro bene.
Non fatevelo portare via.

(Stanislaw J. Lec)

in: IL POLITICO PORTATILE, Guanda, 2012, pag. 150

mercoledì 29 maggio 2013

#Fiera: Photissima Art Fair

 Satura Art Gallery annuncia la sua partecipazione a Photissima Art Fair di Venezia.
 Ci sembra un appuntamento immancabile per tutti i professionisti ed amanti della fotografia.

 Photissima Art Fair ha l’obiettivo di diventare punto di riferimento nel panorama dell’arte fotografica raccogliendo in un solo momento e in solo luogo tutti i protagonisti –artisti, galleristi, critici, curatori, collezionisti– del mondo della fotografia. Come suggerisce il superlativo del titolo, primo tratto distintivo della manifestazione è occuparsi di fotografia all’ennesima potenza escludendo tutto ciò che non è prettamente tecnica fotografica.La fotografia diventa protagonista nelle sue molteplici forme: dal fotoreportage alla fotografia storica, dalla street photography alla fotografia artistica contemporanea.


Fiera

Luogo di svolgimento
VEGA Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia
Via delle Libertà 12, 30175 Venezia
Data
30 Maggio 2013 – 2 Giugno 2013
Inaugurazione
29 maggio dalle ore 18:00 alle 24:00 per stampa e operatori su invito
Orari di apertura al pubblico
Dalle 10:00 alle 20:00

#Stesura di una poesia



http://4.bp.blogspot.com/-
 Non si può capire lo spasimo che accompagna gli attimi che precedono la stesura di una poesia. Nessuno riuscirà mai a capirlo… È qualcosa di fisico: i miei muscoli subiscono contrazioni, convulsioni. Sono i tremendi elettroshock cui ti sottopone la poesia

  Alda Merini – Elettroshock

Esergo di Manlio Lo Presti




Esergo di Manlio Lo Presti

Viviamo tutti sotto il medesimo cielo
ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte.

K. ADENAUER (Statista tedesco 1876-1967)
in: DIZIONARIO DELLE CITAZIONI, Rizzoli,1997, pag. 467


martedì 28 maggio 2013

#ChiSiamo: Candele Accese!




http://4.bp.blogspot.com/

Siamo come candele accese.
Il rosso della fiamma non è l’unico colore,
 ma solo il più esterno e visibile.
 Ci sono anche il giallo e il blu: alla base, intorno allo stoppino.
Allo stesso modo in noi convivono tre livelli di “combustione”:
il rosso delle passioni all’esterno, il giallo delle emozioni e, 
alla base, il blu dello spirito.
Chi passa la vita a inseguire passioni per provare emozioni 
fa una cosa molto vitale, ma insufficiente
 ed è per questo che rischia di rimanere sempre inappagato.
 Per trarre dai sensi tutto ciò che possono darti,
 occorre lavorare sullo strato più profondo e nascosto.
 Imparare a cercare risposte all’interno 
e non all’infuori di te.
 Altrimenti sarai sempre vittima delle circostanze 
e degli ondeggiamenti emotivi altrui.
 
  Massimo Gramellini, Cuori allo specchio

Esergo di Manlio Lo Presti




Esergo di Manlio Lo Presti

Qui habes auriet audiendi audiat

(Chi ha orecchie per intendere intenda)

Espressione fortunatissima, rimasta proverbiale in tutte le lingue moderne.
In latino la sua forza si basa su una figura di allitterazione (gli ultimi tre termini iniziano col lo stesso dittongo) che in italiano perde parte della sua forza.

IL LIBRO DELLE CITAZIONI GRECHE E LATINE, Mondadori, 1994, pag. 63


lunedì 27 maggio 2013

#IlGuerriero


http://static.screenweek.it

La gente dice: “È matto.” 
Oppure: “Vive in un mondo di fantasia.”
 O ancora: “Come può confidare in cose prive di logica?”
Ma il guerriero continua ad ascoltare il vento 
e a parlare con le stelle.
 Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce   


domenica 26 maggio 2013

FINE DI UN SOGNO

 di Sandra Milano




 Frequentavo la scuola per Assistenti Sociali a Milano.Mi ero iscritta al 2o anno ,avendo superato tutti gli esami del primo corso con una buona media.La cosa lasciava del tutto indifferente i miei ,per loro contava solo che io ,da brava ragioniera tenessi in ordine la loro contabilita’ e preparassi le paghe dei dipendenti .Dovevo percio’ fare vere acrobazie per poter assistere alle lezioni,pero’ il corso mi piaceva ,e non mi importava fare qualche sacrificio.I guai cominciarono quando secondo i programmi ,ogni 3 mesi dovevamo fare un tirocinio esterno e presentare una tesina.Il primo anno avevo lavorato a MILANO, me l’ero cavata . Fu un fulmine a ciel sereno quando la direttrice mi chiamo’ e mi assegno’ il tirocinio in una cartiera in Brianza .Dopo una bella litigata ebbi il permesso dai miei. Telefonai alla cartiera e parti. L autista dalla stazione mi porto’ in cartiera.Ripensando ,risento ancora il tremendo odore di acido che mi colpi’ come scesi dalla macchina “se si respira sempre cosi’, pensai, che meraviglia’. Mi venne incontro il proprietario salutandomi con molta cordialita’ ,invitandomi a farmi conoscere dagli operai .Ando’ tutto liscio,mi fu assegnato un ufficio ,il tutto sempre avvolto nel tremendo odore. Poco dopo arrivo’ un operaio era disperato, in poche parole cerco’ di farmi capire il suo dramma ,la moglie aveva un forte esaurimento ,trascurava la casa ,i bambini, non si curava piu ,non aveva nessuno che lo aiutasse.Cercai di rassicurarlo e telefonai al medico. Fui fortunata di trovarlo ,prendemmo un appuntamento subito ,mi avrebbe aspettata nel suo studio.La macchina della ditta mi porto’ dal medico. Trovai il cancello aperto entrai. Istinto ? sesto senso? Non saprei dire. Mi girai di colpo. So che avevo dei libri in mano e vidi un cane che mi si avventava.Dallo spavento mi lascia sfuggire i libri dalle mani e gli caddero sul muso riuscendo a bloccare il suo sbalzo verso di me. Cosi, riusci solo a prendermi il bracio e mentre correvano per trattenerlo, lui mi azzannava il polpaccio.Cosa era successo? Prima di me era arrivato il figlio del medico e per mettere la bici non aveva chiuso il portone.Nei miei ricordi si sovrappongono cento odori,fiori,la mia carne lacerata ,sangue ,bava del cane........non sto a raccontare la tragedia che mi accolse in famiglia. Lascio solo il finale, misi la testa a posto(versioneFamigla) dissi si all’uomo che mi voleva sposare e mentre le mia compagne davano la tesi io preparavo la mia tesi.......mia figlia.

TULLIA

 di Vittoria Farina



 Tullia,
Guidava con calma.
Lo scorrere veloce di alberi, casa, pietre miliari, orti in fiore, non attiravano la sua attenzione.
La striscia grigia della strada si snodava, ma lei pensava.
Il gabbiano Johnny era lì, in alto, che planava e l'auto era le sue ali e la strada grigia il suo cielo.
Possibile! Perché mai tra gli uomini ci dovevano essere tanti gabbiani Johnny e tra le donne no?
Non vivevano forse anche i gabbiani femmine? Non volavano anche loro? Forse non così in alto, ma volavano.
E lei ad un tratto si sentì invadere da un'enorme forza; sentì dentro di se di potersi librare nel più fantastico dei voli, di poter salire in alto, salire nella grande immensità del cielo terso, volare sul vento nell'alto dell'azzurro e scendere giù, veloce, in picchiata e osservare le cose microscopiche divenire forme reali.
L'immensità l'avvolse e lei volava e nulla potè fermarla.
Il sole era lì e le scaldava il corpo sempre più forte....,sempre di più........
L'acuto dolore al collo la fece destare; avvertì gli sguardi smarriti dei passanti accorsi allo schianto dell'auto vicino ad un ciliegio.
Fu un attimo e non ebbe esitazioni.
Spiccò il suo ultimo grande volo.
Un sorriso gli restò pietrificato sulle labbra.

Tullia volava per sempre nell'immensità del cielo, molto più in alto del gabbiano Johnny.

ERA UNA GIORNATA DI TARDO AUTUNNO

 di Ortensi Paola



 Era una giornata di tardo autunno. In campagna infinite gamme di colori si offrivano allo sguardo:gialli,avana,marroni,rossi ,rosa fra le sempre verdi foglie sparse;tutto esaltato dalla luce morbida e tersa di un cielo limpido,accompagnati da un aria ristoratrice un po’ calda e poi fresca.
Come ogni anno terminata la vendemmia, nel cortile antistante la cantina, ancora impregnato dell’odore intenso dell’uva si preparava il pranzo che firmava la fine del lavoro.
L’annata si preannunciava buona! Il sole in quantità, la pioggia venuta al momento giusto nel corso della stagione, facevano immaginare che il vino sarebbe stato di ottima qualità da quello novello a quello che sarebbe divenuto d’annata .
Come sempre Nina ,la nonna di Anna titolare della cantina ,aveva imbandita la tavola per tutti quelli che avevano lavorato dalla raccolta alla vinificazione,unitamente poi ad alcuni dei clienti più affezionati, oramai parte integrante della famiglia allargata di Nina e Anna, che ovviamente dalla famiglia erano accompagnate sempre con stima e affetto.
Tutti si preparavano con allegria a sedersi sulle panche che circondavano il tavolo e aspettavano che come ogni anno Nina, dopo i saluti e qualche considerazione sulla stagione in corso, raccontasse a quale cibo sarebbe stata dedicata quella gioiosa tavolata.Ogni anno infatti la tradizione voleva che fosse un particolare ingrediente il filo conduttore di quel pranzo di ringraziamento.
E così la nostra Nina raccontò come qualche giorno prima, mentre tra i filari della vigna ,aiutava a raccogliere gli ultimi grappoli di merlot aveva avuta l’idea . Il pranzo dell’anno sarebbe stato proprio dedicato all’uva:madre onorevole di tutti i vini ,spesso annebbiata dai suoi alteri e presuntuosi figli i vini appunto; eppure così bella e orgogliosa nelle sue diverse storie, C’era quella da vino, bianca o nera che fosse ; ogni grappolo un disegno unico,ogni acino stretto all’altro e tutti insieme al graspo quasi a proteggere fino al distacco della vendemmia il nettare che un giorno non lontano sarebbe nato e avrebbe riempito una bottiglia;quella da tavola poi coi suoi chicchi ballerini piccoli,grandi ,tondi ovali e sempre ammiccanti. Un invito il loro a farsi toccare,staccare,gustare mostrandosi con provocante e sensuale leggerezza. Fu l’uva col suo fascino,sottolineò Nina a dirmi che poteva usando anche il suo figlio il vino indicarci il menù dell’anno.
Le portate presero così corpo sul tavolo e furono spiedini di chicchi d’uva e formaggio e poi un risotto al moscato, un brasato al barolo, un’insalata di noci e chicchi d’uva bianche e neri di tanti vitigni diversi e poi ciambelline al vino e una splendida crostata con marmellata d’uva fragola e naturalmente meravigliosi grappoli d’uva da tavola e poi quella da vino di quel vino che aveva accompagnata la mensa e che nei calici tenuti alti sembrava ondeggiare di gradimento. Il pane poi che a forma sia di morbidi panini che di fette di una pagnotta dorata affiancava ogni commensale, aveva al suo interno un uvetta preziosa. Il tripudio di quel pasto rimase memorabile e ognuno ricordava il brindisi finale. I calici alzati i grappoli in mano e una voce quella di Nina che evocando chissà quale leggenda diceva:”se un chicco d’uva nel vino metterai con te sempre una benedizione avrai!” E poi: “ A tavola o in cantina l’uva è sempre madre generosa e regina! Mangiati o vendemmiati i chicchi son ricchi. Figli d’uva :vini gioiosi,preziosi,dolci,forti,posati o frizzanti fan la nostra allegria e per noi una salda e sana economia. Alziam i calici a tanta ricchezza: della vita simbolo e allegrezza. Godiamone il tocco,guardiamola crescere e mutare,nascere e invecchiare senza mai magicamente smettere di cambiare.

ALLA MUSA

 di Pietro Perrone



 Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.

A volte, si, parli per mezzo del tuono.
E allora è un comando, un ordine, la tua impetuosa volontà.
A volte, invece, è il turbine, la tempesta a portarci il tuo segno.
E così ci regali l’emozione, l’orgasmo, il singulto dell’anima.
Sgorga dalla tua bocca il rombo di una cascata che tutto travolge?
E allora son io fragile stelo in balìa del tuo volubile desìo.
E così sei sempre tu che rendi schiavo il tuo artigiano, gli metti nelle mani lo scalpellino che modella le parole o la sgorbia che scava nei colori.
Sono loro, i tuoi artigiani, ad obbedire al tuo comando di Musa, che modellano nella materia le curve rotonde della tua figura.
Padrona sei tu, che concedi a noi il frutto prezioso del tuo ventre innocente.

L’angelo che annuncia il tuo frutto a questa terra, io vorrei essere.
L’amante tuo, del quale tu ti facesti amante e che possedendoti nel più pieno modo, diventa tua stessa carne.
Vorrei mettere nel tuo seno il seme mio e il seme tuo nel seno mio, e fare di questo giocoso amore il più prezioso dono al mondo.
Amante, sei tu, che non sei figlia di questo terreno mondo, figlia di un mondo che non è fatto di carne e il peccato ignora.
Ed io, amante tuo, per non essere più figlio del terreno mondo e non esser più sola carne e muta voce.

Potente, il tuo richiamo può spazzar via un fuscello d’uomo che per bocca tua parla, come l’uragano sradica il giunco fragile.
Eppur non è per me sollievo il tuo silenzio, nè pace la tua assenza, non calma, e quiete, la tua partita.
Non teme morte il poeta tra le scosse tue che la terra scuotono.
Inver, tra le tue braccia vorrebbe trovar la forza, l’ardito, l’eroe per immortalar nel mondo le sue avventure.
E così, con altrettanto ardor, io, non bramo altro, amante tuo mi vorrei far.
Non m’è sollievo il silenzio tuo, nè pace mi dà l’assenza tua, non calma, e quiete, la tua partita.

Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.

Nel tuo silenzio è lo sguardo che si cieco si ritira.
La luce che fiamma non accende.
Il colore che non tinge alto il cielo.
L’armonia che non vibra sulle corde della lira.
La forma che non abbraccia la materia.
La parola che, muta, diventa solitaria e persa.
Il tuo silenzio, se io non t’amassi tanto, sarebbe dolorosa solitudine.
Lontananza che sperde e che confonde.
Ma io so che quel silenzio è il ventre tuo.
Da quello nasceran i figli tuoi.
Da me, che fama mi daran.

UNA NOTTE

 di Biianca Neve




 Il sole si deposita all'orizzonte e attendo il blu di un cielo punteggiato di stelle.
Scherzo, chatto, sorrido alle stronzate della gente, tutto sembra essere lieto in questa serata dove nulla è dolore e grigiore. Siedo tranquilla, viaggio con le parole, descrivo un desiderio, attendo di seguire un orma... una promessa. Una brezza leggera entra dalla finestra aperta, il miagolio dei gatti del vicino, l'abbaiare di un cane in lontananza... tutto è normale. Ascolto una canzone, poi un'altra e un'altra ancora. Una farfalla notturna entra dalla finestra, sbatte le ali, non conosce la propria fragilità. Se solo avessi saputo la mia...
Una doccia prima di infilarmi sotto le coperte... l'acqua evapora, la pelle di seta, mi crogiolo nella morbidezza di un asciugamano, prolungo l'abbraccio pensando sia tu a farlo. Poi parole, ancora parole tra noi. Tutto scorre e si infiamma nelle vene, diviene calore e colora la prime ore della mia notte.
E poi cado, improvvisamente, nel buio più nero di una notte senza luna, senza un suono, senza un motivo apparente. Sento sussurrare il mio demone, rifiuto di ascoltarlo, ma insiste e si gode il mio malessere. A nulla valgono le parole, le tue. Rannicchiata su un fianco, afferrando il mio stomaco dolorante, cerco una ragione e non la trovo. Passo così la mia notte, con gli occhi sbarrati a guardare le ombre, cercando una ragione per rialzarmi. Le ore passano lente, la notte sembra non finire mai, attendo impaziente la luce del giorno e quando arriva comprendo che devo farcela da sola, il mio fardello deve essere svuotato, solo così potrò dire di aver vinto di nuovo su quel demone oscuro e prepotente.

LA SUOCERA

 di Françoise Laclare



 C'est d’abord le traînement de ses savates sur le carrelage du couloir, fritch-fritch, fritch-fritch.
Il est cinq heures du matin, Claire a eu une insomnie, elle est assise dans la cuisine, sur une chaise inconfortable, dans cette maison qui n’est pas la sienne, cette maison où rôde encore l’ombre du fils préféré, trop tôt disparu, et qui fut son mari.
Elle n’a pourtant pas fait de bruit. Ce fritch-fritch sonne le glas de sa tranquillité. La chasse d’eau dans les toilettes, fritch-fritch, la vieille araignée est sortie de sa toile.
La voici.
Sa voix, oh, cette voix, geignarde, pleurnicharde, celle qu’elle prend pour attendrir, apitoyer, faire céder Claire, l’amener à rester chez elle deux jours de plus !
« Ah, vous êtes déjà levée ! Aïe, aïe, aïe, la nuit que j’ai passée ! Epouvantable ! J’ai pas fermé l’œil de la nuit ! Ah, la vieillesse, vous savez ! Quand je pense à ce que j’étais et à ce que je suis devenue ! »
Claire sait que ça va revenir, toute la journée, ça s’imprime dans sa tête, elle va l’entendre et l’entendre encore.
La vieille femme s’approche d’elle, l’odeur d’urine, diffuse dans l’appartement, l’agresse, amère, puissante, écœurante.
Qu’elle ne s’approche pas plus, surtout qu’elle ne s’approche pas plus ! Même après sa toilette, l’odeur demeure, imprégnant ses vêtements, ses cheveux, les replis de sa peau.
Claire se dit qu’elle est vieille, qu’elle doit supporter, sans rien dire ni montrer son dégoût. S’il s’agissait de sa mère, elle l’accepterait sans doute davantage.
« Je sais pas ce que j’ai, là, sous les seins, ça me brûle. Tenez, regardez. » Et elle relève sa chemise de nuit, dévoilant sans pudeur son corps déformé, ses cuisses grasses et molles, son pubis déplumé, ses seins lourds qu’elle soulève pour montrer une gerçure, un eczéma, quelque chose comme ça.
Claire regarde cette femme qui fut belle, autoritaire, impérieuse, pauvre vieil oiseau pitoyable qui quémande un peu d’attention, un peu d’amour peut-être.
« Vous ne voulez pas me passer un peu de pommade ? »
Claire frissonne à l’idée de ses doigts sur sa peau, mais elle s’exécute. Matière douceâtre, spongieuse et molle. Pourtant des mains d’homme ont jadis caressé cette peau et y ont trouvé du plaisir. Elle a le cœur au bord des lèvres, le sang bat à ses oreilles.

Doucement, elle reconduit la vieille jusqu’à sa chambre, elle la borde dans son lit et lui caresse les cheveux. De retour à la cuisine, elle se fait un café, très fort.
Il lui brûle la langue, l’œsophage, l’estomac, nettoyant sur son passage sa honte et son dégoût.

SALSEDINE

 di  Alberto Bobo Murru


 Dalla strada posso vedere il mare limpido e intatto, a poche mezzore dall’ alba le onde scorrono libere sulla sabbia, si ritraggono e ancora scorrono, a poche mezzore dall’ alba puoi sentire la musica dell’acqua. Sto sul bordo della strada e mi reggo in piedi sui pedali, intorno a me un euforia di colori, ammiro il paesaggio come lo si fa da un finestrino di un auto, dritto con le braccia sul manubrio e la testa al mare. Sono partito per questo, per veder nascere il sole, per sentire come canta il vento la notte, per trovare spazio negli angoli intatti dell’isola; così continuo la leggera discesa lasciando andare la mia bici in una corsa libera, la costa di fianco si assottiglia, gli scogli si alternano a delle lingue di sabbia candidissima, la luce del giorno è alta e forte, quell’ enorme lampada sta sopra un isolotto, un iceberg granitico e ripido. Oltrepassata una lunga spiaggia l’asfalto si fa sempre più crudo, finita la discesa mi metto sui pedali, è solo l’inizio di una lunga scalata. Qualcosa va storto, le mie pedalate sono lente e non hanno alcuna spinta, la gomma davanti a me è completamente spalmata sulla strada, ho bucato. E’ la terza volta in sette giorni e la quinta da quando ho iniziato il viaggio, prendo la bici in spalla e vado dalla parte opposta della carreggiata, taglio la strada deserta e mi imbuco in un piccolo sentiero avvolto da una natura selvatica, porta al mare. Non avevo previsto tutte queste forature e ora avrei dovuto aggiustare la camera d’aria con una pezza e della colla, sperando di arrivare in qualche centro abitato il prima possibile. Scendendo, il sentiero, si fa sempre più scosceso, la bici e lo zaino iniziano a pesare troppo e a togliermi l’equilibrio, cerco di non scivolare mantenendomi a dei rami anche spinosi, poi la troppa sabbia sulla roccia mi ribalta sulla spiaggia, due o tre metri più in basso.

Ho il culo sopra della sabbia morbidissima, la bici di fianco non sembra avere subito grossi danni e lo zaino a qualche metro davanti a me non sembra essere rotto; i miei gomiti e le mie ginocchia bruciano dannatamente, tolgo in pochi secondi le spine dai palmi delle mani, il dolore si fa più sopportabile. Ho addosso profumo di ginepro e fico selvatico, ho portato giù con me qualche ramo, neanche un frutto. Di fronte ai miei occhi, al di là dei cespugli che mi avvolgono, una distesa di sabbia chiarissima e acqua cristallina sembrano fondersi in un’unica sostanza, una sostanza che sembra richiamarmi, pochi passi e inizio ad immergermi, è ghiacciata. Mi guardo intorno di continuo, voglio essere solo, l’unico a fare il bagno in quel paradiso. Il mio ingresso ha la lentezza e l’intensità di un rito sacro, chiudo gli occhi e continuo a camminare su quel tappeto di sabbia e ciottoli rotondissimi e bianchi fino a trovarmi completamente sommerso. Ora l’acqua non è più così fredda, posso stare sotto a nuotare per minuti interi senza avere l’esigenza di respirare, attorno a me le creature più belle, granchi che assomigliano a composizioni floreali e meduse d’ogni tipo, non riesco a temerle. Il sole si è levato a mezzogiorno e le mie mani sembrano dei panni fradici. Il sole trasforma la mia pelle zuppa in uno strato di abbronzatura e salsedine, la mia anima è appagata. Torno all’ombra del cespuglio e mi stendo sopra la bici, non c’è spazio nella mia mente per la gomma bucata o per riprendere il viaggio, ora ho fame e presto avrò sonno.

Mi sveglio dopo qualche ora, sento i polpacci bruciare al sole, l’ombra dell’enorme cespuglio si è assottigliata, copre solo una parte del petto. Mi godo un risveglio lento, lascio filtrare i raggi lenti e abbaglianti dalle palpebre, sulle mie spalle sento qualcosa di umido. Cinti da un braccio e sparsi sul mio corpo, dei capelli rossi, dei capelli rossi di ragazza, ricci e pieni di salsedine, sembrano dei filamenti di rame, lavorati da chissà quale scultore; sotto la chioma i suoi occhi sono ancora chiusi, la osservo cercando di tenerla addormentata, ha un espressione distesa e dolce. Ha la pelle chiarissima e liscia, non ho mai visto così tanto candore, abituato a coloriti più selvaggi. La sua presenza non mi turba, mi sarei dovuto fare delle domande, interrogarmi sul perché della sua presenza, non l’ho fatto. Si sveglia strizzando gli occhi e stringendosi a me, le passo la mano sui capelli per rassicurarla, mi guarda, non parliamo. I nostri sguardi si incrociano e non lasciavano spazio alle parole; per tre lunghe ore rimaniamo fermi a guardare il mare incresparsi e poi ritornare calmo, ci guardiamo per tre lunghe ore. Più continuano i nostri silenzi, più l’acqua e il cielo si tingono prima di rosso e poi di viola e l’atmosfera si fa immobile, come se attendesse di essere infranta da un momento all’ altro. Iniziamo a scoprirci, non ci curiamo di conoscere i nostri nomi e le nostre storie, i nostri corpi non si temono, è come se si fossero sempre sfiorati, continuiamo senza alcuna vergogna, con un pudore setoso. La notte oscura tutto intorno a noi, il suo corpo ha il colore dei ciottoli di quel mare, l’oscurità non riesce a celarlo. Basta poca legna per accendere un piccolo fuoco, intimo, pochi rami. Sentiamo cantare i grilli e schioccare la legna fresca sul fuoco, possiamo vedere la Luna, perfetta e luminosa. Il fuoco ci ha reso più sicuri, i nostri corpi non sussultano per i rumori della notte, ci sentiamo parte della Luna e del mare.

Della notte rimane soltanto l’odore del fuoco spento, non sento più l’umido sulla mia pelle. Sotto il mio braccio una ciocca dei suoi capelli rameosi, la ciocca più rossa avvolta in un elastico, forse avrei aspettato un’altra notte.

PIEDI

 di  Roberta Lollo Isceri



 Babbucce calde a quadretti marroni. Una zip che le rende preziose. Piccoli lussi per i miei piedi di bambina, che indugiano sul balcone di casa godendosi il sole. Seduta, guardo le mie punte tondeggianti avvolte dal pile. Che forma, che eleganza! Chiudo gli occhi, assopendomi. Piedi alati si librano in volo. Babbucce che scaldano, babbucce che premono. Mi sveglio e vado in giardino, stando attenta a non sporcarmi i piedini. “Solo la suola”, mi dico. Babbucce immacolate. Ma la terra punge i talloni e fili d’erba solleticano le caviglie. I miei primi passi lasciano il segno. Sì, babbucce che corrono.

DIALOGANDO CON UN EXTRATERRESTRE

 di Luigi Squeo



 LUIGI: Ett, ci sei?

ETT: Sono sempre con te! Avanti, che cosa vuoi dirmi.

LUIGI: Sono felice!

ETT: Mi fa piacere che ciò ti possa capitare spesso.

Che cos ti fa apparire il sole nel tuo animo?

LUIGI: Ho vissuto la mia prima esperienza di “scrittore all’opera”.

Ho presentato pubblicamente il mio libro.

ETT: “Il mondo illusorio”?

LUIGI: Sì, è stato fantastico!

ETT: Modera il tuo entusiasmo e raccontami gli aspetti salienti della presentazione.

LUIGI: Ho parlato della virtualità del nostro mondo; della logica a livelli dei sistemi e delle spettacolari speculazioni fantastiche a cui le teorie di Bohm e Pribram si prestano.

ETT: Lascia perdere i tuoi scienziati, dimmi invece quali sono le tue convinzioni.

LUIGI: Sarebbe troppo lungo raccontarti tutto!

In qualità di extraterrestre dotato di poteri speciali, dovresti aver sentito tutto e colto le mie proiezioni logiche.

ETT: Infatti, Io conosco bene le leggi del mio mondo, ma non posso interpretare le tue. La mia visita su questo pianeta ha l’obiettivo di creare un’interfaccia tra i due mondi.

I tuoi strumenti, sia fisici e sia logici, sono completamente incompatibili con i miei e questo ci costringe, purtroppo, a supporre di intenderci.

Non mi dispiacerebbe ascoltare le tue teorie in merito.

LUIGI: La mia teoria si basa sull’osservazione della nostra biologia e sui modelli logici che noi umani siamo abituati a usare.

ETT: Forse, anche contaminati dai tuoi tecnicismi?

LUIGI: Certamente!

Il problema più grave per noi umani è rappresentato dall’incapacità di comunicare.

Siamo sistemi autonomi, separati e assurdamente dipendenti l’uno dall’altro.

Abbiamo bisogno di interagire per star bene; abbiamo bisogno di essere guardati, ascoltati e compresi.

Utilizziamo una forma di passivismo assunto per diritto.

Il bisogno di essere “sentiti” dal nostro simile è tanto forte quanto debole è la capacità di “sentire”.

La colpa non è tutta nostra, ma di quei maledetti e approssimati organi sensoriali.

ETT: Forse, ti comprendo.

LUIGI: Quando due umani parlano, entrambi presumono di farlo in tempo reale – real-time, dicono gli inglesi – In realtà, tutto avviene in differita e con una strumentazione molto condizionante e soggettiva.

Nel nostro mondo qualsiasi dispositivo fisico ha un tempo di latenza, un grado di memoria, un tempo d’invecchiamento, in definitiva, una fascia di operatività molto precaria, legata alla qualità dei suoi parametri.

L’uomo non può prescindere dalla sua fisicità e anche la sua logica è una diretta conseguenza.

Nel colloquio, supposto reale, intervengono un’infinità di sottosistemi fisici/biologici che, interagendo nell’ordine dei livelli a cui appartengo, rendono possibile lo scambio informativo.

Ogni sottosistema, ignaro del significato di ciò gestisce, risponde con le proprie funzioni nell’offrire i propri servizi ai sistemi intelligenti di livello superiore e utilizza i servizi propedeutici forniti dai livelli inferiori.

Il merito della comunicazione è riservato al mondo delle idee, come risultato finale prodotto dal complesso “uomo” fisico-biologico.

Lungo la catena dei sottosistemi, tutto deve funzionare secondo una logica compatibile affinché il mondo delle presunzioni abbia coerenza.

ETT: Apri una porta molto pericolosa per la stabilità psicologica degli umani.

LUIGI: Temo che oltre quella porta ci sia la solitudine cosmica e la necessità di una ragione: scienza, filosofia, fantasia o fede religiosa come voglia dirsi.

IL CANE ZOPPO

 di Roberta Lollo Isceri



Aveva sei anni. Un’età perfetta. Non bella, perfetta. Non dorata. No, non leggiadra. E nemmeno serena. A quell’ epoca l’anima non era bugiarda e ogni incontro si rivelava interessante. Anche quello con il cane zoppo. Lollo passava i pomeriggi giocando da sola per le strade del paese. Quando la noia prendeva il sopravvento, tornava a casa in compagnia dei suoi pensieri. Ma quella volta percepì una presenza. Quando si voltò, vide un cane che la seguiva zoppicando. Era un cocker dal pelo fulgido e il muso inespressivo. Si arrampicò sul cancello di casa: paura e attrazione furono sue compagne in eterno.

ALL'APPARENZA OSSIMORI

 di Biianca Neve



 Non era una donna da scartare, ma realizzata. Sembrava ferita e malconcia o per lo meno usata.
Ma questo era il punto. Lei non era stata utilizzata, ma utile. Aveva servito i bisogni del suo uomo, il suo piacere e desiderio. L'apice di tutto scritto ovunque.
Sul corpo, dove lui aveva lasciato così tanti segni e in tanti modi che la fecero rabbrividire al ricordo.
Nel cuore, dove le sue parole, avevano lasciato tracce incandescenti.
Nell’anima, che aveva riempito fino a farla traboccare. Quel mattino sorrise alle prime luci del sole, sola nella sua camera. Adorava quel vuoto così pieno.

SONO ENTRATO DENTRO DI TE

 di Pietro Perrone


Sono entrato dentro di te per mezzo dei tuoi occhi.
Lì si aprono le porte della tua cinta di mura.
Lì, il tuo corpo sconfina nel tuo cuore.
Lì, è l’estremo limite della tua anima.
Lì, hai posto di vedetta i due guardiani.
Lì, fedeli, quelli m’hanno atteso, alla soglia del tempo nostro.
Lì mi hanno accolto, rotondi, armati solo della luce del tuo sorriso.
Tu gli avevi ordinato di guidarmi, dritto, dentro, in te.
E lì, quei due guardiani d’ebano, fiero sguardo d’innocenza, lì li ho trovati.
Lì si sono accampate, le tue stelle luminose, le tue ancelle. Due.

LA MADRE COL FIGLIO È TORNATA BAMBINA

 di Paola Eugenio



 La madre col figlio è tornata bambina.
La sorregge, lei docile cammina leggera quasi sollevata da terra al braccio del figlio che non è più giovane, neanche lui.
Chissà se è stata una buona madre o se ha trasmesso quell’esemplare educazione al figlio attraverso un rapporto antico, quelli che includono un epistolario.
Inoffensiva, vien voglia di comprarle il gelato o un gran dolce non lo mangerebbe, forse guarderebbe incantata i colori.
Lui la rimprovera gentile, il mal di schiena, torniamo alla carrozzina.
Ma lei non si lamenta, avverte inconsapevole il senso di vivere per un’ora tiepida di passeggiata al sole.

SENSAZIONI

 di Carla Gorga



 Estate, sdraiata nell'amaca sospesa tra terra e cielo, ad occhi chiusi assaporo l'odore salmastro che la brezza mi porta dal mare. Odo le onde che si frangono sulle rocce e mi beo del calore del sole che scalda la mia pelle abbronzata. Apro gli occhi e guardo verso il cielo il volo dei gabbiani che si tuffano per pescare; lontano oltre il grande scoglio, vedo i delfini che seguono giocando la scia della nave che ogni mattina approda nel porticciolo lì in fondo dove le fronde degli alberi mi celano la vista. Prendo una pesca dal cestino, ne sfioro la forma vellutata, la mordo ed assaporo il suo succo profumato che scende lungo la gola voluttuosamente. Richiudo gli occhi sorridendo e mi lascio cullare dai suoni armoniosi degli uccellini che dal nido tra i rami lanciano richiami d'amore trasportati dal vento chissà dove e mi addormento. Ed ecco che il ricordo s'insinua nella mente, sento la tua mano che lentamente percorre la mia schiena, poi scende piano piano e insinuante accende il brivido che si estende al corpo intero, mi giro, mi rannicchio, mi giro ancora, mi inarco gemendo e grido..ancora, non smettere, ancora... non voglio destarmi per non perdere quell'attimo surreale. Un suono improvviso mi trascina via dal sogno e mi sveglio sudata, umida, affannata con i sensi stravolti, allungo una mano, prendo il telefono per chiamarti, brucia di delusioni e lacrime. Come ad un richiamo, mi volto e..ti vedo lì all'inizio della scalinata, che guardi in giù col sorriso malizioso di un gatto che ha visto la sua preda e.. il silenzio si fa improvviso!

LA CITTA' DEI GATTI

 di Pietro Perrone




 Le vie della città sono piene di sogni.
Basta andare.
Non c'è una linea precisa, una rotta, una meta da raggiungere.
Basta solo andare.
Non è come nella città degli uomini, dove tutto sta finendo, lentamente soffocato da un male che nessuno conosce.
Nella città degli uomini ci sono gli incubi.
Mostri, fantasmi, creature terribili, assetate di sangue.
Nella città degli uomini i morti camminano.
Non sanno, non si accorgono di essere morti.
Gli uomini sono pieni dei loro pensieri.
Non si sa cosa sono, quei pensieri, nessuno li vede.
Ma loro hanno la testa sempre immersa là dentro, come fossero le gocce di un mare immenso.
Non sanno nuotare, in quel mare.
Eppure hanno sempre la testa là dentro.
Ombre che allungano le mani, toccano, tastano, palpano.
Prendono, afferrano, arraffano, arruffano, spremono, sprecano...
Il tempo, per gli uomini è un grave pensiero.
Così disse uno di loro, prima di tornare ad immergere la testa là dentro.
Il tempo è come un mare, anche il tempo è un grande mare che nessuno conosce.

Nella città dei gatti abitano i sogni.
Volano leggeri.
Bolle colorate.
I sogni sono i pensieri dei gatti.
Negli occhi dei gatti restano impresse le forme del giorno, le luci, le soffici nuvole che corrono leggere lassù.
Sono attenti, i gatti, quando osservano, curiosi, un particolare.
Lo sguardo acuto lo cattura come un movimento rapido della zampina felina.
Prima ci gioca, a lungo, per fissarselo, fermo, negli occhi.
E quando quella forma, infine, si è impressa, ecco, lo scatto animale diventa caccia feroce, arma crudele.
Negli occhi dei gatti restano impressi i particolari della vita degli uomini.
Una strana memoria popolata di misteriosi particolari sconosciuti.
Non come il familiare profilo di un topo con i baffi e la coda sottile.
O la sagoma filiforme di un'affilata lucertola verde.

I sogni dei gatti sono diversi dai sogni che un tempo facevano gli uomini.
Gli uomini chiamano sogni i pensieri notturni.
La vita che scorre di notte, quando nessuna la vede.
La vita nascosta, che si vergogna di essere esposta alla luce del sole.
Gli uomini spesso dimenticano i sogni che popolano il regno del sonno.
Un regno abitato da leggiadre creature che vivono libere di fare quello che vogliono.
I baci, l'amore, gl'inutili tentativi di fuga.
I salti che non finiscono mai, i sentieri tortuosi, i laghi che sprofondano nell'infinita inconsistenza della vita notturna...
Gli uomini dividono i sogni dagli incubi.
Nelle ore di veglia, mentre la testa annega nei pensieri inspiegabili, la paura diventa sovrana.
In quel momento, lei chiama con voce tonante, cupa e arrogante.
Le creature notturne che le obbediscono si volgono a lei.
Quelli sono, per gli uomini, i terribili incubi obbedienti al cieco terrore.
Gli altri abitanti, i disobbedienti, i sordi, gli spensierati, gl'increduli, li chiamano sogni.

Questo i gatti lo sanno perchè, nella loro città, vivono liberi tutti gli effimeri sogni.
Le ore notturne non sono infestate, nell'affollata città eterna dei gatti, dal nero terrore di perdere il senso del vero.
I gatti vivono liberi.
Il vero, pei gatti, è il vero degli occhi.
Un odore che arrovella le punte dei baffi.
Un colore che spunta improvviso da un cespuglio fiorito.
Un suono strisciante, un movimento improvviso, una fugace apprensione,l'improvviso chetarsi del temporale che muore.
Anche la città degli uomini, piano, languisce.
Muore annegata nel mesto lago dei pensieri perduti.
Affollato di guizzanti schegge d'inferno, raggi di luna distorti che affondano nelle liquide carni annottate del lago.
Fantasmi impazziti che vagolano in cerca di un castello in cui trovare rifugio.
Una torre, le mura, gli arcieri, la sala della tortura.
Il fuoco innaturale del rovente dolore usato per scacciare i dubbi dell'anima.
Una prigione sempre affollata.

La città dei gatti sorge sul fianco del corso di un fiume.
I millenni l'hanno scavata, non stanche mani infelici.
La corrente che scorre, eterna, da infinite distanze, l'accende d'un mormorante canto di vita.
A volte soave a volte impetuoso, lo schiaffo del vento la scuote .
E mentre il ciclo dei soli tutta l'indora, al miagolìo sognante, di notte, s'offre la rotonda beltà della ninfa d'argento.
Pigri, in quel sogno, languono i gatti, fieri della loro città.
Raccontano storie, e sogni, per tutti.
Anche per chi, indifferente, passa di corsa loro davanti.
Io stamattina non avevo voglia di correre.
Lenti i minuti, sulla riva del fiume.
Pochi passi soltanto...
Poi, una magìa, il peso dei pensieri s'è fatto leggero, il tempo sospeso.
Loro mi hanno chiamato.
Non so quanto tempo sono rimasto.
Ho fatto una foto, così, tanto per esser sicuro....

SISSI ARRIVA DA MIMMI

di Roberta Degli Angeli


 Nella casa di Robbi, vive Mimmi, una bella gattina di 4 anni, peccato lei è sorda. Vive in un mondo tutto suo senza suoni, è attenta e vigile capta con le vibrisse, non sempre se è assorta non ti percepisce e fa dei sussulti, all'inizio facevano sorridere, osservandola di più è triste. La mancanza di quel senso Robbi l'ha compresa attraverso lei. Data la menomazione Robbi ha deciso che Mimmi non può uscire, non sentirebbe le macchine, e potrebbe essere investita. Come è successo a uno dei fratelli di Mimmi, lui aveva continuato a vivere nell'azienda agricola dove erano nati non sentendo arrivare il trattore è finito sotto. Osservandola è spesso malinconica, miagola mettendosi davanti allo specchio, Robbi ha pensato: chissà se con un'altra gattina si sentirà meno sola. Un giorno Robbi va a casa di amici, dopo i saluti le fanno vedere i nuovi nati 3 bellissimi gattini, la loro gatta ha partorito lontano dalla sua cuccia, quando si son fatti più grandi li ha portati a casa. Tutti bellissimi questi gattini, due femmine e un maschio, Clara chiede a Robbi, non è che ne vuoi portare a casa uno, in un attimo lei decide. Certo ne porterò a casa uno, però lo vuole femmina, sono un po più quiete per vivere in appartamento, dato che anche questa rimarrà dentro. Tornata a casa, ne parla con il figlio descrivendo la gattina, è bianca con le orecchie rosse, la descrive così bene e con entusiasmo che il figlio non riesce a dire no. Dopo due settimane torna dagli amici con il trasportino, con Clara cercano i micini, con sorpresa sente dire che quello che si pensava maschio invece è l'unica femmina, lui anzi lei è praticamente rossa con solo qualche macchiolina bianca, ora gli si deve cambiare il nome, caricata nel trasportino con mille coccole da parte di tutti per salutarla. Messa in macchina parte verso casa, lungo la strada pensa a Mimmi, chissà come accoglierà la nuova arrivata. Fabi apre la porta con la bramosia di conoscere la nuova arrivata, Mimmi appena vede la nuova arrivata si gonfia come un palloncino, è arrabbiatissima, Robbi non ha il coraggio di appoggiare il trasportino, ma almeno quello prima o poi lo deve fare, la piccola non si muove, miagola piano per farsi conoscere dalla gattina grande. Mimmi non demorde fa sentire miagolii agghiaccianti e con il suo comportamento la vuole spaventare. La guarda con occhi che terrorizzano, Robbi fantastica pensando che la piccola con il miagolio voglia dirle: “ io sono piccola ho lasciato la mamma per venire qui”, sfortunatamente lei non la può sentire, comunque si avvicina annusandola, per conoscere l'intrusa, sfruttando quel senso che la aiuterà a conoscerla, la guarda curiosa vede che è piccola ma certamente la percepisce come rivale. Adesso si spera che Mimmi usi un po di tatto quando si avvicinerà alla piccola. Dopo la visita del veterinario si decide per il nome di Sissi, lui ci consiglia di non lasciarle sole, perché la grande potrebbe usare le unghie ai primi contati e potrebbero farsi davvero molto male, ci consiglia oltre due ciotole diverse, perché mangiare insieme da subito e difficile, la piccola gusta il suo pasto con molto timore, ma Fabi sta in cucina con loro, almeno questa è fatta. Molte notti Sissi le passerà nel trasportino per timore, dato che Robbi e Fabi devono anche dormire. E non solo fare la guardia alle due gatte, ma dopo una settimana ancora si osservano da lontano. Mangiano ancora in ciotole diverse l'umido, ma i croccantini li gustano insieme, anche se le ciotole sono diverse, furbescamente quando una non ce assaggiano i croccantini dell'altra. Il sesto senso fa sperare a Robbi che tra poco diventeranno amiche. Chissà se il suo sesto senso prevarrà nella bontà di Mimmi nell'accettare la piccola Sissi. Lei porta gioia, nei salti e giochi semplici che fa senza ricordare le zampate di Mimmi, alle quali sfugge data la sua velocità....... E' giovane e velocissima.

Cerca nel blog

Archivio blog