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martedì 4 giugno 2019

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 4 giugno.
Il 4 giugno 1913 la suffragetta Emily Davison si para per protesta davanti al cavallo di re Giorgio V durante un derby, e viene terribilmente calpestata.
Era decisa, combattiva. Emily Davison era una delle femministe più famose d’Inghilterra, (femministe che allora si chiamavano “suffragette” perché la loro principale battaglia era combattuta per l’ottenimento del suffragio, del voto, alle donne). Il 4 Giugno 1913 va incontro alla morte in modo tanto clamoroso quanto aveva vissuto e portato avanti la sua causa fino ad allora: Emily si getterà davanti ad Anmer, il cavallo del re d’Inghilterra, Giorgio V, in piena corsa nel Derby di Epsom. Verrà calpestata e travolta dal possente animale, che le cadrà addosso procurandole una frattura cranica ed altre gravi lesioni interne. Morirà quattro giorni dopo, senza aver mai ripreso conoscenza. Un’altra vittima di questo incidente fu il fantino del cavallo del re. Si chiamava Herbert Jones. Riportò lui stesso un lieve trauma cranico (mentre il cavallo Anmer non ebbe alcuna grave conseguenza e ritornò presto alle corse), ma fu soprattutto la sua psiche a rimanere segnata. Continuò per lungo tempo, a rivedere il volto della donna che aveva ucciso suo malgrado. Ancora molti anni dopo ne era ancora ossessionato: nel 1928 al funerale di un’altra nota femminista inglese, Emmeline Pankhurst, Jones volle depositare una corona in memoria della stessa Pankhurst “e di Miss Emily Davison”. Nel 1951 lo stesso Jones si suicidò nella propria abitazione con il gas.
Sul gesto e la morte di Emily Davison si fecero a suo tempo svariate congetture. Si arrivò a pensare che la stessa Emily, personaggio assai “scomodo” a quel tempo per l’establishment britannico, non si fosse gettata, ma fosse stata spinta sotto le gambe del cavallo. Questo perché le fu trovato un biglietto ferroviario di ritorno e per un ballo di suffragette previsto per la stessa sera, biglietti che non facevano certo pensare all’intenzione di attuare quel giorno un suicidio-kamikaze. Ma le indagini non trovarono alcun altro riscontro sulla tesi del suicidio “indotto”. Le testimonianze oculari dell’incidente stabilirono comunque che Emily aveva con se la bandiera della Wspu, l’Unione Sociale e Politica delle Donne (Women’s Social and Political Union) alla quale si era iscritta fin dal 1906.
La stessa Emily Davison era diventata famosa già nel 1911, quando, in occasione del censimento, riuscì a nascondersi in un armadio del Palazzo di Westminster, sede del parlamento inglese, in modo da poter indicare su un atto governativo, in questo caso il modulo del censimento, che quella notte una donna era stata nella Camera dei Comuni. In altre parole la certificazione che il tempio maschile della politica inglese non era più “inviolato”. Recentemente a Westminster è stata posta una targa per ricordare l’episodio, con questa scritta: “Questo è il modesto tributo ad una grande donna che si è dedicata ad una grande causa, che non ha vissuto abbastanza per vederla realizzata, ma che ha avuto un ruolo importante nel renderla possibile”.
Ma Emily Davison era un’autentica e risoluta testa calda, e non si limitò a semplici e pacifici gesti dimostrativi. Era infatti già finita in carcere più volte: dapprima per l’aggressione ad un uomo che aveva scambiato per Cancelliere dello Scacchiere, David Lloyd George; successivamente, pochi mesi prima di morire, per aver attentato con una bomba alla casa in costruzione dello stesso uomo politico. Anche in prigione aveva continuato la sua protesta, attuando uno sciopero della fame. Tutto questo fa comprendere quanto fosse “scomoda” per l’Inghilterra del suo tempo, e quanto fosse ritenuta una autentica bandiera del movimento femminile che stava lottando per la completa emancipazione della donna.

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