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sabato 25 maggio 2013

IL SUONO DELL'ANIMA

di Alessandro D'Ausilio




 Luci di altri tempi, quelle dei lampioni sulle strade bagnate dal catrame luccicante.
 Scarpe di altri tempi, quelle lucidate dagli sputi dei garzoni con i capelli oleati di sudore e le mani nere di carbone e di dolore.
 Bombette e pince nez di altri tempi, oggetti e accessori d’abbigliamento di un passato troppo lontano;gli anni venti o forse i trenta.
 Martin era quel luogo, o meglio, quel luogo era Martin, fino a non sapere più cosa distinguesse l’uno dall’altro.
 Si dice che nessuno l’abbia mai visto camminare e che nessuno abbia ascoltato una voce che non fosse quella del suo strumento, un pianoforte nero come l’asfalto posato su una piattaforma intarsiata di faretti;
 Un cielo da guardare con la testa verso basso.
 Su quella piattaforma Martin costruiva la sua vita.
 Componeva armonie di suoni rilassanti.
 Era un continuo orgasmo di note; prima stridule poi tenuemente sfumate fino a confonderle nel suono di qualcosa molto simile alla passione che travolge e sconvolge quasi senza far rumore.
Le sue mani non si separavano mai dal tappeto di tasti di quel pianoforte.
Sembrava che le corde non si usurassero mai nel tempo perché il suo tocco era della stessa sostanza della seta e le sue mani attente come quelle di un chirurgo; dita attente a non far male chi poi ti concede così tanto di se stesso e senza nessuna riserva.
 - Suonerà fin quando lei non verrà.
 Era la voce di Liam rovinata dall’assenzio.
 - Suonerà perché lei possa sentire e finalmente innamorarsi;
 Innamorarsi del suono della sua anima, che mai riuscì a raccontare quando giovani si conobbero.
 - Udrà in quella cassa gonfia di corde muoversi il mio amore, salire nell’aria, farsi spazio tra il fumo di qualche sigaretta, dribblare il profumo di qualche donna di classe, poi combattere il vuoto, abile nel creare la distanza, e poi finalmente la vedrò.
 La vedrò avvicinarsi lentamente al mio tavolo su cui servono solo pietanze condite di suoni e armonie, suonerò il suo corpo con lo stesso impeto della mia migliore composizione e le urlerò forte tutto il mio amore.
 Questa era la voce di Martin che nessuno sentì ma che tutti immaginarono in quegli anni in cui ascoltarono solamente la sua anima, senza le barriere delle parole, ma senza capire in fondo cosa stesse dicendo realmente.
 Si chiedevano tutti quando avrebbe smesso di suonare.
 In fondo tutti avevano condiviso quell’amore, tutti avevano avvertito la passione e la malinconia, l’assenza e la presenza, il dolore e la speranza, racchiusa in un volto senza lineamenti, un volto confuso a volte come la sua musica.
 Forse aveva dimenticato persino lei, la musica s’intende, il volto della sua Musa e cercava fiducia nelle mani di Martin, vuote per anni di un contatto carnale, private per anni di stringere forte la pelle di una donna, quella donna, la Donna della sua vita.
 Così si innamoravano tutti del suono del suo nome, pronunciato tra gli accordi sospirati.
 Provavano a costruire i lineamenti del suo viso e sorridevano di gioia nel vederla nei volti delle loro mogli o delle loro amanti.
 Annusavano il suo profumo mentre sorseggiavano un bicchiere di buon vino. Immaginavano di stringere le sue gote, due amanti stretti in un lento.
 Immaginavano di baciare la sua bocca, due amanti stretti in un lento ormai interrotto.
 Immaginavano di vederla entrare ogni volta che Martin improvvisamente si fermava; un respiro ansioso, poi ripartiva spedito come un treno silenzioso tra le valli della notte.
 Non alzava mai lo sguardo se non per guardare l’orologio in legno e poi lo abbassava per guardare gli ultimi accordi posarsi sullo strumento.
 Poi spegnevano i faretti, chiudevano le porte e Martin riposava con tutto il locale, sempre seduto nella stessa posizione, lacerato da un attesa estenuante ed Eterna.
 Martin riposava con i lampioni, con il catrame luccicante sull’asfalto, con le panchine stanche di ospitare, con le note che ultime salivano in cielo per depositarsi su nuvole di melodie e poi piovere l’indomani sul mondo che le attende per non perdere la fantasia.
 Non ci sono giorni speciali, i giorni sono formati da ventiquattro ore, circa millequattrocentoquaranta minuti oppure tremilaseicento secondi.
 Il tempo è uno solo ed è in grado di smarrire la moltitudine dei suoi braccianti attraverso il suo passato che amalgama i ricordi come se anche loro fossero uno solo.
 Martin quella sera non smise di suonare.
 Erano le dieci e Martin stava parlando alla gente come suo solito.
 All’improvviso tutti la videro.
 Entrò finalmente.
 Nel suo abito ricamato di fori e chiavi di violino tutti compresero la sua identità.
 - L’ha raccontata proprio bene!
 Raccontava sottovoce Jane al suo amico, mentre tutti erano catturati dall’andamento lento della donna.
 Nel suo abito, adesso grigio e adesso blu, la bella attesa sorseggiava un bicchiere di vino fresco; si infrangeva su quelle labbra come se fosse tempesta violenta causata dal vento del suo andamento.
Incantato dal suo viso Martin smise di suonare.
 - Diglielo MARTIN.
 Liam pensava tra se con la sua stessa voce, annegata nell’assenzio.
 Lei si avvicinò.
 Martin tese la mano.
 Lei la strinse mentre posava il calice sul suo piano.
 Nessuno aveva mai osato tanto.
 - Ti prego suona ancora per me. Disse con una voce familiare a tutti i presenti.
 Martin suonò e la vide danzare.
 La vide allontanarsi dalla sua anima, dopo essersi fatto violentare nell’attesa di un suo bramato bacio.
 Posato sul suo abito ricamato adesso adagiava un altro uomo, non curante della musica su cui muoveva i suoi passi e sui quali avvolgeva il corpo che Martin per anni aveva amato.
 Iniziarono tutti a piangere e Martin perse la voce piano piano.
 La sentirono tutti, prima un po’ rauca, poi debole e infine spegnersi in emissioni di fiato prive di forza sulle corde vocali di un piano improvvisamente refrattario verso le emozioni del pianista.
 Tutti videro i tasti colorarsi di rosso e quell’abito sgonfiarsi della sostanza di un uomo.
 Si sentiva solo una musica in dissolvenza, sempre più lontana , sempre più lontana, fino a non sentirsi più.
 Quella sera salutarono tutti Martin.
 Squarciò la sua anima pur non gridando mai il suo amore a chi violentò il suo cuore come fa un calice di vino posato sulle corde di un pianoforte. (Udito)

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