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lunedì 19 marzo 2012

Il #cervello rimane l'arma più pericolosa del mondo #Grangé Jean-Cristophe #L'impero dei lupi #psichiatria #citazione

Psicosi paranoica.
La diagnosi era chiara. Anna Heymes sosteneva di esser stata manipolata dal marito e da Eric Ackermann, nonché da uomini delle forze di polizia francesi. Diceva di aver subito, a propria insaputa, un lavaggio del cervello che l'aveva privata di una parte della memoria. Di essere stata sottoposta a interventi di chirurgia estetica che le avevano modificato il viso. Non sapeva né come né perché, ma era stata vittima di un complotto, di un esperimento che aveva mutilato la sua personalità.
Le aveva spiegato tutto questo con un tono affannato, brandendo la sigaretta come la bacchetta di un direttore d'orchestra. Mathilde l'aveva ascoltata pazientemente, notando a ogni passaggio la sua magrezza: l'anoressia poteva essere sintomo di paranoia.

Fulvio Rosapane, Derealizzazione

Anna Heymes aveva poi finito di raccontare una storia che non stava né in cielo né in terra. Aveva scoperto la macchinazione quel mattino stesso, in bagno, notando delle cicatrici in faccia, mentre il marito si preparava a portarla nella clinica di Ackermann.
Era scappata dalla finestra, era stata inseguita da poliziotti in borghese, armati fino ai denti, equipaggiati di ricetrasmittenti. Si era nascosta nella chiesa ortodossa, poi si era fatta radiografare il volto all'ospedale Saint-Antoine per avere una prova tangibile della sua operazione. Infine aveva vagabondato fino a sera, aspettando il buio per rifugiarsi presso la sola persona in cui aveva fiducia: Mathilde Wilcrau. Ecco tutto.
Psicosi paranoica.
All'ospedale Sainte-Anne, Mathilde aveva curato centinaia di casi analoghi. La prima cosa da fare era calmare la crisi. A forza di parole di conforto, era riuscita a iniettare alla giovane donna cinquanta milligrammi di Tranxene intramuscolo.

Henri Matisse, Il Destino

Ora, Anna Heymes dormiva sul divano. Mathilde stava seduta dietro la scrivania, nella sua posizione abituale.
Avrebbe dovuto telefonare a Laurent Heymes. Avrebbe potuto occuparsi di persona del ricovero di Anna all'ospedale, o avvisare direttamente Eric Ackermann, il medico curante. Nel giro di qualche minuto tutto sarebbe stato sistemato. Un semplice affare di routine.
E allora perché non chiamava? Da più di un'ora stava là, senza alzare il telefono. Osservava i frammenti di mobili che luccicavano nell'oscurità, alla luce della finestra. Erano anni che Mathilde era circondata da quei pezzi d'antiquariato in stile rococò; oggetti acquistati per la maggior parte da suo marito e per i quali si era battuta al momento del divorzio. In un primo momento per rompergli le scatole; poi, se n'era resa conto, per conservare qualcosa di lui. Non si era mai decisa a venderli e ora viveva in un santuario. Un mausoleo pieno di vecchie cose lucenti che le ricordavano i soli anni che avevano contato veramente.
Psicosi paranoica. Un vero caso da manuale.



Salvo il fatto che c'erano quelle cicatrici. Quelle linee che aveva visto sulla fronte, sulle orecchie e sul mento della giovane donna. Aveva persino sentito, sotto la pelle, le viti e gli impianti che sostenevano la struttura ossea del viso. Cucita sulla faccia, Anna Heymes portava una vera e propria maschera. Una crosta di pelle, lavorata, suturata, che dissimulava le sue ossa spezzate e i suoi muscoli atrofizzati.
Era possibile che dicesse semplicemente la verità? Che degli uomini, dei poliziotti per di più, le avessero fatto subire un simile trattamento? Che le avessero fracassato le ossa della faccia? Che le avessero manomesso la memoria?
In quell'affare c'era poi un altro elemento che la turbava: la presenza di Eric Ackermann. Si ricordava di quel tipo, rosso di capelli, dal viso deturpato da macchie e dall'acne. Uno dei suoi numerosi spasimanti all'università, ma soprattutto uno dall'intelligenza particolare, quasi un esaltato.
All'epoca era appassionato dal cervello e dai «viaggi interiori». Aveva seguito gli esperimenti di Timothy Leary sull'LSD, all'università di Harvard, e con quel metodo pretendeva di esplorare regioni sconosciute della coscienza. Consumava ogni sorta di droga psicotropa, analizzando i suoi stessi deliri. Arrivava persino a mettere di nascosto dell'LSD nel caffè degli altri studenti, solo «per vedere». Mathilde sorrise ricordando quei deliri. Tutta un'epoca: il rock psichedelico, le contestazioni, il movimento hippy...
Ackermann prediceva che un giorno le macchine avrebbero permesso di viaggiare all'interno del cervello e di osservare la sua attività in diretta. Il tempo gli aveva dato ragione. Lui stesso era diventato uno dei migliori specialisti in materia, grazie a tecnologie come la camera a positroni e la magnetoencefalografia.


http://morskaya.deviantart.com/art/Positrone-girl-90158456

Era possibile che avesse condotto un esperimento sulla giovane donna?
Cercò nella sua agenda i recapiti di una studentessa che, nel 1995, aveva seguito le sue lezioni alla facoltà del Sainte-Anne. Al quarto squillo, qualcuno rispose.
«Valérie Rannan?»
«Sono io.»
«Sono Mathilde Wilcrau.»
«La professoressa Wilcrau?»
Erano passate le undici di sera, ma il tono era attento.
«La mia chiamata le sembrerà senza dubbio strana, soprattutto a quest'ora...»
«Cosa vuole?»
«Volevo solo farle qualche domanda, sa, sulla sua tesi di dottorato. Il suo lavoro verteva sulle manipolazioni mentali e l'isolamento sensoriale?»
«All'epoca non sembrava interessarle molto.»
Mathilde colse in quella risposta un'inflessione aggressiva. Aveva rifiutato di dirigere il lavoro della studentessa. Non credeva in quella ricerca. Per lei, il lavaggio del cervello era piuttosto simile a un fantasma collettivo, a una leggenda metropolitana.



Addolcì la sua voce con un sorriso:
«Lo so. Ero abbastanza scettica. Ma ora ho bisogno di un'informazione per un articolo che sto scrivendo urgentemente.»
«Dica pure.»
Mathilde non sapeva da cosa cominciare. Lei stessa non era sicura di ciò che voleva sapere. Un po' a caso, buttò lì:
«Nell'abstract della sua tesi, lei scrive che è possibile cancellare la memoria di un soggetto. È... Insomma, è vero?»
«Sono tecniche che si sono sviluppate a partire dagli anni Cinquanta.»
«Erano i sovietici che le praticavano, no?»
«I russi, i cinesi, gli americani, tutti. Era una delle poste in gioco fondamentali della Guerra fredda. Annientare la memoria. Distruggere le convinzioni. Modellare le personalità.»
«Quali metodi impiegavano?»
«Sempre gli stessi: elettrochoc, droghe, isolamento sensoriale.»
Ci fu un attimo di silenzio.
«Quali droghe?» riprese Mathilde.
«Io ho lavorato soprattutto sul programma della CIA: il MK-Ultra. Gli americani usavano dei sedativi. Sodio amytal. Clorpromazina.»
Mathilde conosceva quei nomi; l'artiglieria pesante della psichiatria. Negli ospedali, quei prodotti passavano sotto la voce generica di «camicia di forza chimica». Ma, in realtà, si trattava di veri trituratori, di macchine per macinare la mente.

http://miaplacidusedaltriracconti.blogspot.it/2009/10/allucinazioni-bastano-solo-15-minuti-di.html

«E l'isolamento sensoriale?»
Valérie Rannan riprese:
«Gli esperimenti più avanzati si sono svolti in Canada, a partire dal 1954, in una clinica di Montreal. Dapprima gli psichiatri interrogavano le loro pazienti, delle maniache depressive. Le forzavano a confessare delle colpe, dei desideri di cui provavano vergogna. In seguito le rinchiudevano in una stanza completamente buia, di cui non potevano vedere né il pavimento, né il soffitto, né i muri. Poi mettevano loro un casco da giocatore di rugby con delle cuffie nelle quali passavano a ciclo continuo parti scelte delle loro confessioni. Le donne sentivano costantemente le loro stesse parole, i momenti più penosi delle loro confessioni. Le sole pause erano costituite dalle sedute di elettrochoc e dalle cure chimiche del sonno.»
Mathilde diede una breve occhiata ad Anna, addormentata sul divano. Il suo petto si sollevava dolcemente, seguendo il respiro. La studentessa proseguì:
«Il vero condizionamento cominciava quando la paziente non ricordava più né il proprio nome né il proprio passato, quando non aveva più alcuna volontà. Si cambiavano i nastri da ascoltare in cuffia: venivano dati ordini, ingiunzioni ripetute che dovevano modellare la nuova personalità.»
Come ogni psichiatra, anche Mathilde aveva sentito parlare di quelle aberrazioni, ma non riusciva a convincersi della loro esistenza e soprattutto della loro efficacia.
«Quali erano i risultati?» chiese con voce neutra.
«Gli americani sono riusciti solo a ottenere degli zombi. I russi e i cinesi sembrano aver avuto più risultati con metodi più o meno simili. Dopo la guerra di Corea, oltre settemila soldati americani sono tornati a casa totalmente conquistati dai valori comunisti. La loro personalità era stata condizionata.»
Mathilde si massaggiò le spalle; sentiva un freddo sepolcrale risalirle le membra.

Salvador Dalì, Giraffe

«Lei pensa che ci siano ancora oggi dei laboratori che continuano a lavorare in questi campi?»
«Certo.»
«Che genere di laboratori?»
Valérie scoppiò in una risata sarcastica:
«Ma dove vive? Stiamo parlando di centri militari. Tutte le forze armate lavorano sulla manipolazione del cervello.»
«Anche in Francia.»
«In Francia, in Germania, in Giappone, negli Stati Uniti. Ovunque ci siano mezzi tecnologici sufficienti. Ci sono sempre nuovi prodotti. In questo periodo si parla molto di una sostanza chimica, il GHB, che cancella i ricordi delle ultime dodici ore. La chiamano "la droga del violentatore" perché la ragazza drogata non si ricorda di nulla. Sono sicura che attualmente i militari lavorano su questo genere di prodotti. Il cervello rimane l'arma più pericolosa del mondo.»
«La ringrazio, Valérie.»
L'altra parve sorpresa:
«Non vuole delle fonti più precise? Una bibliografia?»
«Grazie. La richiamerò in caso di necessità.»
http://www.only-apartments.it/notizie/ghb-alcool/


(Jean-Christophe Grangé, L'impero dei lupi, Milano, Garzanti, 2010 [2004], p 186 ss.)






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