BALI
Parto per Bali con questa storia che abita i miei pensieri,
anzi parto per Bali per questa storia.
Mi chiedo che cosa so di Bali è la risposta è poco, nulla.
Bali, isoletta indonesiana, grande più o meno la Corsica, gran produttrice di
riso, il migliore del mondo, bel mare, clima gradevole, un po’ d’induismo,
sapori esotici.
Che altro so di Bali? Nient’altro, eppure… è il principio.
Quiete e buio: questo esisteva soltanto al principio. Poi un giorno quella
oscura quiete vene rischiarata da una vibrazione, un suono. Il suono AUM avviò
la creazione, e da quel suono si irradiò una luce potente nella inseparabile
triade ANG (Dewa Brahma, il
Creatore), UNG (Dewa Wisnu, il
Conservatore) e MANG (Dewa Siwa, il
Distruttore). Uniti in un’unica eternità ANG UNG e MANG crearono il grande
suono AUM e in questa forma tripartita furono la grande fonte di energia che
chiamata Tinta governa unitamente sul Tri Loka, sui tre regni universali del
cosmo infinito, sul Bur, sul Buwah, sullo Swah.
Tinta ovvero Ida Sanghyang Widi Wasa, colui che
dimora nel Gunung Agung.
Che altro so di Bali? Poco, nulla. Splendidi ristoranti,
alberghi da mille una notte come il Four Seasons, surfing e snorkeling e
massaggi, fantastici massaggi balinesi, oli, essenze, e poi quel mirabile parco
giochi acquatico che è il Waterboom Bali.
Nient’altro, eppure… è un pesce. Il Gunung Apat, a ovest, è
la pinna caudale, a nord il Kubutambaha è la pinna dorsale, l’est, il Gunung
Seraya con le sue pianure costiere forma il muso, mentre la ricurva baia di
Padangbai a sud-est è la bocca. L’occhio di questo pesce è il cratere del
Gunung Agung, la montagna suprema, l’ombelico del mondo.
Che altro so di Bali? Poco, nulla. Il gamelan certo, non l’ho
mai sentito il gamelan, lo conosco solo perché lo citano Jon Hassel e Lou
Harrison, e poi i Beatles, col loro periodo mistico, e l’Hard Rock Cafè di
Kuta, quello con l’armonica di Bob Dylan e gli stivali di pelle di Grace Slick.
Nient’altro, eppure… Uno, la terra cinta d’acqua. Due, il riso piantato nella
terra. Tre, la montagna asse del mondo. Quattro, il mare che cinge la terra.
Cinque, la foresta avvolta di fogliame. Sei, la pianura con le mandrie brucanti.
Sette, i veggenti benedetti dagli dei. Otto, il cielo sopra la terra. Nove, gli
dei, modello all’uomo. Dieci, il re, gioiello fra gli uomini. Bali è l’undicesimo,
l’eka dasa, il ricominciare del
ciclo.
Che altro so di Bali? Poco, nulla. Stringo fra le mani la
Bali’s Lonely Planet, la sfoglio svogliato, ne fuoriescono frammenti di notizie
che mi si incollano sulla retina, forse anche la oltrepassano, ma in me non c’è
nessun desiderio di leggere, che oltrepassino pure, che vadano in giro per le
circonvoluzioni, io sono in vacanza, sono qui per riposarmi e divertirmi, è stato
un anno duro, faticoso, un anno con cui si è chiuso un ciclo, sono qui per
rilassarmi, ristorarmi. Nient’altro, eppure… Bali è la terra dove l’uomo è
formato da tre triangoli: il primo punta in basso, verso terra, è ANG, Brahma il rosso, poi due triangoli
successivi puntano verso il cielo, UNG e MANG, Wisnu il nero e Siwa il
bianco, insieme vibrano AUM e sono Ida
Sanghyang Widi Wasa.
Bali è il bidu
dove microcosmo e macrocosmo, visibile ed invisibile, spazio interno e spazio
esterno, durata ed eternità si congiungono in un punto.
[continua]
(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in
“Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche
di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp.
78-79 – immagine, danzatrici del Gamelan Cudamani, tratta da http://blogs.inlandsocal.com/iguide/2010/10/riverside-indonesian-music-and.html
)
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