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mercoledì 31 luglio 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 31 luglio.
Il 31 luglio 1917 ha inizio la battaglia di Passchendaele.
La mattina del 31 luglio 1917, alle 3:50, nove divisioni britanniche balzarono fuori dalle trincee e investirono le alture di Plickem: era iniziata la battaglia di Passchendaele. Lo scontro - più che una battaglia vera e propria - può essere considerato una campagna militare che si frantumò in una serie di operazioni apparentemente indipendenti tra loro. Malgrado la battaglia porti il nome del villaggio di Passchendaele, esso occupava solamente un crinale ad est di Ypres. L’obbiettivo finale dell’operazione era invece il controllo dei crinali orientali e meridionali di Ypres, che nei piani britannici avrebbe condotto alla conquista delle Fiandre.
Alle origini di Passchendaele vi sono una serie di variabili di natura politica, sociale e militare che andarono poi ad influire sugli esiti finali della battaglia. La prima di queste variabili può essere riscontrata nella visione tattico-strategica di Douglas Haig, il comandante in capo delle forze britanniche. Egli da un lato era persuaso che lo scontro che avrebbe deciso le sorti della Grande guerra si sarebbe svolto sul fronte occidentale – nelle Fiandre – dall’altro lato, riteneva che ciò sarebbe avvenuto solo attraverso l’impiego di nuovi mezzi e strategie innovative, mantenendo alta la pressione sul nemico e in stretta collaborazione con le forze francesi.
La buona riuscita dei piani strategici elaborati da Haig fu minata fin da subito dalla profonda crisi attraversata dall’esercito francese dopo la fallimentare e sanguinosa offensiva di Nivelle. Il 27 maggio 1917 quelli che erano cominciati come fenomeni di diserzione si tramutarono in un vero e proprio ammutinamento generale. Le autorità francesi intervennero facendo affluire unità fedeli e bloccando la rivolta sul nascere. Il generale Petain fu nominato comandante dell’esercito, adoperandosi per individuare e punire i colpevoli degli ammutinamenti e al contempo promettendo e attuando miglioramenti nella qualità della vita dei soldati. Petain era altresì conscio di come gli ammutinamenti avessero colpito il 43% delle 113 divisioni di fanteria dell'esercito francese. Il fatto che la crisi morale colpisse principalmente la fanteria (l’arma più sacrificata che aveva subito enormi perdite dall'inizio della guerra) e che i soldati si rifiutassero di tornare all’attacco ma non di difendere le trincee e il suolo nazionale, convinsero Petain a non impiegare più le unità francesi in grandi operazioni per un periodo medio-lungo, mantenendosi sulla difensiva. Il compito di logorare i tedeschi sul campo di battaglia passava perciò agli inglesi, compito che Haig decise di assumersi fino alle estreme conseguenze.
Nonostante il mancato supporto francese Haig, in collaborazione con Reginald Bacon, ammiraglio della Royal Navy, elaborò un piano che prevedeva lo sbarco ad Ostenda di 9000 Royal Marines – supportati da tre divisioni di fanteria – che avrebbero dovuto annientare il fianco destro tedesco nelle Fiandre. L’occupazione delle Fiandre, oltre ad essere considerata come il trampolino di lancio per lo sfondamento delle linee tedesche, era di vitale importanza per il controllo dei porti belgi dai quali (secondo gli inglesi) partivano gli U-Boot tedeschi per le loro micidiali incursioni contro il traffico mercantile alleato.
A seguito del coinvolgimento del colonnello Aymler Hunter-Weston – un veterano di Gallipoli – i piani di sbarco divennero più ambiziosi, con la costruzioni di enormi pontoni galleggianti in grado di trasportare tre divisioni, carri armati e artiglieria. Zona dello sbarco: Middelkerke, nei pressi di Niuwpoort. Per garantire il successo delle operazioni occorreva però occupare i crinali a sud e ad est di Ypres e le linee ferroviarie controllate dai tedeschi. La prima di queste operazioni preparatorie fu la battaglia di Messines, la cui altura era considerata di vitale importanza per congiungere le aree di sbarco di Middelkerke con il fulcro dell’attacco su Ypres. Il comando delle operazioni fu affidato al generale Erbert Plumer. Molto popolare e rigoroso pianificatore, Plumer era un ufficiale estremamente attento a risparmiare la vita dei propri uomini, prediligendo un approccio più cauto volto a indebolire l’avversario cingendolo in una sorta di assedio. La battaglia di Messines si svolse nel giugno 1917, tuttavia la sua panificazione era iniziata già nel 1916, con l’arrivo dei Royal Engineers Tunnelling Companies, i quali scavarono una fitta rete di gallerie e camere di scoppio sotto il crinale di Messines, stipandovi quasi 500 tonnellate di Ammonal – un esplosivo ad alto potenziale – suddiviso in 24 cariche. Le mine furono fatte brillare la mattina del 7 giugno alle 3:10 del mattino - dopo un bombardamento di due settimane da parte dell’artiglieria inglese - creando 19 enormi crateri. La mina di Spanbroekmolen, caricata con oltre 41 tonnellate di esplosivo, creò un cratere di 120 metri di diametro. L’esplosione fu udita fin nei sobborghi di Londra.
A Messines morirono circa 10.000 tedeschi, a cui vanno aggiunti circa 15.000 feriti, dispersi e prigionieri. Cospicuo anche il bottino di armi e materiali tra i quali 65 cannoni, 94 mortai da trincea e circa 300 mitragliatrici. A rendere ancora più devastante l'effetto, giunse il fuoco di oltre 2000 cannoni inglesi che devastarono ulteriormente le posizioni tedesche. Già il 10 giugno i tedeschi si ritirarono dalle posizioni ormai indifendibili, attestandosi 4 chilometri più a est. Quella di Messines può essere considerata come l’azione di maggior successo dell’esercito britannico sul fronte occidentale. Attentamente pianificata e eseguita con cura, l’operazione fu celebrata come una schiacciante vittoria inglese, convincendo molti alti ufficiali britannici della possibilità di ottenere ulteriori successi su larga scala contro le forze tedesche, dimenticandosi come, tuttavia, la battaglia di Messines si prefiggesse obiettivi tattici limitati e non mirasse alla sfondamento strategico del fronte. Un ottimismo che si rivelò fatale due mesi dopo nella più ampia e ambiziosa battaglia di Passchendaele.
In seguito al vittorioso combattimento di Messines, Douglas Haig nominò come comandante della V armata (che avrebbe sopportato il peso dell’imminente offensiva) il generale Hubert Gough, sostituendo Plumer, che tanto bene aveva saputo gestire lo scontro. Ebbe così inizio la seconda fase preparatoria, che in seguito avrebbe generato quell’inferno di fango che caratterizzò la battaglia di Passchendaele. Il 22 luglio, 2300 cannoni di medio e grosso calibro iniziarono un bombardamento delle posizioni tedesche che si sarebbe protratto fino al 31 luglio. Tuttavia, tale massiccio bombardamento non fece altro che sconvolgere il terreno, distruggendo l’antico sistema di drenaggio delle acque che in questa parte delle Fiandre garantiva da secoli il consolidamento dei terreni ed evitava l’impaludamento del territorio. Questo, unito alle forti piogge, trasformò in breve il campo di battaglia in un enorme acquitrino che rallentava i progressi delle truppe. Subito dopo la fine dei bombardamenti, alle 3:50, la fanteria inglese balzò fuori dalle trincee e iniziò ad avanzare su un fronte di 25 chilometri, cogliendo qualche successo iniziale e raggiungendo la linea del fiume Steenbeck. Ciononostante, tutti gli attacchi alla strada di Menin, obbiettivo principale della battaglia, furono respinti dai tedeschi che inflissero agli inglesi dure perdite.
Nei due mesi trascorsi dall’attacco di Messines i tedeschi avevano avuto il tempo di rafforzare le proprie difese in vista della probabile offensiva. Non trincee lineari, bensì bunker e casematte isolate, costruiti in cemento armato e ben forniti di mitragliatrici. Contro tale sistema - che ben si adattava al terreno acquitrinoso e permetteva ai tedeschi di difendere ampie porzioni di terreno con relativamente pochi uomini - si dissanguarono le truppe britanniche. Da parte inglese l’impiego massiccio di artiglieria e carri si rivelò inutile: i Tanks affondavano nel fango mentre l’effetto delle granate era ridotto e attutito dal fango. Tuttavia, era l’ostinata resistenza tedesca a limitare i progressi britannici: nella sola battaglia di Quota 70 – ingaggiata per liberare Lens – le truppe canadesi persero quasi 10.000 uomini tra morti, feriti e dispersi. Nella battaglia di Langemarck, tra il 16 e il 18 agosto, le 8 divisioni britanniche impiegate subirono oltre 36.000 perdite. Entrambi gli scontri fallirono nel conseguire i propri obbiettivi. Nella pur vittoriosa battaglia di Pilckem le truppe inglesi pagarono il successo con quasi 32.000 morti e feriti.
Nonostante il grande spiegamento di mezzi e il consumo elevato di munizioni, per oltre un mese gli attacchi settoriali concepiti da Gough su un fronte molto ampio erano stati un fallimento, conseguendo solo successi limitati al costo di perdite elevatissime. Il tempo infame, il terreno impraticabile e lo sfinimento dei soldati spinsero Haig ad un cambio di strategia: il 20 settembre il compito di conquistare l’importante strada di Menin fu affidato a Plumer, il vincitore di Messines, prendendo di fatto il comando delle operazioni. Il peso dell’offensiva fu trasferito dalla martoriata V armata di Gough alla II di Plumer. La tattica utilizzata era però diversa: attacchi di minore entità contro obbiettivi ben precisi - definiti “bite and hold” (letteralmente “mordi e mantieni”) - rimanendo sempre entro il raggio d’azione delle artiglierie britanniche. Tale impiego dell’artiglieria - chiamato “Sbarramento mobile” (Creeping Barrage) - consisteva nel far avanzare i fanti sotto la copertura dei cannoni. Le truppe, una volta conquistato il loro obiettivo, attendevano che l'artiglieria si muovesse in avanti per dare supporto ad ulteriori avanzate e stroncare i micidiali contrattacchi tedeschi. Aiutati da un intenso bombardamento, il 26 settembre, inglesi e australiani riuscirono infine a prendere la strada di Menin con perdite relativamente contenute. Il 3 ottobre occuparono anche il Bosco del Poligono, contro il quale, precedentemente, erano falliti numerosi attacchi.
In generale, questi piccoli “morsi” ideati da Plumer fruttarono cospicue avanzate e ben 10.000 prigionieri. I tedeschi nei loro rapporti registrarono episodi di collasso psicologico in molte loro unità a causa dell’intensità dei combattimenti e delle dure perdite. Ludendorff temeva il crollo del fronte delle Fiandre. In quei giorni egli annotò: «Giornata di aspri combattimenti in cui tutto è sembrato congiurare contro di noi. Forse riusciremo a contrastare la perdita di terreno, ma la nostra capacità di combattere ha subito un altro duro colpo». Tuttavia, nemmeno un brillante generale come Plumer poteva mutare una situazione già compromessa. L’alto comando britannico, convinto ancora di poter effettuare gli sbarchi e imbaldanzito dai risultati positivi conseguiti nella seconda fase, decise di insistere nell’offensiva. Il 28 settembre Haig annotò sul suo diario: «Il nemico vacilla». Tra il 9 e il 26 ottobre furono lanciate tre ondate di attacchi britannici che andarono incontro ad un insuccesso. Il fronte ripiombò nell’inerzia. I tedeschi pur subendo un tremendo attrito di perdite – per la prima volta superiori a quelle britanniche – abbandonarono la difesa rigida e tornarono ad una più elastica. Fu impiegata nuovamente anche l’iprite per respingere gli ostinati attacchi delle truppe britanniche.
In un panorama reso lunare dai bombardamenti, la battaglia si avviava al suo epilogo. Il terreno impraticabile – sul quale la morte giungeva non solo dalle armi ma anche dai crateri colmi di fango nei quali venivano letteralmente risucchiati i soldati – e il progressivo esaurimento delle truppe posero fine alla battaglia. È indicativa la frase pronunciata da un anonimo ufficiale del quartier generale britannico in visita sullo scenario infernale del campo di battaglia di Passchendaele: «Buon Dio, davvero abbiamo mandato degli uomini a combattere qui?». Frase che denota la distanza non solo psicologica ma anche fisica degli alti ufficiali - fautori dell’offensiva ad oltranza - dai propri sottoposti. Il 4 novembre i fanti canadesi conquistarono infine Passchendaele, concludendo la battaglia. Negli ultimi cinque giorni di scontri gli inglesi persero 130 ufficiali, oltre 2000 soldati mentre i feriti furono 8000. Le perdite tedesche furono ancora maggiori. Ad oggi le statistiche riguardanti il “costo umano” di Passchendaele sono dibattute. Le stime più equilibrate parlano di oltre 260.000 morti feriti, dispersi e prigionieri per parte, per un totale compreso tra le 500/600.000 perdite complessive. Tuttavia, statistiche più alte che tengono conto dei numerosi avvicendamenti dei reparti al fronte, dei decessi in ospedale e dei feriti lievi fanno salire il conteggio a oltre 400.000 perdite per contendente.
Per concludere, caso piuttosto raro, entrambe le parti in campo considerarono fin da subito Passchendaele come un fallimento e una pagina nera delle rispettive storie militari. La battaglia fu un indubbio successo tattico inglese, tuttavia, sul piano strategico si risolse in un nulla di fatto molto simile ad una débâcle, soprattutto in ragione delle grandi speranze risposte dagli inglesi nell’offensiva. Esse furono infatti esaudite solo in minima parte e non diedero seguito ad alcun sfondamento in profondità, riconfermando il carattere di logoramento della guerra sul fronte occidentale. Anche l’intento secondario di assorbire le riserve tedesche per dare respiro ai francesi si rivelò altrettanto fallimentare, in quanto Passchendaele finì per logorare e consumare principalmente le truppe britanniche, per di più su un tratto di fronte che i comandi tedeschi non consideravano importante. Infine gli inglesi non colsero lo stato di grave logoramento e crisi in cui andò a trovarsi l’esercito del Kaiser dopo la battaglia. Lo stato maggiore tedesco – malgrado le sue truppe avessero arginato l’attacco – affermò che «La Germania era prossima alla distruzione certa dopo la battaglia delle Fiandre nel 1917» e non più in grado di sostenere un assalto di quelle dimensioni ad occidente.
In ogni caso, l’inattività delle truppe francesi, la rotta italiana a Caporetto e il crollo dell’esercito russo avrebbero dato ai tedeschi l’opportunità di riorganizzarsi e preparare la Kaiserschlacht per la primavera del 1918, che secondo i piani avrebbe condotto l’esercito tedesco alla vittoria prima dell’arrivo delle truppe americane.

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