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domenica 18 marzo 2012

Ti fa sentire proprio frollo, ti fa #Anthony Burgess #Arancia meccanica #citazione

- Ti fa sentire proprio frollo, ti fa, - disse Pete. Si locchiava benissimo che al povero vecchio Bamba non gli quadrava mica tanto, ma non disse nulla per paura d'esser considerato un pivello micco e tonno. Be', ce ne andammo all'angolo di Attlee Avenue, dove c'era questo negozio di dolci e cancerose ancora aperto. Erano quasi tre mesi che li lasciavamo in pace e tutto sommato il quartiere era piuttosto tranquillo, quindi non c'erano molte pattuglie di rozzi o cerini in giro essendo tutti piú a nord del fiume in quei giorni. Ci mettemmo le maschere - erano delle novità cinebrivido fatte proprio alla perfezione; erano tutte facce di personalità storiche (ti dicevano il nome quando le compravi) e io avevo Disraeli, Pete aveva Elvis Presley, Georgie aveva Enrico VIII e il povero vecchio Bamba aveva un martino poeta chiamato Pibi Shelley, ed era un travestimento che sembrava vero, capelli e tutto, e di una specialissima trucca plastica che potevi arrotolarla quando avevi finito e nasconderla dentro lo stivale - poi tre di noi entrarono dentro e Pete restò fuori a far antenna, non che ci fosse molto da preoccuparsi ma comunque. Appena planammo nel negozio ci dirigemmo verso Slouse che era il gestore, una grossa gelatina di manzo che locchiò subito l'aria che tirava e fece per correre nel retro dove c'era il telefono e forse anche la sua forosa ben oliata, completa di sei sporchi colpi.



 Ma Bamba fu dietro al bancone guizzo come un uccello, mandando i pacchetti di taba a sfasciarsi sopra un grosso cartellone di una quaglia che faceva flash agli avventori con tutti gli zughí, e con i tuberi che quasi cascavano di fuori, per reclamizzare qualche nuova marca di cancerose. Allora si locchiò una specie di grossa palla rotolare nel retro dietro la tenda, ed erano Bamba e Slouse come incatenati in una lotta mortale. Poi dietro la tenda si snicchiò ansimare e rantolare e scalciare, e trucche che cascavano, e bestemmiare, e poi tutto un crash crash crash di vetri. Mamma Slouse, la moglie, stava come impietrita dietro il bancone. Si capiva che avrebbe scricciato a piú non posso se gliene davi l'occasione, cosí piombai dietro quel banco guizzo guizzo e l'acchiappai, ed era un gran bidone cinebrivido, tutta sniffiosa di profumo e con dei grossi tuberi flipflop tutti sballonzolanti.



 Le misi una granfia sul truglio per impedirle di mugghiare morte e distruzione ai quattro venti, ma questa cucciolona mi ci dette un accidenti di morsaccio lurido e cosí fui io che scricciai, e lei se ne venne fuori con un flipposo urlo per i rozzi che era una bellezza. Allora si dovette festarla perbenino con uno dei pesi della bilancla e poi le feci una bella carezza con un piede di porco che tenevano per aprire le casse, e quello fece uscire il rosso come un vecchio amico.



Cosí adesso era per terra e le demmo una strappatina alle palandre tanto per divertirci e una piccola stivalata perché smettesse di lamentarsi. E, locchiandola là distesa con i tuberi all'aria, mi chiesi lo faccio o non lo faccio, ma quello era per piú tardi nella serata. Poi ripulimmo la cassa - quella cupa c'era un flipposo bottino cinebrivido - e dopo esserci serviti delle migliori cancerose piú super che c'erano, ce n'andammo, fratelli.





Anthony Burgess, Arancia meccanica, Torino, Einaudi, 1999 (1969),    da:  http://tecalibri.altervista.org/B/BURGESS-A_arancia.htm


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