Buongiorno, oggi è il 12 novembre.
Il 12 novembre 1942 inizia nel Pacifico la battaglia navale di Guadalcanal, che segnerà l'inversione di tendenza nella guerra nippo americana.
In sei mesi di guerra i giapponesi erano passati di vittoria in vittoria, allargando incessantemente il raggio d'azione delle loro forze terrestri e navali. Nel Pacifico centrale avevano conquistalo l'isola di Wake, avamposto americano sulla rotta per Tokio. Nel Pacifico meridionale avevano spazzato il nemico dalle Marshall, dalle Caroline, dalle Marianne ed avevano iniziato l'offensiva contro le Salomone e le Gilbert. Nei mari della Sonda erano cadute, in una rapidissima campagna, le Filippine, le Indie Olandesi, il Borneo, le Molucche, Timor e, in parte la Nuova Guinea. Sul continente poi, oltre all'Indocina, al Siam, alla Malesia e a buona parte della Birmania, i nipponici controllavano vaste zone della Cina e spingevano sempre più indietro le demoralizzatissime armate del generalissimo Ciang Kai Scek. La situazione strategica giapponese era quindi formidabile anche se l'immensità del fronte richiedeva l'impiego di forze ingentissime. Comunque, a sei mesi dal colpo di Pearl Harbour, il piano del comando nipponico il quale presupponeva la creazione di una fascia di sicurezza tale da garantire l'invulnerabilità del territorio giapponese e il libero sfruttamento delle risorse del paesi occupati poteva dirsi compiuto oltre ogni più rosea speranza. Occorreva adesso attuare il secondo tempo dell'offensiva: portare cioè le basi d'attacco del Tenno a distanza ravvicinata dai gangli vitali del nemico, in modo da realizzare le premesse della azione finale che avrebbe dovuto portare alla vittoria. Nel quadro di questa seconda offensiva vanno esaminate le operazioni contro le isole Aleutine, le isole Midway, la Nuova Guinea e l'isola di Guadalcanal.
Nell'agosto del 1942, con l'occupazione di Guadalcanal, nelle Salomone, e con la conquista di alcune isole dell'arcipelago delle Aleutine, i giapponesi raggiunsero il culmine della loro potenza nel Pacifico. Ma, proprio in quel momento, quando sembrava che più nulla potesse opporsi alla loro espansione, cominciò la crisi nipponica. Il primo segno della ripresa offensiva americana si ebbe nella battaglia di Midway, quando i nipponici, nel giro di poche ore, persero tutte e quattro le portaerei impiegate nell'azione e furono costretti a rinunciare al tentativo di sbarco nella isola. Fino ad allora, è importante rilevarlo, le loro perdite erano state pressoché insignificanti: tre cacciatorpediniere silurati da sommergibili e due affondati dalle batterie di Wake, oltre alla portaerei « Soho » affondata nella battaglia del Mar dei Coralli. Mai, quindi, nella storia, successi tanto importanti, su un così vasto fronte, erano stati ottenuti ad un prezzo così basso. Ma, con la battaglia di Midway la situazione cambiò radicalmente. Cambiò, soprattutto, il rapporto delle forze in campo, poiché mentre i giapponesi cominciavano a risentire delle perdite sempre più elevate di aerei e dei piloti sperimentatissimi, che costituivano il nerbo della sua aviazione navale, gli americani si andavano risollevando dal colpo a sorpresa di Pearl Harbour e le loro squadre venivano raggiunte sia dalle navi sottratte allo scacchiere atlantico, sia da quelle uscite dai cantieri. Della battaglia di Midway è il caso di rilevare che, nell'azione, l'elemento sfruttato dagli americani fu la sorpresa tattica e strategica. I nipponici, infatti, credevano di poter operare a colpo sicuro, in assenza del grosso della flotta avversaria, da loro ritenuta all'ancora a Pearl Harbour. Invece l'amm. Nimitz, decifrati alcuni messaggi radio nipponici, poté predisporre tutte le misure difensive e lanciare gli apparecchi delle sue portaerei al momento opportuno, cogliendo in crisi il nemico che aveva già inviato i suoi bombardieri a martellare le basi terrestri di Midway. La fortuna fece il resto e, una volta privi di protezione aerea, per la perdita delle loro basi galleggianti, i nipponici non ebbero altra scelta che la ritirata verso le basi metropolitane. Molto più complessa, nel suo sviluppo, nelle sue premesse strategiche e nelle sue conseguenze nel quadro generale del conflitto nel Pacifico, la lotta per la conquista di Guadalcanal. Quest'isola, come Midway, aveva un'evidentissima importanza per ambedue le parti contendenti. In mano ai giapponesi (che al momento dell'attacco americano stavano completando la costruzione di una importante base aerea) sarebbe stata la piattaforma di lancio per una serie di pericolose incursioni verso le basi australiane e per nuove operazioni offensive verso le isole Ebridi e la Nuova Caledonia. Cioè verso il dominio totale e incontrastato del Mar dei Coralli. In mano agli americani, invece, avrebbe alleggerito il duro servizio delle portaerei, costrette ad operare lontanissime dalle loro basi di armamento, e sarebbe servita a neutralizzare la grande base nipponica di Itabaul. Ben si comprende, quindi, l'accanimento con cui fu combattuta la battaglia di Guadalcanal che, iniziatasi il 7 agosto 1942 con lo sbarco di una divisione di Marines, continuò fino al febbraio del 1943 senza tregua né in mare né a terra né in cielo. Migliaia e migliaia di uomini furono condotti a combattere e a morire su quell'isola inospitale. Centinaia di navi operarono nelle sue acque, trovandovi spesso la loro liquida tomba. Migliaia e migliaia di aerei volteggiarono nel cielo di Guadalcanal, di Tulagi, di Savo, di Santa Cruz bombardando, mitragliando, silurando. Sul mare le battaglie più importanti furono quelle di Savo e delle Salomone Orientali. La prima si concluse con una strepitosa vittoria nipponica. Infatti gli incrociatori giapponesi che, nella notte dell'8 agosto, entrarono nello stretto di Savo, ebbero la fortuna di non essere avvistati e poterono distruggere tutta la squadra di incrociatori che era rimasta in rada per proteggere il convoglio di sbarco. Solo un errore di valutazione del comandante giapponese salvò il convoglio da una fine drammatica che avrebbe avuto incalcolabili conseguenze e forse avrebbe determinato l'abbandono di Guadalcanal da parte degli americani. La battaglia delle Salomone Orientali, invece, combattuta ancora una volta dalle sole portaerei, fu un insuccesso giapponese. I nipponici vi persero una delle poche portaerei disponibili in quel settore. Ma, oltre a queste azioni di massa, vanno segnalati anche altri attacchi fortunati, come quelli dei sommergibili nipponici che affondarono, fra l'agosto e le metà di settembre, la portaerei « Wasp », danneggiando gravemente la portaerei « Saratoga » e silurando la nave da battaglia « North Carolina ». Questi successi portarono gli americani sull'orlo dell'abisso. Vi fu infatti un momento in cui, in tutto il Pacifico meridionale, essi potevano disporre solo di due navi efficienti: una portaerei e una Corazzata. Ma la grande occasione non fu sfruttata dai nipponici o per insufficienza di informazioni o, come molti pensano, per lo stato di esaurimento in cui si trovavano dopo un ciclo operativo tanto lungo. Certo è che, dopo il colpo fortunato di Savo, la situazione andò sempre più aggravandosi per i giapponesi ai quali, dopo qualche mese sfuggì per sempre l'iniziativa delle operazioni. Infatti anche le operazioni offensive nella Nuova Guinea, iniziate quasi contemporaneamente all'azione contro Guadalcanal, nei primi mesi del 1943 volsero decisamente a favore delle forze angloamericane. Cominciò invece la marcia ascendente americana verso il lontano trionfo di Tokio. La via fu lunga, dura e sanguinosa. Lo dimostrano le dodicimila croci che, nell'isola selvaggia e impervia di Guadalcanal ne segnano la prima pietra miliare.
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