Buongiorno, oggi è il 5 marzo.
Il 5 marzo 1953 Stalin muore a Mosca, a seguito di un malore.
La caratteristica dei capi bolscevichi è quella di provenire da famiglie prestigiose dalla nobiltà, dalla borghesia o dall'intelligencija. Stalin invece nasce a Gori, piccolo borgo rurale non lontano da Tiblisi, in Georgia, da una famiglia miserabile di contadini servi. In questa parte dell'impero russo sul confine con l'Oriente, la popolazione - quasi tutta cristiana - conta non più di 750.000 abitanti. Secondo i registri della chiesa parrocchiale di Gori la sua data di nascita è il 6 dicembre del 1878, ma egli dichiara di essere nato il 21 dicembre 1879 e in tale data veniva festeggiato ufficialmente il suo compleanno nell'Unione Sovietica.
La Georgia sotto gli zar è sottomessa ad un progressivo processo di "russificazione". Come quasi tutti i georgiani anche la famiglia Dzugasvili è povera, senza istruzione, analfabeta ma non conosce la schiavitù che opprime tanti russi, poiché non dipendono da un singolo padrone, ma dallo Stato. Quindi, pur essendo servi, non sono una proprietà privata di qualcuno. Il padre Vissarion Dzhugashvili nasce bracciante, poi farà il ciabattino. La madre, Ekaterina Geladze, è lavandaia e pare non essere georgiana per una caratteristica somatica non da poco: ha i capelli rossi, ed è una cosa rarissima nella zona. Pare che appartenga agli Osseti, tribù montanara di origine iraniana. Nel 1875 la coppia lascia la campagna e si stabilisce a Gori, un villaggio di circa 5.000 abitanti. In affitto occupano un tugurio.
L'anno dopo mettono al mondo un figlio, ma muore subito dopo la nascita. Ne nasce un secondo nel 1877 ma muore anche questo in tenera età. Diverso destino ha invece il terzo figlio, Josif.
Nella peggiore miseria questo unico figlio cresce in un ambiente disgraziato ed il padre invece di reagire, si rifugia nell'alcolismo; nei momenti d'ira scatena la sua violenza senza ragione su moglie e figlio che, benché fanciullo, in una di queste liti non esita a lanciargli addosso un coltello. Durante l'infanzia il padre impedisce a Josif di frequentare la scuola per farlo lavorare come ciabattino. La situazione casalinga diventa insostenibile e spinge l'uomo a cambiare aria: si trasferisce così a Tiflis per lavorare in una fabbrica di scarpe, non manda soldi alla famiglia e pensa bene di spenderli in bere; fino al giorno in cui, in una rissa fra ubriachi, viene accoltellato al costato e muore.
Rimane solo la madre ad occuparsi della sopravvivenza del suo unico figlio, che si ammala prima di vaiolo (malattia che lascia terribili segni) e in seguito contrae una terrificante infezione del sangue, curata poi alla meno peggio, lasciandogli dei postumi nel braccio sinistro, che rimane offeso. Il futuro Josif sopravvive alla prima malattia venendo fuori dalla seconda in un modo stupefacente, diventa bello e robusto tanto che con un certo orgoglio il ragazzo comincia a dire di essere forte come l'acciaio (stal, da cui Stalin).
Josif eredita tutta la forza dalla madre che, rimasta sola, per guadagnarsi da vivere prima inizia a cucire per qualche vicino, poi con il capitale accumulato compra una modernissima macchina da cucire che le fa aumentare ulteriormente i guadagni e naturalmente ad avere qualche ambizione per il figlio. Terminate le quattro classi elementari, Josif frequenta la scuola religiosa ortodossa di Gori, l'unica scuola superiore esistente nel villaggio, riservata a pochi.
L'ambizione della madre si trasferisce al figlio che dagli altri alunni della scuola si distingue per intelligenza (anche se termina la scuola due anni dopo), volontà, memoria e come per incanto anche in prestanza fisica. La miseria e la disperazione provata da fanciullo compiono questo miracolo della volontà che colpisce anche il direttore della scuola di Gori, che suggerisce alla madre (la quale non desidera altro che Josif diventi prete) di farlo entrare nell'autunno del 1894 (a quindici anni) al seminario teologico di Tiflis; Josif frequenta l'istituto fino al maggio del 1899, quando - con tanta disperazione della madre (nel 1937 prima di morire non se ne dava ancora pace - famosa una sua intervista) - viene espulso. Il futuro capo di un immenso Paese che diventerà "L'Impero dei senza Dio" (Pio XII), e che farà chiudere tutte le chiese, non ha di certo la vocazione per fare il prete.
Il giovane dopo aver speso una buona dose di quella forte determinazione per dimenticare il suo ambiente di miseria e disperazione adolescenziale, inizia ad usare questa volontà per quelli che erano nelle medesime condizioni. Mentre frequenta il seminario si introduce nelle riunioni clandestine dei lavoratori della ferrovia di Tiflis, città che sta diventando il centro del fermento nazionale di tutta la Georgia, con gli ideali politici liberali della popolazione presi a prestito dall'Europa occidentale.
L'impronta nella formazione del giovane è stata impressa nei due anni precedenti quando, al "credo" evangelico e a quello "socialista georgiano" si interpone il "credo" di Marx e di Engels. Il contatto con le idee e con l'ambiente dei deportati politici l'aveva avvicinato alle dottrine socialiste. Entra nel movimento marxista clandestino di Tiblisi nel 1898, rappresentato dal Partito socialdemocratico o POSDR (all'epoca illegale), cominciando un'intensa attività politica di propaganda e di preparazione insurrezionale che lo porta ben presto a conoscere il rigore della polizia del regime.
Josif assume lo pseudonimo di Stalin (d'acciaio) proprio per i suoi legami con l'ideologia comunista e gli attivisti rivoluzionari (tra i quali era peraltro comune l'assunzione di falsi nomi per tutelarsi verso la polizia russa), sconfessati e condannati entrambi dal governo zarista.
La conversione all'ideologia marxista di Stalin è immediata, totale e definitiva. Proprio per la giovane età, la concepisce a suo modo: grossolana, ma in un modo così impetuoso che si infervora fino al punto tale che, a pochi mesi dalla cacciata dal seminario, viene sbattuto fuori anche dall'organizzazione del movimento nazionalista georgiano.
Arrestato nel 1900 e continuamente sorvegliato, nel 1902 Stalin lascia Tiflis e si trasferisce a Batum, sul Mar Nero. Ricomincia a fare l'agitatore guidando un gruppetto di autonomi, scavalcando Ccheidze, il capo dei socialdemocratici georgiani. Nell'aprile del 1902 in una manifestazione di scioperanti degenerata in una rivolta con scontri con la polizia, Stalin è accusato di averla organizzata, è imprigionato e condannato a un anno di carcere a Kutaisi seguito da un triennio di deportazione in Siberia, a Novaja Uda, a più di 6.000 chilometri dalla Georgia.
Durante il periodo carcerario conosce un famoso agitatore marxista, Uratadze, seguace del fondatore del marxismo georgiano Zordanija. Il compagno - che prima d'allora ne ignorava l'esistenza - rimane impressionato: piccolo di statura, il volto segnato dal vaiolo, barba e capelli sempre lunghi; l'insignificante nuovo arrivato era un duro, energico, imperturbabile, non si arrabbiava, non imprecava, non gridava, non rideva mai, aveva un carattere glaciale. Il Koba ("indomabile", suo altro pseudonimo) era già diventato Stalin, il "ragazzo d'acciaio" anche in politica.
Nel 1903 si tiene il secondo congresso del partito con l'episodio della defezione di Lev Trochij, un giovane ventitreenne seguace di Lenin, che passa nelle file degli avversari accusando Lenin di "giacobinismo". A questo periodo risale l'immaginaria lettera al carcere di Lenin inviata proprio nel 1903 quando Stalin è in galera. Lenin gli comunica che c'è stata una scissione e che si deve scegliere tra le due fazioni. E lui sceglie la sua.
Fugge nel 1904 e torna inspiegabilmente a Tiblisi. Sia amici che nemici iniziano a pensare che faccia parte della polizia segreta; che magari con un accordo è stato mandato in Siberia in mezzo ad altri detenuti solo per fare da spia, e nei mesi successivi partecipa con energia e notevole capacità organizzativa al movimento insurrezionale, che vede la formazione dei primi soviet di operai e di contadini. Passano poche settimane e Stalin fa già parte della fazione bolscevica maggioritaria che fa capo a Lenin. L'altra fazione era la menscevica, cioè la minoritaria, che in prevalenza è composta da georgiani (ovvero i suoi amici marxisti prima a Tiflis poi a Batum). Nel novembre del 1905, dopo aver pubblicato il suo primo saggio "A proposito dei dissensi nel partito", diventa direttore del periodico "Notiziario dei lavoratori caucasici". In Finlandia, alla conferenza bolscevica di Tampere, avviene l'incontro con Lenin, che cambierà totalmente la vita al Koba georgiano, e la farà cambiare anche alla Russia che, da Paese arretrato e caotico zarista, sarà trasformato dal dittatore nella seconda potenza industriale del mondo. Stalin accetta le tesi di Lenin in merito al ruolo di un partito marxista compatto e rigidamente organizzato come strumento indispensabile per la rivoluzione proletaria.
Passato a Baku, partecipa agli scioperi del 1908; Stalin viene di nuovo arrestato e deportato in Siberia; fugge ma viene ripreso e internato (1913) a Kurejka sul basso Jenisej, dove rimane per quattro anni, fino al marzo del 1917. Nei brevi periodi di attività clandestina, riesce progressivamente a imporre la sua personalità e a emergere come dirigente, tanto da essere chiamato da Lenin, nel 1912, a far parte del Comitato centrale del partito.
Facendo un'analisi sull'evoluzione della storia della Russia al di là di ogni discussione e di ogni giudizio dei modi e della corrente di pensiero, va riconosciuto il merito alla forza di personalità e all'opera di Stalin che hanno avuto nel bene come nel male, un'influenza determinante nel corso della storia contemporanea, pari alla Rivoluzione Francese e a Napoleone. Influenza che si è estesa oltre la sua morte e la fine del suo potere politico.
Lo stalinismo è l'espressione di grandi forze storiche e di volontà collettive: Stalin rimane al potere trent'anni e nessun capo può governare così a lungo se la società non gli promette il consenso. Le polizie, i tribunali, le persecuzioni possono servire ma non bastano per governare così a lungo. La maggior parte della popolazione voleva lo Stato forte. Tutta l'intelligencija russa (dirigenti, professionisti, tecnici, militari ecc.) che era ostile o estranea alla rivoluzione, ritiene Stalin un capo in grado di assicurare una crescita della società, e gli riconosce tutto l'appoggio. Non molto diverso da quell'appoggio che la stessa intelligencija e la grande borghesia tedesca diede a Hitler, o come in Italia a Mussolini.
Stalin converte il potere in una dittatura e come tutti i regimi è favorito da comportamenti collettivi di stampo fascista anche se è uno comunista e l'altro nazista. Nel 1917 contribuisce alla rinascita della Pravda a Pietroburgo, mentre definisce nel saggio "Il marxismo e il problema nazionale", le sue posizioni teoriche non sempre in linea con quelle di Lenin. Torna a San Pietroburgo (nel frattempo ribattezzata Pietrogrado) subito dopo l'abbattimento dell'assolutismo zarista; Stalin, insieme a Lev Kamenev ed a Murianov assume la direzione della Pravda, appoggiando il governo provvisorio per la sua azione rivoluzionaria contro i residui reazionari. Questa conduzione viene sconfessata dalle Tesi di aprile di Lenin e dal rapido radicalizzarsi degli eventi. Nelle decisive settimane di conquista del potere da parte dei bolscevichi, Stalin, membro del comitato militare, non appare in primo piano e solo il 9 novembre 1917 entra a far parte del nuovo governo provvisorio (il Consiglio dei commissari del popolo) con l'incarico di occuparsi degli affari delle minoranze etniche. A lui si deve l'elaborazione della Dichiarazione dei popoli della Russia, che costituisce un documento fondamentale del principio di autonomia delle varie nazionalità nell'ambito dello stato sovietico.
Membro del Comitato esecutivo centrale, Stalin nell'aprile del 1918 è nominato plenipotenziario per i negoziati con l'Ucraina. Nella lotta contro i generali "bianchi" viene incaricato di occuparsi del fronte di Tsaritsyn (poi Stalingrado, oggi Volgograd) e, successivamente, di quello degli Urali. Il modo barbaro ed insensibile con cui Stalin guida queste lotte solleva delle riserve di Lenin nei suoi confronti, manifestate nel testamento politico in cui lo accusa pesantemente di anteporre le proprie ambizioni personali all'interesse generale del movimento. Lenin è tormentato dal pensiero che il governo perda sempre più la sua matrice proletaria, e diventi esclusivamente espressione dei burocrati di partito, sempre più lontani dall'esperienza attiva di lotta vissuta in clandestinità prima del 1917. Oltre a questo prevede una supremazia incontrastata del Comitato Centrale, ed è per questo che propone nei suoi ultimi scritti una riorganizzazione dei sistemi di controllo, scongiurando una formazione prevalentemente operaia che possa tenere a bada la smisurata classificazione di funzionari di partito.
Nel 1922 è nominato segretario generale del Comitato centrale, si unisce a Zinov'ev e Kamenev (la famosa troika), e trasforma questa carica, di scarso rilievo all'origine, in un formidabile trampolino di lancio per dichiarare il suo potere personale all'interno del partito dopo la morte di Lenin.
A questo punto il contesto russo è devastato dalla guerra mondiale e dalla guerra civile, con milioni di cittadini senza tetto e letteralmente affamati; diplomaticamente isolata in un mondo ostile, scoppia violento il dissidio con Lev Trochij, ostile alla Nuova Politica Economica e sostenitore dell'internazionalizzazione della rivoluzione. Stalin sostiene che la "rivoluzione permanente" è una mera illusione e che l'Unione Sovietica deve dirigere alla mobilitazione di tutte le proprie risorse al fine di salvaguardare la propria rivoluzione (teoria del "socialismo in un Paese solo").
Trockij, sulla falsariga degli ultimi scritti di Lenin, crede che con l'appoggio della crescente opposizione creatasi internamente al partito, serva un rinnovamento all'interno degli organi dirigenti. Esprime queste sue considerazioni al XIII congresso del partito, ma viene sgominato ed accusato di frazionismo da Stalin e dal "triumvirato" (Stalin, Kamenev, Zinovev).
Il 15° congresso del partito nel 1927 segna il trionfo di Stalin che diventa il capo assoluto; Bucharin passa in secondo piano. Con l'avvio della politica dell'industrializzazione accelerata e della collettivizzazione forzata, Bucharin si distacca da Stalin ed afferma che questa politica genera conflitti terribili con il mondo contadino. Bucharin diventa oppositore di destra, mentre Trockij, Kamenev e Zinovev sono oppositori di sinistra. Al centro naturalmente c'è Stalin che al congresso condanna qualsiasi deviazione dalla sua linea. Ora può operare la totale emarginazione dei suoi ex-alleati, ora avversari.
Trockij è senza ombra di dubbio il più temibile per Stalin, viene prima espulso dal partito, poi per renderlo innocuo viene cacciato dal paese. Kamenev e Zinovev, che avevano preparato il terreno dell'esautorazione di Trockij, se ne pentono e Stalin può tranquillamente concludere l'opera.
Dall'estero Trockij lotta contro Stalin e scrive il libro "La Rivoluzione tradita". Con il 1928 inizia l'"era di Stalin": da quell'anno la vicenda della sua persona si identificherà con la storia dell'URSS. Ben presto nell'URSS il nome di quello che fu il braccio destro di Lenin diventa sinonimo di spia e di traditore. Nel 1940 Trockij, finito in Messico, viene ucciso da un emissario di Stalin con un colpo di piccozza.
Viene terminata la NEP con la collettivizzazione forzata e la meccanizzazione dell'agricoltura, e viene soppresso il commercio privato. Viene dato l'avvio al primo piano quinquennale (1928-1932), che dà la precedenza all'industria pesante. Circa la metà del reddito nazionale è riservato all'opera di trasformazione di un paese povero ed arretrato in una grande potenza industriale. Vengono fatte corpulente importazioni di macchinari e chiamati migliaia di tecnici stranieri. Sorgono nuove città per ospitare gli operai (che in pochi anni passano dal 17 al 33 percento della popolazione), mentre una fittissima rete di scuole debella l'analfabetismo e prepara i nuovi tecnici.
Anche per il secondo piano quinquennale (1933-1937) dà la precedenza all'industria che compie un ulteriore sviluppo.
Gli anni Trenta sono caratterizzati dalle terribili "purghe" in cui sono condannati a morte o vengono rinchiusi a lunghi anni di carcere i componenti di quasi tutta la vecchia guardia bolscevica, da Kamenev a Zinovev, Radek, Sokolnikov e J. Pjatakov; da Bucharin e Rykov, a G. Jagoda e M. Tuchacevskij (1893-1938): in totale 35.000 ufficiali su 144.000 che compongono l'Armata Rossa.
Nel 1934 l'URSS è ammessa nella Società delle Nazioni ed inoltra proposte di disarmo generale cercando di favorire una stretta collaborazione antifascista sia fra i vari Paesi, sia al loro interno (politica dei "fronti popolari"). Nel 1935 stipula patti di amicizia e di reciproca assistenza con Francia e Cecoslovacchia; nel 1936 l'URSS appoggia con aiuti militari la Spagna repubblicana contro Francisco Franco. Il Patto di Monaco del 1938 impartisce un duro colpo alla politica "collaborazionista" di Stalin che a Litvinov sostituisce Vyacheslav Molotov ed alla linea possibilista alterna una politica di tipo realistica.
Al temporeggiamento occidentale, Stalin avrebbe preferito la "concretezza" tedesca (Patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939) che non reputa più di essere all'altezza di salvare la pace europea, ma almeno assicura la pace all'URSS.
La guerra alla Germania (1941-1945) costituisce una pagina ingloriosa della vita di Stalin: sotto la sua guida l'URSS riesce sì a bloccare l'attacco nazista, ma a causa delle purghe che avevano ucciso quasi tutti i vertici militari, le battaglie, seppur vinte, causano all'esercito russo perdite per molti milioni di persone. Tra le battaglie principali si ricorda l'assedio di Leningrado e la battaglia di Stalingrado.
Più che l'apporto - diretto e notevole - alla conduzione della guerra, fu comunque estremamente significativo il ruolo di Stalin come grande diplomatico, evidenziato dalle conferenze al vertice: un negoziatore rigoroso, logico, tenace, non privo di ragionevolezza. Fu assai stimato da Franklin Delano Roosevelt, meno da Winston Churchill cui fece velo la vecchia ruggine anticomunista.
Il dopoguerra trova l'URSS impegnata nuovamente su un doppio fronte: la ricostruzione all'interno e l'ostilità occidentale all'esterno, resa questa volta assai più drammatica dalla presenza della bomba atomica. Sono gli anni della "guerra fredda", che vedono Stalin irrigidire ancor più il monolitismo del Partito comunista fuori e dentro i confini, di cui è espressione evidente la creazione del Cominform e la "scomunica" della deviazionista Jugoslavia.
Stalin, ormai avanti con gli anni, patisce un colpo apoplettico nella sua villa suburbana di Kuntsevo la notte tra il 1 e 2 marzo 1953, ma le guardie di ronda davanti alla sua camera da letto, pur se allarmate dalla sua mancata richiesta del pasto notturno non osano forzarne la porta blindata fino alla mattina dopo, quando Stalin è già in condizioni disperate: metà del corpo è paralizzato, ha inoltre perso l'uso della parola. Josif Stalin muore all'alba del 5 marzo, dopo che i suoi fedelissimi avevano fino all'ultimo sperato in un miglioramento delle sue condizioni.
Il funerale è imponente. Il corpo, dopo essere stato imbalsamato e vestito in uniforme, è solennemente esposto al pubblico nella Sala Delle Colonne del Cremlino (dove era già stato esposto Lenin). Almeno un centinaio di persone muoiono schiacciate nel tentativo di rendergli omaggio. Viene sepolto accanto a Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa.
Dopo la morte rimane intatta la popolarità di Stalin come capo del movimento di emancipazione delle masse oppresse di tutto il mondo: bastano però tre anni perché al XX Congresso del PCUS (1956) il suo successore, Nikita Khruščёv, denunci i crimini da lui commessi contro gli altri membri del partito dando il via al processo di "destalinizzazione". Primo provvedimento di tale nuova politica sarà la rimozione della mummia di Stalin dal Mausoleo di Lenin: le autorità non potevano tollerare la vicinanza di un tale sanguinario a quella di una mente così illustre. Da allora la salma riposa in una tomba poco distante, sotto le mura del Cremlino.
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