(“E’ solo a frammenti / che / qualcosa / viene fuori”,
William Carlos Williams)
AVVERTENZA
Sul finire del 2000 presi l’impegno di scrivere intorno
all’alchimia, alla trasformazione del piombo in oro nei territori del cinema.
Inizialmente pensavo di trovare materia nelle immagini di Andrej Tarkovskij, ma
mi accorsi che in quei film vi era troppa poesia, troppo oro; così scesi sempre
più di livello e mi ritrovai a ragionare sulla pornografia. Avevo trovato il
piombo. Raccolsi un’innumerevole quantità di materiali, di appunti, di idee più
o meno organizzate.
I giorni passavano mentre continuavo a pensare l’articolo,
mentre tratteggiavo un inizio per poi subito cassarlo a favore di uno ulteriore,
mentre rileggevo gli appunti, mentre acquisivo nuove fonti. Giunse l’Agosto
senza che avessi prodotto alcunché.
Carico di libri e carte, partii in viaggio, partii per una
pausa che, credevo, potesse attivare lo scrivere, attualizzare il pensiero.
Ero convinto di avere filo e stoffa, scoprii di mancare
d’aghi.
Il viaggio mi portò intorno al mio cuore messo a nudo, mi
portò dinanzi non al riconoscimento della mancanza dell’ispirazione ma
all’accoglimento dell’inutilità, per me stesso, di quel tipo di ispirazione.
Scoprii che non mi ero perso nell’illusione del desiderio
bensì che avevo smarrito il desiderio dell’illusione, consumato la voluttà di
violare il segreto del desiderio.
Il viaggio mi portò di fronte all’affiorare di qualcosa fra
i segni opachi che spiazzavano ciò che ero, ciò che sapevo, ciò che potevo.
Quel qualcosa che appariva era una forma che oltrepassava le mie usuali forme
senza negarle.
Oltrepassare un’idea, una teoria, è negarla. Oltrepassare
una forma è trasformare questa in un’altra, rimarcare che il destino della
forma altro non può essere che il permanere forma.
Questa suggestiva ed illusiva forma però era così radicale
da dar da pensare su come il mondo, che ci appare, ci appaia molto prima di
venire percepito, prima di essere interpretato, prima di aver acquisito un
senso.
Carte e libri furono abbandonati.
La pornografia, la pornografia come iperrealtà dell’oggetto,
come iperrealtà totalmente visibile, e con essa il rischio della psicoterapia
di divenire sempre più infiltrata, abitata, dall’habitus pornografico, dal
furore di una trasparenza diagnostica e terapeutica così assoluta da poter
strategicamente incidere su pellicola l’infilmabile psichico, andarono a
svanire, trasformati da quest’opacità, da quest’illusività, da questa
velatezza, in un precipitato di frammenti di viaggio, di ridondanti
elencazioni, di insistiti smarrimenti linguistici, di estenuanti tentati vidi
spiegazione.
Ho sempre pensato che distillare fosse rendere sempre più
chiaro, sempre più leggero, sempre più essenziale. Da qualche tempo comincio a
credere che distillare sia invece un rendere sempre più concentrato, denso,
opaco e ch, quindi, il rivelarsi di qualcosa sia l’esatto contrario del suo
mostrarsi.
Buona visione.
[continua]
(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in
“Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi
Psicodinamiche di Torino, numero speciale "Terre alchemiche" volume I, anno VI, 2002, pp. 74-76 – immagine, film “La
grande bellezza”, di Paolo sorrentino (2013), tratta da http://ultimofilmsullaterra.wordpress.com/)
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