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mercoledì 10 marzo 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 10 marzo. Il 10 marzo 1749 nasce a Ceneda (l'odierna Vittorio Veneto) Emanuele Conegliano, meglio noto come Lorenzo Da Ponte. Nato a Cèneda (nel territorio della Repubblica di Venezia) col nome di Emanuele Conegliano, a quattordici anni fu convertito al cattolicesimo, assumendo il nome del vescovo che lo aveva battezzato. Poco più che ventenne incominciò la carriera d’insegnante di lettere latine e retorica, ma nel 1776, per aver composto alcune poesie ispirate al pensiero rousseauiano fu licenziato dal seminario di Treviso e gli fu anche interdetto l’insegnamento in tutte le scuole dello Stato Veneto. Tre anni dopo, a Venezia, fu bandito dal territorio della Serenissima per quindici anni, a causa dei suoi comportamenti ritenuti immorali e scandalosi. Si rifugiò a Gorizia, abbandonata alla fine del 1781 dopo che una sua poesia aveva scatenato una furibonda contesa. Approdò quindi nella scintillante e favolosa Vienna, dove si muovevano - fra rivalità sottilmente feroci e alleanze effimere, capricci di prime donne, intrighi di Corte e di palcoscenico - musicisti come Mozart, Martín y Soler, Paisiello, Salieri. Pochissime sono le notizie che abbiamo sui rapporti, solo formali e occasionali, e dettati più dalle circostanze che dalla volontà e dall’interesse, fra Mozart e Da Ponte. Tuttavia il nome di Da Ponte è rimasto così vivo e celebrato durante i secoli quasi esclusivamente grazie ai tre libretti scritti per Mozart. Ma sicuramente egli avrebbe tratto nuovo motivo di dolersi di questo straordinario caso (e come dargli torto?): riducendo, infatti, i suoi meriti soltanto a quelle opere (meriti, fra l’altro, non sempre ritenuti determinanti e in parte attutiti dalla grandezza del musicista), furono trascurati gli altri, e la sua figura fu per lungo tempo ridimensionata dai critici. La lunga vita di Lorenzo Da Ponte (1749-1838), poeta, librettista, libraio, editore ed appassionato polemista, ha attraversato in modo personalissimo la storia letteraria e musicale d’Europa e d’America. Dopo aver messo in subbuglio la vita teatrale con la strenua difesa della famosa cantante Adriana Ferrarese, sua amante, nel 1791 fu costretto dal nuovo imperatore Leopoldo II a lasciare la città. A Trieste, nell’agosto 1792, Da Ponte sposò una giovane e valente ragazza inglese di origine tedesca, Nancy Grahl, con la quale percorse un felice cammino, interrottosi solo con la morte di lei (1831). Dopo aver scartato Pietroburgo (per le imprecise notizie circa un suo impiego come poeta di Corte) e Parigi (per le vicende legate alla Rivoluzione) decise di recarsi a Londra. All’inizio la sorte sembrò essergli favorevole: poco dopo il suo arrivo, infatti, era mancato il poeta del teatro, ma un certo Carlo Badini riuscì a sottrargli il posto. Si recò quindi nei Paesi Bassi, confidando di concludere un’impresa che non era stata forse mai tentata prima da nessun altro: mettere in piedi una compagnia d’opera (italiana, naturalmente) senza avere dietro alle spalle non solo un capitale da anticipare, ma nemmeno i soldi per la sopravvivenza. Ridotto sul lastrico, nell’ottobre 1793 ricevette una lettera dall’impresario del King’s Theatre: Badini era stato licenziato e il suo posto gli era offerto. Nella capitale inglese, per circa un decennio Da Ponte fu impegnato come poeta e in grandi iniziative culturali. Ebbe modo di affermarsi prima con due opere scritte per il suo amico Martín y Soler (la seconda però guastò la loro amicizia) e poi con alcuni libretti dedicati all’opera seria, un genere nel quale non si era ancora cimentato. Ma verso la fine del 1798 Da Ponte fu mandato in Italia per ingaggiare due cantanti e ne approfittò per fare una lunga vacanza di cinque mesi. Al suo ritorno fu licenziato, cadde in disgrazia e ripiegò coraggiosamente su altre attività. Divenuto uno dei librai più importanti, un editore di successo, un valido tipografo, nel 1802 ritornò a collaborare con il King’s Theatre, questa volta non solo come poeta ma anche nella gestione. I risultati nel teatro furono eccellenti, e anche la stampa locale, cosa rarissima, elogiò i libretti, in particolare «Il trionfo dell’amor fraterno» e «Il ratto di Proserpina», musicate dall’ottimo Peter Winter. Quelli nella gestione si rilevarono invece disastrosi. Stanco, sfiduciato e perseguitato dai creditori e dai fallimenti delle imprese cui ingenuamente aveva partecipato, nel 1805, a cinquantasei anni, trovò come unica possibilità di salvezza la fuga in America. Tuttavia, anche nel Nuovo Mondo le avversità non cessarono di perseguitarlo. A New York Da Ponte non restò a lungo a causa di un’epidemia di febbre gialla che colpì la città. Si trasferì in campagna, nel New Jersey, dove comprò una piccola casa con del terreno; l’attività intrapresa era quella, del tutto inedita per lui, di acquistare prodotti della terra per rivenderli a New York; aprì anche uno spaccio, ma ben presto si rese conto di non essere adatto a quel genere di lavoro e approfittando dell’amicizia contratta con la influente famiglia Moore, fra il 1807 e il 1811 egli fu impegnato a New York con una scuola d’italiano. La guerra fra gli Stati Uniti e l’Inghilterra lo costrinse ancora una volta a trasferirsi e a riprendere l’attività di droghiere nel villaggio di Sunbury (Pennsylvania). Le speranze di trovare in quella cittadina pace e tranquillità con un onesto lavoro che gli consentisse di vivere decorosamente tramontarono dopo sette anni. Senza lavoro e con pochi soldi, nel 1818 provò a recarsi a Filadelfia, ma la sua reputazione di uomo di cultura era fortemente compromessa da quella di commerciante fallito, cosicché nel 1819 preferì tornare a New York, seguendo il consiglio degli amici Moore. Qui trascorse gli ultimi diciannove anni della sua vita, ritornando alle amate lettere, ai libri, all’insegnamento e diventando il primo professore d’italiano della Columbia University. Per amore della lingua e della letteratura italiana e per quello della sua patria scrisse testi battaglieri e fortemente polemici come «Dante Alighieri» e «Sull’Italia», ma anche l’«Estratto delle Memorie», dato alle stampe per protestare contro una recensione del «Don Giovanni» di Mozart in cui non era apparso il suo nome, e per dimostrare al colto pubblico americano come nei confronti del musicista egli fosse stato decisivo presso la Corte di Vienna. Ma i suoi contatti con la musica non cessarono, anzi, nonostante l’età (84 anni) e una nazione affatto impreparata e quasi ostile all’opera lirica europea, riuscì non solo a far approdare a New York una vera e propria compagnia italiana di canto, ma addirittura a far costruire per essa un bellissimo teatro, degno dei migliori del Vecchio Continente. L’impresa non ebbe la fortuna da lui sperata, inducendolo a pensare seriamente, in un momento di scoramento, a un estremo ritorno nel proprio paese. Una lettera del suo migliore amico, il compagno d’infanzia e insigne letterato Michele Colombo, insieme a un nobile gesto di un cittadino newyorkese lo convinsero a desistere dal folle proposito. Morì nel 1838, e queste sue parole scritte poco prima rendono bene l’idea del suo stato: «Son passati diciotto mesi da che non ho più un solo allievo! Io! il creator della lingua italiana in America, che l’insegnò a più di 2.000 persone, che stordirono coi loro progressi l’Italia. Io! il poeta di Giuseppe II, lo scrittore di trentasei drammi, l’anima di Salieri, di Weigl, di Martini, di Winter e di Mozart! Dopo ventisette anni di fatiche, di cure e di servigi, non ho più un allievo, idest non ho, vicino a NOVANTA! NON HO PIÙ PANE IN AMERICA!!».

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