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mercoledì 14 marzo 2012

#Economia #Massimo Giannini #Grecia #Europa #default


LA GRECIA È SALVA, L’EUROPA NON ANCORA

MASSIMO GIANNINI
Alla fine, le tanto esecrate «tecnocrazie» hanno fatto quello che dovevano. Ci hanno messo tre anni. Ma alla fine la Grecia l’hanno quasi salvata. Il grande successo dell’operazione swap sui titoli del debito pubblico di Atene scongiura il pericolo di un default incontrollato, che avrebbe finito per travolgere l’intera Eurozona. Banche e istituzioni finanziarie, dopo aver bellamente lucrato aiuti pubblici e plusvalenze private, si sono convinte che è meglio portare a casa un’entrata certa oggi, sia pure svalutata del 53,5%, piuttosto che inseguire una scommessa incerta, che avrebbe finito per azzerare i guadagni di tutti. Dunque, cinici e opportunisti quanto si vuole, ma alla fine i creditori privati hanno fatto la loro parte.
La stessa cosa si può dire per la Bce. Stretta tra l’ortodossia monetaria della Bundesbank e la schizofrenia comunitaria dei governi, l’Eurotower è riuscita a fare almeno l’unica cosa sensata. Con la duplice maxioperazione di rifinanziamento da 1.000 miliardi, Mario Draghi ha messo in sicurezza il sistema bancario di Eurolandia per un triennio. Un’iniezione di liquidità fin troppo generosa con le banche, visto lo spread enorme tra l’interesse sul prestito contratto e quello sull’impiego in titoli. Ma insomma: è il prezzo da pagare per evitare il fallimento di qualche dozzina di istituti di credito grandi e piccoli. Siamo sempre nella logica della «riduzione del danno». Semmai la Bce ora deve vigilare sulla quantità di denaro che attraverso il doppio «Ltro» rifluisce sul sistema produttivo, e non resta chiuso nei caveau delle banche, come troppo spesso è accaduto.
A questo punto, per uscire davvero dalla «zona pericolo», serve che anche l’Europa politica faccia quel che deve. In tre direzioni. La prima è il famoso «Firewall»: il Fondo SalvaStati va decisamente rimpinguato, per evitare che altri Paesi periferici contraggano la sindrome ateniese. La seconda è lo strumento degli eurobond: piaccia o no alla Cancelliera di ferro in campagna elettorale, anche questa è un’arma di cui l’Eurozona si deve dotare, per trasformare il debito dei singoli nel debito di una «comunità di destino». La terza è la convergenza delle politiche fiscali. Molto di più del «Fiscal compact», perché non si può limitare al pur necessario rispetto dei vincoli di bilancio, ma si deve estendere alle strategie sulla crescita. Il solco l’ha tracciato la lettera dei Dodici, di cui Monti è stato tra i primi firmatari.
Si riparta da lì. A questo punto, senza se e senza ma. È un’urgenza e un’emergenza per tutti. E soprattutto per l’Italia, che sconta il crollo della produzione industriale a gennaio, il nuovo boom della Cassa Integrazione, l’ulteriore caduta dei consumi di beni durevoli. Se la Grecia forse è salva, l’Europa non lo è ancora. E l’Italia meno che mai.
Dalla rassegna stampa del 14.3.2012, curata da Manlio Lo Presti

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