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sabato 29 febbraio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 febbraio.
Il 29 febbraio 1928 moriva a Roma Il Maresciallo d'Italia Armando Diaz.
Era nato a Napoli il 5 dicembre 1861, da famiglia d'origine spagnola venuta in Italia con Carlo di Borbone. Iniziò la carriera militare nell'artiglieria, passando poi - dopo il corsa alla scuola di guerra -- nello Stato maggiore. Nel 1910 fu promosso colonnello di fanteria e dal maggio dei 1912 prese parte, alla testa del 93° reggimento, alla campagna libica, dove il 29 settembre 1912 rimase ferito a una spalla. Poco dopo, rimpatriato, fu chiamato al comando del corpo di Stato maggiore quale segretario del capo di Stato maggiore dell'esercito, generale Pollio, continuando in quella carica anche quando - morto improvvisamente il Pollio nel luglio 1914 - gli successe il Cadorna.
Promosso al grado di maggior generale, collaborò col Cadorna nella preparazione dell'esercito durante la neutralità italiana. Quando l'Italia entrò in guerra, fece parte del Comando supremo con le funzioni di capo del reparto operazioni, rimanendovi oltre un anno, e cioè fino a quando, promosso tenente generale, chiese ed ottenne il comando d'una divisione sul Carso (49a).
Si distinse nel 1916 nelle operazioni intorno a Gorizia, sul Veliki Hribach, a San Grado di Merna e sul Volkovniak. Nel maggio 1917, quando s'iniziò una nuova offensiva italiana, era alla testa del XXIII corpo d'armata, sempre sul Carso, agli ordini del Duca d'Aosta, comandante la III armata. In quelle operazioni (maggio-giugno) il suo corpo d'armata fu dapprima in riserva, poi venne inviato in linea nel settore di Castagnavizza a parare una furiosa controffensiva austriaca, contro la quale il D. riuscì a mantenere le posizioni fra Versic e Jamiano. Tre mesi dopo, ripresasi ancora l'offensiva sul Carso, il D. spintosi fino al vallone di Brestoivizza, si mantenne di fronte a vigorosi contrattacchi, a segnare il punto più avanzato toccato dalla nostra occupazione carsica. Fu ferito a un braccio e decorato di medaglia d'argento al valor militare. La sua azione complessiva di comandante del XXIII corpo gli valse la commenda dell'Ordine militare di Savoia. Aveva appena compiuto, ai primi di novembre del 1917, la ritirata con la III armata dal Carso al Piave, conseguente alla battaglia perduta dalla II armata sul medio Isonzo (Caporetto) , quando fu chiamato al supremo comando dell'esercito.
La decisione di sostituire Cadorna con Diaz fu presa a Peschiera al convegno voluto dagli Alleati.
Le decisioni sarebbero state prese a Rapallo, se Lloyd Gorge e Painlevè avessero avuto dei sicuri elementi di giudizio; che i politici italiani presenti in quel momento non avevano, così lontani e assenti dal fronte.
Dopo i colloqui, il comunicato dell'8 novembre annunziava qualcosa di concreto.
"Essendo stato deciso nei colloqui di Rapallo di creare un Consiglio Supremo politico fra gli Alleati, per tutto il fronte occidentale, sono stati nominati a far parte di tale Comitato militare: per la Francia il generale Foch, per l'inghilterra il generale Wilson e per l'Italia il generale Cadorna. A sostituire il generale Cadorna nel Comando Supremo è stato con Regio Decreto d'oggi nominato Capo dello Stato Maggiore del Regio Esercito il generale Diaz, e come sottocapi i generali Badoglio e Giardino".
Davanti ad un esercito non professionista ma di massa, i comandanti più che farsi capire da chi non poteva capire, dovevano loro, che erano in grado di comprendere, cercare di capire. Era più importante la questione "psicologica" che non quella "militare". E i fatti successivi diedero ragione di questa scelta.
Il piccolo sovrano piemontese, dopo la sanguinosa esperienza del rigido e spartano Cadorna, come lui settentrionale, volle un napoletano. Non era un genio della strategia? Non importava gran che. Si trattava di fabbricare un muro di sbarramento: un muro che non poteva avere altro fondamento che il "morale" dei soldati. I piani di battaglia li fanno i giovani tenenti colonnelli di stato maggiore freschi di studio e di entusiasmi. Mentre il nuovo comandante doveva occuparsi di ben altro.
Il Re probabilmente conosceva quella frase che ripeteva spesso Federico II quando visitava i suoi principi vassalli che trattavano i propri contadini all'occorrenza soldati, come bestie e con la frusta. Il Re di Prussia li rimproverava "...trattateli come uomini, non come animali addomesticati; perché quando avrete bisogno di veri uomini, non troverete in loro degli amici, ma troverete solo degli animali addomesticati, sempre pronti a fuggire da voi come davanti al nemico".
Mentre il Re lanciava il suo proclama, il generale Armando Diaz assumeva il comando e dirigeva alle truppe un laconico comunicato:
"Assumo la carica di Capo di Stato Maggiore, e conto sulla fede e sull'abnegazione di tutti".
Stop!"
Nell'ora grave, Armando Diaz immediatamente si adoperò per ridare saldezza all'esercito, riparare le gravi perdite subite dal 24 ottobre all'8 novembre, e risollevare gli animi turbati. Con le sole forze italiane (le divisioni alleate giunte in Italia essendo entrate in linea solo un mese dopo) superò la prima e più critica fase della stabilizzazione sulla linea Altipiani-Grappa-Piave, che il suo predecessore Cadorna aveva opportunamente prescelto per una resistenza ad oltranza, e che Diaz riaffermò fin dal primo momento di voler tenere ad ogni costo. Mentre rapidamente rinvigoriva l'esercito, il generale si mantenne sulla linea dei monti e del Piave durante tutto l'inverno 1917-18, finché nella seconda metà del successivo giugno fu in grado di respingere la grande offensiva (battaglia dei Piave) con la quale l'intero esercito austro-ungarico sperò di poter dilagare nel Veneto occidentale e nella Lombardia. Dopo la vittoriosa azione di giugno, Diaz preparò l'esercito al supremo attacco, riservandosi di fronte agli alleati la scelta del tempo e della linea direttrice, in modo che la battaglia riuscisse decisiva e, attraverso il crollo austriaco sulla fronte vegeta, assicurasse la pronta risoluzione della guerra.
Nell'autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l'offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 55 divisioni italiane contro 60 austriache. Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto - Vittorio Veneto - per spezzare il fronte nemico. Iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell'attacco principale, costringendoli all'inazione per la piena del fiume. Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all'attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l'avanzata. Il fronte dell'esercito austriaco si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile. Il 30 ottobre l'esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre. Il 4 novembre 1918 l'Austria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell'esercito nemico ed il successo italiano.
Dopo la guerra Diaz rimase in secondo piano finché in Italia prevalsero sentimenti di scarsa valutazione della vittoria e di scarsa riconoscenza per i combattenti; ma, nell'ottobre del 1922, all'avvento del Fascismo al potere, accettò l'offerta del portafoglio della Guerra nel nuovo regime, del quale fu convinto assertore, rimanendo a quel posto fino al 1924, allorché, per ragioni di salute, decise di ritirarsi definitivamente a vita privata. Poco dopo (novembre 1924) fu nominato maresciallo d'Italia, grado ripristinato per onorare i supremi condottieri dell'esercito nella guerra mondiale. Nel febbraio 1918 era stato nominato senatore del regno. Nel dicembre 1921 gli era stato conferito il titolo di duca della Vittoria.
Armando Diaz è morto a Roma il 29 febbraio 1928 ed è sepolto nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove riposa vicino all'ammiraglio Paolo Thaon di Revel.

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