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martedì 9 aprile 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 9 aprile.
Il 9 aprile 1241 a Liegnitz (Polonia) fu combattuta una battaglia decisiva per impedire l'invasione dell'Europa da parte dei mongoli.
Sulla battaglia di Liegnitz vi sono opinioni contrastanti: i polacchi, ad esempio, ancora la festeggiano come la sconfitta con la quale hanno salvato l'Europa dalla minaccia mongola, e anche i tedeschi, molto coinvolti nella battaglia, condividono questa opinione. Studiosi moderni, al contrario, ritengono che fu solo il caso -- ovvero l'improvvisa morte del Gran Khan e la successiva disputa dinastica tra i suoi figli -- a salvare l'Europa dalla conquista mongola.
Se fu una vittoria di Pirro per i mongoli, che li convinse a rinunciare alla conquista dell'Europa o solo un episodio in una campagna che aveva per i mongoli altri obiettivi nessuno può dirlo.
Vero è che i mongoli non conquistarono mai l'Europa, e quindi è ozioso chiedersi se ci sarebbero mai riusciti, ma è altrettanto vero che altri europei (gli ungheresi) furono sconfitti dalla parte principale dell'armata mongola, due giorni dopo Liegnitz, a Mohi, centinaia di chilometri a sud est, e che quindi l'enfasi particolare assunta storicamente da Liegnitz non si comprende se non si aggiunge che fu la puntata più occidentale compiuta da un'armata mongola.
La manovra di Subodai, il comandante in capo mongolo, era molto complessa: indirizzata alla conquista dell'Ungheria, era articolata su tre colonne: una centrale comandata da Batu costituiva la punta più importante, le rimanenti erano forze ridotte che avevano il compito di isolare l'avversario principale.
Gli avversari a Liegnitz erano più o meno pari numericamente: l'armata mongola guidata da Kadan era costituita da due tumen -- due unità nominalmente da 10.000 uomini ciascuna -- mentre i polacco-germanici erano attorno ai 25.000 uomini.
Enrico II il pio duca di Slesia aveva da poco unificato la Slesia con la Grande e la Piccola Polonia e di fronte alla minaccia Mongola aveva riunito un esercito eterogeneo costituito da minatori bavaresi, reclute polacche e volontari moravi, cavalieri slesiani e tedeschi e anche appartenenti ai tre ordini militari maggiori: Ospitalieri, Templari e forse Teutonici.
Un'altra armata europea di entità doppia di quella di Enrico, guidata da Wenceslao di Boemia, suo stretto parente, era ad appena due giorni di distanza da Liegnitz: ma Enrico non lo sapeva, mentre gli esploratori mongoli avevano informato il loro comandante di quella pericolosa presenza, convincendolo dell'opportunità di accelerare i tempi dello scontro.
Il duca schierò probabilmente le sue truppe a rombo: sulle ali i contingenti di reclute polacchi e di minatori bavaresi, entrambi costituiti in massima parte da fanterie; al centro il contingente di Opole con alleati moravi, e dietro questi posizionò la propria riserva con i cavalieri migliori. I mongoli si schierarono con due ali molto allargate verso l'esterno e un centro con un'avanguardia sostenuta da una riserva.
Il combattimento volse subito al peggio per gli europei: l'avanguardia mongola costrinse infatti immediatamente alla fuga il centro polacco, inseguendolo quel tanto che bastava per costringere la riserva guidata dallo stesso duca ad intervenire prematuramente.
A questo punto l'avanguardia mongola finse di fuggire in rotta e attirò gli europei oltre la distanza di sicurezza dai propri supporti. Avanzando impetuosamente i cavalieri subirono un nutrito lancio di frecce da parte delle unità mongole sui fianchi e giunsero esauste e decimate allo scontro con la riserva mongola.
Forse sui fianchi i mongoli stesero persino una cortina fumogena per occultare agli occhi del resto dell'esercito polacco il massacro che stava avvenendo poco distante.
I cavalieri proseguirono una disperata resistenza appiedati, infliggendo in questo modo ai mongoli più perdite di quante si attendessero, ma vennero sterminati fino all'ultimo uomo. Nel frattempo le unità sui fianchi poterono occuparsi delle formazioni europee rimaste arretrate ed inerti: forse un'esplosione di panico (diffuso, si narra, ad arte da un russo al servizio dei mongoli) facilitò l'attacco mongolo che si trasformò in uno spietato inseguimento.
Il duca Enrico cercò di fuggire, ma fu raggiunto e ucciso: la sua testa portata in cima ad una picca davanti a Liegnitz.
Con le orecchie destre dei morti i mongoli riempirono 9 sacchi.
In quello scacchiere, i mongoli non si spinsero oltre, deviando verso la Moravia per ricongiungersi con Batu. L'obiettivo principale dell'avanzata verso occidente rimaneva infatti l'Ungheria, e alla volta di quest'ultima aveva nel frattempo mosso l'armata principale, radunatasi sulla Vistola all'altezza di Halicz. Nella sua marcia verso Pest, Batu aveva diviso la sua armata in quattro tronconi, due ali estreme a nord e a sud, e altre due sezioni centrali, rispettivamente attraverso la Galizia, la Moldavia e la Transilvania. Riunitisi nei pressi della capitale, i tartari furono avvicinati dall'armata di soccorso allestita da Bela, ma si sottrassero allo scontro attuando un ripiegamento verso oriente. Nove giorni dopo, e, secondo la tradizione, due giorni dopo la battaglia di Liegnitz, presso il villaggio di Mohi gli ungheresi si fecero sorprendere nel sonno da una manovra a tenaglia, e fu un'ecatombe, dalla quale a stento si salvò lo stesso sovrano. Pest, naturalmente, fece una brutta fine, e il resto dell'anno gli ungheresi lo passarono a sfamare le armate mongole, prima che queste riprendessero l'avanzata verso occidente, con Vienna quale successivo obiettivo.
Durante la pausa che si presero i mongoli, Bela non riuscì, nonostante i suoi sforzi, a indurre la Cristianità a mettere in atto una crociata per fronteggiare il pericolo rappresentato dagli invasori. Il papa era allora troppo impegnato nelle sue contese con l'impero per prendersi la briga di indire una crociata in uno scacchiere che non fosse quello italico, dove egli vedeva il vero nemico della fede nell'imperatore Federico II. All'appello risposero solo i teutonici, che però preferirono scegliersi un nemico teoricamente più malleabile - e più compatibile con i loro interessi nell'area baltica -, i russi di Novgorod; finì che anche loro rimediarono una memorabile sconfitta, nella battaglia del lago Peipus per mano del principe Nevskij.
Dopo essere stato raggiunto da Kaidu, Batu attese solo che l'inverno gelasse il Danubio per poter riprendere la campagna; il khan giunse a distruggere Zagabria e fin quasi sulle rive dell'Adriatico, nei pressi di Spalato, nel tentativo di raggiungere il re ungherese in fuga, mentre la sua ala destra si spingeva in direzione di Vienna. Ma nel febbraio 1242 giunse la notizia della morte del gran khan Ögödei - avvenuta nel dicembre precedente -, che apriva la questione della successione. Batu era tenuto a partecipare al Kuriltai, e non ebbe altra scelta che tornare indietro abbandonando qualunque velleità sull'Europa.
Le sue ambizioni, tuttavia, furono frustrate dall'elezione di Guyuk, al quale Batu non rese mai omaggio, preferendo tornare ad amministrare come dominio autonomo i territori occidentali, che ormai comprendevano i principati russi, la cui capitale pose a Sarai sul Volga. Nasceva lo stato mongolo - o tartaro, come veniva chiamato dagli europei - indipendente dell'Orda d'Oro, come fu definito per via della tenda dorata di Batu; oltre ai territori russi, esso inglobava una vasta area corrispondente all'attuale Kazakistan, trasformandosi progressivamente in uno stato turco e islamico. Tenne bene ancora per un secolo, per poi subire il ritorno dei moscoviti e, soprattutto, l'aggressione di Tamerlano; in progresso di tempo, finì per dividersi in varie Orde, spesso in guerra tra loro, e perse il controllo sui territori russi, che finirono col rendersi indipendenti. Agli albori dell'età moderna Ivan IV il Terribile diede il colpo definitivo alla Grande Orda, e ai tartari rimase la sola Crimea, dalla quale i mongoli si presero una piccola rivincita riconquistando temporaneamente la capitale moscovita nel 1571, il khanato di Crimea sopravvisse fino alle soglie del XVIII secolo, per essere infine inglobato nell'impero ottomano.

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