Ciascuno ha le sue cartelle preferite, col proprio nome
scritto sul retro. Tre cartelle si pagano due soldi, sei un ventino, e chi ne affitta
nove ottiene lo sconto. Ma nessuno può badare a nove cartelle contemporaneamente,
specie quando estrae Clara che è veloce come un diretto. “Non per nulla è
promessa a un ferroviere”, ha detto Luisa Cecchi-La Palisse. Clara ha pure la
responsabilità della conservazione della tombola, che fu comperata nuova tre
anni fa, ed è di proprietà comune. Sul cartellone, chissà poi perché, c’è
rappresentato il Duomo di Milano e di lato una Fortuna aerea: una ragazza
bendata che vola. Ed a seconda dei presenti l’ambo, come media, vince quattro
soldi, il terno mezza lira, la cinquina il doppio e la tombola tre lire.
Il gioco è un gioco universale. Lo giocano nei “bassi” di
Foria e nelle case sul Naviglio, nella “banlieue” e nei vicoli dietro il
“paseo”. E’ un gioco latino: gli emigranti lucchesi l’hanno portato oltremare
assieme alle statuine. La nostra gente gli dà la cornice del proprio spirito
vernacolo, del proprio frizzo, e della propria scollacciata ingenuità. Ciascuno
lancia i razzi di cui dispone (i riferimenti li suggerisce la Cabala del Lotto)
e quelli che gli sembrano consentiti dalla morale. Ma quando ad estrarre tocca
allo Staderini, è la girandola che si sfrena. “La bara! Il sangue! Le
carrozzine!” egli dice. E fin qui, anche i ragazzi sanno ormai di dovere
intendere 4, 18, 22. (Che il 7 era la zappa e l’1 il più piccino lo sapevano
fin dal primo giorno di scuola, così come 90 è la paura, e 47 morto che parla).
“La Clorinda!” dice lo Staderini. La Clorinda fa 88 perché
porta gli occhiali.
“Il nostro cuoco!”, grida il ciaba, estraendo dal sacchetto
il 28, numero dei cornuti. Ma poi si volge verso Beppino, gli strizza l’occhio
e aggiunge: “Credevasi! Sia come non detto!”.
Già San Crispino scivola nell’illecito. Vi si sprofonda
allegramente: “Il bacio! Il seno! Il monte di Venere!”. (Ma è timore di censura
a trattenerci: il ciaba è molto più preciso. Ed anche, questo sì, un poco più
volgare).
La tavolata è un coro di risa e di zittii. Luisa indica i
ragazzi che stanno attenti come furetti: “Si moderi” ella dice: “Ci sono i
tetti bassi!”).
E in onor dei tetti bassi, all’apparizione del 9 il
ciabattino dirà “la cacca!”, mentre fino all’anno scorso l’avevamo udito che
diceva : “Carlino ragioniere”. Ma veramente in onor dei tetti bassi? Oppure la
nostra gente non si permette più nemmeno questa segreta confidenza? Ormai non è
più al tavolo della tombola che se ne può parlare.
(Vasco Pratolini, “Cronache di poveri amanti”, introduzione
di Ruggero Jacobbi, Milano, Mondadori (“Oscar”), 1971, pp. 333-35)
(nell’immagine, Emilio Massa, conduce l’irriverente
tombolata popolare all’interno dello spettacolo “Tombolata Show”, Teatro San
Carluccio di Napoli; da http://www.teatrosancarluccio.com/Stagioni/Pagine%20Stagione%202008-09/Stagione%202008_09.htm)
(post a cura di Ezio Falcomer)
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