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venerdì 21 agosto 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 21 agosto.
Il 21 agosto 1911 Vincenzo Peruggia, incredibilmente, riuscì a rubare la Gioconda dal Museo del Louvre.
Quel giorno, in un'afosa mattinata, il Peruggia, un decoratore italiano di umili origini che lavorava proprio al Louvre, uscì dal museo con il quadro della “Gioconda” sotto il braccio, dopo aver architettato un piano diabolico e perfetto per trafugarlo. Il giorno prima infatti, per dotarsi di un alibi convincente, Peruggia aveva organizzato una serata in un caffè con i suoi amici italiani, gozzovigliando fino a tardi, fingendosi ubriaco e prendendo anche una multa per schiamazzi notturni. L'indomani, poco dopo le sette del mattino, il Peruggia uscì di casa senza farsi notare da nessuno, entrò al Louvre riuscendo ad evitare di farsi vedere dal custode (perennemente addormentato), si diresse verso il Salon Carrè dov'era custodita la Gioconda, staccò il quadro dalla cornice, e se lo infilò dentro il giubbotto. Dopo pochi minuti l’imbianchino italiano era di nuovo nell’appartamento che condivideva con il cugino; nascose il dipinto sotto il tavolo dove i due solevano mangiare e si rimise a letto.
Alle nove in punto Peruggia riuscì dal suo appartamento, ridiscese nuovamente le scale, stando questa volta ben attento a farsi notare dalla portinaia (alla quale disse di andare di fretta al lavoro perché la sera prima aveva alzato troppo il gomito e si era svegliato tardi). Una volta arrivato al Louvre (dove effettivamente lavorava in quel periodo) si trovò di fronte al caos più totale.
Il museo era stato chiuso, le autorità erano state già allertate, la polizia però brancolava nel buio; alcuni dicevano che la colpa della “sparizione” era da attibuire ai tedeschi (con i quali, come al solito, i francesi non erano in buoni rapporti), altri pensavano fosse stato un folle o magari un maniaco. La vicenda ebbe anche dei risvolti comici quando si venne a sapere che il sottosegretario alla Belle Arti, il giorno prima del furto, nell'atto di partire per le vacanze, si era raccomandato così ai suoi uomini: “non chiamatemi a meno che il Louvre non prenda fuoco o la Gioconda venga rubata”.
Così quando il sottosegretario ricevette il telegramma lo gettò ridendo, sicuro che fosse stato oggetto di uno scherzo ideato dai suoi collaboratori. Tutta la polizia di Francia era alla ricerca del quadro. Il paradosso venne raggiunto quando lo stesso Prefetto di Parigi andò a perquisire la casa dove abitava il Peruggia (pratica usata per tutte le persone che lavoravano al Louvre), ed oltre a non trovare nessun indizio firmò il verbale della perquisizione sul famigerato tavolo dove era custodito il quadro.
Ancora non si conoscono bene le vicissitudini che occorsero alla Gioconda nei due anni che venne presa in consegna dal Peruggia, e anche riguardo alla stessa figura del decoratore di Dumenza nel corso del tempo si sono avvicendate una moltitudine di ipotesi.
La figlia Celestina, scomparsa alcuni anni orsono, in un'intervista di qualche tempo fa per onorare la figura del genitore dichiarò che il padre era sicuro del fatto che il quadro fosse un bottino di “guerra” di Napoleone (il Peruggia evidentemente ignorava che era stato lo stesso Leonardo, per la considerevole somma di quattromila scudi d'oro, a cedere il ritratto a Francesco I nel 1517), e quindi voleva restituirlo allo Stato Italiano. Inoltre la figlia raccontò che il padre voleva vendicarsi dei francesi che lo prendevano sempre in giro per il suo mandolino e lo deridevano chiamandolo “mangiamaccheroni”.
La storia ormai idealizzata e romanzata del ladro della Gioconda ebbe un triste epilogo: il Peruggia scrisse una lettera firmandosi “Vincent Leonard” ad un antiquario fiorentino (Alfredo Geri), dandogli appuntamento all'albergo “Tripoli e Italia”, per effettuare la restituzione del quadro. Geri lo denunciò subito, e Peruggia venne portato in questura. Il tribunale di Firenze ebbe un occhio di riguardo nei suoi confronti, e lo giudicò con una certa clemenza, condannandolo ad un anno e quindici giorni di reclusione. Fu così che l'autore del furto del secolo finì nella prigione delle Murate dove scontò per intero la sua pena.
Vincenzo Peruggia morì in Francia nel 1925.

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