Buongiorno, oggi è il 3 gennaio.
Il 3 gennaio 1925 Benito Mussolini pronuncia alla Camera dei Deputati il discorso che di fatto sancisce la nascita della dittatura fascista in Italia.
Quel 3 gennaio è una data che ha profondamente e irrimediabilmente segnato la storia dell’Italia. Quel giorno di oltre 90 anni fa Benito Mussolini, all’epoca capo del governo del Regno d’Italia, con un discorso che tiene alla Camera getta la maschera e sospende di fatto ogni garanzia costituzionale, assumendo tutti i poteri su di sé. Quel giorno ha inizio per il nostro paese la dittatura fascista. Quel giorno, con tutti gli eventi terribili che vi concorsero, è uno di quei giorni del nostro passato da non dimenticare, perché se si vuole costruire il futuro bisogna avere memoria del passato per cercare di evitare errori e atrocità.
Per capire la portata devastante di quel che accadde bisogna tornare indietro fino al 18 novembre del 1923 quando entra in vigore la Legge Acerbo, dal nome di Giacomo Acerbo, il deputato che ne aveva redatto il testo. Il ddl, che modificava le regole elettorali e che era stato voluto da Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare, viene approvato dal Consiglio dei ministri da lui presieduto il 4 giugno del 1923. Il 9 giugno viene presentato alla Camera e sottoposto all’esame di una commissione, detta dei “diciotto”, composta da Giovanni Giolitti (con funzioni di presidente), Vittorio Emanuele Orlando per il gruppo della “Democrazia” e Antonio Salandra per i liberali di destra (entrambi con funzioni di vicepresidente), Ivanoe Bonomi per il gruppo riformista, Giuseppe Grassi per i demoliberali, Luigi Fera e Antonio Casertano per i demosociali, Alfredo Falcioni per la Democrazia Italiana nittiani e amendoliani), Pietro Lanza di Scalea per gli agrari, Alcide De Gasperi e Giuseppe Micheli per i popolari, Giuseppe Chiesa per i repubblicani, Costantino Lazzari per i socialisti, Filippo Turati per i socialisti unitari, Antonio Graziadei per i comunisti, Raffaele Paolucci e Michele Terzaghi per i fascisti e Paolo Orano per il gruppo misto (in realtà era anche lui fascista).
La proposta di Acerbo mirava a cambiare il sistema proporzionale in vigore da 4 anni, integrandolo con un premio di maggioranza, che sarebbe scattato in favore del partito più votato che avesse anche superato il quorum del 25%, aggiudicandosi in tal modo i 2/3 dei seggi. La commissione approva il disegno di legge nel suo impianto originale. In aula le opposizioni tentano di modificarlo, sostenendo l’emendamento presentato da Bonomi, che proponeva di alzare il quorum per lo scatto del premio di maggioranza dal 25% al 33% dei voti espressi. Ma il tentativo fallisce, anche per la rigida posizione assunta dal governo, che, opponendo la fiducia, riesce a prevalere. Il 21 luglio il ddl Acerbo viene approvato con 223 sì e 123 no. A favore si schierano il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare, la stragrande maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari di tendenze liberali e la quasi totalità degli esponenti della destra, fra i quali Antonio Salandra. Negano il loro appoggio i deputati dei gruppi socialisti, i comunisti, la sinistra liberale e quei popolari che facevano riferimento a don Sturzo. La riforma ottiene anche l’approvazione del Senato del Regno, con 165 sì e 41 no.
Con questo sistema il 6 aprile 1924 l’Italia va alle urne. ll Listone Mussolini raccoglie il 60,09% dei voti (il premio di maggioranza era scattato, come prevedibile, per il Pnf): i fascisti trovano il modo di limare anche il numero di seggi garantiti alle minoranze, partecipando alla i spartizione mediante una lista civetta (la lista bis) presentata in varie regioni, che si aggiudica altri 19 seggi. Le opposizioni di centro e di sinistra riescono a mandare in parlamento soltanto 161 rappresentanti, nonostante la maggioranza ottenuta al Nord con 1.317.117 voti contro 1.194.829 di voti del Listone.
Lo storico Giovanni Sabbatucci sostiene che l’approvazione di quella legge fu un classico caso di ‘’suicidio di un’assemblea rappresentativa”, accanto a quelli “del Reichstag che vota i pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933” o a quello “dell’Assemblea Nazionale francese che consegna il paese a Petain nel luglio del 1940″. La riforma, secondo Sabbatucci, fornì all’esecutivo “lo strumento principe – la maggioranza parlamentare – che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta ». Una tesi che condividiamo pienamente”.
I risultati di quelle elezioni farsa furono contestati in un famoso discorso pronunciato alla Camera il 30 maggio 1924 dal deputato socialista Giacomo Matteotti, che denunciò brogli, soprusi e violenze ai candidati dell’opposizione ai quali, disse, non era stata lasciata alcuna libertà di esporre il proprio pensiero. Come era accaduto all’onorevole Giovanni Amendola, il cui comizio a Napoli era stato impedito da bande armate e a molti altri. Il j’accuse di Matteotti è lungo e circostanziato. Ma è anche la sua condanna a morte: il 10 giugno il parlamentare socialista viene rapito e ucciso da una banda di squadristi fascisti guidata da Amerigo Dumini. Ma tra le varie ricostruzioni del caso Matteotti ce n’è un’altra basata su quanto venne pubblicato all’epoca dei fatti dalla stampa britannica e su posteriori dichiarazioni di Dumini, una ricostruzione che comunque non assolve affatto Mussolini, secondo la quale il deputato socialista sarebbe stato ucciso perché si accingeva ad accusare pubblicamente i vertici del governo e della monarchia di corruzione, per tangenti ottenute dalla compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil per ottenere la concessione allo sfruttamento del sottosuolo italiano. Concessione che Mussolini aveva dato proprio nei primi mesi del 1924 ma che poi misteriosamente revocò nel novembre dello stesso anno.
Il 13 giugno Mussolini in un intervento a Montecitorio, dichiara la propria estraneità al caso Matteotti e conferma il pieno impegno del governo a condurre indagini a tutto campo.
Il 18 giugno il segretario amministrativo del Partito nazionale fascista, Giovanni Marinelli, viene arrestato per complicità nel delitto Matteotti.
Il 25 giugno Camera e Senato confermano la fiducia al Governo Mussolini.
Il 27 giugno i parlamentari dell’opposizione guidati da Amendola decidono di non partecipare più ai lavori del parlamento finché un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche. E’ l’inizio dell’ Aventino (dal nome del colle sul quale – secondo la storia romana – si ritiravano i plebei nei periodi di conflitto con i patrizi), una protesta che ebbe carattere solo morale, essendo state bocciate tutte le proposte comuniste di azione diretta e di appello alle masse.
Il 1° luglio Mussolini compie un rimpasto del suo Governo: i Ministri dell’istruzione Giovanni Gentile, dei lavori pubblici Gabriello Carnazza e dell’economia nazionale Orso Maria Corbino vengono sostituiti. L’8 luglio entra in vigore il Regio decreto-legge 15 luglio 1923, n. 3288, che restringe fortemente la libertà di stampa.
Il 16 agosto viene ritrovato il corpo di Matteotti. Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando e Amendola si appellano al re affinché destituisca Mussolini. Ma Vittorio Emanuele III risponde citando lo Statuto Albertino: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e le mie orecchie sono il Senato e la Camera». E non interviene.
Le condanne morali seguite al delitto Matteotti non sortiscono alcun effetto. Il fascismo non viene messo in crisi, ma anzi passa al contrattacco. In quei mesi del 1924 verranno cancellati in Italia “non una democrazia mai esistita – scrive Edmo Fenoglio, regista del “Caso Matteotti”, di Franco Cuomo, storico testo teatrale messo in scena nell’aprile del 1968- ma i barlumi di un vivere civile che il Risorgimento prima e la grandi battaglie sociali poi erano riusciti ad accendere. Ha vinto il lungo sonno. Ché il fascismo proprio questo è stato: il lungo sonno della ragione”.
Così si si arriva al giorno del golpe, al giorno dell’atto costitutivo del fascismo, come lo hanno definito gli storici. Mussolini è con le spalle al muro: da un lato dopo la diffusione del Memoriale di Cesare Rossi vice segretario del Partito Fascista costretto alle dimissioni per il suo coinvolgimento nell’omicidio Matteotti, rischia di finire alla sbarra, dall’altro è nel mirino del suo stesso partito, che stanco dei suoi tentennamenti, fa pressione per un giro di vite. E decide di giocare la carta del tutto per tutto. Si presenta alla Camera e scioglie ogni indugio.
Nel suo discorso Mussolini respinge le accuse contenute nel Memoriale di Rossi di aver creato una polizia segreta, simile alla Ceka bolscevica; si assume la responsabilità politica morale e storica di quanto è avvenuto nei mesi precedenti; definisce l’Aventino una “secessione anticostituzionale”, “nettamente rivoluzionaria”; si dichiara pronto a ricorrere alla forza e minaccia di scatenare quei gruppi del fascismo che spingono per eliminare ogni forma di opposizione; rivendica gli sforzi compiuto per la normalizzazione e per la repressione di ogni illegalità; assicura che nelle 48 ore successive “la situazione sarà chiarita su tutta l’area”. Si dimettono i ministri Alessandro Casati (Istruzione) Gino Sartocchi (Lavori pubblici) e Aldo Oviglio (Giustizia). Nella notte stessa, viene diramata una circolare ai prefetti nella quale si proibisce lo svolgimento di manifestazioni; si impone il massimo controllo a organizzazioni, circoli, gruppi sospetti da un punto di vista politico e si ordina lo scioglimento di formazioni che possono essere considerate sovversive. Inoltre i prefetti vengono invitati ad applicare con rigore assoluto il decreto legge contro “gli abusi della stampa periodica”, viene attribuito il potere di sequestrare il giornale che diffondesse “notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. Il giorno dell’Epifania il ministro dell’Interno Luigi Federzoni fa il primo bilancio di questo provvedimento: 55 circoli chiusi o sciolti; 150 esercizi pubblici chiusi; 25 organizzazioni sciolte; 125 gruppi dell’associazione antifascista sciolti; 111 arresti; 655 perquisizioni. Ha inizio la dittatura. Il 14 gennaio la Camera approva in blocco e senza discussione moltissimi decreti legge emanati dal governo, poi denominati leggi fascistissime. E’ solo il primo atto di una dittatura destinata a durare 20 anni.
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