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venerdì 12 aprile 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 aprile.
Il 12 aprile 1175 termina l'assedio di Alessandria da parte delle truppe dell'imperatore Federico Barbarossa, che ne esce sconfitto.
Alessandria, città di medie dimensioni adagiata sulla pianura padana, alla confluenza del Bormida e del Tanaro, porta d’ingresso del Monferrato, offre una leggenda molto suggestiva.
Alessandria nacque nella seconda metà del secolo XII, con il nome di Civitas Nova, su un nucleo urbano già esistente costituito dall’antico borgo di Rovereto con l’aiuto dei feudi vicini di Marengo, Borgoglio, Gamondio, Solero, Villa del Foro, Oviglio e Quargnento, che intendevano ribellarsi degli Aleramici, allora signori del Monferrato.
In questo le popolazioni furono supportate dai comuni della Lega Lombarda, in contrasto con il marchesato del Monferrato, principale alleato del Barbarossa.
La città, fondata ufficialmente nel 1168, in quell’anno assunse il nome attuale in onore di Papa Alessandro III, ampio sostenitore in quel periodo delle azioni della Lega Lombarda contro il Sacro Romano Impero che aveva scomunicato Federico Barbarossa.
Il 29 ottobre 1174 Alessandria subì un attacco delle forze imperiali: cominciò così un lungo assedio che terminò il 12 aprile 1175, con la resa degli uomini del Barbarossa, attaccati e colti impreparati dagli alessandrini.
E’ proprio durante l’assedio, che inizia la nostra storia.
Cinta da mura di pietra, e fatte di paglia i tetti delle sue case, Alessandria era sotto l’assedio duro delle truppe di Federico Imperatore, solo venti chicchi di grano a testa erano rimasti agli abitanti mentre fuori dalle mura l’esercito dell’Imperatore aveva cibo a volontà. Il Barbarossa ogni giorno saliva al colle di San Salvatore per guardare di lontano la lenta morte della città assediata.
Sulle mura, ogni sera faceva la sua comparsa un suonatore, e la musica in lontananza lasciava strani effetti anche sugli assedianti che alle note di quella dolce melodia sentivano salire la malinconia della lontananza dalle loro case.
Viveva nel borgo un contadino, Galgliaudo Aulari, e la sua mucca e, se non fosse stato perché era la sola che possedeva, era persino la sua preferita, ma era così magra e denutrita da far spavento; da quando la città era sotto assedio non poteva più farla pascolare nella campagna e il buon Gagliaudo si tormentava nel vederla così.
Dall’alto delle mura Gagliaudo guardava i cavalli dell’esercito di Barbarossa pascolare liberi poi, guardando la sua mucca sentiva una gran pena in cuore a vederla ridotta pelle e ossa a morir di fame e parlando sottovoce disse tra sé e sé… “Bisogna pur trovare una soluzione…”
Mentre Gagliaudo era intento nei suoi pensieri a cercare soluzioni per poter far pascolare la sua mucca, si teneva il Consiglio dei Sapienti di Alessandria. ” Alessandria è condannata” brontola un consigliere, “ci resta un solo sacco di grano”, dice l’abate Leone, “domani ci dovremo arrendere all’imperatore “ ma, mentre si sta prendendo questa grave decisione bussa alla porta Gagliaudo con il cappello in mano e la mucca al fianco.
“Che vuoi Gagliaudo, vieni qui a far pascolare la tua mucca?”  “non sono qui per chiedere”, disse Gagliaudo, “ma per fare una proposta che se accetterete farà libera Alessandria”. Un mormorio si diffuse presto tra i presenti, Gagliaudo non era certo stimato come un pensatore ma, visto che non c’erano altre soluzioni all’orizzonte, decisero di starlo ad ascoltare. Così, quello che tutti consideravano uno sciocco contadino al contrario propose un trucco furbo e un po’ birbante per ingannare il Barbarossa . Dopo una lunga discussione e visto che comunque tutto era ormai perduto il Consiglio decise di tentare.
Ecco che Gagliaudo uscito con la sua mucca ed il sacco di grano versò gran parte del grano dentro la greppia e lo diede da mangiare alla mucca trattenendone per sé un paio di chili; uomini donne e bambini affamati guardavano mangiare l’animale furiosi nel vedere un tale affronto e le guardie riuscirono a stento ad impedire una vera ribellione; Gagliaudo invece uomo di rispetto andò a mangiare di nascosto dagli altri che certo non avrebbero potuto comprendere il suo intento.
Quando l’animale fu sazio di frumento la spinse a una delle porte e spaventatala con un gran urlo la fece scappare per poi mettersi a correrle dietro gridandole: “Torna che non hai ancora finito la tua biada!”
Mucca e contadino finirono ben presto tra le spade dei soldati del Barbarossa ed in fine al cospetto di lui che con stupore chiese da dove provenivano. “Da Alessandria, Imperatore!”. “E come mai questa vacca non è magra e stecchita? Cos’ ha mangiato?” “Grano”, disse Gagliaudo e nel dire la gran frottola levò il mantello per far vedere la sua pancia ben piena e tonda dal grano che aveva anche lui mangiato.
“Bugiardo!” disse l’imperatore, “chi mente a me merita la morte!”
“No sire, giuro! Il grano è la sua biada, ne abbiamo tanto che persino cani e porci lo mangiano ma questa disgraziata è scappata perché stanca del grano voleva fieno e l’erba fresca del prato”.
Barbarossa fu colto da mille ire ed esplose dicendo: “Bene ora la tagliamo in due e vediamo se dici il vero, chiamate un macellaio”.
Ma Gagliaudo che aveva a cuore la vita della sua mucca disse all’imperatore: “Sire anche la vita di una vacca è sacra al cuore del nostro Creatore perché sia tolta senza un buon motivo, tu puoi sapere la verità anche senza ucciderla, ciò che entra da una parte esce dall’altra se avrai la pazienza di aspettare un poco”.
L’imperatore trovata la proposta convincente convenne d’aspettare che uscisse la sostanza; ed ecco che nell’accampamento si trovarono tutti in attesa dell’evento e, dopo aver atteso il giusto tempo, si sciolse il mistero!!
“allora è vero”, disse il Barbarossa, “nella città c’è cibo in quantità se viene dato da mangiare agli animali!”
Ecco che scoppiò una gran protesta tra le truppe ormai stanche e Federico Barbarossa convinto che la città avrebbe resistito ancora per troppo lungo tempo, decise di togliere l’assedio.
Ancora oggi, Gagliaudo è stato immortalato in due sculture, una all’angolo del Duomo che da su Via Parma, ed un’altra, sempre in Piazza Duomo, con un’iscrizione di Umberto Eco che recita così:
“A Gagliaudo Aulari, che ci ha insegnato come si possa risolvere un conflitto senza uccidere alcun essere umano. Se il mondo lo ha dimenticato, ricordiamolo noi.”

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