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venerdì 29 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 marzo.
Il 29 marzo 1516 a Venezia viene deliberata la creazione del ghetto, il primo in tutta Europa, ove gli ebrei sarebbero stati costretti a risiedere.
La parola ghetto, così diffusa in tutte le lingue, trae origine proprio da qui, dalla parola veneziana “geto”. Anticamente, nel primo medioevo, si trovava infatti in questa parte della città un’antica fonderia (un “geto” in veneziano) che serviva a forgiare le bombarde, i piccoli cannoni delle navi veneziane. Quando, per motivi politici, nel 1516 la Repubblica della Serenissima stabilì per legge che tutti gli ebrei dovessero vivere e risiedere qui, la popolazione proveniva per lo più dall’Europa Centrorientale e fu proprio a causa della loro pronuncia che il termine veneziano “geto”, venne storpiato in “gheto” (letto alla tedesca), originando il termine che oggi usiamo in tutto il mondo.
La presenza ebraica a Venezia è attestata già prima dell’anno mille, anche se bisognerà aspettare il tardo Trecento per poter apprezzare un insediamento consistente e stabile. A poco a poco, nonostante l’alternarsi di permessi e divieti di soggiorno in città, gli ebrei divennero a Venezia un nucleo considerevole e avvertendo la necessità di organizzarne la presenza, il governo della Repubblica, con decreto del 29 marzo 1516, stabilì obblighi e restrizioni per tutta la popolazione ebraica. Si decise così, che tutti, dovessero vivere in una sola zona della città, senza poter uscirne né di notte né durante le festività cristiane.
La zona del ghetto già a quel tempo si presentava come al giorno d’oggi: una piccola isola, circondata da canali, i cui accessi avvengono solo tramite due ponti. In corrispondenza di questi, un tempo, c’erano dei robusti cancelli, che venivano chiusi e sorvegliati di notte, poiché agli abitanti era permesso uscire dal quartiere solo di giorno e con appositi segni distintivi. Se fate attenzione, ancora oggi, si possono vedere i fori dove affondavano i cardini dei cancelli.
L’area del ghetto ebraico è distinta in 3 parti: il gheto vechio, il gheto novo e il gheto novissimo e per quanto possa sembrarci strano il gheto novo è paradossalmente la zona ebraica più antica di Venezia. L’aggettivo vecchio o nuovo non c’entra nulla infatti come anticipato con il periodo storico della zona ma è semplicemente collegato all’età della fonderia (del geto) che vi era ubicata.
Al tempo del decreto, fu infatti, proprio la zona del ghetto nuovo ad essere utilizzata come prima dimora per la popolazione ebraica. Poco tempo dopo, tuttavia, non fu più sufficiente a ospitare tutti e le autorità veneziane si trovarono costrette ad ampliare il ghetto nuovo. Nel 1541 venne aggiunto il ghetto vecchio, concesso ai cosiddetti ebrei Levantini, giunti dalla penisola Iberica e dall’impero Ottomano e nel 1633 venne aperto il ghetto nuovissimo, una piccola area a est del ghetto nuovo, al di là del canale.
Nel campo del gheto novo, incastonato tra le due più antiche sinagoghe veneziane, si trova anche il Museo Ebraico: un piccolo, ma ricchissimo museo fondato nel 1954 dalla Comunità Ebraica veneziana. Il museo visitabile al costo di 8€ è suddiviso in due aree tematiche: la prima dedicata al ciclo delle festività ebraiche ed alla liturgia, contiene libri e manoscritti antichi, manifattura orafa e tessile databile tra il XVI e il XIX secolo e oggetti propri della vita religiosa della comunità; la seconda, racconta la storia del ghetto ebraico e della persecuzione degli ebrei, dalle origini ai campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale, attraverso immagini e oggetti. Aggiungendo pochi euro al prezzo del biglietto è anche possibile visitare con guida alcune delle sinagoghe del ghetto.
Oggi il termine usuraio assume la connotazione negativa che tutti conosciamo, ma un tempo non era così. Nel Medioevo il termine “usura” indicava qualsiasi interesse preteso per prestiti in denaro o in natura.
A Venezia tale attività fu inizialmente svolta dai Cristiani nei Monti di Pietà, quest’ultimi però vennero ben presto considerati contrari ai dettami della religione cristiana e quindi chiusi. La chiusura dei Monti di Pietà rappresentava un importante problema nella città lagunare, in quanto erano numerose le persone che vi facevano uso, per cui tale lavoro venne imposto per legge alla comunità ebraica.
All’interno del ghetto vennero quindi istituiti tre Banchi di Pegno: il Rosso, Verde e Nero, presumibilmente per via del colore delle ricevute che venivano consegnate ai clienti.
Questi tre banchi sopravvissero fino alla fine della Repubblica (1797), poi se ne perse il ricordo. Fortunatamente, oggi è possibile visitare di nuovo uno di questi banchi, il Banco Rosso, che recentemente è stato restaurato e aperto ai visitatori.
Una curiosità: a Venezia, si dice che il termine bancario “andare in rosso”, derivi proprio da questo antico Banco di Pegni veneziano!
Non ci si può accostare all’anima del quartiere ebraico se non partendo dalle sue sinagoghe.
All’ interno del Gheto Novo si possono vedere tre delle cinque sinagoghe del ghetto. La più antica è la sinagoga (o Schola) Tedesca, quella degli ebrei ashkenaziti, che si trova nello stesso edificio del museo ebraico. All’angolo della piazza si trova invece la sinagoga Canton (dell’angolo appunto) e lì vicina la Schola Italiana. Spostandosi nel ghetto vecchio ci sono le due sinagoghe più recenti: quella spagnola e la sinagoga o Schola levantina.
Le sinagoghe del ghetto sono difficilmente riconoscibili dall’esterno, essendo ricavate all’ interno di palazzi preesistenti e si trovano tutte all’ ultimo piano, giacché per religione non può esserci nulla di terreno al di sopra della sinagoga.
La sinagoga è considerata qualcosa di più complesso di un luogo di preghiera. Sono luoghi di aggregazione dove vengono prese le decisioni più importanti per la comunità, si celebrano i passi più importanti per la persona e ci si ritrova per leggere e commentare pezzi del libro sacro, la Torah. Perché le “riunioni” possano avere luogo, è necessario che ci siano almeno 10 uomini presenti. Tutti i presenti possono inoltre leggere pezzi della Bibbia, ma solo il rabbino può commentarli. Le donne che desiderano prender parte a questi incontri possono assistere da una zona separata rispetto agli uomini, in un matroneo sopraelevato o separate da apposite grate.
Se volete calarvi ancor più nello spirito del quartiere e l’ora è quella giusta per una sosta, potreste assaggiare delle specialità tipiche ebraiche presso il ristorante “Gam Gam Kosher”, oppure, per uno spuntino veloce, al “panificio Giovanni Volpe” potrete trovare pane fresco e dolci tipici della tradizione ebraica.
Come segno di rispetto quando si visitano le sinagoghe, è necessario coprirsi il capo con la Kippah, un piccolo cappellino solitamente di stoffa che si trova vicino all’entrata. La popolazione ebraica usa coprirsi la testa non solo nelle sinagoghe, ma anche nella vita quotidiana. Si indossa al mattino con la preghiera del mattino e si toglie  a fine giornata con la preghiera della sera. Ma per quale motivo è tradizione indossare la Kippah? Ecco le parole del rabbino Chabad Abraham Shemtov in risposta al presidente degli Stati Uniti R. Reagan che nel 1984 fece la stessa domanda:
“Signor Presidente, la Kippah per noi è un segno di riverenza. Abbiamo posto la Kippah sul punto più alto del nostro essere – sulla nostra testa, il vascello del nostro intelletto – per ricordare a noi stessi e al mondo che esiste qualcosa che è al di sopra dell’intelletto umano – la sapienza infinita di Dio.”
Nel ghetto, pare che un tempo, ci fosse una certa rivalità tra ebrei di origini diverse. I levantini, ad esempio, gli ultimi arrivati nel ghetto, hanno ricevuto la residenza molto tempo dopo esservi stabiliti. Pare infatti, che gli ebrei “originari”, essendo già il ghetto molto affollato, fecero di tutto, anche con persistenti lettere al doge, per impedire che i levantini ottenessero il permesso di residenza.
LA TORAH che viene letta in sinagoga è scritta rigorosamente a mano, con un inchiostro naturale e con penne speciali che si tramandano da secoli. Chi compie il lavoro di trascrizione, ha un compito sacro e non può sbagliare. Per poter seguire più agevolmente la lettura della Torah in sinagoga, si utilizzano dei bastoncini di argento che segnano il punto a cui si è arrivati con la lettura.

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