Buongiorno, oggi è il 21 febbraio.
Il 21 febbraio 2012 l'Eurogruppo concede alla Grecia ulteriori 130 miliardi di euro in aiuti, scongiurando così il default dell'economia ellenica.
Nel 2009, la Grecia ha dato il via alla crisi annunciando che il suo deficit di bilancio sarebbe stato del 12,9 per cento del PIL, che è più di quattro volte il limite del 3 per cento imposto dall’UE. Le agenzie di rating Fitch, Moody’s e Standard & Poor hanno subito tagliato il rating della Grecia, spaventando gli investitori e aumentando il costo dei prestiti futuri. Il tutto ha reso sempre più difficile che la Grecia potesse trovare i fondi per rimborsare i suoi titoli di Stato.
Nel 2010, la Grecia ha annunciato un pacchetto di austerità per abbassare il deficit al 3 per cento del PIL in due anni, progettato per rassicurare le agenzie e i mercati. Appena quattro mesi dopo, la Grecia ha avvertito che sarebbe andata in default, lo stesso.
L’UE e il FMI hanno fornito 240 miliardi di euro in fondi di emergenza in cambio di ulteriori misure di austerità. Questo ha dato alla Grecia abbastanza soldi solo per pagare gli interessi sul proprio debito già esistente e mantenere le banche capitalizzate.
Le misure di austerità hanno rallentato ulteriormente l’economia greca riducendo le entrate fiscali necessarie per ripagare il debito. La disoccupazione è salita al 25 per cento e numerose rivolte sono esplose per le strade. Il sistema politico greco è entrato in un periodo di profonda crisi.
Nel 2011, l’European Financial Stability Facility (EFSF), un altro strumento di prestito finanziato dai paesi dell’UE, ha aggiunto altri 190 miliardi di euro al piano di salvataggio. Nel 2012, il rapporto debito-PIL della Grecia era salito al 175 per cento, quasi tre volte il limite del 60 per cento indicato dall’UE. Gli obbligazionisti finalmente accettano un taglio sull’investimento, accettando una svalutazione del 75 per cento sui 77 miliardi di dollari del valore del debito.
Ma come è stato possibile arrivare fino a questo punto?
I semi della crisi greca sono stati piantati nel 2001, quando la Grecia ha adottato l’euro come moneta. La Grecia era un membro dell’Unione Europea dal 1981, ma non poteva entrare nella zona euro. Il suo deficit di bilancio era stato troppo alto per i criteri di Maastricht.
Tutto è andato bene per i primi anni. Come altri paesi della zona euro, la Grecia ha beneficiato del potere della moneta unica, che permetteva tassi di interesse più bassi e un afflusso di capitali di investimento e prestiti.
Nel 2004, la Grecia ha annunciato di aver mentito per poter aggirare i criteri di Maastricht. L’UE, tuttavia, non ha imposto delle sanzioni. Perché no?
Per tre cause principali:
1. Anche Francia e Germania stavano spendendo di sopra del limite nello stesso momento, sarebbe stato ipocrita sanzionare la Grecia.
2. C’era forte incertezza su quali sanzioni esattamente applicare. Potevano espellere la Grecia, ma sarebbe stata una decisione dirompente che avrebbe indebolito l’euro.
3. L’UE era impegnata a rafforzare il potere della moneta unica sui mercati valutari internazionali. Un euro forte avrebbe potuto convincere altri paesi dell’UE, come il Regno Unito, Danimarca e Svezia, ad adottare l’euro.
Di conseguenza, il debito greco ha continuato a crescere fino a quando la crisi è scoppiata nel 2009. Ora, l’UE deve stare dietro alla Grecia. In caso contrario, dovrà affrontare le conseguenze della Grexit, e non solo.
La Grecia è diventata l’epicentro della crisi del debito in Europa dopo l’implosione di Wall Street nel 2008. Con i mercati finanziari globali ancora in ripresa, la Grecia ha annunciato nell’ottobre 2009 di aver rivisto al rialzo le cifre del deficit per anni, sollevando allarmismi circa la solidità del sistema finanziario greco.
Improvvisamente, la Grecia è rimasta fuori dai prestiti sui mercati finanziari. Dalla primavera del 2010, ha iniziato ad avvicinarsi alla bancarotta che minacciava di scatenare una nuova crisi finanziaria.
Per scongiurare una simile calamità, la cosiddetta Troika - il FMI, la Banca centrale europea e la Commissione europea - ha messo in campo il primo dei due piani di salvataggio internazionali per la Grecia, per un totale di più di 240 miliardi di euro. Naturalmente, il piano di salvataggio aveva delle sue condizioni.
Le istituzioni creditrici hanno imposto condizioni di austerità che hanno richiesto tagli drastici e aumenti sulle tasse. Quest’ultime hanno inoltre spinto la Grecia a rivedere la conformazioni della propria economia, semplificando le dinamiche di governo, dando fine all’evasione fiscale e rendendo la Grecia un Paese più attraente per gli investimenti dall’estero.
I finanziamenti avrebbero dovuto far guadagnare tempo alla Grecia per stabilizzare le proprie finanze e sedare i timori del mercato su una possibile rottura nell’Unione.
Nonostante il piano di salvataggio abbia aiutato, i problemi economici della Grecia non sono scomparsi. La crescita economica si è ridotta di un quarto in cinque anni e la disoccupazione è al di sopra del 25 per cento.
I fondi di salvataggio servivano - e servono tutt’ora - soprattutto a ripagare i prestiti internazionali della Grecia piuttosto che a sostenere la sua economia. E il governo ha ancora una carico di debito sconcertante che non sarà in grado di ripagare senza una ripresa nel Paese.
Molti economisti e molti greci danno la colpa alle misure di austerità per gran parte dei problemi del paese. Il partito di sinistra Syriza ha vinto di nuovo le elezioni promettendo di rinegoziare il piano di salvataggio; Tsipras infatti sosteneva già che l’austerità aveva creato una «crisi umanitaria» in Grecia.
Ma anche i creditori hanno di che rimproverare alla Grecia: Atene non ha condotto le revisioni economiche necessarie e previste dal piano di salvataggio.
Mentre il dibattito infuria, l’unico punto su cui tutti concordano è che la Grecia è ancora una volta andata a corto di liquidità.
Il 20 agosto 2022, dopo 12 anni, si è conclusa la sorveglianza europea nei confronti della Grecia. Alla fine di giugno la Commissione europea ha deciso che
lo stretto controllo imposto nei confronti di Atene dal 2010 non è più giustificato, dopo che a fine aprile il governo ha restituito in anticipo al Fondo monetario internazionale (Fmi) l’ultima tranche (1,58 miliardi di dollari) del prestito ricevuto. “Dopo dodici anni […] si chiude un capitolo difficile per il nostro paese”, ha dichiarato il ministro delle finanze Christos Staikouras. “La Grecia torna a una normalità europea e non sarà più un’eccezione nell’eurozona”.
Nonostante le rassicurazioni offerte dal primo ministro di destra Kyriakos Mitsotakis, i greci non credono a un ritorno alla normalità e non riescono a
cancellare dalla memoria un decennio che per loro è sinonimo di crollo, impoverimento, regressione e umiliazione. Ci vorranno decenni prima che il paese si riprenda dalla terapia d’urto che gli è stata imposta e che ha portato danni colossali.
La Commissione europea, dal canto suo, si limita a ignorare il problema. In una lettera firmata dal vicepresidente Valdis Dombrovskis e dal commissario
all’economia Paolo Gentiloni, Bruxelles sottolinea che il governo greco ha rispettato la maggior parte degli impegni presi. Questo è l’elemento essenziale per l’Europa, che per quanto riguarda tutto il resto non ha voglia di dilungarsi sull’argomento.
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