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sabato 6 luglio 2019

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 6 luglio.
Il 6 luglio 1988 si ebbe il disastro della Piper Alpha.
La Piper Alpha era una piattaforma petrolifera che operava nel Mare del Nord, installata a circa 200 chilometri dalla cittadina scozzese di Aberdeen, e di proprietà della compagnia petrolifera americana Occidental Petroleum (Caledonia) Ltd.
Un tizzone fumante, in un mare di desolazione, è tutto quello che resta della piattaforma Piper Alpha, mentre tutt' intorno le navi impegnate nella ricerca di qualche altro superstite sembrano contemplare il relitto di quello che in un tempo non lontano era stato definito il gigante del Mare del Nord. Ogni tanto, i battelli che setacciano le acque portano su qualcosa: un sacco di caffè, uno scatolone di sigarette, tute, caschi protettivi, indumenti, tanti indumenti. Ma dei 167 dispersi nessuna traccia, spariti, polverizzati nello stesso rogo che ha come liquefatto i tre quarti della piattaforma. Ed è proprio la facilità, se così si può dire, con cui si è consumata la tragedia, al centro degli interrogativi e delle polemiche. Nell' arco di poche ore 35 mila tonnellate di acciaio si sono completamente fuse. Il tratto di mare circostante è come entrato in ebollizione. La nube di fumo che si è sprigionata dalle fiamme, alte fino a 200 metri, ha impedito di sorvolare la zona in un raggio di 15 miglia. L' ondata di calore, a detta degli elicotteristi che hanno prestato i primi soccorsi (gli unici autorizzati ad avvicinarsi) era tale che la si avvertiva, dall' interno del velivolo, a 700 metri di distanza. Basta scorrere i rapporti dei soccorritori per avere minuto per minuto il quadro di un inferno che ha preso piede in brevissimo tempo, senza incontrare ostacoli e mandando in tilt un sistema di sicurezza che pure appariva collaudato. Ore 9.31: preceduta da un sibilo violentissimo e inodore, una prima esplosione innesca l' incendio del modulo B, quella parte della piattaforma in cui si trova la camera di compressione del gas dove, verosimilmente, si è verificata la fuga. Parte un Sos che però non viene ricevuto dalla Guardia costiera di Aberdeen. Il primo allarme Ore 9.58: la nave appoggio Lowland Cavalier lancia il mayday: Esplosione sulla Piper Alpha. Scatta lo stato di emergenza. Ore 10.02: una richiesta di soccorso parte dalla piattaforma e viene ricevuta dalla radio costiera dell' isola Wick: c' è un incendio nella sala radio!, dice l' Sos. Dal tono della voce riferirà più tardi il marinaio che ha ricevuto il messaggio sembrava che la situazione sulla Piper Alpha doveva già essere praticamente orrenda. Ore 10.05: un radioamatore capta il seguente messaggio: Stiamo abbandonando la piattaforma. Gesù Cristo, dobbiamo andar via di qui. Non c' è più tempo, dobbiamo andar via. Ore 10.09: la Guardia costiera di Aberdeen riceve: Piper Alpha completamente abbandonata. Ore 10.10: il primo dei 64 superstiti viene raccolto da un battello di salvataggio della nave Tharos ancorata ad un miglio dalla piattaforma. Ore 11.20: la nave Nimrod, che si è mossa da Kinloss, arriva in prossimità della Piper Alpha e riferisce che la piattaforma è totalmente immersa nelle fiamme dal livello del mare al top (103 metri). Il suo destino è ormai segnato, come quello dei 167 dispersi, la maggior parte dei quali sono stati colti nel sonno. Bloccata fin dal primo scoppio la centralina computerizzata da cui dipendono le misure di emergenza, la gente, a bordo, è rimasta imprigionata dalla fiamme. Ma neanche le esercitazioni frequenti e le manovre di sopravvivenza imparate a memoria sono valse a molto. Anzi, si è salvato chi ha seguito il proprio istinto: anziché raggiungere i posti di ritrovo, saltare giù, cercare l' acqua, abbandonare quella fornace infernale. Ero nell' acqua, mi sono girato e ho visto la piattaforma sciogliersi come plastica sotto una fiamma ossidrica, racconta Derek Ellington, nel salotto della sua villetta unifamiliare con i tetti a spiovere, il portoncino rosso e le piante ben allineate sui davanzali. Gli occhi mi bruciavano continua ma in lontananza vedevo delle ombre che agitavano le mani, completamente avvolte dal fumo e dalle fiamme, proprio nel punto più alto dove posano gli elicotteri. Ma l' elicottero non poteva avvicinarsi e qualche istante dopo tutto è sprofondato. Ron Carey si è lanciato dall' altezza di 60 piedi (18 metri). Si può dire che se la sia cavata. Ero sull' angolo nord della piattaforma, uno dei punti di raccolta. Uno scoppio mi ha bruciato gli occhi. Mi sono ritrovato dentro una campana di fumo così spessa da non riuscire più a respirare. Non ho avuto tempo per pensarci: ho intravisto sotto di me l' acqua chiara e sono saltato. Il mare era rosso e caldissimo. Ho pensato che la mia testa stava cuocendo. Mi dispiace dire che c' erano intorno a me altri due-tre corpi a testa in giù. Non ho potuto far nulla. Mentre mi tiravano sul battello e guardavo le fiamme pensavo che non avevamo più neanche un secchiello. C' era tutta l' acqua del Mare del Nord intorno a noi ma non potevamo prenderne neanche una goccia. Ora come è possibile che un gioiello della tecnologia si sia trasformato in quella che l' Independent ha definito una bomba atomica? Come è potuto accadere che dalla verifica ministeriale sull' agibilità della piattaforma conclusa appena dieci giorni prima (il 28 giugno, per l'esattezza) non sia emerso nulla di anormale nel funzionamento della complessa struttura?
L'indagine fu ostacolata dalla mancanza di prove fisiche. Sulla base di testimonianze oculari si concluse che l'incidente fu causato da una fuga di idrocarburi gassosi avvenuta a seguito del riavvio di una pompa che era stata sottoposta a manutenzione.
All'insaputa degli operatori che riavviarono la pompa, durante la manutenzione venne rimossa una valvola di sicurezza. Al posto della valvola, fu lasciata (non correttamente) una flangia cieca in posizione non facilmente identificabile in prossimità della pompa.
Quando la pompa tu avviata questa flangia cieca iniziò a perdere producendo una nube infiammabile, che successivamente trovò una fonte di accensione. La pompa fu riavviata alle ore 22.00 e alle ore 01.00, cioè tre ore più tardi, la piattaforma era stata completamente distrutta e la maggior parte dei lavoratori presenti su di essa erano rimasti uccisi dall'esplosione.

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