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sabato 15 giugno 2019

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 15 giugno.
Il 15 giugno 1920 ebbe luogo il linciaggio di Duluth.
L’ “hate speech”, il “discorso d’odio”, specialmente nelle sue declinazioni razziste e xenofobe si caratterizza per l’invenzione di notizie false che hanno lo scopo di canalizzare la violenza verso determinati gruppi.
Purtroppo spesso alla violenza verbale segue quella fisica, ed è per questo che è importante contrastare culturalmente determinati fenomeni. Per non incorrere in drammatici eventi come quelli che si verificarono a Duluth nel giugno 1920.
Questa cittadina del Minnesota aveva visto negli anni precedenti l’avvicendarsi di importanti flussi migratori provenienti dagli stati del Sud. La maggior parte dei migranti erano persone di colore che le imprese locali utilizzavano come manodopera a basso costo da mettere in concorrenza con i lavoratori bianchi e sindacalizzati. Fenomeno che in quel periodo interessò tutto il Midwest degli Stati Uniti provocando, nel 1919, un ondata di xenofobia e violenza razziale nota come “Red Summer”.
Duluth invece ebbe il suo triste momento di notorietà l’anno seguente, quando dopo l’arrivo del circo Robinson, due giovani locali, Irene Tusken e Jimmie Sullivan, denunciarono di essere stati aggrediti da alcuni facchini di colore, che secondo la loro ricostruzione, avevano anche abusato della ragazza.
La mattina del 15 giugno, il giorno dopo la presunta aggressione, John Murphy, capo della polizia di Duluth fece irruzione nel circo e fermò ben 150 lavoratori, tutti neri.
Sei uomini Elias Clayton, Nate Green, Elmer Jackson, Loney Williams, John Thomas e Isaac McGhie vennero identificati dai due ragazzi e arrestati.
Nel frattempo iniziarono a circolare voci sempre più insistenti e perfino opuscoli che parlavano non solo dello stupro, mai provato, ma addirittura della morte della ragazza dopo le violenze.
Non servì a nulla che il medico di Irene Tusken, dopo averla visitata riferisse che non c’erano tracce di stupro sul suo corpo. Ormai la folla inferocita pretendeva di “fare giustizia”.
Centinaia di persone si concentrarono davanti alla stazione di polizia e senza che lo sceriffo e i suoi opponessero resistenza, prelevarono Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie e dopo un processo farsa li condannarono a morte. Vennero picchiati selvaggiamente e impiccati ad un lampione.
Gli omicidi poi fecero a gara per mettersi in posa nella fotografia che li immortalò sorridere accanto ai corpi martoriati e ormai senza vita.
Il giorno seguente fu mandata la Guardia Nazionale per mettere in sicurezza gli altri sospettati.
Uno di loro fu presto rilasciato, il secondo fu scagionato, mentre il terzo venne condannato in un processo oggi ritenuto privo delle minime garanzie costituzionali.
Nessuno invece fu condannato per il linciaggio di Isaac McGhie, Elmer Jackson e Elias Clayton, che vennero, dopo la morte, completamente riabilitati dall’infamante accusa che gli era stata mossa.

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