Il 20 settembre 1906 il generale Ross Van Tonningen pose
assedio al palazzo reale di Badung.
Gli olandesi erano schierati, fucili puntati, cannoni
armati, pronti all’impari scontro. Cosa potevano fare i sudditi di Tjokorda
contro la tecnica, l’economia, il potere dell’Occidente?
Nell’irreale silenzio, rotto solo dal ritmico battere dei
tamburi kulkul, dal palazzo si
levarono fiumi e fiamme, poi si aprirono le porte della reggia.
Ne uscì una strana processione guidata dal re Tjokorda in
persona.
Era seduto su un palanchino, trasportato da quattro uomini,
con indosso gli abiti bianchi della cremazione, adorno di splendidi gioielli,
il kriss d’oro fra le mani.
Dietro al re venivano i funzionari di corte, le guardie, i
sacerdoti, le mogli, i figli, i sudditi più fedeli: tutti vestiti di bianco,
tutti con fiori nei capelli, tutti armati di un kriss.
La processione avanzava verso la linea di fuoco olandese, i kulkul battevano, gli occhi si fissavano
negli occhi, il silenzio doleva alle orecchie.
Mancavano un centinaio di metri, un nulla fra i cannoni, i
fucili, le spade ed i kriss, Tjokorda
fece un gesto e tutta quella macchia bianca si arrestò come un gamelan che
interrompe bruscamente la sua musica. Il re scese dirigendosi verso un
sacerdote, lo guardò e questi immerse il kriss
nel petto del proprio sire.
Tutti, come babuten
di una danza Barong, iniziarono a
volgere le lame verso se stessi o a colpirsi l’un l’altro. Il bianco iniziò a
striarsi di rosso senza che nessun fucile, nessun cannone, nessuna spada
colpisse carne balinese.
Quattromila fra uomini e donne morirono quel giorno,
quattromila effettuarono puputan, il
suicidio rituale, quattromila uomini iniziarono e a loro seguirono quelli di
Tabana e quelli di Karangasen e quelli di Gianyar e quelli di Semarapura.
Quattromila uomini che non potevano permettere che kama, l’armonia, fosse spezzata dal kala olandese.
Quattomila uomini immersi nei loro adat, immersi nella consapevolezza che la fine della nascita è la
morte, che la fine della morte è la nascita, che questa è la legge.
Le uniche parole che Van Tonningen disse furono “Mio Dio,
cosa abbiamo fatto”
Richi, il gran maestro del teatro della fissità, colui che
dà luce e vita alla pietra, fermò le sue parole, versò lentamente il vino nei
bicchieri e, riversandosi indietro sulla sedia, pose i suoi occhi nei miei.
“Mi chiedevi una ragione per partire, è questa. Cos’altro ti
serve sapere per poter andare a Bali.
“Nient’altro”
[continua]
(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in
“Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi
Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno
VI, 2002, pp. 74-76 – immagine, figura del teatro Wayang indonesiano, tratta da http://www.campaniapuppets.it/Wayang.htm)
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