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domenica 14 luglio 2019

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 14 luglio.
Il 14 luglio 1969 l'esercito di El Salvador invade l'Honduras. Inizia la cosiddetta "guerra del calcio".
Un pallone che rotola, ventidue persone che gli corrono dietro, tre legni per ogni lato del campo, diversi esagitati che si dannano l’anima nel guardarli. Per alcuni, il calcio si riduce essenzialmente a questo. Parecchie altre volte, però, il calcio può anche essere molto, decisamente molto di più.
Può diventare qualcosa di terribilmente importante. E, certo non da solo ma insieme a un numero imprecisato di circostanze, diventare addirittura casus belli. Motivo dello scoppio di una guerra, che farà morti, feriti, e cambierà per sempre storia e geografia di un continente. E’ successo nell’estate del 1969, l’estate in cui El Salvador e Honduras, due piccoli stati di quel lembo di terra che unisce Nordamerica e Sudamerica, si dichiararono guerra dopo essersi giocati tre partite di spareggio per andare ai Mondiali messicani del 1970.
Prima, però, bisogna fare un passo indietro di qualche anno. Un piccolo flashback per spiegare per quale motivo El Salvador-Honduras, quell’estate, non era un semplice spareggio tra due piccole nazionali che volevano guadagnarsi il diritto di essere prese a pallonate dalle grandi del calcio mondiale un anno più tardi. El Salvador-Honduras, in quell’estate del 1969, si trasformò in uno di quei duelli da film western in cui i due protagonisti, non per forza un buono ed un cattivo, si guardano dritti negli occhi con le loro Colt in attesa di sparare il proiettile decisivo.
Bisogna tornare indietro fino al 1967, o forse fino al giorno in cui Honduras e El Salvador si sono scoperte confinanti in un fazzoletto di terra tra Nicaragua e Guatemala, strette tra Messico da una parte e Colombia dall’altra. Da queste parti transitano i traffici americani nel continente, dagli Stati Uniti vengono a coltivare per esportare in Sudamerica. Negli anni ’60 del Novecento l’El Salvador diventa partner privilegiato per le coltivazioni statunitensi, vive un boom demografico che fa crescere la popolazione fino a livelli insostenibili. E una popolazione così ampia in un paese così piccolo come El Salvador può significare solo una cosa: disoccupazione alle stelle. Una situazione di pressione sociale che rischia di diventare insopportabile in un territorio così piccolo.
Così, nel 1967, El Salvador e Honduras stringono un patto che ha del clamoroso: la Convenzione Bilaterale stabilisce che i contadini salvadoregni in cerca di lavoro possono varcare il confine e trasferirsi in Honduras. Ecco, l’Honduras non è che sia il Paradiso in terra. Anche lì, non c’è tutto questo lavoro, soprattutto se ci si mettono anche oltre 300.000 nuovi arrivi da El Salvador. Facile capire che questa storia non finirà bene. Infatti, prevedibilmente, ci mette davvero molto poco a deragliare. Nel 1969, Osvaldo Lopez Arellano, il dittatore che era a capo dell’Honduras, decide che ha visto abbastanza. Tutti i contadini salvadoregni arrivati in Honduras vengono espulsi ed espropriati delle loro terre. La tensione sale alle stelle, con i cittadini honduregni che chiedevano a gran voce questo provvedimento, e il governo di El Salvador che denuncia l’illegalità e la disumanità della decisione del dittatore honduregno. E’ il maggio del 1969, e il calcio sta per entrare di prepotenza in questa storia.
Nel 1970 si giocheranno i Mondiali in Messico, e, proprio il fatto che la Trìcolor sia già qualificata, apre le porte ad un altro posto per una squadra della CONCACAF. Dopo il primo girone, sono rimaste in quattro, che, dopo semifinali e finale, si giocheranno l’ultimo posto disponibile. E queste quattro nazionali sono Stati Uniti, Haiti, Honduras, El Salvador. Ora, uno sceneggiatore sadico e impaziente di assistere a quella scena da film western con le Colt spianate, non esiterebbe un attimo. E, puntualmente, il sorteggio sceglie che sarà così. Honduras ed El Salvador si affronteranno, nel maggio del 1969, in un doppio spareggio. I due paesi, in stato di agitazione e di insurrezione, sembravano non aspettare altro. E’ l’occasione perfetta per regolare quei maledetti conti e provare a farli tornare.
L’8 giugno si gioca la semifinale di andata. L’Estadio Nacional di Tegucigalpa, Honduras, ha l’onore di ospitare il primo atto di quella che si preannuncia come una vera e propria tragedia. Nei giorni precedenti alla gara il paese è attraversato da ondate di scioperi e manifestazioni, in attesa del nemico salvadoregno. La notte che precede il match, è un inferno per i calciatori di El Salvador. L‘albergo che li ospita viene praticamente circondato. Alle finestre arrivano, senza sosta, quando va bene uova, quando va male sassi. Quando va peggio, qualche colpo di pistola. Allo stadio, il giorno dopo, ci arrivano per un pelo. Le gomme dell’autobus che avrebbe dovuto trasportarli sono state ovviamente squartate con i coltelli. La polizia, forse a malincuore, accompagna la nazionale ospite allo stadio. La partita, ovviamente tesa e piena di calcioni, viene vinta dall’Honduras per 1-0, grazie al gol del difensore Leonard Wells nei minuti finali.
La delusione dei calciatori salvadoregni è tanta, ma c’è anche la consapevolezza che, una settimana dopo, c’è in programma la gara di ritorno. Non deve pensarla così la diciottenne Amelia Bolaños, figlia di un generale dell’esercito di El Salvador. Che, al triplice fischio finale, prende la pistola del padre e si spara un colpo dritto al petto. Diventerà un’eroina, le saranno tributati i funerali di stato e la sua morte sarà il pretesto per rendere ancora più infuocata la partita di ritorno che si disputerà il 15 giugno a San Salvador.
I salvadoregni, memori dell’accoglienza ricevuta a Tegucigalpa, fanno di tutto per rendere il favore agli ospiti. L’albergo dove alloggia l’Honduras viene cinto d’assedio. Non basta nemmeno l’intervento dell’esercito per placare gli animi della folla urlante, che reclama vendetta per la sconfitta e per la morte di Amelia. L’accompagnatore -salvadoregno- della nazionale dell’Honduras, si affaccia dal terrazzo dell’albergo per chiedere una tregua. Non fa a tempo a finire di parlare; viene sepolto da una sassaiola infinita, viene praticamente lapidato sul momento. Non si può fare altro che raccogliere il suo cadavere e sperare che questa partita finisca subito.
I calciatori honduregni vengono accompagnati allo stadio dai carri armati dell’esercito. E, all’ Estadio de la Flor Blanca, non trovano certo un’accoglienza migliore. L’inno viene fischiato, la bandiera dell’Honduras bruciata, i calciatori malmenati sotto lo sguardo vigile dei mitra spianati dell’esercito salvadoregno. La partita finisce 3-0, e, fuori dallo stadio, nei nuovi e scontati disordini che seguono il match, muoiono altri due tifosi dell’Honduras. E non è nemmeno finita qui, perché, nel 1969, non esiste la regola dei gol segnati fuori casa. Un maligno scherzo del destino costringe a mettere in scena anche il terzo atto di questa tragedia.
Di giocare in casa di una delle due contendenti, non se ne parla nemmeno. Si gioca, infatti, allo stadio Azteca di Città del Messico, il 27 giugno del 1969, di fronte a 5000 soldati messi in campo dai messicani, che non bastano a tenere a freno la rabbia e l’orgoglio dei tifosi di Honduras ed El Salvador, che sembrano non desiderare nient’altro che potersi mettere liberamente le mani addosso. I disordini cominciano fuori dallo stadio Azteca e proseguono all’interno, prato verde incluso. E’ una partita bellissima e tesissima. Passa in vantaggio l’El Salvador, pareggia immediatamente l’Honduras. Torna in vantaggio l’El Salvador, pareggia nuovamente l’Honduras, in un botta e risposta che sembra davvero come un match di pugilato o, in questo caso, una guerra. I supplementari sono l’epilogo naturale e scontato di questa partita che è ormai diventata una saga.
L’eroe diventa Mauricio Rodriguez, un anonimo attaccante salvadoregno che mette dentro il gol del 3-2. Al fischio finale, come è logico che fosse, si scatena una rissa in campo che nemmeno l’esercito può fermare. Le strade di Città del Messico diventano un inferno, le relazioni diplomatiche tra El Salvador e Honduras si rompono praticamente sul momento. Non c’è nemmeno bisogno di dichiarare formalmente guerra. La guerra era già cominciata al fischio d’inizio della partita d’andata.
Il 14 luglio l’esercito salvadoregno bussa alla porta di casa dell’Honduras. La guerra tra El Salvador e Honduras durerà un centinaio di ore, fino al 18 luglio, e farà 6.000 vittime e 50.000 sfollati. L’intervento delle organizzazioni internazionali stabilirà la pace e permetterà ai contadini salvadoregni di tornare in Honduras a cercare lavoro. Ci andranno, saggiamente, in pochi, comunque. El Salvador, l’anno successivo, parteciperà ai Mondiali del 1970, dove perderà 3-0 contro il Belgio, 4-0 contro il Messico, 2-0 contro l’Unione Sovietica.

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