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martedì 28 gennaio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 gennaio.
La mattina del 28 gennaio 1986 alle ore 11:39 della costa orientale degli Stati Uniti, lo Space Shuttle Challenger esplose dopo 73 secondi di volo (all'inizio della missione STS-51-L, la 25ª missione del programma STS e il 10º volo del Challenger) a causa di un guasto a una guarnizione, detta O-ring, nel segmento inferiore del razzo a propellente solido (Solid-fuel Rocket Booster, SRB) destro. La rottura della guarnizione provocò una fuoriuscita di fiamme dall'SRB che causarono un cedimento strutturale del serbatoio esterno (External Tank, ET) contenente idrogeno ed ossigeno liquidi. Alcune parti dell'orbiter come lo scomparto dell'equipaggio e molti altri frammenti furono recuperati dal fondo dell'oceano. Il lancio fu trasmesso in diretta TV, anche se molti telespettatori lo seguirono in differita nella giornata. Christa McAuliffe sarebbe dovuta essere la prima insegnante presente in un programma spaziale e gli studenti di tutto il mondo aspettarono la trasmissione televisiva per una sua lezione di scienze trasmessa dallo spazio. I voli nello spazio con equipaggio non ripresero prima di due anni, con il lancio dello Space Shuttle Discovery il 29 settembre 1988 e la sua missione di "Ritorno al volo" STS-26.
Il decollo seguì la normale sequenza di operazioni dello Shuttle: quando mancavano 6,6 secondi dal lancio si accesero i tre motori principali (SSME). Fino a quando non avviene il lancio vero e proprio, questi motori possono essere spenti in sicurezza e il lancio può essere annullato. Al momento del decollo (T=0), i tre motori erano accesi al 100% delle prestazioni e iniziarono ad aumentare fino al 104% sotto il controllo del computer. In quel momento i due razzi a combustibile solido vennero accesi e furono rimossi con cariche esplosive i blocchi che assicurano il veicolo alla rampa.
Una successiva analisi del video del lancio mostrò che nell'istante T+0.678 dal razzo a propellente solido di destra veniva emesso del fumo grigio scuro vicino al punto di aggancio del razzo al serbatoio esterno. L'ultima emissione di fumo avvenne a T+2.733 e questo venne visto fino all'istante T+3.375. Una saldatura tra due sezioni dell'SRB era stata spaccata dalla pressione; l'O-ring primario avrebbe dovuto sigillare il foro, ma il gelo aveva praticamente azzerato le sue proprietà elastiche. Le labbra dello squarcio, piegandosi, avevano bloccato l'O-ring secondario. Gli ossidi d'alluminio prodotti dalla combustione del carburante avevano creato un sigillo provvisorio, fermando l'emissione di fumo.
Durante l'ascesa si verificò il più violento wind shear nella storia del volo spaziale. Le raffiche di vento spaccarono il velo di ossido. All'istante T+58.788 una telecamera riprende la formazione di un pennacchio vicino alla struttura di aggancio del razzo di destra. All'insaputa dell'equipaggio del Challenger o del personale di Houston, il gas infiammato iniziò a fuoriuscire attraverso la falla nella giunzione. Nel tempo di un secondo, il pennacchio divenne ben definito e intenso (anche se il controllo di missione se ne fosse accorto, non avrebbe potuto fare nulla). Tutto il resto era apparentemente normale e l'equipaggio aspettava il "go" mentre gli SSME acceleravano.
Invece, la fiamma investì il serbatoio esterno creando un cedimento della struttura che mise in contatto l'idrogeno liquido e l'ossigeno, disintegrandolo.
Con la disintegrazione del serbatoio esterno, il Challenger, che viaggiava a Mach 1.92 a un'altezza di 46.000 piedi venne avvolto completamente nel fuoco esplosivo, virò dal suo corretto assetto rispetto al flusso dell'aria e fu immediatamente fatto a pezzi dalle forze aerodinamiche. I due SRB, che possono resistere a carichi aerodinamici maggiori, si separarono dal serbatoio esterno e iniziarono a volare in modo indipendente.
Lo Shuttle e il serbatoio esterno non "esplosero" effettivamente. Essi vennero rapidamente disintegrati dalle tremende forze aerodinamiche, essendo lo Shuttle vicino al punto Max Q di massima pressione aerodinamica. La cabina dell'equipaggio e gli SRB resistettero alla rottura. Mentre la cabina staccata continuava la sua traiettoria balistica, il carburante immagazzinato nel serbatoio esterno e nell'orbiter bruciarono per alcuni secondi, producendo un'enorme palla di fuoco. Se ci fosse stata una vera esplosione, l'intero Shuttle sarebbe stato distrutto all'istante, uccidendo nello stesso momento l'equipaggio. I due razzi SRB, separatamente, continuarono a volare mentre si allontanavano dalla palla di fuoco.
Alla rottura del veicolo, la robusta cabina dell'equipaggio si staccò, restando intera, e iniziò lentamente a cadere. Almeno qualche astronauta doveva essere vivo e cosciente dopo la rottura, perché tre delle sette "personal egress air pack" (PEAP, ovvero le riserve di ossigeno di emergenza) dei caschi furono attivate.
Gli investigatori scoprirono che la scorta di aria rimanente era compatibile con il consumo previsto dovuto alla traiettoria di caduta della cabina di 2 minuti e 45 secondi. La progettazione degli interruttori del PEAP rende molto improbabile l'attivazione accidentale dovuta alla rottura del veicolo o all'impatto con l'acqua. La NASA stima che le forze di separazione furono da 12 a 20 volte la forza di gravità per un brevissimo momento, entro due secondi l'accelerazione scese a 4 G e in dieci secondi la cabina si trovò in caduta libera. Queste forze sono tollerabili dal corpo umano, e di solito non causano che qualche svenimento.
Non si sa se gli astronauti rimasero coscienti a lungo dopo la rottura. In gran parte dipende dalla tenuta della pressione della cabina; in caso contrario, la durata dello stato di coscienza a quella altitudine è di qualche secondo, siccome i PEAP forniscono solo aria non pressurizzata essi non sarebbero stati di grande aiuto.
La cabina dell'equipaggio impattò nell'oceano a circa 333 km/h (207 mph), con una decelerazione di più di 200 G, molto oltre i limiti strutturali della cabina e quelli di sopravvivenza dell'equipaggio.
L'incidente del Challenger avvenne a causa della rottura del field joint del SRB di destra, che permise ai gas sotto pressione e ad alta temperatura e alle fiamme di fuoriuscire dall'O-ring e toccare il serbatoio esterno, provocando un cedimento strutturale.
Col senno di poi è chiaro che i field joint furono progettati male, ma non avrebbero probabilmente causato un problema così grave se il Challenger fosse decollato alle normali temperature della Florida (superiori a 10 °C). Il cedimento venne causato quindi dalla combinazione della cattiva progettazione e delle basse temperature dell'ultima missione. Gli ingegneri del costruttore Morton Thiokol degli SRB erano a conoscenza del problema e avvertirono di non effettuare il lancio, ma questi avvisi non furono comunicati adeguatamente alla NASA.
I resti identificabili dell'equipaggio furono restituiti alle famiglie il 29 aprile 1986. Due astronauti, Dick Scobee e Michael Smith furono sepolti dalle famiglie al cimitero nazionale di Arlington in due tombe separate, mentre i resti non riconoscibili furono sepolti nel memoriale allo Space Shuttle Challenger ad Arlington il 20 maggio 1986.

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