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lunedì 31 marzo 2014

#Tormento interiore


 imm. da palermomania.it

Il silenzio che accompagna un tormento interiore è inesprimibile. Non esiste conforto per una madre che soffre.
La maternità non conosce limiti e ragionamenti.
La madre è sublime perché è tutta istinto.
L'istinto materno è divinamente animale.
La madre non è donna, ma femmina.


  Victor Hugo, Il Novantatré

domenica 30 marzo 2014

#LeParole...



 imm. da 3.bp.blogspot.com/_


Ashley cercò di parlare. Ci riprovò, ma non trovava le parole. Alla fine si asciugò gli occhi, premette l'orecchio contro il mio petto e disse: «Dammi tutti i pezzi».
«Sono tantissimi e non sono sicuro che sia possibile rimetterli insieme. »
- «Lasciami provare.»
«Sarebbe meglio per te lasciarmi perdere e...»
- «Non ti lascio perdere. Non ti lascerò solo. Non voglio rivedermi davanti il tuo viso ogni volta che chiudo gli occhi.»

  Charles Martin - Le parole tra di noi

sabato 29 marzo 2014

#LibroForum con i ragazzi - Dino Buzzati: Il colombre In collaborazione con l'Istituto Defoe Progetto Scuola di Giugliano in Campania A cura di Alessandro Toppi e Monica Yellnikoff


http://1.bp.blogspot.com/ antasy-IlColombre.jpg
Il LibroForum con i ragazzi

Primo appuntamento
Dino Buzzati: Il colombre

In collaborazione con l'Istituto Defoe Progetto Scuola di Giugliano in CampaniaA cura di Alessandro Toppi e Monica Yellnikoff
Con Madame Psychosis e Masaniello il Làzzaro

Regia di Sophie



Clicca sul link per ascoltare

martedì 25 marzo 2014

#Nonna Fritz - Tratto da: Una tisana calda per l'anima delle donne di LeAnn Thieman







immagine dal web


 Nonna Fritz

All'età di novantadue anni nonna Fritz viveva ancora nella sua vecchia casa di campagna a due piani, preparava le fettucine fatte in casa e faceva il bucato con il vecchio strizzatoio nello scantinato. Sempre da sola coltivava anche il suo orto, grande abbastanza da sfamare tutta la contea di Bentos, usando soltanto una zappa e una vanga. I suoi figli settantenni la sgridavano affettuosamente quando insisteva per tagliare l'erba del grande prato davanti casa con la sua vecchia e antiquata falciatrice.
"Ma faccio questi lavori solo al mattino presto o la sera, quando é più fresco" spiegava la nonna, "e mi metto sempre il cappello".
I suoi figli provarono un certo sollievo quando vennero a sapere che la nonna aveva cominciato a partecipare ai pranzi del centro anziani della zona.
"Si" ammise la nonna mentre sua figlia annuiva soddisfatta. "Cucino per loro. Sai, quei cari vecchietti sono così contenti!".



LeAnn Thieman (Tratto da "Una tisana calda per l'anima delle donne"

lunedì 24 marzo 2014

#ConcorsoDi #bellezza - Tratto da: "More Stories for the Heart" di Carla Muir



http://www.repubblica.it

 
Concorso di Bellezza
Una nota azienda produttrice di prodotti di bellezza invitò gli abitanti di una grande città a segnalare i nominativi, allegando anche le foto, delle donne più belle che conoscessero.
Nell'arco di poche settimane la società ricevette migliaia di lettere.
Una lettera in particolare catturò l'attenzione dei selezionatori e fu subito consegnata al presidente.
Era stata scritta da un ragazzo con problemi famigliari che viveva in un quartiere degradato. Dopo le correzioni ortografiche, la lettera diceva:

"C'è una donna bellissima che vive in fondo alla strada dove abito io. Vado a trovarla tutti i giorni. Mi fa sentire il bambino più importante del mondo. Giochiamo a dama e lei ascolta i miei problemi... Lei mi capisce e quando vado via si ferma sulla porta e mi grida che è fiera di me."

Il ragazzo concludeva la lettera dicendo: "Questa immagine mostra che lei è la donna più bella, spero di avere una moglie bella come lei."
Incuriosito, il presidente chiese di vedere la foto della donna. La sua segretaria gli porse una foto di una donna sorridente, senza denti, avanti negli anni, seduta su una sedia a rotelle. I pochi capelli bianchi erano raccolti in uno chignon e le rughe che formavano profondi solchi sul suo viso sembravano attenuarsi alla luce dei suoi occhi.

"Non possiamo usare questa donna" disse il presidente con un sorriso. "Mostrerebbe al mondo intero che i nostri prodotti non sono necessari per essere belle."


Tratto da "More Stories for the Heart" di Carla Muir

domenica 23 marzo 2014

#LaVitaè #curiosa e sorprendente



 imm. fbcdn-sphotos-b-a.akamaihd.net/


La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d'ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.

Etty Hillesum-Diario (1941-1943)

sabato 22 marzo 2014

BONONIA #Bologna di Donatella Farina



http://www.clasta.org/wp-content/uploads/2014/01/Bologna.jpg

 BONONIA

  Bononia è il nome latino di Bologna (di probabile etimologia celtica) che la città assunse dopo l'occupazione dei Romani nel 189 a.C., quando il territorio fu strappato ai Galli Boi insediativisi nel IV secolo a.C.Alcuni ritengono che il termine latino sia una derivazione dal celtico bona ("luogo fortificato"), il quale trova riscontro in altri toponimi celtici (si vedano ad esempio Juliabona, odierna Lillebonne, Boulogne-sur-Mer, Boulogne-sur-Seine, Ratisbona, Vindobona, l'odierna Vienna, Banoštor in Serbia e Vidin in Bulgaria).La ricorda Plinio il Vecchio « Intus coloniae Bononia, Felsina vocitata tum cum princeps Etruriae esset... » (« Dentro la colonia [c'è] Bologna, chiamata Felsina quando era la principale dell'Etruria... ») nel suo Naturalis Historia.Dato che, dopo la definitiva vittoria di P. Cornelio Scipione Nasica, cugino dell'africano, sui Galli Boi, il confine dell'Italia romana si spostò lungo la linea tracciata dalla via Emilia, crebbe la necessità di istituire una colonia per difendere il nuovo confine. Nel 189 a.C. il senato di Roma votò per la fondazione di Bononia, nello stesso luogo in cui sorgeva la città etrusca Felsina. La posizione della città era molto favorevole sia per il controllo delle vie di comunicazione come la via Emilia e la via Flaminia e sia per il territorio pianeggiante, ricco di corsi d'acqua e fertile. Svetonio racconta che nel 32 a.C., dopo che Marco Antonio venne dichiarato da Ottaviano nemico pubblico in occasione della guerra civile degli anni 44-31 a.C. [Ottaviano] liberò gli abitanti di Bologna, che per secoli erano stati clienti degli Antonii, dal riunirsi sotto le loro insegne personali, come pure tutto il resto d'Italia.Esiste anche una leggenda che narra di Felsino, discendente dell'etrusco Ocno (detto anche Bianore, lo stesso leggendario fondatore di Pianoro, Parma e Mantova, di cui parla anche Virgilio), che diede il nome alla città successivamente cambiato dal figlio Bono in Bononia.In tempo molto più recenti è ricordata anche nelle parole di Francesco Guccini :« Bologna è una vecchia signora coi fianchi un po' molli,col seno sul piano padano ed il culo sui colli ».

venerdì 21 marzo 2014

PANORMUS #Palermo di Donatella Farina


http://www.desmaakvanitalie.nl/wp-content/uploads/2014/01/palermo06.jpg

 PANORMUS 

La città di Palermo ha cambiato spesso nome nel corso delle epoche:Zyz (la "z" va pronunciata come "s" sonora) (che in fenicio significa il fiore): il nome sembrerebbe derivare dalla conformazione della città che tagliata da due fiumi ricordava il profilo di un fiore.Panormos (dal Greco παν-όρμος, tutto-porto): i Greci chiamavano Palermo così perché i due fiumi che la circondavano (il Kemonia e il Papireto) creavano un enorme approdo naturale. Questo nome andò diffondendosi grazie al rafforzamento dell'influenza greca sull'isola.Panormus: i Romani mantennero, con una lieve modifica di pronuncia, la denominazione greca con la quale avevano conosciuto la città.Balarm: il nome arabo della città è un semplice cambiamento di pronuncia del nome precedente.Balermus: evoluzione del precedente nome sotto il periodo normanno.Palermo: il nome definitivo della città che viene acquisito in età moderna.L'area della piana di Palermo e i monti circostanti conservano resti di presenze umane sin dalla Preistoria: ne è un esempio l'interno delle grotte dell'Addaura, in cui sono state ritrovate ossa e strumenti utilizzati per la caccia, un vasto e ricco complesso di incisioni, databili tra l'epigravettiano finale e il mesolitico, raffiguranti figure antropomorfe e zoomorfe. La città fu fondata dai Fenici con il nome Zyz; fino a quel momento l'area era stata un emporio commerciale e base d'appoggio per la Sicilia nord-occidentale. Acquisita una certa importanza commerciale grazie alla sua posizione ma soprattutto ai due fiumi (il Kemonia ed il Papireto), divenne meta ambita per i Greci che popolavano la parte orientale della Sicilia, che, tuttavia, non riuscirono mai a conquistare.La prima conquista avvenne da parte dei Romani, che, dopo un lungo assedio, riuscirono a sottrarla ai Cartaginesi di Amilcare Barca, costretti a rifugiarsi alle falde del monte Pellegrino (all'epoca chiamato Ercta): i tentativi di riconquista dei Cartaginesi risultarono vani e la città divenne una conquista romana col nome di Panormus. Sotto il governo di Roma, Palermo continuò a ricoprire il ruolo di porto strategico nel Mediterraneo, vivendo un periodo di assoluta tranquillità per diversi secoli. Palermo fu città romana fino a quando le invasioni barbariche causarono il saccheggio e la devastazione della città.Dopo la caduta dell'Impero Romano, fino al 535 la Sicilia fu devastata dai Vandali. La liberazione di Palermo avvenne grazie ai Bizantini, che tennero Palermo per tre secoli. 

di Donatella Farina

giovedì 20 marzo 2014

Genua #Genova di Donatella farina


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GENUA 
     L'« Auster et Occasus, Septemptrio novit et Ortus quantos bellorum superavi Ianua motus » (' Il Meridione ed il Ponente, il Settentrione e l'Oriente sanno su quali enormi bellici fremiti io Genova abbia prevalso') è l'iscrizione che si trova in Porta Soprana.Genova - il cui porto è il più importante d'Italia - è il capoluogo dell'omonima provincia e della regione Liguria, ed è nota, tra le altre cose, per aver dato i natali a Cristoforo Colombo, a Giuseppe Mazzini e a Goffredo Mameli. L'origine del nome Genova viene fatto risalire ad una radice indoeuropea *geneu- ("ginocchio") oppure da *genu- ("mascella, bocca"); genu- sarebbe un'allusione alla foce ("bocca") di uno degli antichi corsi d'acqua del sito o la forma dell'insediamento sul mare; ad avvalorare questa ipotesi sarebbe il fatto che la maggioranza dei linguisti considerino Genua e Genaua (Ginevra) varianti dello stesso nome. Secondo una recente teoria l'origine del nome potrebbe essere riportata ad una parola etrusca, ritrovata su un coccio di vaso, contenente la scritta Kainua, che in lingua etrusca significherebbe "Città nuova".La leggenda vuole invece che il suo nome derivi da quello del dio romano Giano, perché, proprio come il Giano bifronte, Genova ha due facce: una rivolta verso il mare, l'altra oltre i monti che la circondano. La tradizionale fedeltà della popolazione Genuate a Roma, risalente alle guerre puniche, ha reso inevitabile che successivamente, in epoca medievale, la tesi romana venisse presa in maggiore considerazione e che la città assumesse il nome latino di Ianua, derivandolo direttamente da Janus, ovvero Giano.Gli antichi romani consideravano Giano come l'iniziatore dell'uso della moneta nella società ed il protettore di tutti i passaggi: della porta di casa, delle Porte di accesso alle città, dei porti e dei valichi (denominati appunto anche porte); eco di questo si trova tutt'oggi nel fatto che Genova sia considerata e spesso chiamata "la porta d'Europa sul Mediterraneo". La porta ha un'importanza particolare nella cultura architettonica genovese e questo rapporto si palesa sia negli antichi portali, decorati e sullo stipite dei quali è posto un bassorilievo, spesso raffigurante San Giorgio che uccide il drago o altre scene di santi, sia nelle porte che nei vari secoli si sono aperte lungo le mura della città, e nel valore simbolico loro dato. L'immagine ambivalente del Giano bifronte (di cui nella Cattedrale di San Lorenzo esiste un'immagine con la scritta Ianus Primus Rex Italiae) che guarda al passato e vede il futuro, Genova la rispecchierà sempre, anche nei suoi simboli, in particolare nel Grifone (con la fierezza del leone e la nobiltà dell'aquila, vicino a Dio e forte in terra).Il nome della città in lingua genovese ha subito una contrazione: in passato veniva chiamata Zénoa (pronuncia [ˈtsenwa]), mentre oggi viene chiamata Zêna (pronuncia [ˈzeːna]). Questo è un ricordo di Francesco Petrarca: “ ... Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare ... ” ("Itinerarium breve de Ianua ad Ierusalem", 1358).

    di Donatella Farina

mercoledì 19 marzo 2014

#Accademiadeisensi #Podomatic - Danilo: Monologo di Shylok dal Mercante di Venezia








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Audio #Enciclopedia delle donne: Eleonora Duse







imm. wikipedia.org


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#Tiziano Vecellio: Venere e Adone


http://it.wikipedia.org/wiki/Venere_e_Adone_%28Tiziano_Roma%29
Venere e Adone è un dipinto ad olio su tela di cm 187 x 184 realizzato nel 1560 dal pittore italiano Tiziano Vecellio 
 
  Un giovane Adone  con un curioso cappellino da cacciatore lascia Venere disperata che si torce nel tentativo di trattenerlo. Il richiamo della caccia  è più forte dell'Amore che, comunque dorme placidamente. È l'alba, ma il cielo nuvoloso sembra presagire il dramma che tra poco avverrà.

Questo dipinto è conservato alla Galleria nazionale dell'Arte Antica di Roma

fonte Wikipedia.org

domenica 16 marzo 2014

#Accademiadeisensi #Podomatic: Ezio - Antes de amar te




imm. radicchio.it


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Antes de amarte amor, nada era mío:

vacilé por las calles y las cosas:

nada contaba ni tenía nombre:

el mundo era del aire que esperaba.
Yo conocí salones cenicientos,

túneles habitados por la luna,

hangares crueles que se despedían,

preguntas que insistían en la arena.
Todo estaba vacío, muerto y mudo,

caído, abandonado y decaído,

todo era inalienablemente ajeno,
todo era de los otros y de nadie,

hasta que tu belleza y tu pobreza

llenaron el otoñó de regalos.
(Pablo Neruda)
Prima di amare te, amore, nulla era mio:

vacillai per le strade e per le cose:

nulla contava né aveva nome:

il mondo era dell’aria che attendeva.



Io conobbi cinerei saloni,

gallerie abitate dalla luna,

hangar crudeli che s’accomiatavano,

domande che insistevano sulla sabbia.
Tutto era vuoto, morto e muto,

caduto, abbandonato e decaduto,

tutto era inalienabilmente estraneo,
Tutto era degli altri e di nessuno,

finchè la tua bellezza e povertà

empirono l’autunno di regali.
(traduzione di Ezio Falcomer)

#Sandro Botticelli: Primavera




imm. da wikipedia.org
Primavera - 1482 circa

Questa celebre opera del grande Botticelli fu dipinta per Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, appartenente al ramo cadetto della potente famiglia fiorentina e cugino di Lorenzo il Magnifico e si trova nella Galleria degli Uffizi a Firenze



sabato 15 marzo 2014

#Bellagio (Lago di Como) - Lombardia


http://www.portolanolagodicomo.it/images/porti/foto/large/Bellagio_

Bellagio è a capo del promontorio centrale del Lario; una tra le località turistiche più belle in assoluto, non solo del Lago di Como, ma del mondo intero.
La sua bellezza è stata lodata, fin dal Cinquecento, da visitatori italiani e stranieri.
Il fascino di Bellagio prima di tutto panoramico perchè da qui si abbraccia, con lo sguardo gran parte del lago di Como.
Si aggiungano le splendide ville, il profuso rigoglio degli alberi e dei fiori, le pittoresche scalinate, la varietà di passeggiate, e si comprenderà come Bellaggio meriti l'appellativo di perla del Lago di Como.
Bellagio era abitato già in età preistorica, villaggio fortificato durante il MedioEvo, libero Comune nella guerra dei dieci anni schierato contro Como, fu possesso dei Visconti poi di Marchesino Stanga e degli Sfondrati.
Di fondazione romanica la Parrocchiale di S.Giacomo, all'interno opere insigni: una Deposizione di Gesù, del Perugino, una Madonna delle Grazie di Vincenzo Foppa e un crocifisso romanico.
Ben organizzati sono i trasporti via acqua di Bellagio con battelli e traghetti per raggiungere i paesi sulle sponde opposte del lago di Como.
Bellagio è un ottimo punto di partenza per svariate passeggiate sia lungo la riva del lago, che per i sentieri che collegano le varie frazioni, Suira, Visgnola, Vergonese, Pescallo.
Una delle mete più note il Parco del Monte S. Primo  che dista circa 14 km. da Bellagio, poco distante il Ghisallo dove troviamo il Santuario e il Museo del ciclismo.  



imm.   Santuario della Madonna del Ghisallo

Moltissime sono le ville di Bellagio (oltre Villa Melzi e Villa Serbelloni  ) meritano una menzione: Villa Giulia, la Taverna-Trivulzio-Gerli (fine 1700) con all'interno l'antichissima chiesa romanica di S.Maria di Loppia, la Trotti-Gerli (1751), la Buttafava-Marchesini e la Belmonte.


Scorcio dei  Giardini di Villa Melzi - Bellagio

fonte www.comoeilsuolago.it/bellagio.

venerdì 14 marzo 2014

#Sandro Botticelli: La Nascita di Venere

La Nascita di Venere

http://it.wikipedia.org 


La Nascita di Venere è da sempre considerata l'idea perfetta di bellezza femminile nell'arte

Questo prezioso dipinto si trova nella Galleria degli Uffizi a Firenze

giovedì 13 marzo 2014

#Ricordando il medioevo di Roberta Accademica







Io faccio parte del gruppo “I custodi della rocca” Di Altavilla Vicentina.
Dopo il saluto di rito ai nostri ospiti, molti dei quali vestiti in costumi storici fatti un po tra noi, e un po da sarte. Inizia il convivio durante il quale si svolge la vestizione degli sposi,con molte palanche (soldi) nella bisaccia. 






Gli sposi sono Bentivegna Del Mazzo di Brendola e la sua sposa Monna Belcolore di Altavilla.





Messere Bentivegna Del Mazzo arriva nelle classiche bracche (mutande) bianche stringendo alla vita una sottile cintura di stoffa, legandole sotto al ginocchio con i lacci da gamba. Indossa l'infula bianca unico indumento usato anche di notte per riparare il capo dal freddo.




 Mette le calze brache mediante laccetti legati nel giro coscia., le calze brache che sono divise in due (ossia solo le gambe), per sorreggerle vengono legate alle bracche, la camisia di tessuto leggero è di cotone sopra la camisia il guarnello.




 Ora indossa un paio di callighe, per non sporcare le belle callighe di pelle calza delle solide pianelle di legno, una corrigia con piccola scarsella contenente qualche moneta d'argento. Ultimo il Mantello lussuoso, e seconda infula di colore diverso.



Monna Belcolore indossa direttamente su pelle una semplice camisia di cotone, di seguito indossa le mezze calze di lana fine fissate con dei laccetti di stoffa.
Sopra la camisia è posta la gonnella di lana e ai piedi le callighe (un pezzo di pelle quadrato intrecciato con maestria e legato con lacetti)


 
Madonna si sistema il primo elemento del copricapo, formato da una bendella di tessuto leggero passato sotto il mento è fissato con spilli, una lunga corrigia tiene in figura,e trattiene una scarsella con qualche moneta.






 

La gonnella è ora parzialmente coperta dalla guarnacca femminile molto più semplice di quella da uomo,viene indossata dalla testa è annodata sui fianchi con dei lacci. In testa è posta la corona di stoffa di lana, ultima vestizione il mantello, le pianelle ed infine uno sciugatoio attaccato con spilli al tessuto che riveste la corona.


 
Gli sposi sono vestiti e congiungono le mani e con un sorriso radioso raggiungono i commensali e gustano insieme a noi la sfiziosa cena.





 

La nostra Susanna ci legge la sua ricerca con l'intento di condurci in un tempo lontano, quando vestirsi significava non solo coprirsi per difendersi dal freddo o dalla polvere, ma anche molto altro.
Un tempo in cui “l’abito faceva il monaco”!
Dove ogni dettaglio era importante e non era permesso sbagliare.
Il Medioevo è un periodo molto lungo, che racchiude più di mille anni di storia.
È in pratica impossibile descrivere in poche pagine un fenomeno culturale e sociale
così importante come quello della moda nel Medioevo.
È proprio nel Medioevo, infatti, che nasce l’artigianato tessile e quindi la “moda” ed il “ Made in Italy”. L’ispirazione viene dalla moda normanna e bizantina.
Nel Medioevo la moda doveva rispondere a dei requisiti fondamentali :
coprire tutto il corpo (pudore) e difendere dagli effetti del clima (caldo, freddo, pioggia,)
essere un segno inequivocabile della classe sociale di appartenenza.
L'ordine sociale costituito doveva rimanere tale anche nelle apparenze, la trasgressione, in tutti i settori della società, non veniva tollerata, anzi diventava pretesto per diffidare di chi la praticava.
Le prostitute o “Donne pubbliche” dovevano vestire in modo da essere subito distinte dalle “Donne oneste”. I loro abiti erano più corti sfrangiati e non dovevano essere troppo vistosi. A volte mettevano un nastrino rosso fra i capelli o sull’abito.
I pellegrini si potevano distinguere a distanza dal loro abbigliamento.
Vi erano severi dettami anche per l’abbigliamento dei non cristiani (ebrei, saraceni)
A parte i neonati che venivano fasciati, i bambini vestivano come gli adulti nel
rispetto della classe di appartenenza.
Gli abiti non avevano tasche ma si usavano borse di varie fogge.
Nel 1200 compaiono i primi bottoni di osso o di cuoio e sempre, per le donne la novità più importante è la comparsa dello strascico, ma solo nelle classi elevate.
I contadini in genere avevano abiti più corti per risparmiare sulle stoffe.
Non esistevano abiti per la notte e molti dormivano nudi.
I principali tessuti utilizzati nel Medioevo erano : Il cotone ed il lino utilizzati per camici e lenzuola,
la canapa per abiti da lavoro, il fustagno (misto di lino e cotone) per abiti ed arredamento la lana per abiti, calze e mantelli invernali. La pelle, le pellicce ed il cuoio per mantelli, giubbe, borse e scarpe. Solo nel tardo Medioevo compaiono stoffe pregiate come sete e broccati e l’abbigliamento delle classi privilegiate diventa ricco e ricercato impreziosito da pizzi, ricami, perle, fili d’oro, pietre preziose e altro, naturalmente i nobili erano coloro che potevano sfoggiare gli abiti più sfarzosi. 

Di Roberta Accademica






mercoledì 12 marzo 2014

#Sandro Botticelli: Madonna del Magnificat


Sandro Botticelli, "Madonna del Magnificat", 1481
Tempera su tavola, cm.118, Galleria degli Uffizi, Firenze.



http://www.unitreaugusta.it/i

martedì 11 marzo 2014

#Leggo perchè...


http://www.comune.venezia.it

Leggo perché mi piace leggere. Leggo perché non posso farne a meno.
Leggo quando ho tempo, ma anche quando il tempo non mi basta. Leggo per ridere o per riflettere. Leggo quando sono felice perché la vita scorre facile, ma anche quando sono triste e ho bisogno di sorridere.
Leggo perché a me ventiquattro ore non mi bastano e leggere mi allunga la giornata.
Leggo in silenzio o anche in mezzo al caos.  A volte leggo sorridendo da sola, altre volte piango per un personaggio di una storia chiusa tra le pagine del libro. Leggo perché voglio conoscere, perché voglio riflettere, perché mi piace.
Leggo perché la vita è troppo breve. Leggo quando amo il silenzio.

Leggo perché adoro il profumo delle pagine che scorrono. Leggo perché leggendo scopro che c’è tanto ancora da imparare.

 Alessia S. Lorenzi,  Come il Canto del Mare

lunedì 10 marzo 2014

Un monocromo straordinario! #Guernica di Pablo Picasso


http://blog.ocad.ca/wordpress/drpt1c01-fw201201/files/2012/09/picasso-guernica3-1937.jpg

Gli orrori della guerra civile spagnola vengono sviscerati in modo feroce e straziante in questo dipinto a monocromo che l’artista ha voluto così per una valenza ben precisa: nessuna tonalità avrebbe potuto esprimere il senso di aridità e annullamento che la guerra lascia dietro di sè. Non c’è pietà, ma disperazione e rabbia per un orrore che sembra non avere fine.
I personaggi che animano la tela si accalcano gli uni sugli altri, soffocando con le loro urla e il loro dolore ogni speranza di salvezza. Si tratta di uomini, donne, bambini e animali indifesi divenuti simbolo di un’umanità ferita e violentata dalla furia e dalla morte.
Al centro del dipinto si agita disperatamente un cavallo trafitto in battaglia con la bocca spalancata per il dolore. Sopra di lui c’è una lampada accesa che illumina la rappresentazione e diventa l’effige dell’incomprensibile ragione della guerra e a cui guardano imploranti le due donne sulla destra.
In alto a sinistra l’artista riproduce una testa di toro, simbolo della forza bruta e della follia irrazionale, sotto cui piange disperata una madre con il figlioletto morto fra le braccia.
Nell’angolo a sinistra giace ferito a morte un torero, emblema di una Spagna anch’essa ferita ed abbattuta.
La scena si chiude con un’immagine forte e dolorosa, che non lascia spazio alla speranza: la donna, all’estrema destra della tela urla disperatamente, ma nessuno pone ascolto e rimedio al suo dolore.

Di Francesca Girotto

domenica 9 marzo 2014

#IlCarnevale #Ambrosiano


http://www.lenuovemamme.it/
Non tutti sappiamo perchè a Milano si festeggia il Carnevale Ambrosiano che cade qualche giorno dopo rispetto al resto d'Italia. Forse anche molti milanesi non saprebbero rispondere a questa domanda.

Il carnevale per tutto il resto d'Italia finisce il martedi grasso cioè il giorno che precede l’inizio della Quaresima. Il Carnevale Ambrosiano, però, prosegue fino al sabato successivo al Martedì Grasso. Secondo il rito ambrosiano, la Quaresima non inizia il Mercoledì delle Ceneri (cioè quello successivo al Martedì Grasso, ma bensì la prima domenica successiva quindi, il Carnevale termina esattamente con l’inizio della Quaresima

Questo modo differente di calcolare l’inizio della Quaresima ha dato origine al Carnevale Ambrosiano. C'e una tradizione che spiega il motivo di due Carnevale diversi: il Vescovo Ambrogio, allora vescovo di Milano, era partito per un pellegrinaggio dicendo che sarebbe stato di ritorno a Milano per il Carnevale, in modo da dare inizio alla Quaresima. Fece ritardo, ma la città scelse di aspettarlo prolungando il Carnevale e posticipando l’inizio della Quaresima.

 Primula

Audio #Enciclopedia delle donne #Maria Luisa Berneri





 imm. da enciclopediadelledonne.it



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sabato 8 marzo 2014

Audio #Enciclopedia delle donne #Ludmila Cecchini Corradi:



imm. da enciclopediadelledonne.it



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Audio #Enciclopedia delle donne #Maria Barba con Masaniello il Làzzaro











imm. da enciclopediadelledonne.it

Audio enciclopedia delle donne: Maria Barba:

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Audio #Enciclopedia delle donne #Jane Austen



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Audio enciclopedia delle donne: Jane Austen:

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Audio #Enciclopedia delle donne #Anna Rolli con Primula



 
imm. da enciclopediadelledonne.it




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#Enciclopedia delle donne #Maria Grazia Cutuli

http://095.blogdo.net/files/2008/11/dsc_1112.jpg 




Maria Grazia Cutuli di Mara Cinquepalmi

Catania 1962 - Kabul 2001

Inviati si nasce e, qualche volta, si muore. In una terra lontana, come è accaduto nel novembre 2001 a Maria Grazia Cutuli, inviata del «Corriere della Sera» in Afghanistan.
E di inferni Maria Grazia ne aveva visti altri: Cambogia, 1992; Sarajevo, 1995; Albania, 1997; Iraq, 1998; Timor Est, 1999. Non una fredda cronista di guerre e genocidi, ma una attenta osservatrice delle società e dei costumi. Anche della condizione femminile. Le sue corrispondenze da Kabul, dopo la caduta del regime talebano, restituiscono uno spaccato di vita quotidiana che si sofferma con particolare sensibilità sulle donne afgane: «Nascoste, invisibili, assenti: non si vedono donne a Jalalabad. La liberazione della città afghana dai talebani ha portato nelle strade migliaia di miliziani armati, bande ubriache di vittoria, pronte a contendersi il controllo del territorio sino all'ultimo vicolo o all'ultima casa. Non ci sono donne tra chi fa la guerra, gestisce il potere, decide il futuro. In un'intera mattinata, appaiono tra le botteghe del suk solamente tre sagome avvolte dal burqa, dal passo silenzioso e discreto, coperte come sempre dietro la cortina di un poliestere».
Maria Grazia Cutuli credeva nel giornalismo, quello più difficile, quello che racconta le storie senza filtri, onesto e indipendente. E se non poteva partire per conto del giornale, usava le sue ferie per andare a cercare storie che sapeva sarebbe riuscita a far pubblicare.
Nata a Catania nel 1962, Maria Grazia Cutuli si laurea in Filosofia con una tesi su Michel Foucault, poi le prime collaborazioni giornalistiche, prima al quotidiano «La Sicilia» e poi all'emittente televisiva Telecolor. Alla fine degli anni '80 il salto dalla Sicilia alla Lombardia, dall'emittente locale alla stampa di quella che all'epoca era la “Milano da bere”: collabora con i mensili «Marie Claire» e «Centocose», poi con il settimanale «Epoca» fino alla chiusura della storica testata per la quale scrive reportage dalla Bosnia al Congo, dalla Sierra Leone alla Cambogia. Si trasferisce a New York, dove frequenta un corso di peacekeeping delle Nazioni Unite, a seguito del quale partirà come volontaria per il Ruanda con l'Alto Commissariato per i diritti umani.
Nel 1997 il primo contratto con il «Corriere della Sera» alla redazione Esteri, poi due anni più tardi l'assunzione definitiva. Il giorno prima della sua morte il quotidiano di via Solferino pubblica un suo reportage su un deposito di gas nervino in una base abbandonata dai terroristi di Al Qaeda.
Il 19 novembre 2001 Maria Grazia Cutuli, l’inviato di «El Mundo» Julio Fuentes, il reporter australiano Harry Burton e l'operatore afghano Azizullah Haidari della Reuters vengono uccisi in un agguato dei talebani lungo la strada che collega Jalabad a Kabul.
L'auto sulla quale viaggiavano viene bloccata da un gruppo di uomini armati che prima fanno scendere i giornalisti dalla loro auto e poi esplondono contro di loro raffiche di kalashnikov.
Non un agguato a scopo di rapina come qualche giornale volle far credere all'inizio e come emerse nelle prime inchieste, ma un omicidio politico come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema di Cassazione nel 2004: i talebani uccisero per dimostrare che erano ancora in grado di controllare il territorio.
Un macabro messaggio contro la stampa internazionale.
Nell'ottobre del 2007 è stata eseguita, a Kabul, la condanna a morte di uno degli assassini dei quattro giornalisti.
Nel nome di Maria Grazia Cutuli sono fiorite tante iniziative legate al giornalismo e alla solidarietà: la Fondazione Cutuli Onlus, con sede a Catania e presieduta dal fratello Mario; numerosi premi tra i quali il Premio internazionale di giornalismo organizzato dalla Fondazione in collaborazione con il Comune di Santa Venerina e le università siciliane di Palermo, Catania, Messina, Enna, quello istituito dalla Camera dei Deputati per ricordare il suo impegno professionale e civile e quello di Ilaria Alpi (la giornalista di Rai 3 uccisa a Mogadiscio nel 1994); le scuole a lei intitolate in Afghanistan, quella di Maimanà, inaugurata nel 2004, e quella di Herat nell'agosto 2010.


fonte:  http://www.enciclopediadelledonne.it

Audio #Enciclopedia delle donne #Palma Bucarelli con Sophie

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giovedì 6 marzo 2014

Audio #Enciclopedia delle donne #Elena Cattaneo


Imm. enciclopediadelledonne.it 


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#SopravvireAlle #Crisi - di Jacques Attali








Ecco sette principi  applicabili a qualsiasi epoca, qualsiasi minaccia e qualsiasi tipo di crisi: che si tratti di una crisi economica come quella di oggi, di una carestia, di una guerra, dell’avvento di una dittatura, di uno tsunami, di una valanga, o anche di una crisi sentimentale o di un collasso cardiaco. A condizione, però, di applicarli ogni volta con approcci diversi e con metodi specifici, utilizzando, naturalmente, alleati e consigli differenti a seconda della natura delle minacce.

1. IL RISPETTO DI SÉ: 

Innanzitutto, voler vivere, e non soltanto sopravvivere. Quindi, prendere pienamente coscienza di sé, attribuire importanza alla propria sorte, non provare né vergogna né odio verso se stessi. Rispettarsi e dunque cercare la propria ragione di vivere, imporsi un desiderio d’eccellenza in relazione al proprio corpo, alla propria conservazione, al proprio aspetto, alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Per raggiungere questo scopo, non bisogna attendersi nulla da nessuno; occorre contare soltanto su se stessi per definirsi; non bisogna avere paura davanti a una crisi, quale che sia la sua natura; occorre accettare la verità anche se non è piacevole da ammettere; e bisogna voler essere protagonisti, né ottimisti né pessimisti, del proprio futuro.

2. L’INTENSITÀ: 

Proiettarsi sul lungo periodo; formarsi una visione di sé, per sé, da qui a vent’anni, da reinventare incessantemente; saper scegliere di compiere un sacrificio immediato se può rivelarsi benefico sulla lunga distanza; nello stesso tempo, non dimenticare mai che il tempo è prezioso, perché si vive una volta sola, e che bisogna vivere ogni momento come se fosse l’ultimo.

3. L’EMPATIA: 

In ogni crisi e di fronte a ogni minaccia, a ogni cambiamento radicale, bisogna mettersi al posto degli altri, avversari o potenziali alleati; comprendere le loro culture, i loro modi di ragionare, le loro motivazioni; anticipare i loro comportamenti per identificare tutte le minacce possibili e distinguere tra amici e potenziali nemici; bisogna essere amabili con gli altri, accoglierli per stringere con loro le alleanze durature, praticare un altruismo interessato e, a tale scopo, fare mostra di una grande umiltà e di una piena disponibilità intellettuale; essere in particolare capaci di ammettere che un nemico può avere ragione senza provare vergogna o rabbia per questo.

4. LA RESILIENZA: 

Una volta identificate le minacce, diverse per ogni tipo di crisi, occorre prepararsi a resistere — mentalmente, moralmente, fisicamente, materialmente, finanziaramente — se una di esse dovesse concretizzarsi. Di conseguenza, bisogna pensare a costituire difese, riserve, piani sicurezza a sufficienza, ancora una volta a seconda del tipo di crisi da affrontare.

5. LA CREATIVITÀ:

 Se gli attacchi persistono e diventano strutturali, se la crisi si radicalizza o si iscrive in una tendenza irreversibile, bisogna imparare a trasformarli in opportunità; fare di una mancanza una fonte di progresso; volgere a proprio vantaggio la forza dell’avversario. Ciò esige un pensiero positivo, il rifiuto della rassegnazione, un coraggio e una creatività pratica. Queste qualità si forgiano e si allenano come i muscoli.

6. L’UBIQUITÀ: 

Se gli attacchi continuano, sempre più destabilizzanti, e non è possibile nessun loro impiego positivo, bisogna prepararsi a cambiare radicalmente, a imitare il migliore di quelli che sanno resistere, a rimodellare la rappresentazione di sé per poter passare nel campo dei vincitori senza perdere il rispetto di se stessi. Occorre imparare a essere mobili nella propria identità e, perciò, tenersi pronti a essere doppi, dentro l’ambiguità e l’ubiquità.

7. IL PENSIERO RIVOLUZIONARIO: 

Infine, occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazione di legittima difesa, a osare il tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé. Quest’ultimo principio rinvia dunque al primo e tutti insieme formano così un sistema coerente, un cerchio.
Colui che metterà in atto questi principi, con qualsiasi tipo di crisi, e ne verificherà incessantemente l’applicazione, avrà più possibilità degli altri di sopravvivere.
Che sia un miserabile o che si ritenga un potente, nessuno potrà vivere e sopravvivere senza volerlo, senza operare la sua rivoluzione, così come nessuno potrà fare la rivoluzione senza sopravvivere. Come diceva il Mahatma Gandhi: «Siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo».

 Jacques Attali, Sopravvivere alle Crisi

 

mercoledì 5 marzo 2014

#Leggende: Eco e Narciso


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Nell'antica Grecia, in un giorno lontanissimo, Cefiso, il dio delle acque, rapì la ninfa Liriope. Si amarono teneramente e dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. Gli anni passarono e Narciso divenne un ragazzo meraviglioso. Liriope volle salvaguardare la bellezza del giovinetto; si recò perciò dall'astrologo Tiresia che, dopo aver consultato l'oracolo, le disse:


- Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto.
La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più teneri sentimenti nelle ninfe che l'avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate. Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui. Ma Narciso era tanto fiero e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano. L'amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce. Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce visse eterna nella montagna solitaria. Da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano. Ma è fioca e lontana e ripete perciò solo l'ultima sillaba delle loro parole: ha perduto la sua forza invocando Narciso, il crudele cacciatore che non volle ascoltarla.
Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata. Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura. Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.

 

 da riflessioni.it/miti leggenda-eco-narciso.htm

martedì 4 marzo 2014

VICETIA #Vicenza di Donatella Farina


 
http://www.magicoveneto.it/vicenza/vicenza/Vicenza-Foto-101.jpg



VICETIA 

Vicenza nel I sec. a. C. diede i natali al grammatico Remmio Palemone, ricordato per la sua pignoleria e per l'aggressività nelle discussioni. Oggi gli studiosi sono concordi nel ritenere che il primo insediamento, alla confluenza dei fiumi Astico (oggi Bacchiglione) e Retrone, sia originato da popolazioni paleovenete che in precedenza vivevano sui Colli Berici e nella valle del Lago di Fimon, almeno a partire dal VI secolo a.C. Mai asserviti dai popoli circostanti, di cui pure subirono l'influenza culturale, nel II secolo a.C. entrarono nell'orbita di Roma e ottennero la cittadinanza romana nel 49 a.C.Completamente ridisegnata in quegli anni nel suo impianto urbanistico, ancora molto evidente, e dotata delle prime mura, durante il primo periodo imperiale, la città prosperò: lo attestano i resti del Teatro Berga, dei ponti (demoliti ma documentati a fine Ottocento), dell'acquedotto in frazione Lobbia, del Foro sotto Palazzo Trissino e di domus patrizie sotto la piazza del Duomo, con un criptoportico romano ben conservato, scoperto dopo i bombardamenti avvenuti nella città durante la Seconda guerra mondiale. (In foto, una porzione di strada romana visibile in centro.)Il cristianesimo si è diffuso in Vicenza probabilmente verso la fine del III secolo. Alla fine del IV o agli inizi del V secolo risale la costruzione sia di una basilica fuori dalle mura, dedicata ai santi Felice e Fortunato, sia di una chiesa cittadina che diverrà poi la cattedrale.Non sembra che in epoca tardo-antica la città sia stata devastata da invasioni barbariche (da Paolo Diacono viene citato solo un saccheggio da parte degli Unni).Nel 568 fu occupata dai Longobardi (secondo Paolo Diacono fu occupata dallo stesso Alboino) e subito eretta a sede ducale. Durante i circa tre secoli del periodo longobardo e del successivo periodo carolingio Vicenza rivestì un ruolo regionale di un certo rilievo e nel 589 ebbe il suo primo vescovo, Oronzio.Durante il Medioevo a Vicenza trovarono sede molti benedettini che si occuparono, tra l'altro, della bonifica del territorio. La città in origine sorgeva infatti su un terreno acquitrinoso e subito a nord confinava con un lago che andò progressivamente prosciugandosi durante l'epoca medievale. La presenza di due corsi d'acqua (gli attuali Bacchiglione e Retrone) e la scarsa elevazione del terreno favorirono il verificarsi di frequenti alluvioni fino ad epoche recenti.Nel 1184 dei sicari al soldo dei grandi feudatari assassinarono sulla piazza del Duomo il vescovo Giovanni Cacciafronte, che venne poi beatificato da papa Gregorio XVI. Dopo essere stata sotto il controllo di Ezzelino II il Monaco nel 1211, la città finì sotto l'egida degli scaligeri, cui si deve la costruzione delle mura trecentesche, la trasformazione in torre del campanile della basilica dei SS. Felice e Fortunato e il conio dell'unica moneta cittadina, l'aquilino d'argento.Dal 1404 al 1797, donando nel 1414 le chiavi della città a Venezia (come fecero altre città venete e lombarde) entrò a far parte della Repubblica Serenissima Veneta con la sua capitale o dominante Venezia. Seguirono quattro secoli di pace e benessere, in cui le arti raggiunsero livelli eccelsi e l'economia prosperò. Il 12 giugno 1486 gli ebrei furono espulsi da Vicenza e, per sopperire alle richieste di prestiti di denaro, fu istituito contemporaneamente il Monte di Pietà.Il Cinquecento fu il secolo del grande architetto tardo-rinascimentale Andrea Palladio. Giunto giovane a Vicenza dalla nativa Padova, preso a cuore dal mecenate vicentino Gian Giorgio Trissino che lo fece studiare, Palladio si rivelò come una delle personalità più influenti nella storia dell'architettura occidentale.- IL TOPONIMO -Pare che il primo nome dato dai Veneti alla città sia stato "Berga", nome ricordato anche nel primo teatro romano costruito in città che si chiamava appunto "Teatro Berga". Certa è, invece, la denominazione assunta in epoca romana: "Vicetia" o "Vincentia" o ancora "Vicentia". Nel Secolo XI si arriva a "Vicencia" fino all'odierna "Vicenza". L'origine del nome può essere fatta risalire al latino "vincens" (vincente) o al greco "Oniketia" (terra dei Veneti). Strabone la chiama anche "Ucetia" mentre Claudio Eliano la cita col nome di "Bitetia". Nel link un ulteriore approfondimento sull'argomento:http://www.teutagwened.org/pages/dettaglio/82 (la leggenda è citata anche in “Marchiane ruine” del XV secolo della Biblioteca di Belluno, pubblicato da Cantù in “Micellanea di storia Italiana”, riportato in “Scritti storici e letterari” di F. Lampertico - 1883)


 di Donatella Farina

lunedì 3 marzo 2014

PERUSIA #Perugia di Donatella Farina



http://www.mondonuovo.org/wp-content/uploads/2013/01/Perugia-for-web.jpg
PERUSIA 

I primi insediamenti di cui si è a conoscenza nel territorio risalgono ai secoli XI e X a.C., con la presenza di villaggi villanoviani nei pressi delle falde dell'altura perugina ed a partire dal VIII secolo a.C. anche sulla sommità del colle dove sorgerà la città. Il rapido sviluppo di Perugia è favorito dalla posizione dominante rispetto all'arteria del fiume Tevere e dalla posizione di confine tra le popolazioni etrusche ed umbre. Gli Umbri, che pure, secondo una certa tradizione storica, avrebbero fondato la città ma, più verosimilmente, avevano con essa frequenti rapporti, essendone confinanti, devono cedere all'affermarsi del popolo etrusco. Infatti il vero e proprio nucleo urbano di Perugia si forma intorno alla seconda metà del VI secolo a.C., e dalla disposizione delle necropoli etrusche abbiamo una testimonianza indiretta dell'espansione del primo tessuto urbano. Perugia diventa in breve una delle 12 lucumonie della confederazione etrusca. Nel 310-309 a.C. forma una Lega insieme alle altre città etrusche scontrandosi con le truppe romane guidate da Quinto Fabio Massimo Rulliano; al termine della battaglia viene siglata una tregua, che non verrà rispettata, di 30 anni. La cinta muraria etrusca originaria, oggi ancora visibile, viene edificata tra il IV ed il III secolo a.C.: con una lunghezza di tre chilometri, racchiude il Colle Landone e il Colle del Sole sui quali si erge la città.Con la battaglia di Sentino (295 a.C.), Perusia e gran parte dell'Umbria entrano nell'orbita romana, pur conservando la propria lingua (l'uso dell'etrusco è documentato in città fino a tarda età repubblicana) ed una limitata autonomia municipale. Nella II guerra punica la città, pur conservando ancora le proprie specificità ma dimostrandosi fedele a Roma, dà rifugio ai romani dopo la tragica sconfitta nella Battaglia del Lago Trasimeno nel 217 a.C. È solo a partire dal I secolo a.C., in seguito alla Guerra Sociale, che Perugia si integra pienamente nello stato romano con la concessione della cittadinanza (89 a.C.). La città si rimodella secondo stilemi romani, e l'incendio della città nel 41 a.C. durante il Bellum Perusinum - a testimonianza dell'assedio verranno ritrovati molti proiettili di catapulte dentro e fuori le mura - costituisce un'occasione per un nuovo fervore edilizio, pur nella sostanziale permanenza dell'assetto viario etrusco. La ripresa urbana è favorita dalla spinta di Augusto che restituisce alla città parte dell'antico splendore, permettendole di fregiarsi del titolo di Augusta Perusia, come si può leggere nelle iscrizioni presenti tutt'oggi in città (Augusta sacr(um) Perusia restituta). Tuttavia Perusia divenne una colonia indipendente solo a partire dal 251-253. In età imperiale la città si espande ben oltre la cinta etrusca, come testimoniano l'anfiteatro ed il tempio di Marte, od il mosaico rappresentante il mito di Orfeo (II secolo d.C.) nei pressi del quale sorgevano le terme. Nella seconda metà del III secolo l'imperatore Vibio Treboniano Gallo, perugino d'origine, dà alla città lo ius coloniæ.Ancora nel IV secolo tuttavia, nel clima dell'effimera ripresa economica e politica dell'Impero che precede le invasioni barbariche e la caduta dell'Occidente romano, Perugia, pur essendo oramai pienamente latinizzata, non può dimenticare il suo illustre passato etrusco e continua a partecipare ai giochi confederati etruschi, che si svolgono nel Fanum Voltumnae, nei pressi dell'odierna Orvieto.

di Donatella Farina

sabato 1 marzo 2014

#E l'eco #Rispose



http://farm5.static.flickr.com/4001/4521126889_4fe58d64fa.jpg

 Imparai che il mondo non vede la tua anima, che non gliene importa un accidente delle speranze, dei sogni, e dei dolori che si nascondo oltre la pelle e le ossa.
Era così semplice, assurdo e crudele.


Khaled Hosseini, E l'eco rispose

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