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martedì 14 gennaio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 14 gennaio.
Il 14 gennaio 1858 il repubblicano Felice Orsini attentava alla vita dell'imperatore di Francia Napoleone III.
Nato a Meldola il 10 dicembre 1819, fin da piccolo dimostrò un'indole violenta, arrivando ad uccidere a soli 17 anni un uomo di fiducia dello zio con due colpi di pistola, presumibilmente per rivalità in amore.
Successivamente si dedicò quasi completamente all'attività di rivoluzionario, sposando le tesi mazziniane. Fu condannato all'ergastolo per aver fondato una società segreta repubblicana, ma fu liberato per l'amnistia di Pio IX.
Dopo vari tentativi insurrezionali, tutti falliti, fu arrestato dagli austriaci e rinchiuso nel carcere di Mantova, famoso per la sua inespugnabilità.
Orsini fu protagonista di una rocambolesca fuga, nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1856, grazie all'aiuto della facoltosa Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri e ad accompagnarlo in carrozza fino a Genova, da dove s'imbarcò per l'Inghilterra.
L'evasione da una delle fortezze del Quadrilatero, ritenute simboli della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, venne subito ripresa dalla stampa di tutta Europa, anche per l'incidente occorso ai fuggitivi che si tramutò in occasione di scherno verso il proverbiale rigore asburgico. Infatti, l'immediata inchiesta ordinata personalmente dal generale Radetzky, oltre alle complicità interne ed esterne al carcere, appurò che la carrozza con a bordo Orsini e la Siegmund ruppe il timone nel cremonese, davanti al posto di polizia austriaco della fortezza di Pizzighettone. I due vennero soccorsi dai gendarmi che provvidero a sostituire il timone rotto con uno nuovo, preso dai magazzini della fortezza. Dell'episodio si venne a conoscenza per il fatto che la Siegmund, presentatasi con il falso cognome di O'Meara, lasciò una somma per pagare il timone, ma la cosa non era prevista dai regolamenti militari. Il responsabile della contabilità, quindi, inviò un dettagliato rapporto all'amministrazione di polizia per sapere in quale capitolo potesse imputare l'entrata, così svelando che la fuga di Orsini era stata ingenuamente favorita proprio dalla gendarmeria austriaca. Uno dei secondini corrotti, Tommaso Frizzi, trovato in possesso della forte somma di denaro ricevuta, fu condannato a otto anni di carcere duro.
Nel 1857 Orsini ruppe i legami con Mazzini e cominciò a preparare l'assassinio di Napoleone III. Cause scatenanti dell'odio verso il monarca francese furono l'aver affossato la neonata Repubblica Romana e l'avere rotto il giuramento che lo legava alla Carboneria. Per l'occorrenza progettò e confezionò cinque bombe con innesco a fulminato di mercurio, riempite di chiodi e pezzi di ferro, poi divenute una delle armi più usate negli attentati anarchici, col nome di "Bombe all'Orsini".
Raggiunta Parigi con altri congiurati, tra i quali Giovanni Andrea Pieri, Carlo Di Rudio e Antonio Gomez, la sera del 14 gennaio 1858 il gruppetto riuscì a scagliare tre bombe contro la carrozza dell'imperatore, giunta tra ali di folla all'ingresso dell'opéra di rue Le Peletier. L'attentato provocò una carneficina, con 12 morti e 156 feriti, ma Napoleone fu protetto dalla carrozza blindata e rimase illeso, così come l'imperatrice Eugenia, anche se sbalzata sul marciapiede e completamente coperta dal sangue delle vittime. Orsini e i suoi complici, favoriti dal panico scatenatosi, riuscirono a fuggire, ma vennero arrestati dalla polizia poche ore dopo, nei rispettivi alberghi.
Pur non avendo raggiunto l'obiettivo prefissato, l'attentato di Orsini suscitò un'enorme impressione nell'opinione pubblica, offrendo all'imperatore l'occasione per attuare una fortissima azione repressiva, che portò all'arresto di moltissimi esponenti repubblicani francesi, stroncando così l'opposizione politica al proprio regime.
Nel processo che seguì, Orsini e Pieri vennero condannati a morte in quanto colpevoli di avere attentato alla vita del re, mentre agli altri cospiratori fu comminato l'ergastolo.
Dal carcere, senza chiedere la grazia, Orsini scrisse una lettera al sovrano francese, poi diventata famosa, che concluse così:
« Sino a che l'Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell'Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d'un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre. »
Napoleone III fu favorevolmente colpito da questa lettera e ne autorizzò la pubblicazione; i giornali presentarono Orsini come un eroe. Camillo Cavour, vista la popolarità che aveva raggiunto la missiva, sfruttò la situazione per aumentare la sua pressione politica sulla Francia, ed insistere sui Savoia convincendoli della necessità di togliere ai rivoluzionari l'iniziativa per unificare l'Italia.
Felice Orsini venne ghigliottinato a Parigi, insieme a Pieri, il 13 marzo 1858.

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