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mercoledì 5 febbraio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 5 febbraio.
Secondo la tradizione cristiana, il 5 febbraio del 251 S.Agata spirò dopo il martirio.
Si narra che fosse una giovane catanese di nobile e ricca famiglia, che a 15 anni si convertì al Cristianesimo. Studi storico-giuridici recenti portano a pensare che avesse almeno 21 anni alla conversione, per via del titolo (diaconessa) impossibile da ottenere prima di quell'età, e non oltre i 25, a causa della Lex Laetoria con la quale è stata processata.
Secondo l'editto dell'imperatore Settimio Severo, i cristiani dovevano essere arrestati ed invitati ad abiurare la fede in Dio, pena la tortura e la morte.
Il proconsole di Catania, Quinziano, secondo la tradizione si era invaghito della giovane donna; o forse, da un punto di vista storico, era più probabilmente interessato all'enorme fortuna della sua famiglia; essendo stato respinto, inviò la cortigiana Afrodisia e le sue figlie, tutte donne molto corrotte, a tentare di farle pressioni psicologiche e portarla a negare la fede in Dio. Falliti tutti i tentativi, a causa della grande rettitudine di Agata, il proconsole decise di farla processare.
La giovane non volle abiurare la fede nemmeno dopo essere stata più volte frustata, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate e addirittura sottoposta alla terribile violenza dello strappo delle mammelle con una tenaglia.
Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e dolore, ma sopportava tutto per l’amore di Dio; verso la mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le appare s. Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che la risana le mammelle amputate.
Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, viene riportata alla presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate, domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”.
Allora Quinziano ordina che venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non brucia il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente muore bruciata, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine, il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo.
Nel 1040 le reliquie della santa furono trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le trasportò a Costantinopoli; ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale Gilberto ed il pugliese Goselmo, le riportarono a Catania dopo un’apparizione della stessa santa, che indicava la buona riuscita dell’impresa; la nave approdò la notte del 7 agosto in un posto denominato Ognina, tutti i catanesi risvegliatasi e rivestitasi alla meglio, accorsero ad onorare la “Santuzza”.
Nei secoli le manifestazioni popolari legate al culto della santa richiamavano gli antichi riti precristiani alla dea Iside; per questo s. Agata con il simbolismo delle mammelle tagliate e poi risanate, assume una possibile trasfigurazione cristiana del culto di Iside, la benefica Gran Madre.
Ciò spiegherebbe anche il patronato di s. Agata sui costruttori di campane, perché si sa, nei culti precristiani la campana era simbolo del grembo della Mater Magna. Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea, opera di celebri artisti catanesi; vi è anche il busto argenteo della “Santuzza”, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone.
Il culto per s. Agata fu talmente grande, che fino al XVI secolo essa era contesa come appartenenza anche da Palermo; la questione è stata a lungo discussa, finché a Palermo il culto per la santa, fu soppiantato da quello per s. Rosalia. Anche a Roma fu molto venerata: papa Simmaco (498-514) eresse in suo onore una basilica sulla Via Aurelia e un’altra le fu dedicata da S. Gregorio Magno nel 593.
Nel XIII secolo nella sola diocesi di Milano si contavano ben 26 chiese a lei intitolate. Celebrazioni e ricorrenze per la sua festa avvengono un po’ in tutta Italia, perfino a San Marino, ma è Catania il centro più folcloristico e religioso del suo culto; le feste sono due, il 5 febbraio e il 17 agosto, con caratteristiche processioni con il prezioso busto della santa, custodito nel Duomo.
Vi sono undici Corporazioni di mestieri tradizionali, che sfilano in processione con le cosiddette ‘Candelore’: fantasiose sculture verticali in legno, con scomparti dove sono scolpiti gli episodi salienti della vita di s. Agata. Il busto argenteo, preceduto dalle ‘Candelore’ è posto a sua volta sul “fercolo”, una macchina trainata con due lunghe e robuste funi, da centinaia di giovani vestiti dal caratteristico ‘sacco’.
Tante altre manifestazioni popolari e folcloristiche, oggi non più in uso, accompagnavano nei tempi trascorsi questi festeggiamenti, a cui partecipava tutto il popolo con le Autorità di Catania, devotissimo alla sua ‘Santuzza’.

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