di Pietro Perrone
Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.
A volte, si, parli per mezzo del tuono.
E allora è un comando, un ordine, la tua impetuosa volontà.
A volte, invece, è il turbine, la tempesta a portarci il tuo segno.
E così ci regali l’emozione, l’orgasmo, il singulto dell’anima.
Sgorga dalla tua bocca il rombo di una cascata che tutto travolge?
E allora son io fragile stelo in balìa del tuo volubile desìo.
E così sei sempre tu che rendi schiavo il tuo artigiano, gli metti nelle mani lo scalpellino che modella le parole o la sgorbia che scava nei colori.
Sono loro, i tuoi artigiani, ad obbedire al tuo comando di Musa, che modellano nella materia le curve rotonde della tua figura.
Padrona sei tu, che concedi a noi il frutto prezioso del tuo ventre innocente.
L’angelo che annuncia il tuo frutto a questa terra, io vorrei essere.
L’amante tuo, del quale tu ti facesti amante e che possedendoti nel più pieno modo, diventa tua stessa carne.
Vorrei mettere nel tuo seno il seme mio e il seme tuo nel seno mio, e fare di questo giocoso amore il più prezioso dono al mondo.
Amante, sei tu, che non sei figlia di questo terreno mondo, figlia di un mondo che non è fatto di carne e il peccato ignora.
Ed io, amante tuo, per non essere più figlio del terreno mondo e non esser più sola carne e muta voce.
Potente, il tuo richiamo può spazzar via un fuscello d’uomo che per bocca tua parla, come l’uragano sradica il giunco fragile.
Eppur non è per me sollievo il tuo silenzio, nè pace la tua assenza, non calma, e quiete, la tua partita.
Non teme morte il poeta tra le scosse tue che la terra scuotono.
Inver, tra le tue braccia vorrebbe trovar la forza, l’ardito, l’eroe per immortalar nel mondo le sue avventure.
E così, con altrettanto ardor, io, non bramo altro, amante tuo mi vorrei far.
Non m’è sollievo il silenzio tuo, nè pace mi dà l’assenza tua, non calma, e quiete, la tua partita.
Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.
Nel tuo silenzio è lo sguardo che si cieco si ritira.
La luce che fiamma non accende.
Il colore che non tinge alto il cielo.
L’armonia che non vibra sulle corde della lira.
La forma che non abbraccia la materia.
La parola che, muta, diventa solitaria e persa.
Il tuo silenzio, se io non t’amassi tanto, sarebbe dolorosa solitudine.
Lontananza che sperde e che confonde.
Ma io so che quel silenzio è il ventre tuo.
Da quello nasceran i figli tuoi.
Da me, che fama mi daran.
Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.
A volte, si, parli per mezzo del tuono.
E allora è un comando, un ordine, la tua impetuosa volontà.
A volte, invece, è il turbine, la tempesta a portarci il tuo segno.
E così ci regali l’emozione, l’orgasmo, il singulto dell’anima.
Sgorga dalla tua bocca il rombo di una cascata che tutto travolge?
E allora son io fragile stelo in balìa del tuo volubile desìo.
E così sei sempre tu che rendi schiavo il tuo artigiano, gli metti nelle mani lo scalpellino che modella le parole o la sgorbia che scava nei colori.
Sono loro, i tuoi artigiani, ad obbedire al tuo comando di Musa, che modellano nella materia le curve rotonde della tua figura.
Padrona sei tu, che concedi a noi il frutto prezioso del tuo ventre innocente.
L’angelo che annuncia il tuo frutto a questa terra, io vorrei essere.
L’amante tuo, del quale tu ti facesti amante e che possedendoti nel più pieno modo, diventa tua stessa carne.
Vorrei mettere nel tuo seno il seme mio e il seme tuo nel seno mio, e fare di questo giocoso amore il più prezioso dono al mondo.
Amante, sei tu, che non sei figlia di questo terreno mondo, figlia di un mondo che non è fatto di carne e il peccato ignora.
Ed io, amante tuo, per non essere più figlio del terreno mondo e non esser più sola carne e muta voce.
Potente, il tuo richiamo può spazzar via un fuscello d’uomo che per bocca tua parla, come l’uragano sradica il giunco fragile.
Eppur non è per me sollievo il tuo silenzio, nè pace la tua assenza, non calma, e quiete, la tua partita.
Non teme morte il poeta tra le scosse tue che la terra scuotono.
Inver, tra le tue braccia vorrebbe trovar la forza, l’ardito, l’eroe per immortalar nel mondo le sue avventure.
E così, con altrettanto ardor, io, non bramo altro, amante tuo mi vorrei far.
Non m’è sollievo il silenzio tuo, nè pace mi dà l’assenza tua, non calma, e quiete, la tua partita.
Non odo più la tua voce, il tuo canto.
Quando tu taci, mia nobile Musa, nel silenzio s’arresta l’infinito moto dell’aria e l’indomita corsa dei raggi di sole si ferma, la circolare rivoluzione degli astri nei celesti spazi celesti, repente, s’arresta.
Oh, ma non è quiete di morte, no!
Non è quel nulla che consuma tutto e il Tutto annienta, tutto rende per sempre Vano.
No!
Il tuo silenzio è sospension del tempo, intervallo, fiduciosa attesa.
Il creato intero si ferma in ascolto.
Disteso, certo, sicuro.
Domani di nuovo ci giungerà della tua voce la lontana eco.
Nel tuo silenzio è lo sguardo che si cieco si ritira.
La luce che fiamma non accende.
Il colore che non tinge alto il cielo.
L’armonia che non vibra sulle corde della lira.
La forma che non abbraccia la materia.
La parola che, muta, diventa solitaria e persa.
Il tuo silenzio, se io non t’amassi tanto, sarebbe dolorosa solitudine.
Lontananza che sperde e che confonde.
Ma io so che quel silenzio è il ventre tuo.
Da quello nasceran i figli tuoi.
Da me, che fama mi daran.
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